caro (agg.)
Ricorre con notevole frequenza in D., con uso non difforme dal moderno. E spesso riferito, con valore affettivo, a persona " amata ": caro duca (If VIII 97) e padre caro (Pg XXIII 13) è Virgilio; dolce guida e cara (Pd XXIII 34) Beatrice, cara... primizia (XVI 22) e cara piota (XVII 13) Cacciaguida; con l'appellativo segnor caro (Pg XI 22) i superbi si rivolgono a Dio nel ‛ Padre nostro '; e caro frate (Pd XXIV 62) è s. Paolo (cfr. s. Pietro II Epist. 3, 15 " carissimus frater ", sempre riferito a Paolo); così in Pg XXIII 91 cara compare in dittologia con diletta, e in XXX 129 con gradita; Pd XI 113, XIV 65, XXI 26. In Pg XIV 127 l'aggettivo è riferito alle anime degl'invidiosi, " sollecite e affettuose "; per il Cesari invece c. vale " pieno di carità ", e per il Sapegno " nobilitate e rese più preziose attraverso il dolore e l'espiazione ".
È detto anche di ciò che si riferisce a persona amata: cara e buona (If XV 83) è l'immagine paterna di Brunetto; caro cenno d'amore (Pg XXII 27) è la manifestazione di stima di Virgilio per Stazio; così in If XXIII 148 D. dice di essere mosso dietro a le poste de le care piante, sulle orme del caro duca (VIII 97).
Significato affine ha l'aggettivo in Pg I 71, riferito alla libertà, sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta, in Pd XVII 110, detto della patria, loco... più caro, e in Cv I I 19, riferito alla compita e cara liberalitate.
È detto di cosa che si considera " gradita ", perché ad essa si annette importanza e pregio, in If XXXII 91 Vivo son io, e caro esser ti punte; Pg V 36 fàccianli onore, ed esser può lor caro; X 99, XIII 91, in dittologia con grazioso, XXVIII 137, Pd VIII 89, IX 17. Con significato affine, e con la connotazione di " pregiato ", " prezioso ", in Rime LXIII 10 e di: " Meuccio, que' che t'ama assai / de le sue gioie più care ti manda... "; Cv I VIII 11 (2 volte), Pg IX 124, XXIV 91, XXVI 114. Con tale valore l'aggettivo qualifica anche le anime del Paradiso, spesso indicate metaforicamente con il nome ‛ gioia ', lapillo': Pd IX 37 luculenta e cara gioia; IX 68, X 71, XX 16, XXIV 89.
Il valore dell'aggettivo, in Rime LXVI 14 Gentil mia donna... / vi piaccia agli occhi miei non esser cara, risale all'ambito semantico di ‛ raro ' e assume la connotazione di " avaro ": ‛ rimas caras ' sono infatti in provenzale le rime rare e difficili (cfr. Contini, ad l.; per tale uso di c. si veda Angiolieri LXXXVII 3 " li uomin di salutarlo li son cari ", e cv 14 " di se medesmo servir è l'uom caro ").
Con valore più moderato, è detto di donne gentili e cortesi, in espressione vocativa, in Vn XLI 7 e 13 14 donne mie care, e in Rime CVI 39 0 cara ancella e pura.
Nelle locuzioni ‛ tener c. ', ‛ aver c. ', per " amare ", detto di persona, ricorre in Rime L 26 Que' da cui convien che 'l ben s'appari, / per l'imagine sua ne tien più cari; LXXXIII 125, Pg XXVI 111, XXIX 138 e, nella forma riflessiva, in Rime XCI 27 poi tanto l'amo / che sol per lei servir mi tegno caro; così anche in Fiore CLIII 4, CLXXIV 7, e in Detto 431.
Detto di cosa, vale " tenere in molto pregio ", in If XXVII 105 le chiavi / che 'l mio antecessor non ebbe care; così anche in Fiore CLIX 4, CLXXIV 13, e in Detto 284.
Nelle locuzioni ‛ costar c. ', ‛ comperar c. ', ‛ vender c. ', l'aggettivo sottintende e sostituisce l'espressione a c. prezzo': Rime L 38 cosa non è che costi tanto cara, e CVI 121; CV I VIII 16 nulla cosa più cara si compera, e 17 sì caro costa quello che si priega; Pg XII 50 Almeon a sua madre fé caro / parer [pagato a c. prezzo, con la morte] lo sventurato addornamento; XXXII 66; Pd XII 37, XX 46, Fiore CXXII 14.
Per il Barbi, che cita vari esempi (ad l.), in particolare tratti da Guittone, il termine c. avrebbe valore di sostantivo in Vn XXXIII 4 si lamenta questo mio caro e distretto a lei.