GIUDICI, Carlo Maria
Nacque il 25 marzo 1723 a Viggiù, presso Varese, da Giovanni Battista e Orsola Buzzi (Caprara). Il padre era intagliatore, ossia scultore di ornati, della Fabbrica del duomo di Milano e praticava l'architettura (cappella di S. Pietro Martire a Como). Anche l'avo Giovanni Angelo era stato scultore.
A Milano, il G. fu allievo nell'arte della scultura di Carlo Beretta, detto il Berettone, pure egli operoso nella Fabbrica del duomo; e, nell'arte della pittura, di Ferdinando Porta e Giovanni Antonio Cucchi.
Nel 1747 il G. chiese di sostenere la prova di ammissione come scultore della Fabbrica, da secoli principale luogo della produzione di scultura a Milano; e ottenne l'abilitazione, avendo eseguito su tema proposto dall'architetto Bartolomeo Bolla il modello in creta di una Crocifissione. Al superamento dell'esame tuttavia non seguì l'assunzione, per la quale occorreva che si rendesse libero un posto nell'organico della Fabbrica.
Nel frattempo, il G. lavorò a varie statue e pitture a Milano, Crema, Novara, dove collaborò forse con il suo maestro Beretta per le statue della cappella sotterranea dello Scurolo di S. Gaudenzio, e a Omate presso Monza, eseguendo dodici statue per il giardino della villa del principe Trivulzio.
Decise quindi nel 1750 di recarsi a Roma, dove soggiornò due anni applicandosi a studiare, oltre che Raffaello e i Carracci, "statue e pitture de' Greci, opere che a Milano non vi sono", come sottolineava egli stesso nella domanda di ammissione alla Fabbrica del duomo nel 1751 (Archivio della Fabbrica del duomo, Archivio storico, 151): testimonianza precoce del nuovo clima culturale neoclassico, che vedeva il viaggio a Roma come tappa fondamentale per la formazione di un artista.
Rientrato a Milano nel marzo 1752, portando con sé una sua copia della Galatea di Raffaello, il G. ottenne subito l'assunzione come statuario, ovvero scultore di figura, della Fabbrica del duomo; stabilita così la sua condizione professionale, sposò il 1° giugno 1754 Gioseffa Lomeni nella parrocchiale di Magenta, luogo d'origine della moglie.
Prima opera del G. per il duomo fu, nel 1756, la statua di S. Matroniano per il finestrone tra il settimo e l'ottavo contrafforte sul fianco sinistro; seguì una statua di Puttino per una porta del tiburio, la decorazione del quale fu in quegli anni primaria fonte di incarichi per gli scultori della Fabbrica. Nel 1759 il G. scolpì una statua di S. Gerolamo per il quarto contrafforte sinistro; nel 1760 eseguì in stucco due statue colossali di Profeti, poste all'ingresso della cappella di S. Giovanni Buono, ma rimosse nell'Ottocento. Nello stesso anno scolpì quattro Teste di cherubini per la balaustra della stessa cappella, nonché due Angeli per l'altare della Madonna dell'Albero, che furono però più tardi tolti perché riprovati dal protostatuario Elia Vincenzo Buzzi. Tra il 1761 e il 1762 eseguì due degli otto Angeli da porsi in cima alle guglie del tiburio, con simboli (luna e stelle) di attributi mariani. Nel 1764 chiese, al pari di Buzzi, di scolpire la grande statua della Madonna, da collocare sulla guglia maggiore di cui si stava per iniziare la costruzione su disegno di Francesco Croce; ma l'incarico, per una statua di lastre di rame anziché di marmo, fu poi dato a Giuseppe Perego, che nel 1776 sarebbe succeduto a Buzzi come protostatuario. Il G. dovette contentarsi, negli anni successivi fino al 1772, di eseguire due delle otto statue allegoriche di virtù (la Povertà con due tortore e la Forza con spada nel petto), poste sugli archi rovesci al piede della guglia, e uno degli angeli per la cuspide terminale, con il simbolo ancora mariano dello zodiaco.
Dopo le opere connesse alla guglia maggiore, la produzione di scultura nella Fabbrica del duomo ebbe una stasi per difficoltà finanziarie e vennero meno le commissioni di qualche importanza. Il G. tentò allora altre strade di affermazione, in un momento di grande impulso per la cultura e l'arte a Milano.
L'istituzione di un'accademia di belle arti era da vari anni tema al centro della politica culturale del governo austriaco; e nel 1768 si era discusso il progetto di valersi, a tale scopo, della scuola di scultura del duomo. Il G., oltre a essere statuario della Fabbrica, teneva in quegli anni, non senza esserne contrastato dagli ambienti tradizionalisti, una privata accademia di insegnamento artistico nella sua casa, in cui proponeva lo studio dei modelli classici; ne furono allievi i pittori Domenico Riccardi, Giuseppe Sala e Giuseppe Legnani, lo scultore Gaetano Monti e soprattutto Andrea Appiani, che resterà legato anche in seguito al suo primo maestro, riconoscendogli il credito di averlo orientato ai principî della riforma artistica attuata a Roma da Anton Raphael Mengs. Si comprende quindi che il G. fosse consultato dal governo nella fase di studio per l'ordinamento dell'accademia come il più affine, tra gli artisti del luogo, ai modelli culturali cui si intendeva aggiornare l'attardato ambiente milanese. Ma prevalse infine l'idea di ricorrere a professori non locali e il G. fu messo da parte non senza sua amarezza, testimoniata dalle memorie al ministro plenipotenziario conte C.G. Firmian in cui egli rivendicò i propri titoli: l'aggregazione all'Accademia di Parma culla del nuovo gusto, la pubblicazione di una Riflessione in punto di belle arti (1775), il proposito di curare una riedizione del Trattato dell'arte della pittura di Giovanni Paolo Lomazzo.
Nell'Accademia braidense, aperta nel 1776, il G. non riuscì tuttavia a ottenere che il posto, estraneo all'insegnamento, di custode della raccolta dei gessi anche con mansioni di amministratore. Ebbe invece nello stesso 1776, grazie a una raccomandazione del principe Alberico Barbiano di Belgioioso, prefetto dell'Accademia milanese, il risarcimento onorifico di un'aggregazione all'Accademia imperiale di Vienna, cui egli inviò due quadri di soggetto storico e una statua di Apollo.
Dal principe di Belgioioso, tra i suoi maggiori estimatori, il G. aveva avuto in quel periodo le commissioni di scolpire i due altorilievi storici (1774) per la facciata del suo palazzo di Milano, opera di Giuseppe Piermarini, nonché i busti marmorei dei genitori, il Principe Antonio e Barbara d'Adda, per la villa di Belgioioso (ne restano solo i calchi in gesso).
Il G. aveva già preso parte ad altri episodi della incipiente stagione neoclassica a Milano come autore di tre statue per lo scalone di palazzo Bigli a Milano, costruito tra il 1770 e il 1772 da Piermarini, e ancor prima di due delle grandi statue per la balaustra della facciata sul giardino di palazzo Monti, compiuta nel 1756 su disegno di Benedetto Alfieri.
Come pittore, il suo lavoro più importante, da collocarsi forse nell'ottavo decennio del secolo, fu il medaglione ad affresco nella volta della chiesa di S. Francesco di Paola a Milano, raffigurante la Gloria del santo in modi ancora memori della lezione tiepolesca (se ne conserva il bozzetto nelle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco); più allineati al gusto corrente sembrano invece essere gli affreschi nel presbiterio della chiesa di S. Zenone a Osio Sopra, tra cui una Crocifissione firmata e datata 1776 (Pagnoni); mentre, ascrivibili alla tarda attività, sono le opere realizzate per la chiesa del S. Rosario di Viggiù: la Trinità nella volta del presbiterio e la tela con S. Ambrogio battezza s. Agostino alla presenza di s. Monica.
Come architetto, diede il disegno per il lineare altare a edicola della chiesa di S. Eusebio a Pasturo, di cui scolpì anche le statue (1777); sono a lui attribuiti anche l'altare nella chiesa di S. Giorgio ad Alzate Brianza e un'ancona, non più esistente, in una cappella nella basilica di S. Nazaro a Milano (Beretta, p. 64).
Dopo queste opere, la fortuna del G. declinò. Ai margini della cerchia di artisti dominante nella Milano dell'epoca, privo di commissioni pubbliche, dipinse quadri per chiese a Milano, Lodi, Vigevano (ibid., p. 63), in parte dispersi in seguito alla soppressione delle parrocchie dove erano collocati; è il caso di quattro tele da lui donate alla chiesa di S. Martino in Nosiggia (già di fronte a palazzo Belgioioso, presso la casa dell'artista stesso in contrada Omenoni 1721), delle quali nel 1788, dopo la soppressione della parrocchia, cercò invano di ottenere la restituzione.
L'esercizio della pittura assunse così per il G. una dimensione privata: varie e imprecisate pitture sacre e profane sono ricordate come esistenti nelle sue due case a Milano e a Viggiù e rimaste in legato alla sua famiglia.
Nell'ultima decade del secolo conobbe invece una ripresa la produzione di scultura per il duomo. Il G. ebbe dapprima, nel 1785, l'incarico per un rilievo nel frontone della prima finestra a destra nella facciata, sul soggetto di David unto re da Samuele. Nel 1790 si deliberò di intraprendere il compimento della facciata, secondo il disegno alla gotica di Carlo Buzzi, a partire dal contrafforte d'angolo destro. Questa decisione fu all'origine di un crescente numero di commissioni per gli scultori del duomo: tra essi, il G. che nel 1789 (alla morte di Perego) aveva ottenuto la nomina a protostatuario, come il più anziano e il maestro degli scultori della Fabbrica. Seguirono così un secondo altorilievo, con la Cacciata dal Paradiso terrestre (1791), due telamoni sull'esempio di quelli seicenteschi ai lati della porta maggiore (1793) e un altro rilievo con Giobbe sulletamaio (1795), tutte opere per il medesimo contrafforte. Poco dopo, il G. eseguì due rilievi per il contrafforte d'angolo dalla parte opposta, un Sacrificio di Gedeone (1797) e una Morte di Abele (1798); quest'ultimo è il solo caso in cui è attestata la scelta del soggetto da parte dell'artista medesimo. Ma l'anziano scultore aveva ormai qualche difficoltà nel fare fronte ai suoi incarichi. Un successivo rilievo con il Sacrificio di Abele, per lo stesso contrafforte d'angolo, non incontrò nel 1799 il favore del pubblico, tanto che si mise in dubbio fosse opera di sua mano; l'architetto della Fabbrica, Felice Soave, giudicandolo poco riuscito per composizione ed esecuzione, chiese che venisse rimosso, e il G. dovette difendersi dagli addebiti. L'opera rimase al suo posto, ma fu l'ultima del G. per il duomo.
Nel 1803 un documento della Fabbrica attesta che, a causa della sua età avanzata e del suo cattivo stato di salute, sul protostatuario non si poteva fare più conto. Nel 1801 il G. aveva chiesto, e ottenuto, anche la sua giubilazione dall'impiego all'Accademia. L'ultima opera di cui resta memoria è un autoritratto allo specchio, del 1802.
Il G. morì a Milano l'11 marzo 1804.
Si ha notizia, oltre che di una figlia alla quale si devono i primi cenni biografici su di lui (Beretta, pp. 62-64), di tre figli: Giovanni Angelo (nato nel 1760), ammesso nel 1784 nel Collegio degli ingegneri e architetti di Milano; Giovanni Battista, notaio; Gaetano, ecclesiastico.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. della Fabbrica del duomo, Archivio storico, 62, 151, 152, 163, 167, 433, 434, 450; Arch. di Stato di Milano, Autografi, 89; Culto p.a., 1089; Studi p.a., 194, 195; Milano, Arch. storico civico, Famiglie, 765, 766; Fondo Belgioioso, 126, 243; C. Bianconi, Nuova guida di Milano, Milano 1795, pp. 37, 43, 442, 457, 465, 473; G. Bossi, Guida di Milano, Milano 1818, pp. 231, 233; G. Beretta, Le opere di Andrea Appiani, Milano 1848, pp. 62-64; Annali della Fabbrica del duomo di Milano, VI, Milano 1885, ad indicem; U. Nebbia, La scultura nel duomo di Milano, Milano 1910, pp. 220-222, 286, 291, 293; G. Del Convito, Le origini dell'Accademia di belle arti di Brera in Milano, in Arch. stor. lombardo, LX (1933), p. 489; S. Vigezzi, La scultura in Milano, Milano 1934, pp. 55, 739; E. Tea, L'Accademia di belle arti a Brera, Firenze 1941, pp. 23, 26; C. Mezzanotte - G.C. Bascapé, Milano nell'arte e nella storia, Milano 1948, pp. 72, 74, 198, 201 s., 901; S. Samek Ludovici, La pittura neoclassica, in Storia di Milano, XIII, Milano 1959, p. 531; Id., La scultura neoclassica, ibid., p. 597; G. Mezzanotte, Architettura neoclassica in Lombardia, Napoli 1966, pp. 5, 14, 57; L. Pagnoni, Chiese parrocchiali bergamasche, Bergamo 1979, p. 262; E. Marchente - T. Colturani, La chiesa parrocchiale di S. Eusebio a Pasturo, in Archivi di Lecco, IX (1986), 1, pp. 100, 124; La pittura lombarda del Settecento, a cura di M. Bona Castellotti, Milano 1986, fig. 333, p. 622 (con bibl.); Castello di Belgioioso. "Descrizione della Villa di Belgioioso" con le incisioni di Marc'Antonio Dal Re, a cura di S. Lomartire, Milano 1987, p. 4; V. Caprara, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, pp. 738 s.; M. Di Giovanni, in Settecento lombardo, a cura di R. Bossaglia - V. Terraroli, Milano 1991, p. 349; Id., "Riflessioni di C.M. Giudici in punto di belle arti dirette ai suoi scolari", in Artisti lombardi e centri di produzione italiani nel Settecento, a cura di G.C. Sciolla - V. Terraroli, Bergamo 1995, pp. 139-143; Il duomo di Milano. Diz. storico artistico e religioso, Milano 1986, p. 282; Diz. della Chiesa ambrosiana, III, Milano 1989, pp. 1474-1476; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 204 s.