ASBURGO, Casa di
Le origini. - Le origini degli A., che hanno preso il nome definitivo da un loro castello situato in Svizzera sul fiume Aar (il castello di Habichtsburg, donde Hapsburg e Habsburg), non sono molto chiare. Il primo documento a cui generalmente si riferisce la tradizione, cioè la carta di erezione del monastero di Muri per parte di Werner, vescovo di Strasburgo, e di Radbod suo fratello, dell'anno 1027, è ritenuto oggi falso, ossia di fattura più tardiva, per ragioni paleografiche, diplomatiche e sfragistiche. Alla stessa guisa non merita fede un supposto documento del 902, a cui si riferisce un atto autentico del 1186, relativo a donazioni asburghesi a favore del monastero di S. Truperto. Anche le cronache non dànno elementi sicuri. Il cosiddetto Anonimo di Muri (Acta Murensia) chiama gli antenati di Werner II (nipote dell'altro Werner vescovo di Strasburgo, e che è il primo che compaia nel sec. XI col titolo di conte di Hapsburg) conti di Altenburg, Brigg e Windisch; mentre conti di questo nome non sono mai esistiti. La cosiddetta cronaca di Klingenberg attribuisce addirittura un'origine romana alla Casa: ma sembra trattarsi di un equivoco, nato dall'essere state male interpretate le fonti che accennavano al ritorno da Roma, pare con l'imperatore Corrado II, di qualche personaggio della famiglia. Altre cronache, infine, dimostrano che questa credenza, per una ragione o l'altra, era molto diffusa nelle Alpi svizzere a metà del sec. XIII. Certo è che, quando Rodolfo IV (come duca d'Austria, morto nel 1365), il primo della Casa che si sia occupato dei proprî antenati, e Massimiliano I (morto nel 1519) fecero ricercare la loro origine, e quest'ultimo l'attribuì agli Etichoni, antica e malcerta schiatta di Alsazia, si erano oramai perdute le tracce sicure della discendenza.
Secondo gli studi più sicuri, le origini vanno ricercate nell'Alsazia. Il primo conte di Hapsburg accertato, Werner (II) di A., morto nel 1096, appare nipote effettivamente di quel Werner, vescovo di Strasburgo, che tenne la sede vescovile di quella città nei primi decennî del sec. XI e che un breve di Innocenzo II, del 1139, ricordandolo, chiama esplicitamente zio del secondo Werner. Il vescovo in questione non ha portato peraltro alcun titolo comitale, né sembra abbia avuto alcuna parentela, come alcuni genealogisti hanno supposto, con la casa di Lorena, e tanto meno sia stato fratello della contessa Ida di Lorena, come vogliono gli Acta Murensia. Anche la sua ascendenza, che qualcuno fa risalire, attraverso un conte Gontrano il Ricco, seguace di Ottone I, sino ai Merovingi, è assolutamente incerta. Onde conviene arrestarsi al suo nome e concludere che non si può risalire più in su del 1000. Certo è, che si trattava di nobiltà allora non cospicua, non potente e non molto ricca. Werner di Strasburgo è, infatti, generalmente chiamato generosus. Probabilmente, anche essendo falso il documento del 1027, sono attendibili i dati sostanziali a cui esso si riferisce: e allora si ricava che egli ha avuto tuttavia veramente parte nella fondazione del monastero di Muri. L'importante è che il vero fondatore della casa - almeno col nome di A. - è il nipote Werner, che conseguì il titolo comitale dopo il 1082, come premio della sua attiva partecipazione alle lotte dell'anti-imperatore Rodolfo di Rheinfelden (v. rodolfo di svevia) e di Ermanno di Salza contro l'imperatore Enrico IV. Questo titolo pare connesso con un feudo dei Lenzburg, parentela degli A., ma militante nel campo avverso. Pare che i Lenzburg perdessero il feudo durante le lotte e che gli A. si fissassero nel castello di Hapsburg, costruito verso il 1020, precisamente da Werner di Strasburgo.
Primo periodo della Casa: svizzero-alsaziano. - Da Werner II si può seguire con sufficiente sicurezza lo svolgersi della discendenza anche quando si divide in più branche. Vi è un primo periodo nella storia della branca più propriamente di A., che va sino all'imperatore Rodolfo I, seconda metà del sec. XIII, e che potrebbe essere definito svizzero-alsaziano. Per circa due secoli e mezzo, gli A. (e questo nome non sarà più abbandonato o mutato d'ora innanzi) ci appaiono come conti di poca importanza in Argovia e possessori di feudi in Alsazia, che sono forse i più antichi e si ricollegano ad altri minori rami, discendenti dai fratelli di Werner di Strasburgo, dei quali si ha qualche notizia, nel senso che essi, per esempio, svolgono la loro attività in gran parte sul Reno superiore e non hanno nulla a che fare con quello che sarà assai più tardi il teatro più importante sul quale hanno agito: l'Austria. In questo periodo svizzero-alsaziano, la storia della Casa è in tutto simile a quella delle altre casate feudali di media importanza: vita specialmente di contese feudali. Da Werner II si ha Ottone II (v. tav. genealogica a p. 772) e da costui il figlio Werner III (morto nel 1167) e Alberto III (morto nel 1199): dei quali, oltre che la signoria in Alsazia, sono ricordati notevoli acquisti in Svizzera. Alberto, infatti, divenne conte di Zurigo e protettore dell'importante monastero di Säckingen. Un nuovo incremento alla potenza della casa fu dato da Rodolfo (II come conte di A., morto nel 1232) figlio di Alberto, perché ebbe la contea di Argovia, in cambio dell'aiuto dato a Federico II di Hohenstauien, più tardi imperatore, contro l'imperatore Ottone IV, sul principio del '200. Quando Rodolfo morì nel 1232, egli godeva un posto cospicuo tra la nobiltà ed aveva accresciuto notevolmente possessi e influenze. Coi suoi due figli Alberto (IV come conte) e Rodolfo (III come conte) avviene nella Casa una prima divisione notevole, che non poté a meno di diminuirne per un certo tempo l'efficienza. Il primo continua la linea propriamente d'A.; il secondo dà origine alla linea di Laufenburg, che si divise poi a sua volta in due altre branche, estintesi nel 1408 e nel 1415 (v. tav. a p. 773). Tutti i possessi e i feudi tornarono allora alla linea fondamentale.
Secondo periodo: il ducato d'Austria come centro della signoria. - Da Alberto, il prosecutore o, meglio, il fondatore della linea principale di A., nacque (1218) quel Rodolfo (IV come conte), che fu più tardi re di Germania e imperatore. A costui, che ripeteva un nome tradizionale e caro della famiglia, spesso ricomparso in seguito, si deve non soltanto l'inizio di un secondo periodo nella storia della Casa, ma una prima affermazione di potenza più che nobiliare, in quanto egli poté innalzare alla regalità la propria schiatta, uscendo così dall'ambiente mediocre dell'arruffata vita di feudatario per entrare nel vasto e più aerato campo della storia europea. Prima base della sua fortuna fu il notevole incremento di possessi territoriali, nei cantoni di Argovia, Lucerna, Zug, Unterwalden e Friburgo nell'Uchtland, e di ricchezze pervenutegli per eredità dalla madre Heilwig di Kyburg (morta nel 1261) che a lui trasmise il meglio dei possessi dell'estinta casa dei Zähringen. L'ascendente ch'egli seppe acquistarsi lo fece salire alla dignità di re dei Romani: della quale, com'è noto, egli si servì e di Stiria, e più della prima, Asburgo e Austria diventeranno ben presto e rimarranno per secoli un inscindibile binomio. Punta avanzata del germanesimo tra Slavi, Magiari e Latini, l'Austria cattolica e popolata di stirpi notevolmente più evolute (almeno nei confrontì degli Slavi e dei Magiari) era destinata ad essere un centro di difesa e insieme di concentramento. La famiglia che fino ad allora aveva avuto importanza soprattutto locale e patrimoniale, è investita ora di una specie di missione; in quanto, accentrando in sé le difese del germanesimo, ma spinta anche insieme, per garantire meglio questo, ad aggregare a sé le varie nazionalità vicine, incomincia a manifestare il carattere, che sempre manterrà, di nucleo tedesco alla testa di elementi plurinazionali.
Dopo la morte di Rodolfo I (1291), sebbene per alcun tempo il figlio Alberto tenesse la corona regia ed imperiale, dal 1298 sino alla sua uccisione avvenuta nel 1308, si ha una specie di stasi nella ascensione e nell'importanza della casa. E ciò non tanto per deficienza dei successori, quanto per la reazione di altre famiglie, concorrenti con gli A. e invidiose della loro fortuna. Così, sebbene Alberto imperatore alla morte del re Venceslao III, ultimo Przemyslide (1306), s'impossessasse del suo regno di Boemia, e ne investisse il figlio Rodolfo, sposo della vedova di Venceslao II, Elisabetta di Polonia, tuttavia la casa di Lussemburgo, che si era vista innalzare con la nomina di Arrigo VII (1308-1313) alla dignità imperiale, riuscì a imporsi in Boemia, affermandovisi sino al 1437 e impedendo così da quel lato, per tutto quel tempo, ogni espansione asburghese. Contro un'altra grande famiglia ebbe poi a provarsi, e ancora più duramente, la casa di Asburgo, ossia contro i bavaresi contermini che l'arrestarono. Contro Ludovico di Wittelsbach, imperatore dal 1313 al 1347 (Ludovico il Bavaro), Federico d'A. il bello, figlio di Alberto imperatore, che a sua volta era stato eletto re dagli avversarî di Ludovico, si sostenne sì per sette anni e più, ma poi fu vinto a Mühldorf nel 1321: onde i suoi successori, gli unici che ebbero poi discendenza maschile, dopo la morte di Federico, avvenuta nel 1330, rivolsero le loro cure a tutt'altro. Ripresero più modestamente il programma di Rodolfo I, imperatore; ma si astennero dalle competizioni regie e imperiali. Fecero, peraltro, opera assai proficua per la casa, perché rivolsero tutte le loro cure al rafforzamento dei possessi e dei diritti nelle terre austriache, stiriane e contermini, a compenso di quanto andava perduto in Svizzera e in Alsazia. Cominciò infatti Alberto II con l'ottenere nel 1335 la Carinzia e la Carniola, in virtù di diritti provenienti dalla madre. Così la casa si estese ancora più verso sud, accentuando il moto da tempo iniziato per opera dei successori di Alberto II che continuano la linea principale. Rodolfo IV, che diede nuova potenza alla casa, e che cercò di consacrarne il prestigio, facendo redigere nella sua cancelleria il Privilegium maius (v. austria: Storia), riuscì nel 1364 ad assicurarsi la successione della figlia del duca Enrico di Carinzia, Margherita Maultasch, e a ridurre così nelle mani degli Asburgo tutti i paesi delle Alpi Orientali, Austria, Stiria, Carinzia, Carniola e Tirolo. Ma il concetto del carattere patrimoniale dello stato, così profondamente radicato, fece sì che alla morte di Rodolfo i fratelli Alberto III e Leopoldo III si dividessero i possessi della casa, iniziando una nuova divisione in due linee (linea albertina e linea leopoldina o stiriana; v. tav. a p. 775). Alberto III, dunque, nel 1365 ebbe l'Austria, Leopoldo III la Stiria, il Tirolo, la Carinzia e la Carniola: rimasero indivisi, invece, i possessi d'Alsazia. La divisione fu definitivamente sancita col trattato di Neuberg sulla Mürz (25 settembre 1379). Della branca di Alberto III, morto nel 1395, si può rammentare innanzi tutto che il nipote suo, Alberto V (era figlio di Alberto IV), ma II come imperatore, avendo sposato Elisabetta figlia di Sigismondo re di Boemia, fu nel 1437, alla morte di lui, privo di eredi maschi, istituito erede della Boemia e dell'Ungheria. Per la seconda volta, pertanto, gli Asburgo giungevano a metter piede nella Boemia; e per la prima ottenevano l'Ungheria: ambedue destinate a far parte, più tardi, dei loro possessi. Ma allora, l'acquisto della Boemia fu effimero, poiché tanto questo regno quanto quello d'Ungheria, passarono sì al figlio postumo di Alberto (morto nel 1439), Ladislao, ma anch'egli moriva nel 1457 senza figli. E così i due regni andavano perduti e si estingueva la linea albertina. Della quale l'ultimo atto d'importanza capitale è stato il conseguimento della corona regia e imperiale da parte di Alberto dal 1437 al 1439: fatto notevole, non tanto perché egli molto emergesse come imperatore, quanto perché da allora in poi, come è noto, la corona imperiale è sempre rimasta nella casa d'Asburgo.
Infatti, alla morte di Alberto fu eletto Federico d'A. (V come duca, III come imperatore), della linea leopoldina o stiriana. Costui discendeva da Leopoldo III, che nel 1386 si era lasciato battere e uccidere a Sempach dagli Svizzeri. I suoi figli, Federico IV, detto "dalle tasche vuote", ed Ernesto (gli unici ad aver maschi), avevano mirato, il primo, col figlio Sigismondo, ad affermarsi in Tirolo, l'altro a tener salda la compagine stiriana. A Ernesto, nel 1429, era successo il figlio Federico, divenuto imperatore e, a un certo momento, erede dei possessi albertini e leopoldini. La Casa, ricostituita così nella sua unità e resa illustre dalla dignità imperiale che le toccava per la quarta volta, pareva dunque destinata a riprendere più vivamente il cammino rallentato da oltre un secolo. Ma non era ancora venuto il suo vero tempo. Con Federico III, uomo di governo assai debole, si può dire, invece, che si chiude il periodo iniziato da Rodolfo I e che può essere caratterizzato dalla progressiva affermazione austriaca della Casa. Completa questo mutamento e rende definitiva la traslazione della Casa dalle Alpi e dal Reno al Danubio il fatto che, con Federico III, si sanziona il definitivo allontanamento degli Asburgo dalla Svizzera. Già con il sec. XIV era apparso chiaro che nella Svizzera l'importanza degli A. andava diminuendo di fronte alle forze rigogliose e audaci dei cantoni anelanti allora all'emancipazione, non soltanto dall'impero, ma da tutti i vecchi vincoli feudali. La battaglia di Morgarten, nel 1315, in cui Leopoldo I era stato clamorosamente battuto, aveva segnato l'inizio del progressivo e fatale distacco, sia pure lento, delle terre svizzere. La nuova vittoria svizzera a Sempach, nel 1386, significava a sua volta il crollo di tutte le speranze asburghesi di rivincita, dopo due secoli di guerra. Infine, un terzo tentativo compiuto nel 1443 da Federico d'Austria e Stiria (III come imperatore), distrugge definitivamente ogni velleità di ritorno della dominazione della Casa. La pace perpetua del 1474, regolando definitivamente i reciproci rapporti, mette fuori, per sempre, gli A. dalla Svizzera.
Terzo periodo: periodo europeo e imperiale. - Con Massimiliano I, figlio di Federico III, s'inizia, nelle vicende della Casa, un terzo periodo, che può definirsi veramente imperiale e che si può condurre sino all'estinzione della linea maschile, con la morte di Carlo VI nel 1740. Sono circa due secoli e mezzo in cui gli arciduchi d'Austria (questo titolo è stato definitivamente stabilito, come peculiare agli A., da Federico III nel 1453, ma era già venuto in uso prima), come imperatori, entrano nel grande campo delle competizioni, che sono la caratteristica fondamentale della storia d'Europa a partire dal sec. XVI. Notevole, a cominciare da questo periodo, nella condotta degli A., l'importanza assunta dalla loro accorta politica matrimoniale. L'esempio classico lo diede prima di tutti Massimiliano, il quale, sposando Maria, figlia di Carlo il Temerario, duca di Borgogna e unica erede di tutti i suoi stati (matrimonio peraltro preparato abilmente da Federico III), pervenne al possesso di terre importantissime lungo il Reno inferiore e i grandi fiumi vicini. Questo primo successo venne poco dopo consolidato e notevolmente aumentato d'importanza, con un altro notevole matrimonio: quello del figlio di Massimiliano, Filippo, con Giovanna, figlia di Ferdinando d'Aragona e di Isabella di Castiglia. Pervenne così agli A. anche il possesso del regno di Spagna e delle varie sue dipendenze. Massimiliano può essere considerato il restauratore delle fortune della Casa, anche militarmente e politicamente: rinsaldò il potere e il possesso nell'Austria, dilaniata dalle lotte occorse sotto Federico III con il fratello Alberto e dalla rivalità con l'Ungheria; annetté il Tirolo all'abdicazione (1490) del cugino Sigismondo, privo di eredi, iniziando gli interventi austriaci-asburghesi in Italia e combattendo varie guerre con Venezia, poté acquistare Gorizia, Gradisca ed altri luoghi; mantenne infine alla Casa i Paesi Bassi.
Quando egli morì nel 1519, il figlio Filippo gli era già premorto nel 1506: onde i possessi asburghesi d'Austria e Germania, dei Paesi Bassi, della Spagna e delle sue dipendenze passarono al nipote Carlo I (come re di Spagna, V come imperatore) figlio di Filippo, e già re dal 1516, cioè dalla morte di Ferdinando il Cattolico. Egli divenne anche imperatore nello stesso anno: così la dignità imperiale rimase nella Casa. Fu Carlo V il personaggio più notevole di tutta la storia della famiglia: si può dire anzi che a lui, specialmente, si deve se la Casa si pone definitivamente alla testa delle grandi dinastie d'Europa.
Nella vita, nell'azione politica, nella storia di Carlo V si debbono tener presenti diversi elementi: quello imperiale, quello spagnolo, quello asburghese. Quest'ultimo riunisce, è vero, in sé, gli altri due, ma non è così forte da divenirne l'arbitro assoluto. Prevalgono, ora ad ora, gli altri due elementi, ora separati, ora combinati: l'elemento dinastico però appare con speciale risalto nella continua lotta contro la Francia, e anche nell'azione politica svolta in Germania. La Casa era infatti divenuta la più potente della Germania, sì che gli Elettori si trovavano nella necessità di mantenere in essa, anche per il futuro, la dignità imperiale. Ma lo sforzo continuo e tenace, sostenuto per tanti anni da Carlo V, per quanto formidabile, non riusciva a impedire, in ultimo, che l'immenso organismo da lui dominato non si trovasse in crisi: onde, quando volle abdicare (1556), la situazione lo consigliò a rinunziare definitivamente all'idea fondamentale della grande monarchia vagheggiata e ad aderire più strettamente agl'interessi della Casa. Questa avrebbe perso la sua fisionomia originaria se costretta, tra Spagna ed Austria, a una dispersione di attività e soprattutto a una dispersione di propositi e di tendenze: nel che poteva correr pericolo quel fondamentale carattere che in sostanza era la ragione intima dell'esistenza della Casa stessa. Sembrò necessario pertanto a Carlo V, e, in fondo, coerente allo spirito tradizionale delle divisioni storiche patrimoniali della famiglia, di distribuire (o meglio, per quanto riguarda i paesi ereditarî della Casa d'Asburgo, di rendere definitiva la divisione già effettuata nel 1521-1522) in due nuclei, corrispondenti ai due gruppi nazionali preminenti (il tedesco e lo spagnolo), le numerose e in gran parte recenti acquisizioni della Casa, e pertanto egli le divise così: al figlio Filippo la Spagna, i Paesi Bassi (ingranditi della Frisia, del vescovado di Utrecht, di Groninga e della Gheldria) e le dipendenze in Italia (i quattro vicereami di Napoli, Sicilia, Sardegna e Milano e lo stato dei Presidî), in Africa e in America; al fratello Ferdinando, le terre che gli erano state assegnate sin dal 1521 (trattato di Worms, del 28 aprile, seguito dal trattato di Bruxelles del 7 febbraio 1522), cioè l'Austria, la Stiria, la Carinzia e la Carniola; più la designazione all'impero, già ottenuta con la sua creazione, nel 1530, a re de' Romani.
La divisione degli Asburgo: il ramo austriaco. - Questa divisione, che rinnova sistemi e concetti già altre volte attuati nelle varie successioni della Casa, ebbe conseguenze notevolissime, sia nelle fortune degli A., sia nella storia europea. Vi furono, d'allora, due potenti case d'A.: la primogenita (v. tav. a pag. 775), trasferita dal suo centro austriaco nella Spagna e, a cominciare dallo stesso Filippo II (re 1556-1598), identificata in pieno con gl'interessi e la storia della Spagna; e la linea d'A.-Austria, laterale, ma ereditiera delle terre, dello spirito e delle tradizioni secolari, ossia, in altri termini, tedesche della Casa antica. La prima linea, dopo aver tenuto un primato nella storia europea per tutto il resto del sec. XVI e per i primi decennî del sec. XVII, va man mano rinserrando la sua attività entro i limiti della penisola iberica e finisce per isolarsi completamente dalla vita europea, divenendo in tutto e per tutto spagnola: fino a che, dopo i regni di Filippo II (1556-1598), Filippo III (1598-1621), Filippo IV (1621-1665) e Carlo II (1665-1700) essa, nel 1700, si estingue. L'altra linea, dopo un periodo di modesta attività entro il resto del sec. XVI, riprende vita nel secolo seguente e riafferra insieme le tradizioni e lo spirito europeo innestato già da Carlo V, onde si può considerare la naturale continuatrice delle vere fortune della vecchia Casa. Essa pure si estingue, come linea maschile, pochi decennî dopo la prima, ossia nel 1740: ma, risorge, per così dire, con l'innesto di una nuova famiglia, che ne assume il nome e le dignità (matrimonio di Francesco Stefano di Lorena con Maria Teresa, figlia ed erede dell'ultimo imperatore e rappresentante della linea maschile, Carlo VI). Iniziatore di questa linea austriaca (v. tav. a p. 776), la vera prosecutrice degli A., è Ferdinando, fratello di Carlo V, e imperatore dal 1556 al 1564. Avendo egli sposato Anna, figlia di Ladislao, re di Boemia e di Ungheria, ereditò il primo regno, dopo la battaglia di Mohacz (1526); dell'Ungheria, invece, pur affermando su di essa i suoi diritti, non poté occupare che una piccola parte tra l'Austria e il Danubio. È da rilevare a ogni modo che, con Ferdinando I, la Boemia entra definitivamente nell'orbita asburghese; e che, insieme, s'inizia la politica di assorbimento dell'Ungheria. Da notare, anche, la prima spinta ad avanzarsi verso l'Oriente. Nello stesso tempo, comincia altresì la tendenza alla trasformazione dello stato, originariamente unitario per lingua e popolazione, in un conglomerato di popoli diversi, che diventerà la caratteristica saliente dell'Austria moderna.
Il periodo della guerra dei Trent'anni e delle lotte contro i Turchi. - Ferdinando morendo continuò il vecchio sistema delle divisioni. Fece tre parti dei possessi della Casa: a Massimiliano (II come imperatore), assegnò l'Austria, la Boemia e i pochi possessi ungheresi; a Ferdinando, il Tirolo; a Carlo, la Stiria. Come altre volte, la fortuna aiutò anche allora i destini della Casa, ricostituendone in poco volgere di tempo l'unità. Infatti, Massimiliano ebbe sì da Maria (figlia di Carlo V) cinque figli: dei quali due, Rodolfo (II come imperatore, morto nel 1612) e Mattia, salirono anche all'impero; ma, nel 1619, l'ultimo di essi, Mattia, moriva senza eredi. Rimaneva in campo Carlo di Burgau, figlio di Ferdinando del Tirolo: ma il matrimonio del padre con Filippina Welser era morganatico. Per cui, data anche la rinunzia dei fratelli di Mattia, si addivenne a un accordo e Ferdinando, figlio di Carlo di Stiria, venne designato come erede. Come tale, egli divenne imperatore col nome di Ferdinando II. Tuttavia, nel momento stesso che gli eventi riconducevano una nuova volta con curiosa persistenza alla riunificazione della famiglia e dei suoi possessi, sgombrando completamente il campo da ogni concorrenza pericolosa, il concetto della divisione non venne meno: il Tirolo fu dato, separatamente, a un fratello; l'arciduca Leopoldo. Ma anche questa volta, la sorte fece morire il figlio di costui senza eredi; e nel 1665 quella regione si riuniva nuovamente al corpo dei possessi. Ferdinando II si è reso famoso per aver contribuito, con le sue misure eccessive nel campo religioso, allo scoppio della guerra dei Trent'anni. In essa, diventata guerra generale europea e a deciso carattere politico, la politica iniziata da Ferdinando II non portò i frutti sperati. Ché anzi la pace di Westfalia (1648), con cui la guerra stessa si chiudeva, non solo sanzionò un netto declino della potenza asburghese, ma strappò anche alla Casa gli ultimi possedimenti d'Alsazia, passati alla Francia.
A un più deciso orientamento verso il sud e a un contegno piuttosto remissivo verso la Francia, nonostante le coalizioni antifrancesi in cui fu implicato l'impero, furono costretti i successori di Ferdinando, cioè Ferdinando III (1637-1657) e Leopoldo I (1657-1705), specialmente dalla necessità della lotta contro i Turchi divenuti più pericolosi e fastidiosi per l'Austria, da che tenevano occupata la maggior parte dell'Ungheria. Ma se nel 1683 le truppe della Porta arrivarono sotto le mura di Vienna, pochi anni dopo gli A. poterono prendere finalmente una vigorosa offensiva, che segnò la fine dell'incubo turco e il principio della ritirata definitiva dei Turchi. La vittoria di Zenta (1697) del principe Eugenio di Savoia-Soissons, che era al servizio degli A., e la pace di Karlowitz (1699) segnano per la prima volta questo mutamento essenziale nei rapporti degli A. con la Porta e, insieme con la conquista definitiva dell'Ungheria, il loro insediamento sul medio Danubio. Circa venti anni dopo, il trattato di Passarowitz (1718) segnava il definitivo allontanamento dei Turchi dalle pianure danubiane e iniziava anche definitivamente la politica orientale e balcanica dell'Austria.
La Prammatica Sanzione e l'estinzione della Casa. - Quando Leopoldo I venne a morte, dopo 48 anni di regno, il figlio Giuseppe I dovette continuare la guerra iniziata per la successione di Spagna, dove nel 1700 si era estinta la branca primogenita della Casa. Con gli A. di Spagna, gli A. di Austria avevano tenuto sempre una politica di amicizia, unendo spesso i loro sforzi contro la Francia: ora, si trattava di poterne raccogliere l'eredità, contrastata anch'essa dalla Francia. Gli A. d'Austria non conseguirono nei trattati di Rastatt e Utrecht (1713-14), che posero fine alla lunga guerra, e in quelli dell'Aia (1720), conchiusi dopo il tentativo del cardinale Alberoni in nome della Spagna, l'intiera eredità; ma notevole fu in ogni modo l'incremento territoriale. Poiché questo avvenne essenzialmente in Italia, si determina d'ora innanzi, per due secoli circa, la politica italiana della casa, la quale segna un consolidamento e un rafforzamento della monarchia territoriale, ma non dell'impero. Pervennero all'Austria, oltre ai Paesi Bassi spagnoli, il Milanese e, per alcuni anni, anche Napoli e la Sicilia, Parma, Piacenza e Guastalla. Tutto ciò fu realizzato non da Giuseppe I, ma da Carlo VI, suo fratello e ultimo della casa, che governò dal 1711 al 1740. Poiché egli non aveva figli maschi, né esistevano altre linee maschili, si presentò la questione della successione dei possessi asburghesi. Un primo atto, compiuto il 19 di aprile 1713, mentre stabiliva finalmente, in contrasto con il sistema antico e di origine feudale delle spartizioni patrimoniali, il principio tutto moderno della indivisibilità territoriale della monarchia, stabiliva pure la successione nella linea femminile: ne profitterà in seguito la figlia Maria Teresa, nata nel 1717. Promulgato questo atto - noto col nome di Prammatica Sanzione (v.) - nel 1713, garantito nel 1731 da una dieta imperiale, esso ebbe successivamente l'assenso di alcune delle principali potenze. Il matrimonio di Maria Teresa con Francesco Stefano di Lorena (v. tav. a pag. 777), avvenuto il 12 febbraio 1736, assicurò la continuazione della dinastia, che così diventa d'ora in poi Asburgo-Lorena. Contro tutti questi interessi, si schierò naturalmente la Francia, onde numerosi conflitti e complicazioni anche di guerra. Nel 1731, l'Inghilterra e l'Olanda riconobbero la Prammatica, ma imposero la cessione di Parma e Piacenza a Don Carlos di Borbone (il futuro Carlo III di Napoli e poi di Spagna). La Francia a sua volta, intervenendo nella guerra di successione polacca (1733-38), prese possesso della Lorena, cacciandone Francesco Stefano. Costui, in compenso, fu fatto granduca di Toscana, essendosi estinti i Medici nel 1737. Come conseguenza delle complicate vicende della guerra polacca, che fu guerra europea, Carlo VI dovette cedere allo stesso don Carlos di Borbone Napoli e la Sicilia, che così iniziarono il periodo della dinastia borbonica, durata sino al 1860.
Quarto periodo: la formazione dell'Austria moderna. - Morto il padre, Maria Teresa, donna d'ingegno e di eccezionale energia, ebbe ad affrontare una lunga e potente tempesta, che minacciò ripetutamente di spezzare la monarchia. Ma con la pace di Aquisgrana (1748), che assettò l'Europa per circa un mezzo secolo. Maria Teresa e il marito Francesco Stefano, divenuto imperatore nel 1745 (la corona imperiale, dopo la breve parentesi, è così tornata alla Casa), poterono a un dipresso mantenere i possessi tradizionali, all'infuori della Slesia, ceduta definitivamente alla Prussia e di alcune parti del Milanese, passate al re di Sardegna. In compenso, non solo rimasero compatti i possessi centrali dell'Austria, Stiria, ecc., ma anche le corone di Boemia e Ungheria, che erano rimaste fedeli durante la lotta; in più, tra gli acquisti, il granducato di Toscana, il quale peraltro fu retto sempre separatamente. Esso infatti si fissò col tempo in Ferdinando, arciduca, figlio di Leopoldo II, e nella sua discendenza.
A Francesco I successe nel 1765, come imperatore e conreggente, il figlio Giuseppe II. Per molti anni ancora, però, nei possessi della Casa e nella politica estera, dominò Maria Teresa, che può considerarsi la vera fondatrice della potenza moderna dell'Austria, tanto nello spirito nazionale, quanto in tutti i suoi organi di vita. Da lei incomincia veramente il concetto moderno di Austria, potenza e stato, che sopravanza le altre corone e stati connessi alla corona austriaca, mentre tutti questi, come un sol tutto, emergono al disopra anche dell'impero, diminuito notevolmente d'importanza e, quindi, non capace più di attingere dai possessi patrimoniali alcun ascendente, ma solo di servire di complemento e di prestigio per l'Austria. Nei riguardi diretti della Casa, essa favorì le pretese del figlio Giuseppe per la successione bavarese, apertasi alla morte del duca Massimiliano III (1777); ma poi, saggiamente, impose al figlio un accordo (di Teschen, cessione dell'Innviertel all'Austria), quando vide che ciò poteva portare a complicazioni troppo gravi in Germania, specialmente con la Prussia.
Alla morte di Maria Teresa avvenuta nel 1780, Giuseppe II, solo regnante oramai, poté tentare di centralizzare e uniformare come l'Austria, tutti gli altri possessi della Corona: senza più tener conto del modo come le varie terre erano pervenute nelle mani della Casa, delle forme particolari di dipendenza e delle diverse relazioni verso l'Austria, dei diritti e dei privilegi fino allora mantenuti e riconosciuti. Tentò ancora di annettere la Baviera all'Austria, con la proposta, fatta nel 1784 all'elettore Carlo Teodoro, di cedergli in cambio i Paesi Bassi austriaci, da erigersi in regno di Borgogna: proposta sventata dall'erede al trono bavarese, il duca di Due-Ponti (Zweibrücken), e resa poi impossibile da una formidabile rivolta scoppiata negli stessi Paesi Bassi. - L'opera di Leopoldo II, successo nel 1790, mirò a rendere stabile l'assetto politico e a reggerlo con norme immutabili: concetto direttivo che è stato poi raccolto, specialmente, dal principe di Metternich, e da lui mantenuto rigidamente durante il suo governo dal 1814 al 1848. Al figlio Francesco II (come imperatore tedesco) la sorte impose di sostenere il lungo conflitto con la Francia rivoluzionaria e con Napoleone.
Quinto periodo: l'impero d'Austria. - In esso è difficile discernere ciò che tocca all'imperatore da ciò che riguarda l'Austria e la Casa di A. In complesso, lo sforzo maggiore lo hanno fatto queste ultime; queste ultime hanno sofferto le perdite maggiori. In fine l'impero romano-germanico scompare (1806). Cessa, allora, la connessione secolare della Casa di A. con la millenaria istituzione; e s'impone in tutto il suo vigore la potenza austriaca propriamente detta. Ciò prevedendo, Francesco II aveva assunto sin dal 1804 il nome di Francesco I, imperatore d'Austria: dando così inizio all'ultimo periodo della storia della Casa, che è periodo essenzialmente austriaco. I risultati più notevoli delle lunghe lotte, ossia quelli che hanno durevoli conseguenze, si possono così riassumere: acquisto della Venezia (1797), che in tal modo allarga la sfera d'influenza austriaca in Italia; riacquisto, col trattato di Vienna (1814-1815), della Lombardia, arricchita dalla Valtellina; ciò che porta alla creazione del regno Lombardo-Veneto; perdita dei Paesi Bassi austriaci, ossia del Belgio, in cambio della Lombardia; acquisto della Dalmazia, che agevola la via alle attività commerciali marittime e fa dell'Austria anche una potenza marittima col dominio dell'Adriatico. Nell'insieme, gli A., respinti dal nord, si allargano a sud, nella penisola balcanica e nella italiana. Altri mutamenti di minore importanza afforzano la nuova posizione degli A. in Italia: come la conferma del ducato di Modena a Francesco IV, figlio dell'arciduca Ferdinando, che fu fratello dei due imperatori Giuseppe II e Leopoldo II, e marito dell'ultima Estense Beatrice. Con ciò si spiega la grande e speciale politica italiana dell'Austria dal 1815 al 1859.
Francesco I d'Austria ha regnato sino al 1835. Autocrate nell'anima, alla vecchia maniera asburghese, poté forse essere compreso dagli Austriaci, perché connazionale, e parere anche paterno ("il buon Francesco"): ma degli altri popoli egli non seppe quasi mai capire né il sentimento né i bisogni, talché finì con l'eccitare in ciascuno le resistenze nazionali. Con lui, pertanto, s'inizia il conflitto delle nazionalità. Il che vuol dire, in sostanza, che declina la funzione secolare della Casa, cioè il coordinamento in unità e il governo di piccoli gruppi nazionali o di frammenti di nazionalità, troppo piccoli per esistere isolatamente o non ancora saldati col grosso della nazione.
Nel 1835 successe a Francesco il figlio Ferdinando I, mediocre se non nullo, che il novembre 1848 abdicò, lasciando il trono al nipote Francesco Giuseppe, figlio dell'arciduca Francesco Carlo (morto nel 1878). Mente piuttosto ristretta e uomo senza profondi sentimenti, il nuovo imperatore ha impersonato per 68 anni l'Austria e la dinastia, nella fase del loro dissolvimento. Tragedie su tragedie, nelle vicende della famiglia! Quanto più prolifici sono stati i diversi rami cresciuti sul ceppo di Giuseppe II e di Leopoldo II, quanto più rifiorente è apparsa nel sec. XIX quella stirpe gentilizia, tanto più, e crudamente, sono emerse le miserie e le malattie ereditarie per le quali di tanti rampolli non uno ha potuto elevarsi per qualche attitudine geniale o per qualche capacità, ma tutti più o meno sono precipitati o nella pazzia o nelle malattie o sono stati investiti dal processo di degenerazione fisiologica o hanno vissuto in povertà di vita spirituale e morale. E dove non si è accanita questa o quella forma di tabe ereditaria, si è sbizzarrito il caso cieco e crudele, togliendo di mezzo con accidenti imprevisti le poche personalità che potevano dar luogo a qualche speranza. Qualcuno si è sollevato sopra la turba incolore dei numerosi arciduchi, vale a dire i due principi ereditarî, l'arciduca Rodolfo, figlio di Francesco Giuseppe, e più tardi l'arciduca Francesco Ferdinando suo nipote. All'uno e all'altro sono stati attribuiti disegni e aspirazioni di vasta portata, tali che rivelavano pensiero e carattere non comuni. Ma all'uno e all'altro la sorte ha riserbato morte violenta. Delle avventure del principe Rodolfo, trovato morto a Mayerling insieme con la baronessina Vetsera, nel 1889, sono state piene le cronache per lunghissimo tempo, e ancora, di tanto in tanto, affiora qualche nuovo elemento, qualche nuova circostanza o ipotesi, a spiegazione di una tragedia senza eguali. L'altro è caduto vittima di una situazione politica che l'Austria stessa aveva contribuito a invelenire: e più chiaramente che non nel primo caso, fu colpita in lui una determinata tendenza; anzi, meglio, una precisa volontà politica. In altri termini, quei due unici notevoli personaggi di tutta la vasta casata rappresentarono volontà di rinnovamento in mezzo alla profonda crisi che monarchia e dinastia hanno attraversato nella seconda metà del secolo XIX. Crisi minacciosa, perché importava un'ulteriore e radicale trasformazione dell'Austria e della casa regnante di fronte ai poderosi problemi delle nazionalità. Altre volte, nei secoli, gli A. avevano saputo affrontare e superare situazioni di completo rinnovamento e spostamento d'interessi: ma, negli ultimi decennî del sec. XIX e nei primi del XX, non ostante l'apparente splendore dell'impero e il saldo appoggio che la monarchia aveva nella Triplice Alleanza, i problemi si presentarono addirittura insolubili. Per secoli e secoli, la dinastia aveva saputo superare ogni ostacolo; ma perché saldamente assisa sulla sua base tedesca. Da ultimo, invece, questa base non reggeva più da sola, tanto che i Tedeschi d'Austria incominciarono, sotto il regno di Francesco Giuseppe, a guardare con insistenza alla Germania, e la dinastia si trovò di fronte al tormentoso problema delle sue relazioni con le altre nazionalità, in una via senza uscita. Sarebbe occorso allora, un uomo geniale, una volontà chiara, un politico di stile. Ma da 350 e più anni nessun alto ingegno rinnovava più i propositi e le qualità di un Carlo V. Nulla autorizza a pensare che il nuovo Carlo si sarebbe rivelato o nell'arciduca Rodolfo o in Ferdinando. Certo è, tuttavia, che il destino, così indulgente e amico agli Asburgo in mille altre occasioni, questa volta, sopprimendo quelle giovani speranze, accelerò la catastrofe.
Non avendo Francesco Giuseppe avuto altri maschi, oltre Rodolfo, la successione doveva passare ai discendenti di uno dei suoi tre fratelli, cioè di Carlo Lodovico (che morì nel 1896): poiché gli altri due, Massimiliano, l'infelice imperatore del Messico, e Lodovico Vittorio non ebbero eredi. Ora, il primo dei figli di Carlo Lodovico, l'arciduca Francesco Ferdinando, avendo sposato morganaticamente la contessa Sofia di Chotek non poté, per gli statuti della Casa, trasmettere gli eventuali suoi diritti per la corona ai proprî figliuoli, uno dei quali, morto lui a Seraievo il 28 giugno 1914, avrebbe dovuto normalmente succedergli. Invece, divenne erede due anni dopo, alla morte di Francesco Giuseppe imperatore (1916), l'arciduca Carlo Francesco Giuseppe, nato nel 1887 dall'arciduca Ottone, che era fratello dell'assassinato Francesco Ferdinando, e che già nel 1906 era morto. Carlo assunse il nome di Carlo I, come imperatore d'Austria (IV come re d'Ungheria), ed ebbe regno breve e tormentatissimo. Egli è stato una semplice comparsa negli ultimi precipitosi eventi della Guerra mondiale: travolto dal disastro andò in esilio con la moglie Zita di Parma e i suoi numerosi piccoli figli, da prima nella Svizzera, in ultimo all'isola di Madera, dove una violenta polmonite lo uccise giovanissimo ancora. La vedova e i figli ripararono nella Spagna e d'allora vivono modestamente - anche la fortuna patrimoniale è andata in gran parte compromessa nel disastro - in attesa forse di avvenimenti che paiono oramai impossibili. Certo, non sono state abbandonate le speranze di mettere almeno sul trono di Ungheria - e non di sorpresa, come altra volta! - il figlio Ottone, quando sia possibile. Ma il consentimento degli stati vincitori appare, almeno per ora, assai lontano. I discendenti diretti della storica dinastia sono adesso ridotti agli otto figli di Carlo I, destinati a semplice vita privata. La funzione dinastica della famiglia è finita.
Esistono, veramente, accanto alla linea già regnante, altre linee, e tutte ricche di rampolli, laterali, discese cioè da secondogeniti o terzogeniti di vecchi sovrani, a partire dalla fine del sec. XVIII. Per avere anch'esse regnato un certo tempo su qualche stato minore non sono senza storica importanza. Non parliamo di quella messicana, che ebbe debole inizio con Massimiliano d'Austria, fratello di Francesco Giuseppe e marito di Carlotta del Belgio, e che fu stroncata dalla fucilazione di Queretaro (1867). Ma vi sono altre due branche, veramente regnanti, che hanno potuto acquistare una fisionomia ben netta e che hanno discendenti tuttora vivi: quella di Toscana e quella di Modena (v. tavola). Da Francesco I, marito di Maria Teresa, e a sua volta primo granduca di Toscana della casa di Lorena, proviene, come secondogenito, quel Leopoldo che fu per lunghi anni granduca, continuatore della nuova linea granducale, per quanto negli ultimi anni di vita, dal 1790 al '92, sia successo nell'impero al fratello Giuseppe II. A sua volta egli ha ceduto la Toscana al suo secondogenito, Ferdinando III, nato nel 1769, spodestato dopo pochi anni di regno da Napoleone e riassiso sul vecchio seggio granducale nel 1814 con la Restaurazione. Morì nel 1824, lasciando erede e successore il figlio Leopoldo II che dovette allontanarsi definitivamente dallo stato nel 1859. Costui morì nel 1870, lasciando una numerosa discendenza. È notevole, in questa linea granducale, una maggiore nobiltà di sentimenti nei suoi varî membri, una maggiore intelligenza, un più largo spirito, in confronto dei varî imperatori austriacî da Francesco I a Ferdinando I e a Francesco Giuseppe, uomini di ristretta e torpida mente; in Ferdinando III e Leopoldo II anche certa avversione alle crude direttive di governo dei loro confratelli d'oltre Alpe. Quanto poi alla branca di Modena, essa prende inizio dall'arciduca Ferdinando, uno dei numerosi fratelli dell'imperatore Leopoldo II, nato nel 1754 e morto nel 1806. Avendo sposato Beatrice, figlia ed erede dell'ultimo duca estense, Rinaldo, egli fu investito del ducato di Modena, il quale, perduto durante le vicende napoleoniche, fu poi restituito alla famiglia, nella persona del figlio Francesco IV, che lo tenne sino alla morte, avvenuta nel 1846. Il figlio e successore Francesco V regnò soltanto sino al 1859: quindi visse, spodestato, sino al 1875. Questa branca allora si estinse; e titoli, diritti e possessi privati passarono a Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe imperatore e discendente da Giuseppe II, fratello di Ferdinando, primo duca d'Austria-Modena. Resta ancora un discreto numero di arciduchi, discendenti dai numerosi figli dell'imperatore Leopoldo, per quanto cinque di questi non abbiano avuto prole maschile. A parte i discendenti della linea granducale di Toscana, che si distinguono appunto con questo nome, sono da rilevare i discendenti dell'arciduca Carlo (v.), ottimo generale al suo tempo, anzi uno dei pochi A., insieme col figlio Alberto duca di Teschen (1817-95), che abbia avuto vera capacità militare. Un fratello dell'arciduca Carlo è stato quell'arciduca Ranieri (1783-1853), che fu viceré del Lombardo-Veneto e che ebbe un figlio, omonimo, nato nel 1827. Oggi, i più notevoli dei vari gruppi e gruppetti sono i cosiddetti A. di Toscana, ossia i discendenti della casa granducale. Da rilevare che, mentre nel passato le numerose divisioni e suddivisioni comportavano, oltre alle divisioni dei possessi patrimoniali, anche aggiudicazioni territoriali politiche, oggi ai vari A. non rimangono, ove pure li abbiano conservati o riavuti, dopo le confische o le restituzioni decretate dagli stati successori, se non semplici possessi privati patrimoniali. Ridotti al rango di privati cittadini, gli ultimi A. hanno cessato di godere di quella posizione privilegiata che proveniva loro dai legami con la casa regnante d'A.-Austria.
Bibl.: Abbondanti e aggiornate notizie bibliografiche si possono rinvenire nella Bibliographia Hungariae, I, Berlino e Lipsia 1923, pp. 41-48. Cfr. specialmente G. de Roo, Annales rerum ab Austr. Hasbsurg. gentis principibus a Rudolpho I usque ad Carolum V gestarum, Innsbruck 1592; M. Herrgott, Genealogia diplomatica augustae gentis Habsburgicae, Vienna 1737-38; Ed. von Lichnowsky, Geschichte des Hauses Habsburgs, Vienna 1836-44; A. Schulte, Geschichte des Hauses Habsburgs in den ersten drei jahrh., Innsbruck 1887; T. Liebenau, Die Anfänge des Hauses Habsburgs, Vienna 1885; O. Redlich, Rudolph von Habsburg, Vienna 1902; F. Weihrich, Stammtafeln zur Geschichte des H. Habsb., Vienna 1893; A. Wolf, Die Pragmatische Sanction, 1849; L. Asseline, Histoire d'Autriche depuis Marie Thérèse jusqu'à nos jours, Parigi 1877; A. Steinwenter, Beiträge zur Geschichte der Leopoldiner, Vienna 1879; A. Springer, Geschichte Österreichs seit dem Vertrage von Wien, Lipsia 1863-65; R. Maag, Das Habsburgische Urbar, Basilea 1894; W. Merz, Die Habsburg, Aarau 1896; H. Steinacker, Die Registen der Grafen von Habsburg bis 1281, Innsbruck 1905; M. Vancsa, Die Anfänge des Hauses Habsburg in Österreich, Lipsia 1917; A. Dudan, La monarchia degli Asburgo, voll. 2, Roma 1915: L. Léger, Histoire de l'Autriche-Hongrie, Parigi 1920. Cfr. anche O. Rubbrecht, L'origine du type familial de la maison de Habsbourg, Bruxelles 1911.