GIULINI, Carlo Maria
Nacque a Barletta il 9 maggio 1914, secondogenito di Ernesto e Antonia (Antonietta) Festner, e fu battezzato il 17 dello stesso mese con i nomi di Carlo Maria Giovanni. Il padre (1883-1949), originario della provincia di Mantova, lavorava nel commercio di legnami per la ditta Feltrinelli e nel 1910 si era stabilito in Puglia per assumere l'incarico di direttore della filiale di Barletta. La madre (1889-1971), di famiglia veneta con ascendenze austriache, nel 1911 aveva dato alla luce il primo figlio Stefano (Steno). Allo scoppio della guerra Ernesto fu richiamato alle armi e trasferì la famiglia a Ponti sul Mincio, dove possedeva delle terre. A quell’epoca risale il primo interesse del bambino per la musica: a quattro anni, affascinato per strada dal violino suonato da un musicista ambulante, ne chiese uno per sé e lo ottenne come regalo di Natale.
Dopo la guerra il padre andò a lavorare nella provincia di Verona, e la famiglia, alla quale nel 1917 si era aggiunto un terzo figlio, Alberto, si stabilì a Bolzano. Qui Giulini fece le prime esperienze musicali apprendendo i rudimenti dello strumento da una suora dell’asilo e frequentando un violinista boemo, proprietario di una farmacia, con il quale si divertiva a suonare in duo. Iniziò quindi a seguire regolari lezioni nella Musikschule bolzanina, dal 1927 istituto musicale Gioacchino Rossini, dove ebbe vari insegnanti, fra i quali Leo Petroni. Nel 1928 si fece ascoltare dal celebre violinista Remigio (Remy) Principe, passato da Bolzano per tenervi un concerto: fu incoraggiato e invitato a seguirne i corsi al Conservatorio di Santa Cecilia. La musica, che Giulini aveva fin lì coltivato solo come un piacevole passatempo, da quel momento occupò il primo posto nelle sue aspirazioni; e nel 1930 il ragazzo si trasferì da solo a Roma. Studiò viola, perché Principe aveva giudicato le sue grandi mani poco adatte al violino, e parallelamente seguì i corsi di composizione con Alessandro Bustini e direzione d’orchestra con Bernardino Molinari. Pur non ritenendosi particolarmente dotato come violista, grazie al notevole impegno raggiunse un certo grado di abilità con lo strumento e formò un quartetto d’archi con altri studenti. Si diplomò in viola nel 1936 e continuò a studiare con Bustini, anche se al maestro quei suoi primi saggi di composizione sembrarono meno promettenti di quelli di alcuni compagni di corso come Bruno Maderna, Armando Renzi e Guido Turchi.
La crisi degli anni Trenta non risparmiò il padre di Giulini; per non continuare a gravare economicamente sulla famiglia, nel 1934 il giovane musicista decise di concorrere per un posto nell’orchestra dell'Augusteo. Lo vinse e come viola di fila ebbe modo di suonare con celebri direttori e compositori, fra i quali Bruno Walter, Victor De Sabata, Antonio Guarnieri, Gino Marinuzzi, Wilhelm Furtwängler, Willem Mengelberg, Otto Klemperer, Richard Strauss, Igor’ Stravinskij. Questa straordinaria esperienza contribuì a far nascere in lui l’interesse per la direzione. Fece le prime esperienze in conservatorio con un’orchestra di allievi e, nonostante il parere inizialmente contrario di Principe, capì di aver trovato la sua strada. Frequentò i corsi estivi dell’Accademia Chigiana di Siena, ma non essendo stato ammesso alla scuola di direzione di Guarnieri seguì come uditore le lezioni di Alfredo Casella, e dopo aver conseguito nel 1939 il diploma in composizione diresse alcuni concerti con formazioni studentesche. Nel 1941, a conclusione del corso di perfezionamento in direzione d’orchestra, avrebbe avuto il diritto di dirigere un concerto ma fu arruolato e trasferito al fronte in Croazia come ufficiale dei granatieri. L’anno seguente, grazie a una licenza, poté tornare a Roma per sposare Marcella de Girolami (1921-1995), che aveva conosciuto nel 1938 e dalla quale avrebbe poi avuto tre figli, Stefano Maria, Alberto Maria e Francesco Maria.
L’8 settembre 1943 Giulini era sottotenente al comando del Gruppo Armate Sud ad Anagni: antifascista e pacifista convinto, decise di disertare. Per nove mesi restò nascosto in casa dello zio di sua moglie e fu incluso nella lista dei ricercati. Finita la guerra, i responsabili dell’orchestra dell’Augusteo, ribattezzata dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, lo invitarono a dirigere il concerto celebrativo della liberazione di Roma: quella serata del 16 luglio 1944 al teatro Adriano, con musiche di Arthur Bliss, Anatoli Ljadov, Giovanni Salviucci e Johannes Brahms, segnò l'inizio ufficiale della sua carriera. Il successo ottenuto gli valse lo stesso anno la nomina ad assistente di Fernando Previtali presso l’orchestra romana della RAI, della quale fu poi direttore principale fra il 1946 e il 1949. Con questa, nel febbraio 1945, diresse in forma di concerto Il trionfo dell’onore di Alessandro Scarlatti, poi ripreso cinque anni dopo a Milano, e il mese seguente debuttò alla Pergola di Firenze dirigendo Weber, Beethoven, Debussy e Berlioz. Per breve tempo tenne un corso di direzione al Conservatorio di Milano che fu frequentato anche da Claudio Abbado, Luciano Berio e Giorgio Gaslini (nati fra il 1925 e il 1933), e dal 1950 per quattro anni fu il primo direttore stabile dell’orchestra milanese della RAI, con la quale propose programmi sinfonici e opere in forma di concerto. Gli inizi della carriera lo videro impegnato in un vasto repertorio esteso a musiche di raro ascolto. S’interessò alla riscoperta del barocco italiano e alla diffusione di autori contemporanei come Ildebrando Pizzetti, Giorgio Federico Ghedini, Mario Peragallo, Mario Zafred, Goffredo Petrassi; e per le stagioni RAI diresse Agenzia Fix di Alberto Savinio, L’allegra brigata di Gian Francesco Malipiero e Don Procopio di Georges Bizet (1950), Il mondo della luna di Franz Joseph Haydn e Il signor Bruschino di Gioacchino Rossini (1951), La dannazione di Faust di Hector Berlioz, Gli Orazi e i Curiazi di Domenico Cimarosa, Il finto Arlecchino di Malipiero, Lord Inferno di Ghedini, La fiera di Soročincy di Modest P. Musorgskij (1952), I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini (1954).
Nell’ottobre 1951 a Bergamo diresse per la prima volta un’opera in forma scenica, un’edizione della Traviata che vide alternarsi come Violetta Renata Tebaldi e Maria Callas. In quel periodo poté conoscere Arturo Toscanini, che dopo averlo ascoltato alla radio lo invitò nella sua casa di Milano e stabilì con lui un rapporto di amicizia durato fino alla morte (1957). Per le celebrazioni del cinquantenario della morte di Giuseppe Verdi diresse Attila a Venezia e I due Foscari a Milano; poi, nel 1952 alla Fenice, la prima ripresa moderna della Diavolessa di Baldassarre Galuppi. Diventato assistente di Victor De Sabata alla Scala, vi debuttò nell’ottobre 1951 dirigendo un concerto con musiche di Francesco Antonio Bonporti, Brahms e Zafred, e quattro mesi dopo La vida breve di Manuel de Falla. Nel 1954 la sua ultima registrazione operistica con la RAI di Milano, un Barbiere di Siviglia filmato in studio da Franco Enriquez, fu il primo melodramma integralmente trasmesso dalla televisione italiana.
Dal 1953, dopo il ritiro di De Sabata, fu per tre anni direttore principale del teatro alla Scala che sotto la sua guida conobbe uno dei periodi più fortunati del dopoguerra. Nelle stagioni 1953-54 diresse L’italiana in Algeri e La Cenerentola di Rossini, L’incoronazione di Poppea e Il ballo delle ingrate di Claudio Monteverdi, Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea e La Wally di Alfredo Catalani con Tebaldi, Il castello del principe Barbablù di Béla Bartók abbinato alla ‘prima’ italiana in forma scenica delle Nozze di Igor F. Stravinskij nella coreografia di Tat’jana Gsovskij, Alceste di Christoph Willibald Gluck con Callas, L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti in un allestimento di Franco Zeffirelli. Seguirono nel 1955 Il franco cacciatore di Carl Maria von Weber, la storica Traviata con Callas protagonista e regia di Luchino Visconti, che fu ripresa l’anno seguente insieme a un contrastato Barbiere di Siviglia ancora con Callas. Altrettanto significative furono le sue presenze al Maggio fiorentino per le prime riproposte moderne della Didone di Francesco Cavalli (1952), del Don Sebastiano di Donizetti (1954) e degli Abenceragi di Luigi Cherubini (1957), come per Euryanthe (1954) e Il franco cacciatore (1957) di Weber. Frattanto, dopo un concerto a Strasburgo del 1951 con la RAI di Torino, la sua fama cominciò a diffondersi all’estero. Nel 1952 si presentò per la prima volta al festival di Aix-en-Provence (con Iphigénie en Tauride di Gluck) e al festival d’Olanda, dove sarebbe tornato regolarmente fino al 1965; nel 1953 diresse l’orchestra della radio di Colonia, nell’agosto 1955 il suo primo Falstaff a Edimburgo con i complessi della Glyndebourne Opera, e in novembre, su invito di Fritz Reiner, debuttò negli Stati Uniti con la Chicago Symphony Orchestra.
A Milano Giulini fu contattato dal produttore della EMI Walter Legge, che nel 1952 gli fece incidere il Requiem in Do minore di Cherubini con l’Accademia di Santa Cecilia e tre anni dopo le Stagioni di Antonio Vivaldi con la Philharmonia Orchestra, dando avvio a una collaborazione destinata a intensificarsi nel decennio successivo. Nel 1956 salì per la prima volta sul podio della Filarmonica di Israele e dei Wiener Symphoniker, nell’aprile 1957 debuttò a Parigi con l’Orchestre national de la RTF, in agosto a Lucerna e in ottobre al Concertgebouw di Amsterdam. Con Don Carlo di Verdi messo in scena da Visconti nel maggio 1958 debuttò al Covent Garden di Londra, dove sarebbe tornato negli anni successivi per Il barbiere di Siviglia (1960), un’edizione in forma di concerto delle Nozze di Figaro (1961), Falstaff con regia di Zeffirelli (1964) e i nuovi allestimenti di Visconti del Trovatore e della Traviata (1967). Fra il settembre e il dicembre 1960 tenne una lunga tournée con la Filarmonica di Israele che lo portò in Francia, Canada, Stati Uniti, Messico, India e Giappone. Sfumò invece nel 1964 un progettato Tannhäuser a Bayreuth, per l'indisponibilità del festival a garantirgli la compagnia che aveva scelta. In Italia, oltre a figurare in varie stagioni sinfoniche, diresse opere soprattutto a Roma: nel 1963 Falstaff messo in scena da Zeffirelli, nel 1964 Le nozze di Figaro con regia di Visconti, nel 1965 Don Carlo in un nuovo allestimento di Visconti e Il barbiere di Siviglia con regia di Eduardo De Filippo, nel novembre 1966 Rigoletto, ancora con De Filippo, che il mese seguente fu ripreso al Comunale di Firenze da poco riaperto dopo l’alluvione.
Fin dalle felici collaborazioni con Visconti e Zeffirelli durante gli anni dell’incarico alla Scala Giulini tese alla ricerca di una perfetta armonizzazione di tutte le componenti dello spettacolo in alcuni celebri allestimenti che possono essere indicati fra i primi esempi significativi di rilievo interpretativo registico nel teatro d’opera italiano. Alla fine degli anni Sessanta si convinse però che non sussistevano più le condizioni per realizzare spettacoli d’opera con la necessaria accuratezza di prove in perfetta sintonia di vedute con i responsabili della messinscena. In particolare nel giugno 1965 si trovò in netto disaccordo con il regista Virginio Puecher e lo scenografo Luciano Damiani per un allestimento del Don Giovanni al festival d’Olanda, tanto che due mesi dopo, per la ripresa a Edimburgo, pretese uno spettacolo di sole luci con nuovi costumi. Dal giugno 1968, dopo quattro rappresentazioni delle Nozze di Figaro al Metropolitan di New York con i complessi dell’Opera di Roma, decise che non avrebbe più diretto opere in forma scenica, e per quindici anni si dedicò essenzialmente al repertorio sinfonico. Tale scelta impresse una svolta alla sua carriera, che lo portò sempre più spesso lontano dall’Italia, favorendo l’intensificarsi dei rapporti con le grandi orchestre europee e americane.
Nel 1962 diresse la Boston Symphony, nel 1965 la Pittsburgh Symphony, nel 1968 debuttò con la New York Philharmonic in un concerto con Arturo Benedetti Michelangeli, nel 1969 con la Philadelphia Orchestra e nel 1971 con la Los Angeles Philharmonic. Tornò anche sul podio della Chicago Symphony, della quale fu principale direttore ospite fra il 1969 e il 1972, continuando poi a dirigerla fino al marzo 1978. Con questa orchestra affiancò Georg Solti in una tournée europea del 1971 e realizzò diciotto incisioni discografiche. A Chicago estese anche il proprio repertorio con la Quinta sinfonia di Vincent Persichetti, la Petite Symphonie concertante di Frank Martin, Two Portraits di Nicolas Nabokov, il Concerto per viola di Bartók, Pétrouchka di Stravinskij, la Sinfonia classica e la Sinfonia concertante di Sergej Prokof’ev, la Prima, l’Ottava e la Quattordicesima di Dmitrij D. Šostakovič, Concert Requiem di György Ránki, Threnody for Strings di Robert Lombardo, Requiem op. 39 di Wilfred Josephs; diresse le ‘prime’ assolute di Sun Song di Donald Denniston, Leaves from the Golden Notebook di Stephen Albert, l’Ottavo Concerto di Petrassi, Dedalo II di Guido Turchi. La collaborazione con i Berliner Philharmoniker, iniziata nel 1967 con un programma dedicato a Cherubini e Verdi, si protrasse fino al 1992 per un totale di oltre novanta concerti fra i quali, nell’agosto 1970, quello del suo debutto al festival di Salisburgo. A Parigi fra il maggio 1970 e il gennaio 1998 diresse oltre cinquanta concerti con l’Orchestre de Paris aggiungendo al proprio repertorio Anton Webern (Passacaglia op. 1, Sechs Stücke op. 6 e Fünf Stücke op. 10) e Olivier Messiaen (Les Offrandes oubliées). A Salisburgo, nell’agosto 1971, tenne il suo primo concerto con i Wiener Philharmoniker, nel 1972 debuttò con la London Symphony e nel 1975 con l’orchestra della Radio bavarese. Fra il 1973 e il 1976 fu però impegnato soprattutto come direttore principale dei Wiener Symphoniker, con i quali compì tournées in Europa, Giappone e Stati Uniti e propose le prime assolute della cantata An die Nachgeborenen di Gottfried von Einem, per il trentesimo anniversario dell’ONU (1975), e di Poème di Boris Blacher (1976).
In Italia diresse programmi sinfonici soprattutto a Firenze e a Roma, ma dal 1977, con la Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, tornò anche alla Scala dopo diciannove anni di assenza. In quel periodo l’unica eccezione operistica fu un memorabile Don Giovanni il 12 maggio 1970 in forma di concerto alla RAI di Roma con Nicolai Ghiaurov, Sesto Bruscantini, Gundula Janowitz, Sena Jurinac e Alfredo Kraus. Nel giugno 1977 diresse la Filarmonica ceca al festival di Praga e nel 1978, dopo una lunga trattativa, accettò la nomina a direttore principale della Los Angeles Philharmonic. Nello stesso anno stipulò un contratto con Deutsche Grammophon per la realizzazione di varie incisioni discografiche, fra le quali un’integrale dei Concerti di Beethoven con Benedetti Michelangeli, registrata dal vivo a Vienna nel 1979, che per volontà del pianista fu limitata alla diffusione del Primo, Terzo e Quinto Concerto. Con l’orchestra di Los Angeles compì due tournées, nel 1980 in Europa e nel 1982 in Giappone, e propose le prime assolute della Quarta sinfonia di Ezra Laderman (1981) e dell’Adagio (per un’anabasi) di Turchi (1984).
Nel 1982 Giulini si fece convincere a tornare a dirigere un’opera in forma scenica, un’edizione del Falstaff al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles prodotta in collaborazione con i teatri di Londra e Firenze: fu l’ultima volta che salì sul podio per una recita in teatro. Nel dicembre 1982 la moglie fu colpita da una grave malattia cerebrale che la rese invalida, e per restarle il più possibile vicino Giulini si dimise dall’incarico di Los Angeles, dove sarebbe tornato solo sporadicamente fino all’aprile 1984. Da quel momento limitò la sua carriera all’Europa. Fra il novembre 1989 e l’aprile 1995 realizzò le ultime incisioni per Sony, fra le quali la Messa in Si minore di Johann Sebastian Bach, il Credo di Vivaldi, i Pezzi sacri di Verdi, la Messa D 950 di Franz Schubert e parte di una progettata integrale delle Sinfonie di Beethoven con la Filarmonica della Scala. Nel marzo 1994 diresse per l’ultima volta la Philharmonia londinese e nel giugno dello stesso anno gli unici suoi concerti con la Filarmonica di Pietroburgo. Collaborò con orchestre giovanili come la European community youth Orchestra, la Chamber Orchestra of Europe e la Joven Orquesta nacional de España, e intensificò il rapporto con la Radio bavarese, il Concertgebouw e i Wiener Philharmoniker fino al 1996. Tornò anche sul podio delle orchestre italiane alle quali era particolarmente legato, quella dell’Accademia di Santa Cecilia fino al 1996, la Filarmonica della Scala fino all’aprile 1997, l’Orchestra del Maggio fiorentino fino al marzo 1998 e le orchestre della RAI: quella di Roma diretta per l’ultima volta in Vaticano il 5 dicembre 1991 con il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart alla presenza di Giovanni Paolo II e la Nazionale di Torino il 10 gennaio 1998 con il Requiem di Verdi.
Nell’ottobre 1998, durante una prova con l’Orchestra sinfonica Giuseppe Verdi a Milano, Giulini fu colpito da un malore passeggero e decise di concludere la carriera per dedicarsi all’insegnamento nei corsi tenuti alla Scuola di musica di Fiesole e in un seminario sulle Sinfonie di Brahms all’Accademia Chigiana di Siena. In seguito salì sul podio solo in due occasioni per provare in pubblico e dirigere la Pastorale di Beethoven, nel febbraio 1999 a Firenze con l’Orchestra giovanile italiana e in aprile a Milano con l’Orchestra Verdi. Nel 2004 tornò ad abitare a Bolzano, e il suo novantesimo compleanno fu festeggiato ufficialmente a Milano e a Parigi.
Nella primavera 2005 in seguito a una malattia tumorale fu ricoverato nella clinica Domus salutis di Brescia, dove morì il 14 giugno dello stesso anno. I funerali si tennero tre giorni dopo in forma privata a Bolzano; fu sepolto nel cimitero di Oltrisarco.
Giulini fu insignito di molti premi e onorificenze: sette Grammy Awards fra il 1965 e il 1989, la nomina a membro onorario della Royal Academy of music di Londra (1972), le medaglie d’oro della Bruckner-Gesellschaft (1978) e della Mahler-Gesellschaft (1980), il premio Una vita per la musica di Venezia (1982), la medaglia di grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (1985), il premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei (1988), la medaglia d’onore della città di Vienna (1990), la laurea honoris causa dell’Università Cattolica di Milano (1992), la medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte della Repubblica italiana (1999), la cittadinanza onoraria di Bolzano (2002).
In oltre mezzo secolo di carriera Carlo Maria Giulini fu soprattutto un direttore di musica sinfonica. Solo nei primi vent’anni si dedicò intensamente anche al teatro d’opera, restringendo poi a pochi autori la sua attività in questo repertorio. Le prime incisioni, dalla fine degli anni Quaranta, mostrano uno stile di asciutta classicità influenzato dal modello di Toscanini, ma talvolta anche la tendenza a discostarsene per una maggiore inclinazione al lirismo e alla flessibilità dei tempi. Se le si rapporta alle esecuzioni del tempo, si nota una spiccata modernità di concezione in alcune sue interpretazioni rossiniane, nelle registrazioni dal vivo del Signor Bruschino e del Barbiere di Siviglia ma soprattutto nella briosa eleganza dell’Italiana in Algeri incisa in studio nel 1954. Dalla metà degli anni Sessanta, di Rossini mantenne però in repertorio solo alcune Sinfonie da opere e lo Stabat mater.
All’esempio ammiratissimo di Bruno Walter rimandano le sue interpretazioni di Mozart, in particolare delle ultime Sinfonie e del Requiem. Indimenticabili furono le collaborazioni con celebri solisti, fra le quali quella del 1987 a Milano con Vladimir Horowitz nel Concerto per pianoforte K 488; ma come interprete mozartiano fu apprezzato soprattutto nelle Nozze di Figaro e nel Don Giovanni. Ne realizzò per EMI due celebri registrazioni a Londra fra il settembre e il novembre del 1959: scritturato per la prima, accettò di registrare anche la seconda in sostituzione del previsto Otto Klemperer, che si era ammalato. Walter Legge aveva riunito intorno a sua moglie, Elisabeth Schwarzkopf, due compagnie di canto sontuose; e la riuscita fu tale che le si considera tuttora come versioni di riferimento: quella del Don Giovanni è rimasta peraltro la più venduta nel mondo. Lontano dagli spessori massicci delle angolazioni romantiche come dal manierismo lezioso di una tradizione altrettanto radicata, Giulini vi seppe instaurare un perfetto equilibrio fra eleganza stilistica e vitalità teatrale, rigore formale e disinvoltura espressiva, attraverso un gusto della parola capace di restituire un’inconsueta ricchezza di chiaroscuri anche ai recitativi.
Le sue esecuzioni beethoveniane si orientarono nella linea dei direttori tedeschi della generazione precedente, con una personale inclinazione per una affettuosa cantabilità. La Sinfonia di Beethoven che diresse fin dagli anni Quaranta con maggior frequenza fu la Pastorale, destinata a segnare nel 1998 la sua ultima apparizione in pubblico; le altre si aggiunsero con prudente gradualità, e solo a fine carriera Giulini mise in repertorio la Quarta e la Prima. Profondamente credente, il musicista mostrò sempre una predilezione per la musica sacra, e il suo repertorio beethoveniano incluse la Messa in Do maggiore e più spesso la Missa solemnis, diretta fino all’aprile 1998. Anche Schubert occupò un posto di rilievo nei suoi concerti, soprattutto con le Sinfonie n. 4 e 5, l’Incompiuta e la Grande, i Deutsche Tänze orchestrati da Webern e la Messa D 950 in esecuzioni commosse e introspettive.
Fra i musicisti dell’Ottocento, a parte episodiche esecuzioni di Mendelssohn, Berlioz, Chopin, Liszt, Grieg e Saint-Saëns, mostrò una predilezione per Brahms, Schumann, Čajkovskij, Dvořák, Franck, Fauré, Musorgskij e Verdi. Solo di Brahms però diresse tutti i maggiori lavori sinfonici, limitando per gli altri la scelta a poche opere. La ferma volontà di dedicarsi solo ad autori che lo coinvolgessero profondamente lo portò a singolari esclusioni, basti pensare all’assenza dal suo repertorio delle Sinfonie di Felix Mendelssohn, al rifiuto di dirigere Giacomo Puccini e Arnold Schönberg, alle rare esecuzioni di Richard Wagner (pagine orchestrali da Tristan und Isolde e Tannhäuser e i Wesendonck-Lieder) e Richard Strauss (il Concerto per violino op. 8 e i Vier letzte Lieder). Nessun altro musicista figurò tanto assiduamente nei programmi di Giulini come Brahms, e in particolare la Quarta sinfonia fu la composizione che diresse più spesso. Le incisioni dei Concerti e due integrali delle Sinfonie, le Variazioni su un tema di Haydn e il Requiem tedesco mostrano la coerenza di una visione insieme austera e sofferta entro un’evoluzione che negli ultimi anni lo vide inclinare verso una maggiore ampiezza di respiro. Solo dagli anni Settanta si accostò ad Anton Bruckner e a Gustav Mahler in esecuzioni di grande rilievo ma con una scelta limitata di opere: del primo le Sinfonie n. 2, 7, 8 e 9 e il Te Deum, del secondo la Prima e la Nona Sinfonia, l’Adagio della Decima, i Lieder eines fahrenden Gesellen, i Kindertotenlieder e Das Lied von der Erde. Da sempre estraneo a ostentazioni di brillantezza, seppe imporre la propria severa cifra di interprete anche nelle collaborazioni con orchestre dalle spettacolari capacità virtuosistiche, come dimostrano le pagine di Berlioz e Mahler registrate a Chicago e quelle di Claude Debussy e Maurice Ravel a Los Angeles.
Al di là delle isolate esecuzioni di Attila e dei Due Foscari, il suo interesse per Verdi si concentrò sulla cosiddetta trilogia popolare, su Don Carlo e Falstaff ma soprattutto sul Requiem e i Pezzi sacri, diretti dagli anni Cinquanta fino al termine della carriera. Le registrazioni della Traviata, nel 1952 per la RAI, nel 1955 e nel 1956 alla Scala e nel 1967 a Londra, rivelano un netto distacco dalla visione di Toscanini nell’immergere l’opera in una dimensione elegiaca, tesa a privilegiare una rassegnata dolcezza rispetto al mordente drammatico. Diresse Il trovatore solo in undici recite a Londra fra il 1964 e il 1965 e poi a Roma per l’incisione in studio del 1983, la sua ultima opera in disco, puntando su un’atmosfera notturna e cavalleresca animata da un’avvincente tensione narrativa nonostante lo stacco misurato dei tempi. Analogamente, nelle rappresentazioni del 1966 e nell’incisione del 1979, propose un’immagine cupa e dolente di Rigoletto mediante tinte scure e affettuosi indugi cantabili. Di Don Carlo eseguì sempre la versione in cinque atti in un’angolazione intimista volta a spostare l’interesse dall’affresco storico alla tormentata umanità dei personaggi, mentre in Falstaff, in particolare nelle recite e nell’incisione del 1982, più del vorticoso incalzare del meccanismo teatrale esaltò i risvolti malinconici attraverso tempi d’inusitata lentezza e colori di soffice eleganza.
Negli anni della maturità il suo repertorio novecentesco fu molto selettivo ma contrassegnato da risultati notevoli, basti ricordare l’asciutto nitore dei balletti di Manuel de Falla e il suo Stravinskij coloristico e fiabesco, le esecuzioni trasparenti e luminose di Debussy e Ravel e quelle rigorose e intense di Paul Hindemith, o il suo raro Webern contraddistinto da un lirismo profondamente espressivo. Diresse varie prime esecuzioni di lavori commissionati dalle orchestre con le quali collaborò stabilmente, ma fra le opere contemporanee predilesse soprattutto la musica di Benjamin Britten, al quale fu legato anche da un solido rapporto di amicizia. Lo testimoniano fra il 1961 e il 1993 indimenticabili esecuzioni della Serenade, delle Illuminations, della Young person’s Guide to the orchestra, dei Sea Interludes da Peter Grimes, dell’Ouverture Building of the house e del War Requiem,nel 1968 a Edimburgo e nel 1969 a Londra.
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