DONAT-CATTIN, Carlo
Nacque a Finale Ligure (provincia di Savona) il 26 giugno 1919. Il padre, Attilio, di origini savoiarde, era un impiegato della Banca commerciale Italiana. La madre, Maria Luisa Buraggi, discendeva dall’omonima famiglia dei conti di Finale Ligure. I due si conobbero durante la prima guerra mondiale: richiamato alle armi nel 1915 e ferito durante un combattimento, Attilio fu destinato al distretto di Savona e in quel soggiorno incontrò la contessa Buraggi, che sposò il 1° maggio 1916. Ebbero quattro figli maschi (Camillo, Anton Paolo e Flaminio, oltre a Carlo) e una femmina, Mariapia, morta per meningite fulminante a due anni e mezzo. Dopo la guerra si stabilirono a Torino, dove Attilio divenne esponente del Partito popolare e dirigente dell’Azione cattolica diocesana. Gli impegni del padre influenzarono non poco la formazione del giovane Carlo, su cui ebbero effetti incisivi la frequentazione dell’oratorio salesiano della Crocetta e l’inserimento nelle fila della Gioventù italiana di azione cattolica (GIAC) torinese. Carlo Carretto e Armando Sabatini furono i dirigenti da cui ebbe i maggiori insegnamenti.
Donat-Cattin frequentò il liceo Alfieri e poi da privatista il Gioberti, arrivando alla licenza di maturità come più alto titolo di studio, in quanto all’iscrizione alla Facoltà di filosofia non seguirono poi la frequenza continuativa e il superamento di esami. Manifestò tuttavia un forte interesse per la poesia e la letteratura, coltivando una lunga passione per Eugenio Montale e Fëdor Dostoevskij. Anche la cultura cattolica francese esercitò in lui un’attrazione: negli anni del rilancio attraverso la rivoluzione personalista e comunitaria di Emmanuel Mounier e gli scritti di François Mauriac, Georges Bernanos, Paul Claudel, Étienne Gilson e Maurice Blondel, scoprì precocemente il testo fondamentale di Humanisme intégral di Maritain, la cui edizione originale in francese ebbe tra le mani già nel 1937. Secondo una testimonianza autobiografica, a consigliare la lettura fu il padre domenicano Enrico di Rovasenda, che durante il periodo di studi all’Institut catholique di Parigi aveva stretto amicizia col filosofo francese.
Chiamato alle armi il 6 dicembre 1941 e assegnato al 2° Reggimento granatieri, a fine luglio 1942 fu ammesso alla Scuola allievi ufficiali di Arezzo, Arma di fanteria, specialità granatieri.
L’11 luglio dello stesso anno aveva sposato a Torino, nella parrocchia di S. Gioacchino, Amelia Bramieri, maestra cucitrice di un’azienda tessile. Dal loro matrimonio nacquero quattro figli: Claudio, giornalista con una lunga carriera in Rai, Paolo, impresario teatrale, Mariapia, docente di Lettere, e Marco.
Impegnato nella lotta partigiana nelle Brigate Garibaldi, come ufficiale dei granatieri aveva assistito alla caduta del fascismo mentre si trovava di stanza a Montefiascone. La frequentazione dei Gruppi universitari fascisti (GUF) e l’inevitabile iscrizione effettuata nel 1941 (sulla domanda dichiarò di non aver aderito prima perché «avendo cessato gli studi regolari presso le scuole pubbliche per motivi di salute, ha cessato pure l’iscrizione alla GIL Avanguardia non potendone frequentare le adunate», Archivio di Stato di Torino, Partito Nazionale Fascista, Federazione di Torino, f. 112407) non gli impedirono di coltivare sentimenti antifascisti. Secondo una testimonianza della moglie, Donat-Cattin rifiutò sempre di indossare la camicia nera, benché sollecitato (L’Italia di Donat-Cattin, p. 142). Dopo l’8 settembre 1943, la deportazione del padre nei campi di prigionia tedeschi lo spinse ulteriormente a combattere contro il regime mussoliniano.
La sua partecipazione alla Resistenza avvenne nella zona del Canavese, essendo stato assunto alla Olivetti di Ivrea, prima come operaio e in seguito come insegnante di cultura generale presso il Centro formazione meccanici. I primi contatti con i protagonisti della Resistenza avvennero però nelle Langhe cuneesi, abbandonate dopo la nascita del primo figlio. Fissata la residenza nel Comune di Lessolo, Donat-Cattin divenne rappresentante nel Comitato di liberazione nazionale (CLN) della componente democratico-cristiana, attraverso la stampa del foglio clandestino Per il domani. Le sue prime esperienze lavorative furono legate all’attività giornalistica: negli anni Trenta scrisse articoli su Gioventù, settimanale della GIAC, iniziando poi a collaborare con il quotidiano cattolico L’Italia. Dopo la Liberazione fu direttore del settimanale Il Popolo Canavesano, prima di essere assunto, nell’ottobre 1945, come redattore de Il Popolo Nuovo, quotidiano democristiano diretto da Gioacchino Quarello.
L’esperienza alla Olivetti gli aveva fornito una prima formazione sindacale di base, poi approfondita grazie alle indicazioni di Rodolfo Arata, suo capo-redattore. I problemi del mondo del lavoro, unitamente all’attenzione verso il nascente movimento giovanile democristiano, furono oggetto di interventi con cui Donat-Cattin fece conoscere il proprio nome anche al di fuori dei confini torinesi, come attestano gli articoli scritti per il settimanale della Democrazia cristiana (DC) milanese Democrazia, il foglio dei gruppi giovanili La Punta e le dossettiane Cronache sociali. In tal modo arrivò a proporre la propria candidatura contro quella di Giulio Andreotti, nel gennaio 1947, al congresso nazionale di Assisi dei giovani democristiani. Fu sconfitto perché il suo avversario stipulò un patto segreto con tutti i gruppi delle regioni meridionali, ma accettò la lezione chiosando su Democrazia: «la tattica è arte che nella vita politica si deve imparare per tempo, se non vogliamo consumarci nelle girandole del vaniloquio».
Gli anni giovanili lo videro maggiormente impegnato nella vita sindacale. Si formò secondo i canoni dell’elaborazione teorica e dell’azione pratica del sindacalismo riformista, come attesta la presenza nella sua biblioteca personale della seconda edizione, con segni di lettura e commenti autografi a margine, del Manualetto di tecnica sindacale di Rinaldo Rigola, ripubblicato nel 1947 come compendio delle lezioni svolte alla Scuola di previdenza e legislazione sociale negli anni 1920-21. Quella formazione e quell'esperienza avrebbero lasciato una traccia indelebile nelle scelte e negli atteggiamenti dell’uomo politico, del leader della sinistra democristiana e del ministro. Iscritto fin dal 1945 alle Associazioni cristiane lavoratori italiani (ACLI), di cui condivideva la finalità della presenza nel sindacato attraverso l’organizzazione di categoria, nell’ottobre 1948 Donat-Cattin fu eletto segretario della Libera confederazione generale italiana del lavoro (LCGIL) torinese, il sindacato che nacque dalla scissione della CGIL. Da militante della corrente sindacale cristiana, insieme ai colleghi torinesi di formazione cattolica aveva mantenuto una linea fortemente unitaria, nella convinzione che fosse l’unico modo per difendere efficacemente gli interessi economici di tutti i lavoratori.
I suoi interventi giornalistici di quel periodo prefigurano una concezione del sindacato come un organo che deve avere una propria politica, determinata dalla condizione dei lavoratori e non dalla posizione di un partito. In opposizione alla linea di Giulio Pastore, al primo congresso della LCGIL del 1949 Donat-Cattin presentò insieme a Giuseppe Rapelli una mozione che richiedeva l’attribuzione di poteri deliberativi alle assemblee di base, l’autonomia delle categorie senza strutture confederali permanenti, l’unificazione sindacale attraverso referendum tra i lavoratori. In relazione ai contenuti della legge sindacale attuativa della carta costituzionale, che caratterizzò il confronto politico delle prime legislature repubblicane, Donat-Cattin ne indicò due: l’obbligatorietà dei contratti e il riconoscimento giuridico delle commissioni interne. Con la nascita della Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL) nel 1950, per sei anni assunse la guida della Federazione torinese, sostenendo via via una posizione di maggiore integrazione tra sindacato e partito, convinto della necessità di rappresentare politicamente con una propria corrente le esigenze dei lavoratori.
Sono gli anni dello scontro con l’aziendalismo di Edoardo Arrighi, segnati anche dalla presa di distanza da Rapelli e dallo scontro seguito al mancato appoggio per la candidatura di Donat-Cattin alle elezioni politiche del 1953, in cui risultò però decisiva l’ostilità del presidente nazionale dell’Azione cattolica, Luigi Gedda, che affiancò il segretario politico Guido Gonella nella formazione delle liste elettorali.
Nel corso degli anni Cinquanta, dunque, l’attività di Donat-Cattin si orientò in modo più deciso in direzione politica. Dopo la vittoria della DC torinese nelle elezioni amministrative del 1951, nelle quali venne eletto consigliere comunale (2514 preferenze personali) e provinciale (8590 preferenze con il sistema dei collegi uninominali), nel dicembre 1955 divenne segretario provinciale del Partito.
Come amministratore locale Donat-Cattin si impegnò sui temi dell’occupazione, con interventi dedicati soprattutto al vivace confronto con la Direzione Fiat, ai salari dei dipendenti pubblici, ai collegamenti e ai trasporti nazionali e internazionali.
Nel 1958 iniziò, con una legislatura di ritardo, la sua stagione parlamentare come deputato della DC, eletto nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli con 34.066 preferenze. Dal 1954 faceva già parte del Consiglio nazionale, come rappresentante del Piemonte, designato durante il quinto congresso nazionale della DC a Napoli. Aveva aderito alla corrente sindacale denominata prima Coerenze sociali e poi Forze sociali, guidata da Pastore, che era anche segretario generale della CISL, e composta perlopiù da sindacalisti e aclisti, in rappresentanza della tradizione del movimento cattolico sociale. Essi avevano contribuito alla nascita e al primo sviluppo del Partito dandogli una più precisa qualificazione sociale. Ma rimanevano un gruppo minoritario (appena sei parlamentari e nove consiglieri nazionali su 61, nel 1954), che insieme ai democristiani della Base fondata da Giovanni Marcora nel 1953, con una caratterizzazione più politica, presidiavano la sinistra della DC con una funzione di alternativa alla maggioranza. Fu con il superamento del centrismo che tali formazioni si rafforzarono: dal 1958 la corrente di Pastore, che aveva raggiunto nelle elezioni politiche una trentina di parlamentari, assunse la denominazione di Rinnovamento e una posizione sempre più favorevole alla collaborazione con le altre forze riformiste.
Dalle carte d’archivio emerge chiaramente come Donat-Cattin divenne l’erede naturale del segretario della CISL, a cui contestò vivacemente l’entrata nel II governo Fanfani (1° luglio 1958 - 15 febbraio 1959) in quanto inconciliabile con il ruolo di opposizione alla maggioranza del Partito, e il leader di un gruppo in continua crescita, che sarebbe arrivato a contare oltre quaranta parlamentari con il varo del primo governo di centro-sinistra organico.
Il piglio del capocorrente era apparso evidente fin dai primi interventi in Parlamento, come fu per quello pronunciato il 3 ottobre 1958 sul ristagno dell’economia italiana, non senza accenti critici verso l’azione di governo. Dopo aver partecipato al congresso nazionale di Trento del 1956 ancora all’ombra di Pastore, che a differenza di Donat-Cattin era allora ostile all’apertura verso i socialisti, da neoparlamentare al congresso nazionale di Firenze del 1959, dove le sinistre avanzarono nettamente, non si peritò di attaccare il doroteismo che aveva affossato Fanfani, accusando i rappresentanti della disciolta corrente Iniziativa Democratica di aver trasformato il partito in «organizzazione per mantenere il potere di pochi al centro» (Il Popolo, 27 ottobre 1959, p. 2). Il suo carattere pungente e polemico si manifestò in particolare quando accusò pubblicamente di essere stati dei ‘franchi tiratori’ il sottosegretario agli Esteri Carmine De Martino e l’on. Erminio Pennacchini; ne nacque una lunga quérelle, conclusa senza sanzioni disciplinari per l’improvvisa morte di De Martino nel 1963. Donat-Cattin subì la denuncia ai probiviri del Partito, ma incassò la significativa solidarietà di Aldo Moro. D’altro canto quella polemica non gli impedì di essere nuovamente eletto in Consiglio nazionale e di diventare uno dei venti membri della direzione centrale, a partire dal novembre 1959.
La vicenda del governo Tambroni (25 marzo - 26 luglio 1960) portò Donat-Cattin e Moro ad aprire un’importante stagione di collaborazione. Voluto dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e avallato da Moro, il gabinetto Tambroni ebbe tra i primi convinti oppositori i sindacalisti e gli esponenti della sinistra democristiana, che intuirono il pericolo di finire ostaggio della destra anziché favorire l’avvicinamento dei socialisti. Moro riconobbe il merito di quest’analisi politica e, grazie alla sua capacità tattica, si inventò il governo cosiddetto delle 'convergenze parallele' come tregua e passaggio alla collaborazione con i socialisti. Quando si trovò lui stesso a formare il governo che sanciva l’entrata dei socialisti nell’agognata ‘stanza dei bottoni’, il governo di centro-sinistra (4 dicembre 1963 - 22 luglio 1964), Moro scelse Donat-Cattin come sottosegretario al ministero delle Partecipazioni statali. Da convinto sostenitore della segreteria Moro e della formula di governo, Donat-Cattin non mancò di lamentare l’insufficiente considerazione avuta, al momento della distribuzione dei ministeri, nei confronti della sua corrente, senza la quale la DC «sarebbe nient’altro che un partito borghese» (L’Italia di Donat-Cattin, p. 39). La combattività del personaggio si manifestò tanto rispetto al ruolo svolto nel dicastero guidato da Giorgio Bo, democristiano della Base, che con il programma di governo risultava sempre più strategico nella politica economica, per l’importanza assunta dalla gestione delle partecipazioni statali, quanto in relazione ai momenti più importanti della vita istituzionale, come dimostrò l’ostinata contrapposizione verso l’elezione di Giovanni Leone a presidente della Repubblica nel dicembre 1964, che di fatto costrinse la DC a cercare più ampie intese e a votare il socialdemocratico Giuseppe Saragat, non senza stigmatizzare il comportamento del dissidente Donat-Cattin, cui fu comminata una sospensione, più che altro simbolica, dal Partito.
Giudicando l’esperimento di quella formula politica che doveva far incontrare due partiti popolari, ebbe a scrivere: «La Democrazia Cristiana, nel suo complesso, ha stentato ad adattarsi al centro-sinistra. […] Il grosso della Democrazia Cristiana ha […] subito il centro-sinistra come operazione di necessità, un’operazione anticomunista nel senso che poteva togliere ai comunisti un alleato per arruolarlo – mercenario o volontario – tra gli anticomunisti. […] La sinistra cattolica e la sinistra DC pensarono che il centro-sinistra avesse valore nella misura in cui avrebbe determinato spostamenti di potere: dai ceti conservatori alle forze popolari, dai centri economici privati allo Stato. Il grosso della DC ha compiuto, al contrario, considerevoli sforzi per attuare, col centro-sinistra, la politica del minimo mutamento» (Problemi di democrazia in Italia, pp. 16 s.).
L’analisi di Donat-Cattin riconosceva peraltro che le divisioni nella sinistra democristiana avevano di fatto consegnato ai dorotei le chiavi per indirizzare politicamente il Partito verso una versione sempre più moderata del centro-sinistra. Solo nella parentesi unitaria del congresso nazionale di Roma nel 1964, quando sotto l’insegna della corrente Forze Nuove fu superata la dicotomia tra sinistra sociale e sinistra politica, si ebbe un tentativo di aggregazione per contrastare quella che era definita come un’involuzione del progetto originario. Ma appena un anno dopo le posizioni tornarono a distanziarsi, con la Base che tornò autonoma rispetto a Forze Nuove, e i dorotei poterono mettere in atto il tentativo di tagliare le ali del Partito. Furono però bloccati da Moro, che assunse la funzione di protettore del raggruppamento progressista.
L’ascesa di Donat-Cattin come leader della sinistra democristiana ricevette ulteriore impulso dalla nomina a ministro. Rifiutato l’incarico per la Sanità nel primo governo Rumor (con una motivazione che spiazzò lo stesso presidente del Consiglio: «la mia decisione di non accettare gli incarichi offerti è di carattere strettamente politico: dovete confrontarvi con una sinistra reale, altrimenti la DC diventerà il partito conservatore italiano», L’Italia di Donat-Cattin, p. 102), venne poi incaricato di sostituire Giacomo Brodolini, prematuramente scomparso, al dicastero del Lavoro nell’estate del 1969. Un periodo cruciale per la vita politica italiana: l’autunno caldo e i rinnovi contrattuali, la crisi tanto del principio della rappresentatività quanto degli strumenti di rappresentanza popolare, il fallimento del centro-sinistra e il ripiego del governo monocolore, l’esplosione della strategia della tensione con la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969). Donat-Cattin, avendo visto crescere il consenso verso la sua corrente e a livello personale (nelle elezioni del 1968 aveva ottenuto oltre 43.000 preferenze, che sarebbero diventate 72.000 nel 1972), agì in quel frangente con autonoma determinazione, portando a termine in pochi mesi, oltre alle vertenze sindacali, la discussione parlamentare e l’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Una libertà dai condizionamenti che si espresse anche nella protezione garantita alla rivista settimanale Settegiorni, pubblicata tra il 1967 e il 1974 come think tank del cattolicesimo postconciliare progressista e ‘porto di ridosso’ di diversi giornalisti e intellettuali invisi, oltre che alla DC, soprattutto alle gerarchie ecclesiastiche conservatrici, a partire dai condirettori Ruggero Orfei (escluso dalla collaborazione con L’Italia di Milano) e Piero Pratesi (già vicedirettore dell’altro quotidiano cattolico, Avvenire d’Italia). Donat-Cattin sostenne l’edizione tramite la società legata alla sua corrente, senza collaborare direttamente. Seguì e citò spesso nei suoi interventi le analisi fornite sui principali avvenimenti politici e culturali di quegli anni, con particolare riferimento alla scelta di Moro di abbandonare definitivamente l’alleanza con i dorotei dopo il 1968 e alle posizioni assunte in seno al mondo cattolico, scosso dal clima di contestazione che portò, tra gli altri avvenimenti, alla fine del collateralismo con la DC (e pour cause con la sinistra del Partito) di parte dei movimenti ecclesiali e in modo più eclatante delle ACLI. Al convegno di Sorrento di Forze Nuove del settembre 1968 anche Donat-Cattin aveva minacciato, contro il Partito a guida unica dorotea, la rottura e la nascita di un’altra formazione di ispirazione cristiana. Ma rifiutò poi di seguire l’avventura dell’Associazione di cultura politica e del Movimento politico dei lavoratori di Livio Labor, naufragata nelle elezioni politiche del 1972 e definita su Settegiorni niente più che un «socialismo battezzato» (1971, n. 188, p. 8). Quel tentativo fallito di liquidare l’unità politica dei cattolici convinse anzi il leader di Forze Nuove ad assumere con maggiore risolutezza l’iniziativa del cambiamento dall’interno della DC.
Nei primi anni Settanta Donat-Cattin continuò a perorare la causa del centro-sinistra, sia con il sostegno a Moro nelle elezioni per la presidenza della Repubblica del 1971, sia con la partecipazione ai vari governi, compreso quello Andreotti-Malagodi (1972 - 1973) che aveva estromesso i socialisti a favore dei liberali, con la nota vicenda del mancato giuramento al Quirinale (una protesta durata qualche ora, perché il giorno dopo, consigliato da Moro, Donat-Cattin salì al Colle). Fu contro l’eccessiva caratterizzazione a destra del secondo governo Andreotti, dal quale rimase fuori per farsi poi eleggere presidente della commissione Bilancio, come gesto dimostrativo contro le disposizioni del suo Partito. E nonostante il rientro nel quarto governo Rumor (luglio 1973), che segnava il ritorno al centro-sinistra e nel quale Donat-Cattin si vide affidato il difficile ministero del Mezzogiorno, egli lottò anche durante la gestione fanfaniana del Partito, culminata con la sconfitta nella battaglia contro il divorzio (con il referendum del 12 maggio 1974). In quell'occasione Donat-Cattin rimase prudente, consapevole che si sarebbe perso e che si sarebbero galvanizzate le forze laiciste in vista di altre campagne ideologiche.
Da novembre 1974 e fino al 1978, periodo in cui si susseguirono quattro governi guidati da Moro e Andreotti, Donat-Cattin fu ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato, incentrando la propria attività nell’approvazione del Piano energetico nazionale e nella promozione del disegno di legge sulla ristrutturazione industriale, che superando la dura opposizione di Confindustria divenne legge nel 1977. Altri interventi di riforma riguardarono le Camere di commercio, il settore assicurativo e il commissariamento delle imprese in crisi.
Quando con il declino della DC si affacciò il pericolo del sorpasso comunista, Donat-Cattin condivise l’investimento fatto sulla figura di Benigno Zaccagnini, uscito vincitore nel congresso del 1976 in risposta alle istanze di rinnovamento e rifondazione del Partito. Fu tuttavia una corrispondenza effimera: dopo poche settimane scoppiò il caso della candidatura di Umberto Agnelli, chiamato dalla segreteria a correre per lo scudo crociato in Piemonte e spostato a Roma dopo le vibranti proteste di Donat-Cattin; con il risultato delle elezioni politiche (20 giugno 1976), che di fatto avevano vinto tanto la DC quanto il Partito comunista italiano (PCI), Zaccagnini pensò a una ‘terza fase’, come l’aveva definita Moro, in cui doveva essere allargata la partecipazione al governo, mentre Donat-Cattin cominciò a teorizzare la non disponibilità della DC a «corresponsabilità di gestione» con il PCI. Posizione questa che dopo l'assassinio per mano terroristica (9 maggio 1978) di Aldo Moro, ritenuto l’unico garante della politica del confronto fino alla possibilità di accettare un appoggio esterno dei comunisti, fu rafforzata arrivando alla definitiva codificazione nel ‘preambolo’ del congresso del 1980. Donat-Cattin scrisse di suo pugno, durante le concitate fasi di quell’assise, un testo comune da premettere alle mozioni congressuali che accoglievano la pregiudiziale anticomunista. Quest’operazione gli permise di raggiungere un’alleanza momentaneamente maggioritaria nel Partito, dopo aver perso una parte di Forze Nuove, guidata da Guido Bodrato e schieratasi con Zaccagnini.
Donat-Cattin fu dunque artefice dell’ultima svolta della politica democristiana, che negli anni Ottanta si fondò sull’alleanza con i socialisti e i partiti di democrazia laica.
Questa sua contrarietà al 'compromesso storico' è stata letta come uno spostamento da sinistra a destra, mentre Donat-Cattin ritenne di portare avanti anche con questa opzione sia la tradizione cristiano-sociale che la connotazione per la DC di un ruolo politico decisivo e non riducibile a quello di polo conservatore della nuova alleanza.
Tale atteggiamento venne dispiegato attraverso una più influente azione all’interno del Partito, di cui era divenuto vicesegretario nel 1978.
L’ascesa di Donat-Cattin fu bruscamente interrotta dalla vicenda del figlio Marco, scoperto affiliato al gruppo terroristico Prima Linea e arrestato il 20 dicembre 1980. In seguito si dissociò dall'attività che aveva condotto (fu responsabile anche dell'assassinio del magistrato Emilio Alessandrini) e morì in un incidente il 18 giugno 1988. Il destino politico di Donat-Catttin ne rimase segnato: dopo aver dato le dimissioni da vicesegretario il 31 maggio 1980, fu sconfitto nelle elezioni politiche del 1983 per il Senato, rientrandovi solo dopo le dimissioni del senatore astigiano Giuseppe Miroglio nel febbraio 1984. Un’eclissi temporanea che gli permise di assistere allo sviluppo della linea politica del Partito, condizionata dalla difficile ricerca di una gestione interna unitaria e dall’alternanza alla guida del governo.
A questo periodo risale l’ideazione e promozione di due importanti pubblicazioni: il quaderno mensile Lettere piemontesi, nato nel 1982 e, come il precedente Regione democratica (pubblicato dopo la crisi del centro-sinistra in Piemonte nel 1971), dedicato a temi prevalentemente regionali in un’ottica di politica nazionale; la rivista Terzafase, ideata come strumento di confronto e riflessione sulle conseguenze del ‘preambolo’, sulla crisi generale dei partiti politici e sulla linea adottata dalla segreteria di Ciriaco De Mita, di cui Donat-Cattin fu fortemente critico. Con la rubrica Diario di bordo, firmata con lo pseudonimo 'Il Nostromo', egli offrì importanti notizie sulle dinamiche interne del Partito, insieme a giudizi improntati alla franchezza dell’antagonista che si trovò spesso isolato nel dare battaglia alla leadership di De Mita. I convegni annuali della corrente, celebrati dal 1971 a Saint-Vincent, e la disseminazione dei centri studi intitolati a Giuseppe Donati caratterizzarono ulteriormente la vivacità partecipativa degli anni Ottanta.
Le pesanti sconfitte elettorali del 1983 e soprattutto quelle europee del 1984, che videro la DC per l’unica volta superata dal PCI, diedero occasioni di discussione sul ruolo del Partito d’ispirazione cristiana, in cui Donat-Cattin trovò un nuovo protagonismo. Quando nel 1988, grazie al ‘patto della staffetta’, De Mita divenne presidente del Consiglio mantenendo l’incarico di segretario nazionale, l’opposizione storica di Donat-Cattin nei tre congressi del 1982, 1984 e 1986 riuscì a coagulare una nuova maggioranza, che avrebbe portato all’elezione di Forlani a segretario nel congresso del 1989.
Intanto per Donat-Cattin era tornata anche la responsabilità di governo, con la designazione a ministro della Sanità. Rieletto al Senato per il collegio di Alba nel 1987, fu anche componente della commissione permanente Lavoro e previdenza sociale, come preludio al ritorno alla guida del ministero del Lavoro. L’esperienza alla Sanità, dal 1986 al 1989, si rivelò difficile per gli ostacoli alla riforma del sistema (i contenuti del suo decreto-legge, come la regionalizzazione del Sistema sanitario nazionale e la trasformazione delle Usl in aziende, furono approvati solo alla fine del 1992, con il governo Amato) e soprattutto per le polemiche con gli schieramenti laicisti, che restituirono all’opinione pubblica l’immagine di un politico cattolico inadeguato ad affrontare temi etici come l’aborto o la lotta all’aids. Fu così che il primo ministro Andreotti, incaricato di formare il suo sesto governo nel luglio 1989, decise di affidare il ministero della Sanità al liberale e laico Francesco De Lorenzo e di spostare Donat-Cattin al dicastero del Lavoro. La riforma pensionistica, la regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, la parità uomo-donna in ambito lavorativo furono, insieme alla gestione di numerose vertenze contrattuali, gli ambiti che lo impegnarono in quest’ultimo scorcio di attività politica, di cui fu particolarmente importante il periodo del semestre italiano di presidenza del Consiglio europeo (giugno-dicembre 1990), che vide Donat-Cattin molto attivo sui temi delle trasformazioni demografiche e sociali, dei rapporti di lavoro atipico e dei diritti fondamentali dei lavoratori.
Colpito una prima volta da infarto nel 1983, si dovette sottoporre ad applicazione di by-pass coronarico il 30 gennaio 1991. In seguito a complicazioni dovute all’intervento, morì a Montecarlo il 17 marzo 1991.
Gli aspetti attuali del movimento operaio, Roma 1952; Il ristagno 1958 esige una politica economica di ripresa, Roma 1958; Problemi di democrazia in Italia, s.l. 1967; Per un partito popolare di proposta, Roma 1979; Proposte per il governo del Paese, Torino 1980; La mia DC. Intervista a Donat-Cattin, a cura di P. Torresani, Firenze 1980; Politica economia società. La sfida tecnologica e lo stato sociale, Camerino 1986; Il coraggio della politica, Roma 1991; Carlo Donat-Cattin. Discorsi parlamentari (1958-1991), a cura di G. Aimetti, I-II, Roma 2005.
Le carte, la biblioteca personale, le riviste e le raccolte delle agenzie di stampa delle correnti politiche guidate da Donat-Cattin sono conservate presso la Fondazione a lui intitolata nel 1992 con sede a Torino (si veda il sito web www.fondazionedonatcattin.it e all’interno della Collana Inventari dell’Archivio la pubblicazione Guida all’archivio, a cura di V. Mosca - D. Siccardi, Torino 2003); per l’attività delle correnti Forze sociali e Rinnovamento il riferimento è l’archivio della Fondazione Giulio Pastore di Roma; altra documentazione è presente negli archivi democristiani dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma e, per la parte riguardante il ministero del Lavoro, nell’Archivio centrale dello Stato in Roma; vedi inoltre L’Italia di Donat-Cattin: gli anni caldi della Prima Repubblica nel carteggio inedito con Moro, Fanfani, Rumor, Forlani, Andreotti, Piccoli, Zaccagnini, Cossiga, De Mita (1960-1991), a cura di V. Mosca - A. Parola, Venezia 2011.
W.E. Crivellin, D., C., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. Aggiornamento 1980-1995, Genova 1997; Mondo cattolico, Chiesa e Resistenza nel Canavese, a cura di W.E. Crivellin, Torino 1998; N. Guiso, C. D.: l’anticonformista della sinistra italiana. Intervista a Sandro Fontana, Venezia 1999; G. Aimetti, Fuori del coro. C. D.: dal sindacato allo Statuto dei lavoratori (1948-1970), Roma 2000; M.G. Donat-Cattin, Vers de nouveax destins - Verso nuovi destini, Roma 2001; C. D. 1991-2001, a cura di B. Donat-Cattin, Torino 2002; F. Malgeri, L’Italia democristiana: uomini e idee del cattolicesimo democratico nell’Italia repubblicana (1943-1993), Roma 2005; C. D. e Torino. Giornalista, sindacalista, amministratore pubblico, Roma 2011.