PERSANO, Carlo Pellion conte di
PERSANO, Carlo Pellion conte di. – Nacque a Vercelli, allora provincia di Novara, l’11 marzo 1806, primogenito di Luigi e di Maria Cristina De Rege di Gifflenga.
L’unica sorella, Anna, sposò Giuseppe Radicati, conte di Primeglio; anche il figlio, Ernesto, fu ufficiale di Marina.
Allievo di prima categoria nella Regia Scuola di Marina di Genova il 12 marzo 1819, guardiamarina di seconda classe a fine 1821, attinse la prima classe del grado (equivalente a sottotenente di fanteria) nel febbraio 1824. Imbarcato sulla fregata a vela Cristina, si distinse nella campagna del settembre 1825 contro il bey di Tripoli, Yussuf Karamanli. In servizio sul brigantino Nereide inviato a difesa di velieri mercantili nel mar Egeo, la notte del 29 luglio 1826 ebbe il comando di una lancia armata durante uno scontro con i pirati. Tenente di vascello di seconda classe il 14 aprile 1831, nel gennaio 1837 fu comandato in Inghilterra e nell’agosto successivo raggiunse la prima classe. Il 1° ottobre 1841 fu promosso capitano in seconda di vascello (capitano di corvetta), in vista dell’assegnazione del comando dell’Eridano, un brigantino a vela a un ponte e due alberi appena varato.
Con questa piccola nave Persano intraprese la più lunga campagna oceanica effettuata da una unità della Marina sarda, durata tre anni e un giorno, nel corso della quale per la prima volta la bandiera del Regno sventolò nel Pacifico. Che un compito così lungo e impegnativo venisse affidato a un ufficiale di soli trentacinque anni al primo comando era indicativo della stima che lo circondava.
Lasciata Genova il 13 settembre 1842, l’Eridano affrontò la sua prima traversata atlantica salpando da Gibilterra il 10 ottobre; la compì in cinquanta giorni toccando S. Cruz de Tenerife e arrivando a Rio de Janeiro il 29 novembre 1842. Passato alla stazione navale del Plata, vi prestò servizio per tredici mesi, effettuando missioni soprattutto a Buenos Aires. Persano partì per il Pacifico il 6 gennaio 1844 e, dopo vani tentativi di attraversare lo stretto di Magellano, vi giunse per Capo Horn, entrando il 20 febbraio nella baia di Valparaìso; proseguì poi lungo la costa occidentale sudamericana arrivando al Callao il 9 aprile, dove sostò fino al 2 giugno. Ripreso il mare, l’Eridano si spinse nell’oceano tra il 150° e il 160° meridiano, prima nei possedimenti francesi delle isole Marchesi (Naku Hiva) e della Società (Papeete), poi alle Hawaii, trattenendosi a Honolulu dal 2 al 18 settembre. L’11 ottobre entrò nella baia di San Francisco, da dove ripartì per il Messico e per Monterrey, ancorando ad Acapulco la notte del 23 novembre 1844. Nel gennaio 1845 ripartì costeggiando il litorale, effettuò una sosta a Valparaìso, doppiò di nuovo Capo Horn e il 6 marzo attraccò a Montevideo superando venti contrari e maltempo. Il 31 maggio salpò per l’Europa in condizioni meteorologiche sfavorevoli, tanto che impiegò sessantatré giorni per arrivare a Madera e altri dieci per Cadice; toccò di nuovo Gibilterra per rifornirsi e finalmente rientrò a Genova il 14 settembre 1845.
Si avvicinavano intanto i tempi della prima guerra d’indipendenza. A Persano, promosso il 13 aprile 1848 capitano di fregata, fu assegnato il comando del Daino, un brigantino gemello dell’Eridano che, con la squadra del contrammiraglio Giuseppe Albini, giunse davanti a Trieste il 7 giugno. Rimandato il 13 a Venezia per scortare un convoglio di truppe destinate a rinforzare il presidio di Palmanova, volle far esercitare al tiro l’equipaggio contro il forte di Caorle, ordinando di sparare un centinaio di «colpi da maravigliare» (Museo navale di La Spezia, Giornale di bordo del Daino). Nel marzo 1849, neopromosso capitano di vascello di seconda classe e passato al comando della fregata a vela Euridice, represse con energia un ammutinamento causato dalle proteste contro le condizioni imposte alla flotta dopo la battaglia di Novara.
La carriera di Persano procedeva felicemente, favorita dalla protezione del presidente del Consiglio Massimo d’Azeglio e da una certa dimestichezza con la corte. Capitano di vascello di prima classe nel dicembre 1849, fu provvisoriamente a capo, dal 16 luglio al 10 settembre 1850, del corpo reali equipaggi. Il 16 gennaio 1851 ebbe il comando del Governolo – una recente fregata a ruote considerata la migliore unità della flotta – e fu incaricato di trasportare il materiale destinato al padiglione sardo dell’Esposizione internazionale di Londra. Attraccò nella capitale inglese il 24 seguente risalendo senza pilota il Tamigi fino a Sheerness; un’azione che ebbe ampia risonanza nella stampa inglese. Intanto però un incidente occorso alla partenza e un sospetto di arroganza nella corrispondenza con il comandante generale della Marina lo fecero sostituire alla guida del Governolo e mettere agli arresti semplici in attesa di giudizio. Il 23 aprile 1851 il Consiglio superiore di guerra dichiarò insussistente l’accusa di insubordinazione, ma solo l’8 marzo 1852 Persano riottenne il comando. Il 29 luglio 1853 la nave, con a bordo il re Vittorio Emanuele II e altri componenti della famiglia reale, investì una secca alla punta Est della Maddalena: sovrano e principi trasbordarono sulla pirocorvetta di scorta Tripoli, mentre Persano portava la fregata a Tolone per essere riparata. Richiamato a Genova per essere sottoposto a un Consiglio di guerra superiore marittimo, il 29 agosto fu riconosciuto colpevole di imprudenza e inosservanza dei regolamenti marittimi e condannato alla retrocessione di un grado per sei mesi. Persano ricorse in Cassazione e nell’udienza del 30 novembre 1853 la sentenza fu annullata senza rinvio.
Superate senza gravi danni queste vicende giudiziario-militari, la sua carriera riprese a svolgersi, non senza la benevolenza delle massime cariche dello Stato, tra incarichi e onorificenze, tra cui la nomina a ufficiale dell’Ordine della Legion d’onore. Nel maggio 1855 Vittorio Emanuele II lo chiamò a far parte della sua casa militare come aiutante di campo onorario, e in pari data fu destinato all’incarico provvisorio – che durò fino al 28 gennaio 1859 – di capitano del porto di Genova. Nel dicembre 1856 il re lo nominò ufficiale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per particolari benemerenze e nel maggio 1857 lo zar Alessandro I gli conferì la Croce di S. Anna in diamanti.
La seconda guerra d’indipendenza era alle porte, ma la flotta sarda, impegnata all’inizio nel trasporto di truppe francesi in Italia, mosse da Genova solo dopo la battaglia di Magenta. Persano, al comando della pirofregata a elica Carlo Alberto, partì per l’Adriatico con la divisione Tholosano di Valgrisanche – dipendente a sua volta dal viceammiraglio francese Joseph-Romain Desfossés – e giunse ad Antivari, dopo una sosta a Messina, il 28 giugno 1859. Ma il 24 c’era già stata Solferino e l’11 luglio venne firmato l’armistizio di Villafranca: la guerra era finita; Persano restò ancora in Adriatico, insieme alla squadra francese, fino al 28 luglio, poi rientrò a La Spezia.
Promosso contrammiraglio il 7 ottobre 1859, fu nominato presidente del Consiglio consultivo per la Marina e l’Ammiragliato mercantili, come pure della Cassa di risparmio e beneficenza per la marina mercantile. Nel marzo 1860 ebbe il comando della maggiore divisione della flotta, composta dalle fregate Maria Adelaide, nave ammiraglia, Vittorio Emanuele, Carlo Alberto e Governolo, dall’avviso Authion e dalla pirocorvetta Malfatano, che condusse il 3 maggio 1860 a Cagliari e poi a pendolare sulla costa occidentale della Sardegna, mentre Giuseppe Garibaldi attraversava il Tirreno molto più a oriente, prendendo terra a Talamone e puntando poi sulle Egadi.
Gestì con indubbia abilità le direttive che arrivavano da Cavour, riuscendo ad attuare con successo un’attività politico-militare di sostegno, ma anche di controllo, dei garibaldini durante la campagna di Sicilia. Mancò tuttavia i grandi obiettivi cui puntava il governo sardo: il pronunciamento della Marina borbonica e l’insurrezione liberal-nazionale a Napoli prima dell’arrivo di Garibaldi. Durante l’estate 1860 Persano alternò la prudenza con misurata audacia e qualche volta rischiò anche, non senza ricorrere a quell’ambiguità che derivava in parte dalla politica di Torino, ma in parte dall’indole sua.
Finché Garibaldi non fu saldamente insediato a Palermo, Persano rimase in Sardegna, inviando come stazionari in Sicilia il Governolo e l’Authion a mostrare la bandiera tra quelle degli altri Paesi. Solo il 6 giugno 1860 comparve a Palermo con la squadra e si impegnò nel favorire l’azione garibaldina, pur evitando di compromettere troppo il Regno sabaudo. Un suo fidato ufficiale, il tenente di vascello Giuseppe Alessandro Piola Caselli, venne prestato a Garibaldi per assumere l’incarico di ministro della nuova Marina dittatoriale, organizzarla e guidarla. A tal fine vennero fornite armi, vestiario, viveri, denaro; uomini e unità sarde prestarono, anche oltre il limite della nominale neutralità, protezione, collaborazione e informazioni. Un ulteriore contributo alla rivoluzione – di cui ripetutamente Persano si dolse con il ‘generale’ – venne poi dalle diserzioni di uomini della divisione che nell’atmosfera infiammata della Sicilia passavano ai garibaldini. Furono anche avviati contatti con ufficiali della Marina borbonica facendo leva sui loro sentimenti nazionali e unitari per indurli a cambiare schieramento, ma solo il capitano di fregata Amilcare Anguissola portò la sua nave – pirocorvetta a ruote Veloce – a disertare a Palermo, nell’intendimento di mettersi sotto il comando di Persano; questi però, temendo di compromettere il proprio governo, lo indusse a passare con Garibaldi, che ridenominò Tukory il Veloce.
Dopo la battaglia di Milazzo del 20 luglio 1860, la divisione sarda giunse la mattina del 25, due giorni dopo quella napoletana dell’ammiraglio Vincenzo Salazar, e si ancorò tra le unità borboniche e il Tukory come se fosse pronta a combattere in difesa della corvetta garibaldina, che invece, malgrado i toni epici del diario di Persano, conviveva pacificamente da giorni con le navi del nemico. Il 26 la divisione sarda tornò a Palermo, da dove si trasferì a Napoli il 3 agosto nella speranza, fallita, di suscitarvi il moto sopraccennato. Sullo Stretto Persano inviò due fregate al comando del capitano di vascello Giovanni Battista Albini, figlio del contrammiraglio Giuseppe, al quale l’8 agosto trasmise da Napoli le istruzioni: doveva proteggere la spedizione del generale Garibaldi, ma senza farsi mai aggressore. Durante la crisi dello Stretto solo la corvetta Monzambano diede un aiuto ai garibaldini, scortando fra il 12 e il 15 agosto i trasporti Torino e Franklin da Palermo a Giardini per ponente. Ma nel passaggio in continente Garibaldi non fu né incoraggiato, né sostenuto dalla flotta sarda, e fu così fino a Napoli. E qui, malgrado l’afflusso di uomini e di armi dal Piemonte e la presenza della squadra di Persano, non vi fu alcuna sollevazione, né lo sperato pronunciamento della flotta borbonica, la quale se mai optò per la defezione alla partenza di Francesco II per Gaeta il 6 settembre, vigilia dell’ingresso di Garibaldi nella capitale borbonica. Né a Persano riuscì di avere con sé alcuna nave napoletana in Adriatico, quando vi condusse la squadra per fiancheggiare l’invasione delle Marche da parte dell’esercito regio. Posto l’assedio ad Ancona, che aveva difese più deboli dal lato di mare, Persano, promosso viceammiraglio il 12 settembre, spinse con successo le navi ad attaccare: il 28 la fregata Vittorio Emanuele, al comando di Giovanni Battista Albini, si portò a breve distanza dalla batteria protetta del Molo e scaricò una fiancata dei suoi cannoni che produsse l’esplosione della polveriera e la resa della fortezza.
A Napoli, il 10 ottobre 1860, Persano assunse il comando delle forze navali riunite – sarde, napoletane e siciliane – ed ebbe subito difficoltà notevoli per unificarle: tutti avevano pretese, i Piemontesi perché avevano sostenuto la campagna e in qualche caso avevano rischiato, i Napoletani perché non erano stati mai vinti e chiedevano il mantenimento delle promesse ricevute. Persano pose ufficiali sardi al comando delle unità napoletane e viceversa, ma la fusione tra le due Marine, nominalmente decisa nel novembre 1860, avrebbe lasciato sopravvivere a lungo strutture e ordinamenti precedenti.
Era atteso l’intervento della flotta a sostegno dell’esercito che assediava Gaeta da terra, ma ciò fu possibile solo quando partì la squadra francese di Marie Charles Adelbert Le Barbier de Tinan. Così la notifica del blocco marittimo tardò fino al 20 gennaio 1861. La mattina del 22 si venne a un violento scambio di artiglieria tra la fortezza e gli assedianti di terra e Persano ordinò un attacco deciso dal mare. Era a bordo della Maria Adelaide, quando il nuovo comandante, Guglielmo Acton, condusse l’unità nel raggio di tiro delle batterie avversarie per scaricare i pezzi di bordo il più vicino possibile al bersaglio. Il 5 febbraio di nuovo la squadra eseguì un bombardamento, e si preparava un’azione di brulotti quando Gaeta capitolò, il 13 febbraio 1861. Per la partecipazione all’assedio di Gaeta, Persano fu decorato della medaglia d’argento al valor militare. Resisteva ancora la cittadella di Messina e, su ordine di Cavour, Persano vi condusse alcune unità della flotta; il 12 marzo 1861, malgrado il mare grosso, Acton portò la Maria Adelaide a tiro e il fuoco navale ebbe una tale precisione e intensità che ne seguì la resa borbonica, firmata a bordo della fregata.
Il ciclo di eventi del 1859-61 aveva fatto di Persano l’uomo più in vista della Marina; piovvero su di lui onorificenze italiane e straniere, fra cui quelle del gran cordone dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, di grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia, di commendatore della Legion d’onore. Eletto deputato per il collegio di Spezia nella VII e VIII legislatura, si fece notare alla Camera dal 1860 al 1861 per competenza e facilità di parola, che resero naturale le sua nomina a ministro della Marina nel primo governo presieduto da Urbano Rattazzi (3 marzo-8 dicembre 1862).
Nella sua opera di governo prevalsero le luci sulle ombre, che pure non mancarono. Propostosi di realizzare rapidamente un decisivo potenziamento della flotta, ne impostò lo sviluppo sulla base di un piano organico destinato a ispirare ogni decisione di politica navale in un quadro coerente e costante. Puntò sulle navi corazzate a elica, che acquisì alla Regia Marina utilizzando prevalentemente le industrie navali francesi, inglesi e statunitensi che davano più affidamento di quella nazionale in tema di esperienza, tecnologia e tempi; peraltro, nei limiti del possibile, vi aggiunse anche commesse a cantieri italiani: non sempre osservò tutte le forme e i percorsi burocratici, ma tutto ciò che sottoscrisse era stato sempre approvato preventivamente dal Consiglio dei ministri. Adottata la tattica napoletana per le navi a vela e la francese per quelle a vapore, potenziò Ancona, prevedibile base della flotta in una nuova guerra contro l’Austria. Diede spazio, contrariamente ai suoi predecessori, a napoletani e veneti, e ciò irritò i sardi che avevano spadroneggiato fino ad allora. Riguardo alla formazione degli ufficiali, anticipò il superamento delle scuole di marina di Genova e di Napoli proponendo di fondare un’accademia unica a Livorno. Convinto che la preparazione degli uomini avesse primaria importanza, cercò di migliorare l’addestramento del personale alla navigazione e al tiro, secondato da Giovanni Battista Albini, al quale aveva affidato la squadra. Tuttavia, più volte si condusse maldestramente in Parlamento, dove fu coinvolto in contrasti personali e incidenti causati frequentemente dal suo atteggiamento altezzoso. Ma l’episodio peggiore fu la sua promozione ad ammiraglio, che Rattazzi gli conferì il 1° dicembre 1862, alla vigilia delle dimissioni: era un compenso per l’opera del suo collaboratore, o questi l’aveva addirittura sollecitata? Di certo, Persano l’accettò di buon grado, mostrando una mancanza di sensibilità che gli fu sempre rinfacciata. L’8 ottobre 1865 fu nominato senatore del Regno. I ministri suoi successori proseguirono la sua politica navale.
Nella guerra contro l’Austria, dichiarata il 20 giugno 1866, Persano fu nominato comandante in capo della flotta che, divisa in tre squadre, fu riunita a Taranto e arrivò il 25 ad Ancona, mentre la sconfitta terrestre di Custoza del 24 giugno spostava sul mare le speranze e le pretese di successo italiano. Da qui le pressioni del governo su Persano e la decisione impostagli, dopo le prime delusioni, di attaccare l’isola di Lissa per ottenere un pegno territoriale o costringere alla battaglia la squadra nemica.
Nominato al comando in capo dal ministro generale Diego Angioletti, che partì poi per il campo e fu sostituito dal deputato Agostino Depretis, Persano avvertì subito che la flotta non era pronta per la guerra e che ci sarebbero voluti mesi perché lo fosse. Intanto gli eventi militari incalzavano, e quando l’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff si presentò dinanzi ad Ancona senza che ne seguisse un combattimento, Depretis ordinò che l’Italia provasse che il mare era suo. Ne seguì, dal 7 al 13 luglio, la cosiddetta crociera del giusto mezzo, nel corso della quale la flotta incrociò in Adriatico lontano dalle coste nemiche e tornò ad Ancona senza avere combattuto. Ma a Sadowa, il 3 luglio, l’esercito prussiano aveva riportato la vittoria decisiva sugli austriaci e Vienna, chiedendo l’armistizio con l’aiuto di Napoleone III, proponeva di cedere il Veneto attraverso la Francia. Il 14 luglio il governo si riunì a Ferrara e Depretis si precipitò ad Ancona per esigere da Persano, a rischio di sostituzione, un gesto immediato che si concretò nell’improvvisata e fallita azione per la conquista di Lissa. La mattina del 20, quando arrivò Tegetthoff con tutta la sua flotta raccolta nella formazione a cuneo, Persano gli andò incontro soltanto con le fregate corazzate, disponendole prima in linea di fronte, poi di fila; passò poi dal Re d’Italia all’Affondatore, contribuendo ad allargare fra la divisione di testa e quella di centro lo spazio in cui passò la flotta nemica: questa, tornata indietro, impegnò le unità di Persano in uno scontro ravvicinato e confuso durante il quale le venticinque unità di Tegetthoff spararono 4454 colpi contro i 1452 della decina di navi di Persano. Nella mischia il Re d’Italia, fermo per decisione del comandante in seguito a un colpo che aveva reso ingovernabile il timone, fu speronato e affondò, mentre il Palestro saltò in aria quando il fuoco, appiccato da un colpo fortuito al carbone di riserva ammucchiato sulla tolda, raggiunse la santabarbara. Per un certo tempo le due flotte si fronteggiarono a distanza con movimenti simmetrici e inconcludenti, poi gli austriaci entrarono nel porto di Lissa, e vanamente Persano tentò di opporre alla sconfitta una pretesa, successiva padronanza del mare. Era piuttosto da rilevare che uomini di una Marina nazionale ancora in divenire, si erano battuti insieme davanti al nemico, indipendentemente dalla loro provenienza regionale.
Da questi eventi l’opinione pubblica italiana uscì scossa, subendo un impatto negativo quasi certamente sproporzionato rispetto alla portata reale dell’episodio, come pure eccessiva fu l’eco che gravò per cinquant’anni sulla coscienza della Marina. Nei confronti di Persano la storiografia attuale è meno severa di quella del tempo perché tende a porre maggiormente in luce l’impreparazione della flotta.
Processato dal Senato costituitosi in Alta Corte di giustizia, durante il dibattimento Persano si comportò con dignità. Condannato nell’aprile 1867 alle dimissioni e alla perdita del grado, per effetto della sentenza fu privato del diritto alla croce dell’Ordine militare di Savoia e alla connessa pensione, mentre la pensione della Marina gli fu tolta su iniziativa del governo con decreto della Corte dei conti. Ciò lo ridusse in ristrettezze economiche, che poté faticosamente sostenere solo grazie alle rendite della moglie inglese, Fanny Bacon, e all’aiuto del figlio Ernesto. Tentò invano di far annullare la decisione della Corte dei conti rivolgendosi anche al re, che gli fece un’offerta di denaro, respinta almeno in un primo tempo.
Morì a Torino il 28 luglio 1883 e non venne commemorato nell’aula del Senato.
Opere. Scritti e discorsi: Navi corazzate. Piano organico del r. naviglio italiano, Genova 1863; Osservazioni sugli studi sul piano organico della Regia Marina italiana, Genova 1863; Appunti sulle manovre eseguite nel comando del r. brigantino l’Eridano correndo gli anni 1842-43-44-45, Genova 1865; I fatti di Lissa, Torino 1866; Diario politico-militare dell’ammiraglio C. di P. nella campagna navale degli anni 1860-1861, I-IV, Firenze-Torino 1869-70; L’ammiraglio C. di P. nella campagna navale dell’anno 1866. Schiarimenti e documenti, Torino 1872; La presa di Ancona. Diario privato politico-militare (1860), a cura di E. Ferrante, Pordenone 1990.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Ufficio storico della Marina militare, Biografie Ufficiali, b. 2, f. 5; Rendiconti delle udienze pubbliche dell’Alta Corte di giustizia nel dibattimento della causa contro l’ammiraglio senatore conte C. P. di P., Firenze 1867; Lettere di Massimo d’Azeglio a C. di P. nel decorso di diciannove anni, Torino 1878; Il carteggio di un vinto. Lettere inedite dell’ammiraglio conte C. di P. sulla campagna navale di Lissa (1866) e sul processo in Alta Corte di giustizia (1867), a cura di A. Lumbroso, Roma 1917; La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d’Italia. Carteggi di Camillo Cavour, I-V, Bologna 1949-54, ad indices. Inoltre: Osterreichische Kampfe im jahre 1866, V, Wien 1869, ad ind.; C. Randaccio, Storia delle Marine militari italiane dal 1750 al 1860 e della Marina militare italiana dal 1860 al 1870, I-II, Roma 1886, ad ind.; F. Ritter von Attlmayr, Der Krieg Österreichs in der Adria im Jahre 1866, Wien 1896, ad ind.; A. Lumbroso, Il processo dell’ammiraglio P., Roma 1905; D. Guerrini, Lissa (1866), I-II, Torino 1907-08; F. Wallisch, Die Flagge Rot-Weisse-Rot, Graz-Wien-Koeln 1956, ad ind.; M. Gabriele, La politica navale italiana dall’Unità alla vigilia di Lissa, Milano 1958, pp. 159-192; Id., Da Marsala allo Stretto. Aspetti navali della campagna di Sicilia, Milano 1961, ad ind.; A. Filipuzzi, La campagna del 1866 nei documenti ufficiali austriaci. Le operazioni navali, Padova 1966; A. Jachino, La campagna navale di Lissa, Milano 1966; L. Radogna, Cronistoria delle unità da guerra delle Marine preunitarie, Roma 1981, pp. 399, 417 s., 427, 432 s., 460-463; E. Ferrante, La sconfitta navale di Lissa, Roma 1985; A. Santoni, Da Lissa alle Falkland, Milano 1987, ad ind.; T. Moro, La campagna navale della Marina sarda in Adriatico negli anni 1848-49, in Adriatico 1848. Ricerca e significato della contrapposizione marittima, a cura di P. Alberini, Roma 1999, pp. 59-127; A.M. Banti - M. Mondini, Da Novara a Custoza. Culture militari e discorso nazionale tra Risorgimento e Unità, in Storia d’Italia, Annali, 18, Guerra e pace, a cura di W. Barberis, Torino 2002, pp. 417-463; M. Mondini, La guerra perduta: il 1866 e l’antimito della disfatta, in Fare l’Italia: unità e disunità nel Risorgimento, a cura di M. Isnenghi - E. Cecchinato, Torino 2008, pp. 617-623; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia. camera.it/deputato/carlo-persano-pellion-di-18060311# nav (10 febbraio 2015); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9. senato.it/Web/senregno.NSF/P_l2?OpenPage (10 febbraio 2015).