Abstract
La voce esprime una classificazione di passaggio che segue quella di «carte di credito e altre carte bancarie» e si volge verso quella più ampia di «mezzi» o «contratti di pagamento». Né il profilo della carta, né quello di contrapposizione credito-debito, di cui all’attuale conformazione della voce, rivestono infatti valore realmente qualificante. Le carte di credito, le prepagate e la carta bancomat sono dunque destinate a rifluire nella detta e più ampia categoria, in cui peraltro il termine pagamento ha il significato esclusivo di spostamento, fisico o virtuale, di somme di denaro. Restano, tuttavia, importanti differenze rispetto al contante di cui all’art. 1277 c.c. Il fenomeno operativo delle carte funge peraltro da spunto per enucleare, all’interno della nozione di strumenti di pagamento, le sottocategorie di strumenti alternativi al contante e funzionali al contante. La voce si chiude con l’indicazione dei principali scenari di regolamentazione delle carte di credito, del bancomat e delle prepagate e con notizie sulle più importanti tematiche che il diritto applicato sta svolgendo circa queste figure.
Per sua propria natura, la presente voce fa riferimento a una serie di figure, operative e giuridiche, che vengono radunate attorno a un dato identificante o perlomeno unitario. In quanto voce d’insieme, essa non può non possedere un taglio categoriale. Nel concreto, tuttavia, la categoria che vuole esprimere (le ‘carte di credito-debito’, appunto) si pone come punto intermedio – di passaggio, meglio – di una linea evolutiva che si è avviata negli anni ’70 dello scorso secolo e che sembrerebbe ormai abbastanza prossima a recuperare un proprio assetto stabile per il medio periodo.
Antecedente storico, e sponda di riscontro della presente, può essere considerata la voce comparsa nell’edizione 1988 dell’Enciclopedia giuridica e denominata «Carte di credito e altre carte bancarie». Voce intesa a ricomprendere, nel suo seno, una serie ampia di operazioni, vive nella pratica: in fila, carte di credito bilaterali e trilaterali, «tesserino per l’utilizzazione dei servizi Bancomat e Bancomat POS», «tesserino di riconoscimento per l’apertura delle cassette di sicurezza», «tessere di identificazione bancaria», «credenziali bancarie», «carta assegni». E voce che, d’impostazione, si inerpicava lungo due direttrici: quella dei «succedanei della moneta» in relazione all’«adempimento di obbligazione pecuniaria» e quella, per l’appunto categoriale, delle carte bancarie (specificamente assunte quali «documenti emessi da istituti bancari che consentono al titolare di compiere determinate operazioni bancarie ovvero individuano il portatore come cliente di una banca»).
Rispetto a tale lemma – che oggi potrebbe essere considerato come enunciativo di una voce ‘in cerca d’identità’ – quello presente perde il segno del «bancario», che peraltro, se esce dal ‘tipologico’, rimane di peso in ogni caso preponderante nell’espressione dei fenomeni operativi che vengono considerati (si deve tuttavia precisare che l’aggettivo «bancario» trova ora più ampi contorni soggettivi, nel senso che viene riferito a tutti gli intermediari presi in considerazione dal testo unico bancario). Resta fermo, invece, il profilo della «carta», che per l’effetto parrebbe diventare tratto vieppiù dominante (ma, in realtà, non è proprio così: si veda § 2); mentre quello dei «succedanei della moneta», pur di certo non venuto meno o di spessore minore, giace tuttora sommerso. In via di addizione, viene introdotta l’enfasi prodotta dalla contrapposizione ‘credito-debito’.
Su quest’ultima serie di profili si tornerà tra poco: in effetti, lo specifico approfondimento dei medesimi occupa, com’è naturale, gran parte del corpo della presente voce (§§ 2-6). Adesso interessa notare che, peraltro, mutato è pure l’arco delle figure racchiuse nel lemma. Talune delle figure allora evocate sono uscite dall’operatività, com’è il caso della carta assegni, che negli anni novanta è stata gradualmente sostituita dalla ‘carta eurocheque’, a sua volta scomparsa nel 2002 con l’entrata a regime dell’euro. In altri casi il collante categoriale, già tenue allora, si è ulteriormente sfibrato: così le credenziali bancarie sembrano essere rifluite nel contesto delle ‘lettere di referenze’, dichiarazioni in cui la banca viene ad assumere che, sino a quel momento, i rapporti con un determinato cliente sono sempre stati regolari, senza problemi (figura, quest’ultima, la cui acquisita rilevanza si lega in via segnata all’art. 41 c. appalti).
Altre figure, invece, sono entrate nell’operatività o lo stanno facendo proprio in questi tempi. Con certezza, fanno parte della voce attuale le carte di credito trilaterali – nella declinazione revolving e in quella non (nelle prime, il cliente ‘rimborsa’ a rate; nelle altre, in unica soluzione) – e le carte bancomat, versione Atm (automated teller machine; di recente, la funzione di ‘cassa’ si è estesa dall’ambito dei prelievi a quello dei versamenti) e pure versione Pos (point of sale).
Potrebbero, poi, forse rientrare tuttora nel lemma le carte di credito bilaterali, che sono emesse dalla stessa impresa fornitrice presso i cui punti vendita le medesime sono unicamente spendibili, sempre (perlomeno) che davvero ne esistano ancora (in versione diversa dalle prepagate). Pure si può pensare di portare nel quadro le carte prepagate – che «incorporano un potere d’acquisto pagato in via anticipata» (e possono essere ‘monouso’, ove utilizzabili solo presso l’emittente, e ‘pluriuso’; come pure, per altro verso, distinguibili tra ‘ricaricabili’ e ‘usa e getta’) –, secondo un’idea diffusa (non solo) nell’operatività. In effetti, la Banca d’Italia nel suo sito (agosto 2014, dove pure la trascritta frase di definizione) colloca le prepagate senz’altro a fianco delle carte di credito e di quelle di debito (di queste ultime, peraltro, in modo singolare tralasciando la versione Pos del bancomat e quella dei versamenti per cassa), seppur ricorrendo alla più ampia formula delle «carte di pagamento»; di «carte di credito e … altre carte di pagamento» discorre, del resto, pure la normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. 21.11.2007, n. 231 e quella di tratto penalistico (cfr., così, la l. 17.8.2005, n. 166, di «istituzione di un sistema di prevenzione delle frodi sulle carte di pagamento», per la quale «con il termine ‘carte di pagamento’ si intendono quei documenti che si identificano con le carte di credito e le carte di debito e con le altre carte definite nella normativa di attuazione»).
Problemi, gli ultimi cui si è appena accennato, entrambi piuttosto relativi in ogni caso (e al di là delle minori o maggiori vicinanze delle figure appena evocate con gli altri fenomeni considerati, di cui si dirà). È ben presumibile infatti che, come si avvertiva aprendo l’esposizione, le figure operative comunque indicate quali ipotesi di ‘carte di credito e carte di debito’ vengano in un futuro non (troppo) lontano a rifluire – senza medio di ulteriori filtri – in una più ampia voce, come dedicata agli ‘strumenti’ o ‘mezzi’ di pagamento: se non anzi, e forse meglio, ai ‘contratti di pagamento’. In una parola, in una categoria che infine valorizzi e dia espresso sfogo al fatto che si tratta di ‘succedanei della moneta’ (sebbene quest’ultimo riferimento abbia in realtà bisogno di non lievi limature: v. infra, §§ 4-5).
Quella dei mezzi di pagamento è, del resto, categoria già oggi sicuramente esistente (e su cui si tornerà, per qualche cenno a mo’ di passaggio impostativo, nei §§ 4 ss.) e polarizzata sulle diverse figure di cui all’art. 1, co. 1 lett. b), d. lgs. 27.1.2010, n. 11 (decreto di recepimento direttiva 2007/64/CE, meglio conosciuta come Payment Services Directive (PSD). E categoria pure destinata ad affiancarsi – quale braccio contrattuale della materia – a quella dei servizi di pagamento. L’una intesa dunque all’analisi dei profili negoziali del prodotto ‘pagamento’ (ma pure sull’uso di tale termine occorre intendersi bene: cfr. § 4); l’altra volta invece all’esame della prospettiva d’impresa di tale prodotto (v. ad vocem).
Nel tempo attuale, le carte di credito-debito hanno materialità di tessere di plastica e sono corredate di apposite bande magnetiche (e risultano più o meno personalizzate). Nell’interrogarsi sul significato tecnico-giuridico di quanto connesso a tale materialità, è d’obbligo chiarire, prima di tutto, il rapporto corrente tra le stesse e i titoli di credito.
Ora, la compiuta estraneità delle carte di credito (bilaterali, trilaterali, revolving e non) e del bancomat (Atm e Pos) all’esperienza teorica e pratica dei titoli è cosa manifesta: queste «carte» non sono affatto destinate alla circolazione. In ragione della loro disciplina pattizia (decisamente improntata sulla linea del divieto esclusivo), le stesse non sono proprio idonee a circolare, né possono essere utilizzate da chi non sia persona ‘titolare’ delle medesime. Non par dubbio che tale constatazione alquanto indebolisca, da sé sola, il peso del riferimento al profilo ‘carta’.
Un poco diversa appare, tuttavia, la situazione delle carte prepagate. Nel senso che la prassi mostra anche la presenza di versioni anonime delle medesime, cioè ‘al portatore’, accanto a quelle ‘nominative’ (come tipicamente sono quelle legate a un conto corrente). In simile ipotesi una fisiologica utilizzabilità anche circolatoria dello strumento non può, a me pare, essere disconosciuta: per dire, una carta gift ben può essere fatta oggetto di plurime donazioni. Con tutte le conseguenze che da tanto seguono: sia in termini di problematiche specifiche che per le ‘anonime’ vengono a porsi (dal trasferimento degli eventuali ‘sistemi di protezione’ in su), sia pure in termini di dispersione ulteriore della valenza del richiamo alla ‘carta’, che è quanto qui direttamente interessa.
Di solito, comunque, le carte vengono presentate – questo è il giudizio corrente – come documenti di legittimazione, secondo un genere di riferimento che, per la verità, appare non solo molto ampio, ma pure un po’ indeterminato (non diminuisce la vaghezza dell’approccio chi preferisce discorrere di ‘documenti di riconoscimento’). Quasi mai, però, l’utilizzo della carta è sufficiente per attivare in concreto lo strumento, in più occorrendo numerazioni di codici segreti (Pin) o sottoscrizione di documenti ad hoc.
Sempre più spesso, soprattutto, l’attivazione dello strumento non passa più attraverso una carta (intesa, appunto, per la sua «materialità» di tessera), bensì a mezzo ‘password’ (così, la felice definizione da poco introdotta da dottrina importante: v. Spada, P., Introduzione al diritto dei titoli di credito, Torino, 2012, 125 ss.), e cioè attraverso una mera espressione di codici alfanumerici o di altra forma: per constatarlo – e, velocissimo, il riscontro si sta trasformando in communis opinio –, basta pensare al fenomeno delle compere online. Né è irragionevole ipotizzare che il futuro finirà (prima o poi) per abbandonare proprio la materialità della carta, per affidarsi alla password o ad altra innovazione tecnologica (sui principali problemi che la ‘carta’ propone sotto il profilo del diritto vivente, v. comunque nel § 8). E già la letteratura comincia a discutere di vantaggi e svantaggi di tale passaggio per l’utenza (di peculiare spessore appare, in proposito, il tema della conformazione effettiva data alla password in ordine al margine di errore nell’uso concreto e alla distribuzione del relativo rischio tra cliente ed emittente: per meglio intendersi, si pensi all’attuale struttura dell’Iban di cui al bonifico, che si compone di ben 27 segni grafici distinti, rispetto alla disposizione dell’art. 24 d.lgs. n. 11/2010, che è norma di liberatoria per l’intermediario, e alla conseguente, forte necessità di restringere la portata testuale di quest’ultima disposizione).
Insomma, il profilo della carta non sembra idoneo a formare un collante categoriale che possa ritenersi veramente utile e utilizzabile. Come è confermato, oltretutto, dal riscontro delle differenze delle caratteristiche basiche delle operazioni che pur alla carta fanno richiamo. Tra carta bilaterale e carta trilaterale, così, il passaggio è da un rapporto chiuso sull’esecuzione di contratti di scambio inter partes auna vicenda che comunque trova il suo fulcro nell’intermediazione di un terzo, che al riguardo viene pure a sviluppare un’autonoma attività di impresa. E lo stesso ben può ripetersi per le carte prepagate, per la distanza corrente tra quelle monouso e quelle pluriuso.
In chiave categoriale, l’addizione a quello della carta dell’ulteriore profilo di contrapposizione ‘credito-debito’ è destinata a condurre, secondo il mio giudizio, a risultati non già brillanti, quanto piuttosto deludenti. Nel contesto in discorso, questa coppia di antonimi viene utilizzata, per vero, in un’accezione del tutto peculiare, che nulla ha a che vedere con le caratteristiche del rapporto fondamentale che intercorre tra l’emittente e il titolare della carta. Fa riferimento, per contro, al tempo in cui il singolo utilizzo, che della carta è concretamente realizzato, viene contabilizzato e conteggiato nel rapporto in essere tra i detti soggetti.
Se il conteggio è contestuale all’avvenuto utilizzo (in tempo pressoché reale), la carta è di debito; se invece è differito a un momento successivo (ed eventualmente pure concentrato in un’unica scadenza mensile, o giù di lì, per tutte le operazione compiute nel periodo; cd. charge cards), la carta è di credito. Capita così facilmente che l’utilizzo di una carta di credito si innesti in un consolidatissimo rapporto di conto deposito. D’altro canto, si possono (o potrebbero) segnare tra le carte di debito anche quelle prepagate in cui, secondo quanto è di tutta evidenza, il rapporto fondamentale possiede la linea causale del deposito (a vista, in ragione del richiamo delle somme depositate a mezzo spendita della carta).
Posti questi tratti, la coppia in questione potrebbe, volendo, anche essere ritenuta di marca confusiva (di certo, in ogni caso, non ha nulla di chiarificante): tant’è che in effetti ha confuso chi, rilevando il carattere prepagato di certe carte, ne ha automaticamente escluso la riconducibilità al novero di quelle di debito. In realtà, un conto è la causa di un rapporto di disponibilità (che regge, cioè, il potere di utilizzo della carta); un altro il tempo dell’addebito di un avvenuto utilizzo. Senza contare, altresì, che la recente emersione operativa del bancomat Atm con funzione di versamento senz’altro acclara che la prospettiva in discorso rappresenta, nei fatti, una coperta comunque troppo corta. In effetti, la storia della contrapposizione ‘credito-debito’ è imperniata su ciò che deve dare il cliente, non già su ciò che questi deve ricevere.
A parte tutto questo, la regolamentazione convenzionale del tempo in cui le singole operazioni vanno a impattare sul rapporto in essere tra emittente e titolare, se è certo rilevante nell’economia delle figure, altrettanto sicuramente appartiene al momento accessorio e disciplinare delle stesse (cfr., per una diretta conferma del diritto positivo, la norma dell’art. 1231 c.c.). E rappresenta, in specie, solo un frammento di vicende che sono complesse e si snodano su più piani. Per fare un esempio, nelle carte revolving al punto della regolamentazione della singola spendita segue la concessione da parte dell’emittente di un differimento rateale al titolare: e non v’è dubbio che questo segmento cronologicamente ulteriore venga a caratterizzare tale specifica tipologia di operazione, che in effetti risulta comunemente iscritta nel novero di quelle di credito al consumo (sul punto v. pure infra, § 7).
Quanto ai piani presenti in tali complesse operazioni: si individua, così, il piano attinente all’utilizzo in concreto della figura (nelle carte di credito trilaterali, la spendita della carta), che a sua volta risulta divisibile nel fatto in sé dell’utilizzo e in quello del meccanismo specifico che lo compone (sul punto v. infra, § 4). Così si individua, altresì, quello del necessario rapporto che tra emittente e titolare fa da provvista e base di regolamentazione per gli utilizzi (nelle carte di credito trilaterali, il contratto di rilascio come normalmente appoggiato su di un conto corrente). E così ancora si individua il piano dei rapporti che, in relazione a talune delle figure in discorso, l’emittente viene a stringere con terzi soggetti (nelle carte di credito trilaterali, la convenzione di associazione con gli esercenti).
Tutto ciò (quanto esposto, dunque, nei §§ 2-3) mostra chiaramente come la categoria ‘carte di credito-debito’ stia ormai viaggiando verso la stazione del proprio tramonto. E per la verità pure indica, inoltre, come lo studio delle figure così evocate (le carte di credito, il bancomat, le carte prepagate, si vis) venga, nell’odierno, a rinviare all’approntamento di analisi specifiche e puntuali sulle medesime. È anzi opportuno precisare in proposito: a studi di vettore proprio opposto a quello caratteristico delle indagini di taglio categoriale; a opere intese, quindi, all’isolare l’uno dall’altro.
Ché il lavoro di fondo su queste figure (i.e.: la base minima per l’organizzazione dei relativi pensieri e ricerche) pare oggi fermarsi, almeno a giudizio di chi scrive, proprio sulla individuazione dei ‘luoghi’ in cui si dipartano i distinguo tra i nomina dell’operatività: sul segno dell’articolata varietà delle ipotesi segnate sotto la formula ‘carta di credito’, così; e così pure sulla duplicità strutturale del bancomat (la versione Atm, da un lato; dall’altro, e lontano, quella Pos; si veda pure nel § 6), che sembra condurre a un fenomeno di ‘fissione dell’atomo’. La variegata realtà delle prepagate appare, poi, un universo tutto da scoprire.
Come si è accennato nell’avviare l’esposizione, tutto questo non pregiudica, però, la possibilità di recuperare una categoria di riferimento unitario delle evocate figure: di individuare una categoria ampia, meglio, che – tra le altre - includa in sé pure le ‘carte’ (chiaro essendo, ormai, che tale parola viene adoperata solo per designare breviter la somma dei fenomeni più volte indicati). Al riguardo il riferimento va - dei più piani che dette figure presentano, e che sopra si è passato in rapida rassegna (§ 3, in fine) – a un profilo attinente al momento del loro concreto utilizzo (non a quello della serie contrattuale che sta a monte del medesimo).
Profilo che, nel particolare, prescinde dal meccanismo tecnico che l’utilizzo compone – che è punto per contro appartenente alla ricostruzione della figura specifica (per le carte di credito trilaterali la letteratura discute, ad esempio, se la spendita passi attraverso una delegazione di pagamento o invece una cessione di credito oppure un accollo privativo) – e che si condensa, pertanto, nel fatto in sé dell’utilizzo rispetto all’effetto che diretto ne segue (: in uno dei risultati pratici che sta nelle potenzialità di produzione delle singole figure, cioè). Il delinearsi, appunto, le carte in questione come strumenti o contratti di pagamento e quindi il loro porsi come parte della relativa categoria.
Di questa categoria va subito esplicitato, peraltro, il significato che nel lemma viene ad assumere il termine ‘pagamento’: ché ciò non solo rileva a fini conoscitivi, ma pure si pone come condizione di tenuta dell’insieme di osservazioni condotte nel precedente capoverso. Ma la precisazione occorre anche perché – nella voce predecessore della presente – la ‘succedaneità’ delle carte rispetto alla moneta veniva legata a doppio filo all’adempimento delle obbligazioni pecuniarie (supra, § 1). Quella che qui rileva è, dunque, un’accezione assai lontana da quella tradizionalissima e (ovviamente) corrente pure nel codice civile e che, per ciò stesso, è da definire come ‘propria’. Peraltro, nel suo specifico – di accezione ‘impropria’, appunto – tale accezione è ormai invalsa a tutti i livelli, quello legislativo compreso (il che non elimina, naturalmente, ma casomai accentua una valutazione di negatività – per rischio di confusività; rischio non certo privo di riscontri nell’effettivo – della scelta). Il termine viene qui utilizzato, insomma, non come equivalente a quello di adempimento delle obbligazioni (pecuniarie, soprattutto), bensì di (mera) traditio pecuniae; per alludere, cioè, al fatto dello spostamento, fisico o virtuale, di somme di denaro: del passaggio di queste da un soggetto a un altro ovvero, se si preferisce, da patrimonio a patrimonio. È noto che le tendenze moderne negano al denaro l’attitudine a essere ‘cosa’; è tuttavia sicuro che, se fosse ‘cosa’, il denaro starebbe al vertice della scala di quelle di genere: meglio, il ‘contante’, in cui anche si esprime il denaro, di certo cosa è.
Il tema richiede ancora, a scendere, una serie ulteriore di note. Nella rilevazione che gli strumenti di pagamento sono figure di spostamento del denaro v’è il riconoscimento – implicito, non per questo meno netto – che gli stessi non sono denaro, ma solo lo muovono: in senso fisico se, il contante (i.e.: le banconote, o carte-valori, e le monete di ‘corso legale’) passa da mano a mano; in senso virtuale, se il movimento è solo per annotazione contabile (fermo il contante dove sta). Per cercare di essere più precisi e così limare il senso del ripetuto ricorso al concetto di ‘succedaneo della moneta’: gli strumenti di pagamento, di cui anche alle carte, non sono surrogati del denaro (o denaro di ‘serie B’); sono mezzi complementari, invece, che ne semplificano il transito da soggetto a soggetto: se si vuole, che ‘migliorano’ il prodotto denaro.
Ora, nel milieu è molto viva, in questi anni, la tendenza a parificare i detti strumento di pagamento al contante (tanto che si è pure preconizzata l’abrogazione della norma dell’art. 1277 c.c., cioè del valore legale del contante: così, e con intenti non provocatori, Di Majo, tra l’altro in Pagamenti senza denaro nella cashless society, in Corr. giur., 2008, 504 ss., e Spada, P., in Salamone, L. Spada, P., Commentario breve al diritto della cambiale, Padova, 2014, XVIII). Non sembra allora inopportuno ricordare, tra le altre e per quanto ovvie, due differenze basiche che, nell’oggi, corrono in materia (solo per incidente interrogandosi sugli effetti che una simile abrogazione potrebbe avere su conformazione e misura della massa monetaria corrente in un dato spazio e in un dato tempo).
La prima è quella della ‘convertibilità’ nel contante. Per quanto sia oggettivamente indiscutibile il carattere meramente estrinseco del denaro, quale simbolo di ‘valori’ altri e indice di un potere di acquisto solo astratto (e al di là di ogni riferimento storico all’’intrinseco’, se mai effettivamente esistito in termini reali e se mai effettivamente significativo di una ‘qualche cosa’), il contante rappresenta sé stesso, non è sostituibile da altro; per contro rimangono, sul piano del dovere essere, sostituibili in contante gli strumenti di pagamento (o, meglio, i rapporti che in questi confluiscono).
L’altra, per vero correlata, differenza è che le figure della categoria del pagamento hanno tutte – all’opposto del contante (che per definizione è di impianto legale ovvero è frutto di un’imposizione autoritativa da parte dello Stato) – matrice necessariamente pattizia: sin dalle loro fondamenta, come relative alla costruzione delle rispettive, specifiche figure tra l’impresa, che offre il servizio al mercato, e il cliente (e da ciò, per l’appunto, la segnalata predilezione per il nomen di ‘contratti’ di pagamento). Naturalmente, l’articolazione del numero e dei tipi di contratti occorrenti dipende poi dalle peculiari caratteristiche dello strumento volta a volta considerato.
Ciò posto, può essere adesso non inopportuno tornare un attimo sui rapporti tra i mezzi di pagamento e l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie. Nell’ambito degli spostamenti del denaro rientra, naturalmente, anche quello che avviene a fini solutori di un’obbligazione che il titolare dello strumento di pagamento ha nei confronti di un terzo.
Il tema più importante, che è da segnalare in proposito (ma certo non l’unico: si pensi, così, al problema relativo al tempo preciso dell’estinzione dell’obbligazione pecuniaria adempiuta a mezzo di uno strumento di pagamento), attiene al viaggio che la nostra giurisprudenza sta compiendo nella materia dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie con il genere degli strumenti di pagamento diversi dal contante: dove sta progressivamente emergendo la regola della non rifiutabilità ex art. 1375 c.c. del mezzo da parte del creditore, se non per giusta causa.
Il punto, all’evidenza, è quello della precisa definizione dell’arco degli strumenti che si avvantaggiano di tale trattamento (oltre che quello della fissazione della nozione di giusta causa rilevante): la sentenza di Cass., S.U., 18.12.2007, n. 26617 lo ha affermato per l’assegno circolare; la sentenza di Cass., S.U., 4.6.2010, n. 13658 lo ha portato anche all’assegno bancario. È appena il caso di aggiungere, peraltro, che – negli strumenti di pagamento che prevedono anche accordi a monte tra emittente ed esercenti (carte di credito trilaterali, bancomat in versione POS) – l’eventualità che questi ultimi respingano in concreto la carta loro presentata da un titolare integra, prima di tutto, gli estremi di un inadempimento contrattuale (nel rapporto con l’emittente, se non altro; ma, secondo certe ricostruzioni almeno, pure nel rapporto con il titolare).
Di frequente, la letteratura viene a distinguere tra strumenti di pagamento ‘sostitutivi’ del denaro contante e strumenti per contro al denaro contante ‘alternativi’. I primi, indicati nelle figure formanti il genus dei titoli cambiari, si dice si sostanzino in ciò che il contante è sostituito da ‘documenti rappresentativi dello stesso’ (il documento di cui all’assegno e/o alla cambiale, cioè); i secondi, invece, in ciò che, nel loro caso, il contante manca proprio. A ben vedere, però, tale distinzione appare poco convincente e approssimativa; comunque, poco utile. Poco convincente lo è sicuramente là dove mette in campo la cambiale che, se è il prototipo dei titoli cambiari, nella tradizione giuscommercialistica è ritenuta strumento di credito e non già di pagamento (in via segnata, si fa riferimento alla tratta: v. Martorano, F., Lineamenti generali dei titoli di credito e titoli cambiari, Napoli, 1979, spec. 456 ss.). E poco convincente lo è anche con riferimento all’idea di creare una distinzione ritagliata, da un lato, sulla presenza di documenti (sostitutivi) e, dall’altro, sull’assenza del denaro. Perché la distinzione è all’evidenza zoppa: in realtà, anche se si usano gli assegni circolari o bancari, si evita una circolazione del contante, se con ciò si intende (come si deve) che lo strumento a ciò ‘alternativo’ rende, nel concreto, inutile il contante, di fatto eliminandone la materiale traditio (tanto più, se il prenditore versa l’assegno sul proprio conto corrente). E poco utile lo è se non altro perché guarda al passato (v. già sopra, nel § 2; la sussistenza di una normativa apposita per i titoli cambiari, collaudatissima e di vocazione planetaria, costituisce poi l’evidente ragione logica per cui questo ceppo è stato tenuto fuori dall’ambito della normativa PSD).
Più utile in ogni caso appare, oltre che più affidante, sfruttare in proposito un dato fenomenico offerto proprio dalle figure oggi conteggiate tra le ‘carte di credito-debito’. E così porre accanto – e quindi contrapporre – alla sottocategoria degli strumenti alternativi quella data dagli strumenti funzionali al contante (quale espressione materiale del denaro). In effetti, lo spunto in proposito è offerto dallo «spaccato» del bancomat.
Se la versione Pos intende evitare al titolare proprio una gestione materiale del contante, quella Atm persegue invece il risultato di realizzare una simile gestione, puntando ad ottimizzarne le modalità: con i prelievi e (adesso anche) con i versamenti provvedendo ai bisogni che del contante si possono avere (per un certo periodo di tempo, si ricorderà, per quest’ultima esigenza le imprese bancarie offrivano al mercato lo strumento della cd. ‘cassa continua’). È appena il caso di segnalare, poi, che l’ottimizzazione, per il cliente, della gestione del contante consente alle banche di disporre di una maggiore liquidità e, quindi, di più alti margini di provvista per l’esercizio dell’impresa del credito.
Sembra innegabile, d’altro canto, che le due dette ipotesi (nella specie, come nel genere) propongano prospettive e problematiche diverse. La versione Atm del bancomat va diretta a confrontarsi, così, con la tematica dei versamenti e prelievi che «si eseguono presso la sede della banca», secondo la dizione degli artt. 1834, co. 2, e 1843, co. 2, c.c. E, di conseguenza, lì è destinata a integrarsi: quale obbligazione contrattuale della banca di dare e/o ricevere contante (con tutti i profili di disciplina, rilevantissimi, che ne derivano) e nell’ambito della cd. regola di localizzazione dei rapporti bancari (sia in termini di luogo e tempo di adempimento dell’obbligazione di dare contante, sia pure in termini di distribuzione territoriale dell’attività delle banche). Piuttosto orientata verso crescenti gradazioni di complessità delle obbligazioni di fare si manifesta, invece, la problematica caratteristicamente proposta dal bancomat in versione Pos.
Le carte di pagamento – nel cui alveo rientrano le carte di credito trilaterali, bancomat e carte prepagate (restano escluse quelle bilaterali, ex art. 2, co. 2, lett. m), nei limiti in cui le stesse siano da considerare strumenti «a spendibilità limitata») – sono soggette, si è già segnalato, alla regolamentazione del d.lgs. n. 11/2010, di attuazione della PSD. Si tratta di una regolamentazione di carattere ‘trasversale’, nel senso che non è differenziata «secondo lo specifico tipo di operazione considerato» (Sciarrone Alibrandi, A., La circolazione del denaro: gli strumenti di pagamento, in Cian, M., a cura di, Diritto commerciale, t. I, rist., Torino, 2014, 334 s., essa si occupa, cioè, del fatto in sé dell’utilizzo di uno strumento di pagamento (cfr. sopra, nel § 4). Come tale, la detta regolamentazione di eteronomia, per quanto assai importante (per qualche cenno v. nel prossimo § 8), si manifesta - nel riflesso delle singole figure – decisamente parziale.
A fianco di tale regolamentazione si pone quella che il testo unico bancario dedica alla «trasparenza delle condizioni contrattuali» (titolo VI). Il riferimento va, prima di tutto, alla normativa specificamente intesa ai servizi di pagamento, di cui al capo II-bis del detto titolo, nonché a quella denominata «generale» di cui al capo III (in entrambi i casi, il limite di applicazione dovrebbe coincidere con quello indicato nel capoverso precedente). Il riferimento pure va – nei limiti, ovviamente, di quanto di eventuale interesse – a quella contenuta nel capo II del medesimo titolo, inteso a disciplinare il credito al consumo (si ricorda, in proposito, che tale disciplina non si applica ai «finanziamenti per i quali è escluso il pagamento di interessi o altri oneri» e che i «venditori di beni e servizi» possono concedere dilazioni solo se regolati «con esclusione del pagamento degli interessi e di altri oneri», ex art. 122, co. 2 lett. c) e co. 5, tub). Più ampiamente, alle operazioni in discorso va altresì ritenuta applicabile - entro i limiti di compatibilità con le altre norme predette - la normativa ‘residuale’ di cui al capo I del titolo in questione: e ciò in ragione del coordinamento sistematico che non può comunque non intercorrere tra le normative di trasparenza interne al testo unico bancario (Dolmetta, A.A., Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, 55 ss.).
Quanto al merito di tale regolamentazione va in specie rimarcato, da un lato, che la stessa riguarda tutti i profili in cui le figure in questione vengono ad articolarsi (per fare un esempio, nelle carte di credito trilaterali essa trova senz’altro applicazione anche nei confronti del contratto e del rapporto tra emittente ed esercente: a guardare le cose in maniera corretta, questo aspetto rimane interno al servizio solo nella prospettiva del titolare della carta, mentre, in realtà, lo stesso è espressione dello svolgimento di un’apposita impresa, visto se non altro le commissioni che l’emittente lucra dal fronte degli esercenti). Dall’altro lato, va sottolineato che anche tale regolamentazione viene a considerare il fenomeno per il suo essere in sé un servizio di pagamento, pur qui non occupandosi, insomma delle specifiche caratteristiche delle singole figure. Da ultimo, va richiamata, per questo contesto, la norma dell’art. 126-bis, co. 4 (onere della prova di corretto adempimento in capo al prestatore di servizi di pagamento): sia per la sua oggettiva importanza, sia pure perché, nonostante ciò (se non, forse, a causa di ciò), essa rimane a tutt’oggi trascurata dalla letteratura; tale disposizione rappresenta, in effetti, un caso di specifica emersione a livello legislativo della regola della c.d. vicinanza della prova (là dove pone in ogni caso sull’emittente la «prova di aver correttamente adempiuto agli obblighi previsti dal presente capo»).
Delle figure in questione vengono ad occuparsi, ancora, più leggi di carattere particolare ovvero settoriale. Così è per la cd. disciplina antiriciclaggio (d. lgs. n. 231/2007, già ricordato nel corso del §1) e per quella volta a prevenire le frodi sulle carte di pagamento (oltre alla citata legge n. 166/2005, è da ricordare in specie l’art. 12 d.l. 12.5.1991, n. 143, conv. in l. 5.7.1991, n. 197, che ha configurato il delitto di indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento). Ovviamente, queste disposizioni non risultano interessate ad approfondire le specifiche caratteristiche strutturali delle singole figure di carta (tant’è che l’art. 55, co. 9, d. lgs. n. 231/2007 equipara alle carte di credito o di pagamento «qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi»).
Non mancano, poi, delle regole di legge che si occupano della materia con prospettiva di taglio per così dire incidentale. Tra queste è da ricordare, in modo particolare, la normativa antiusura di cui alla legge n. 7.3.1996, n. 108 e relativi atti esecutivi: specie perché il credito «con utilizzo delle carte di credito» (la formula è delle Istruzioni della Banca d’Italia in materia, agosto 2009, sub cat. 9) rappresenta, nell’attuale, la distinta categoria di finanziamenti con più elevato carico economico per il cliente. Al 31.12.2014 il tasso effettivo globale medio (Temg) di questa particolare classe sale, per le operazioni fino a 5.000 €, al livello del 16,90%, che indubbiamente rappresenta un’enormità.
Come si sarà intuito dall’esposizione sin qui condotta, la regolamentazione dei tratti strutturali (in senso ampio e comprensivo perciò dei relativi dintorni e contorni) delle ‘carte’ è infine affidata alle mani dell’autonomia da predisposizione dell’emittente il servizio; com’è naturale, ogni passaggio contrattuale delle relative vicende viaggia per il mezzo di normativa standard. Il tutto rimane, però, sotto il governo e controllo della normativa del codice civile e dei principi (come informati, va da sé, alla luce dei valori costituzionali) che lo stesso esprime: a cominciare dalle regole sul contratto in generale e sulle obbligazioni.
A livello di giurisprudenza, il percorso decisamente più battuto in materia di carte di credito, carta bancomat e carte prepagate è quello di tratto penalistico, come gravitante sul furto, clonazione e contraffazione delle medesime. In effetti, la norma del citato art. 12, che contempla il delitto di indebito utilizzo delle carte (ma, a quanto pare, la norma considera in realtà una serie di distinti reati, che vanno dalla falsificazione al possesso, alla cessione, all’acquisizione del documento: Cass. pen., 9.1.1998, Scandinaro), è stata indagata sovente anche dai giudici della Cassazione. Tra gli aspetti più dibattuti spiccano quelli relativi alla distinzione del detto delitto da quelli – per diversi modi viciniori – della truffa e della ricettazione. Tra gli altri punti di rilievo, possono breviter richiamarsi la qualificazione di furto dell’attività di chi si impossessa di carte smarrite (cfr. Cass. pen., 8.11.2013, n. 46991) e la tendenza ad applicare in cumulo, in una col reato di indebito utilizzo, quello di riciclaggio (Cass. pen., 27.11.2013, n. 47147).
Decisamente più modesto è il contributo numerico fornito dalla giurisprudenza civile. Per quanto consta almeno, due soli sono gli arresti della Cassazione. Cass., 14.7.2006, n. 16102, in tema di carte di credito trilaterale, esamina il rapporto tra emittente ed esercente convenzionato, considerando i termini di diligenza di quest’ultimo nei rapporti con i presentatori della tessera. A sua volta, Cass., 12.6.2007, n. 13777, relativa a una fattispecie di bancomat utilizzato in funzione Atm, stabilisce che la responsabilità della banca non viene automaticamente meno per il mancato rispetto dell’obbligo del titolare di subito denunciare la sottrazione o perdita della tessera. In sostanza pochi sono anche i riscontri della giurisprudenza di merito; e tutti, o quasi, legati a episodi connessi a perdita o sottrazione della tessera.
Tuttavia, le cose cambiano parecchio se, in luogo di fermarsi al campo della giurisprudenza, si volge lo sguardo fino al fronte delle decisioni assunte dall’Arbitro bancario finanziario nei primi cinque anni della sua attività (2010-2014). Con riferimento a questa sede si può (anzi, si deve) parlare di ‘contenzioso esploso’: basti pensare che, per il 2013 (l’ultimo anno di cui sono disponibili dati ufficiali, come resi noti dalle Relazioni annuali, curate dalla Banca d’Italia e reperibili sul sito ABF), il settore delle ‘carte di credito’ (21,4%) e quello dei ‘bancomat e carte di debito’ (14,8%) hanno portato, da soli, più di un terzo delle controversie concretamente proposte all’Arbitro (che, sempre per il 2013, sono salite al numero di 7.862).
Un numero così elevato di procedimenti ha recato con sé e fatto emergere, naturalmente, una varietà di problematiche assai più ricca e articolata di quanto sinora espresso dalla giurisprudenza civile. Con la maggiore frequenza, peraltro, le controversie si sono concentrate sul tema del rischio e della responsabilità derivante da utilizzo non autorizzato (per smarrimento, sottrazione, falsificazione) della carta (in genere), nonché su quello – presentatosi, in via segnata, per il bancomat – degli addebiti contestati in ragione di prelievi Atm affermati come non eseguiti.
Sul primo tema – è ancora opportuno aggiungere per completezza di informazione – le decisioni hanno fatto largo uso della regola fissata dall’art. 12, co. 3, d.lgs. n. 11/2010, per cui il titolare è esonerato da responsabilità, salvo solo il caso di suo dolo o colpa grave, oltre il limite dei 150 euro (prima della denuncia di perdita; in toto, dopo l’effettuazione della stessa; la quantità di fattispecie visionata consente già di enucleare un ricco ‘armamentario casistico’ delle situazioni rilevanti di dolo e colpa grave): regola, questa, tra l’altro molto importante, posto che lega l’intensità della diligenza della banca al rischio di impresa (Dolmetta, A.A., Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, cit., 215 ss.). Sul secondo punto, le decisioni sembrerebbero orientate a dare peso alla regola dell’art. 10 del decreto citato, per cui è onere della banca provare la corretta registrazione e contabilizzazione dell’operazione di pagamento (data la peculiarità della fattispecie - che di fatto non consente la presenza di testimoni - peraltro, la vera partita finisce per giocarsi sul piano dell’efficienza probatoria che venga ad assegnarsi alle scritture contabili della banca e, in particolare modo, al giornale di fondo e alle quadrature di cassa relativi alla struttura Atm di cui si discute).
La problematica relativa è affrontata nel testo, in via segnata nel § 7. Tra le disposizioni vanno qui ricordate le norme degli artt. 1277 e 1834 c.c.; art. 115 ss. tub; art. 12 d.l. 12.5.1991, n. 143, conv. in l. 5.7.1991, n. 197; l. 7.3.1996, n. 108; d.lgs. 21.11.2007, n. 231; l. 17.8.2005, n. 166, nonché il complesso normativo di cui al d.lgs. 27.1.2010, n. 11.
Di Majo, A., Le obbligazioni pecuniarie, Torino, 1996; Disegni, G., Strumenti di credito e mezzi di pagamento – Cambiali, assegni, carte di credito, moneta elettronica, Torino, 2011; Dolmetta, A.A., Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013; Inzitari, B., Profili del diritto delle obbligazioni, Padova, 2000; Liberati Buccianti, G., Carte di pagamento e (in)debiti utilizzi delle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, in Bianca, C.M., a cura di, I contratti bancari, Roma, 2013; Malvagna, U., I servizi di pagamento, in Tratt. Roppo, Milano, 2014; M. Mancini, M. - Rispoli Farina, M. - Santoro, V. - Sciarrone Alibrandi, A. –Troiano, O., a cura di, La nuove disciplina dei servizi di pagamento, Torino, 2011; F. Martorano, Lineamenti generali dei titoli di credito e titoli cambiari, Napoli, 1979; Niccolini, G., Carte di credito e carte bancarie, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988; Onza, M., Estinzione dell’obbligazione pecuniaria e finanziamento dei consumi: il pagamento con la «carta», Milano, 2013; Rispoli Farina, M. - Santoro, V. - Sciarrone Alibrandi, A. –Troiano, O., a cura di, Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, Milano, 2009; Salamone, L. - Spada, P., Commentario breve al diritto delle cambiali, degli assegni e di altri strumenti di credito e mezzi di pagamento, V ed., Padova, 2014; Santoro, V., a cura di, Il diritto dei sistemi di pagamento, Milano, 2007; Semeraro, M., Pagamento e forme di circolazione della moneta, Napoli, 2008; Spada, P., Introduzione al diritto dei titoli di credito, III ed., Torino, 2012; Sciarrone Alibrandi, A., La circolazione del denaro: gli strumenti di pagamento, in Cian, M., a cura di, Diritto commerciale, t. I, rist., Torino, 2014.