Casta
La casta è tuttora, in India, un'istituzione dominante e assai diffusa.
Tra gli obiettivi dichiarati della Costituzione che l'India indipendente si diede nel 1950 vi era la creazione di "una società senza caste né classi". In questa direzione sono stati fatti alcuni passi. Per assicurare uguali opportunità di partecipazione politica fu introdotto un sistema parlamentare democratico, basato sul diritto di voto per tutti i maggiorenni. Per raggiungere il duplice traguardo del rapido sviluppo economico e della giustizia distributiva, la programmazione economica divenne lo strumento principale della politica sociale dello Stato. Per rimediare all'emarginazione sociale subita dalle vecchie caste di intoccabili e per attirare la popolazione tribale nel processo evolutivo della vita nazionale, fu adottata una politica di 'discriminazione protettiva'. Alle tribù e alle caste 'schedate' (con questo termine venivano indicate nella Costituzione le vecchie caste di intoccabili) furono riservati seggi in parlamento e nell'assemblea legislativa nazionale, posti e borse di studio nelle scuole, posti di lavoro nella pubblica amministrazione e nelle organizzazioni del settore pubblico.
Queste misure progressiste, tuttavia, sembrano aver avuto l'effetto di inasprire il senso di casta, quello etnico e altri sentimenti di appartenenza. Ma il significato sociale della casta è mutato; d'ora in poi studiare la casta nell'India moderna significherà esaminare la peculiare capacità di adattamento di questa antichissima istituzione e cogliere le contraddizioni generate dalle forze del cambiamento sociale.Lo studio della casta vanta una lunga e illustre tradizione culturale. I primi missionari e viaggiatori europei e gli amministratori britannici ci hanno lasciato una ricca raccolta di dizionari geografici, monografie e censimenti, che descrivono dettagliatamente i vari usi e costumi delle caste e delle tribù sparse nelle differenti zone del paese. A tali opere va aggiunto il contributo degli indologi che, nello studio della casta, risalirono fino ai testi sacri per coglierne le ragioni di fondo. I sociologi e gli antropologi di professione, entrati in scena dopo il 1920, tennero conto di questa ricca tradizione di ricerca empirica ed erudita. Non sorprende, dunque, l'alto livello di elaborazione teorica raggiunto dagli studi sulla casta nella sociologia indiana di oggi.Per cogliere la capacità di sopravvivenza e di adattamento della società di casta e il mutamento intervenuto nel concetto di casta è opportuno, in primo luogo, evidenziare le caratteristiche attribuite alla società di casta tradizionale. Nel cap. 2 si cercherà di formulare un elenco di queste caratteristiche, ma dando risalto alle variazioni regionali. Esso ci sarà utile per rilevare i cambiamenti occorsi nella società castale, che saranno discussi brevemente nel cap. 3 e quindi considerati, nel cap. 4, alla luce delle diverse teorie relative a tale società.
Il miglior modo di introdurre il discorso sulla casta è prendere le mosse dal mito delle origini della società castale.Il Rig Veda, che si suppone sia stato composto tra la fine del secondo e l'inizio del primo millennio a. C., accenna, nell'inno Puruṣasūkta, a un sacrificio agli dei durante il quale dalla divisione di Puruṣa - l'uomo primigenio - vennero alla luce, l'uno dopo l'altro, i quattro varna: il Brāhmaṇa, lo Kṣatriya, il Vaiśya e lo Śūdra (v. Tambiah, 1973). Il primo, cui fu assegnato il rango più alto, essendo nato dalla testa, fu associato all'insegnamento, al sacrificio e al privilegio di ricevere doni; lo Kṣatriya, secondo in ordine di rango, generato dalle spalle, fu associato alla protezione di tutte le creature; il Vaiśya, nato dalla coscia e terzo per rango, fu associato al commercio, al pascolo e alla pratica del prestito a usura; infine lo Śūdra, nato dai piedi, fu associato alla servitù.Il Manusmṛti, che risale al primo millennio a. C., prescrive il matrimonio endogamo all'interno del varna; in caso di matrimonio fra appartenenti a varna diversi gli sposi perdono il proprio status in maniera diversa a seconda dei ranghi relativi dei rispettivi varna: l'unione di un uomo con una donna di rango inferiore (ipergamia) comporta l'abbassamento del rango per gli sposi e per i loro figli, ma quella di una donna con un uomo di rango inferiore (ipogamia) comporta severe punizioni.
Una donna della casta brahmanica e uno śūdra, sposandosi, sono condannati, con la loro prole, allo status di caṇḍāla, costretti a vivere nei luoghi di cremazione, a mangiare avanzi e a indossare gli abiti dei morti. Il caṇḍāla è considerato come una jāti, inferiore per rango allo śūdra ed escluso dall'ordine dei varna.Questo accenno all'inno Puruṣasūkta illumina i tratti salienti della società castale: l'importanza attribuita alla 'nascita', all'osservanza di appropriate regole matrimoniali (viene preferita l'endogamia, tollerata l'ipergamia, mentre l'ipogamia è trattata con durezza), alla gerarchia e alla specializzazione nel lavoro, come pure l'implicazione che la mescolanza dei varna genera altre categorie dette jāti.
In questo testo, dunque, con jāti si intende una categoria posta al di fuori e al di sotto dell'ordine dei varna (v. Tambiah, 1973), mentre nel linguaggio comune il termine è riferito a gruppi endogami di un determinato territorio e di uno stesso rango, che condividono la lingua, il lavoro, i costumi e le credenze.
Di solito una jāti si richiama a uno dei varna per collocarsi nella locale gerarchia delle jāti. Lo schema quadripartito dei varna diventa ovunque un sistema di riferimento per le migliaia di jāti presenti in India. I varna, contrariamente alle jāti, non si riferiscono a gruppi interagenti.Va tenuto presente che lo schema dei varna non contempla l'intoccabilità. Certamente i Veda menzionano un gruppo di infimo livello, i cui appartenenti - i caṇḍāla - badano ai luoghi di cremazione e si nutrono di avanzi: le idee correlative di purità e impurità, si potrebbe dire, sono presenti nei Veda e i caṇḍāla sono, probabilmente, i proto-intoccabili. Ad ogni modo l'intoccabilità in senso rigoroso è un concetto postvedico, il frutto dell'applicazione sistematica delle idee di purità e impurità al sistema jāti - il sistema che informa la vita quotidiana degli indù -, ed è parte integrante di tale sistema, sia nelle aree urbane, sia in quelle rurali.Il termine 'jāti' può denotare un genere o una specie: nel pensiero indiano lo si impiega per classificare e ordinare non soltanto i raggruppamenti umani, ma anche piante, animali, cose (v. Davis, 1983, pp. 45-49). Spesso maschi e femmine sono considerati come jāti differenti; inoltre, data la natura segmentaria del sistema castale, anche quando si riferisce a gruppi sociali di uno stesso rango, il termine 'jāti' subisce variazioni contestuali. Per esempio, tutti i brāhmaṇa di Sripuram (v. Béteille, 1965), un villaggio del distretto di Thanjavur nel Tamil Nadu, formano un unico gruppo contrapposto alle altre caste brahmaniche. In materia di culti e credenze, però, si suddividono in due sottogruppi: gli Sri Vaishnava e gli Smartha. A loro volta gli Smartha si suddividono in due categorie, i Brihacharanam e i Vadama, che assumono un valore discriminante in caso di matrimonio. In alcuni contesti, usando il termine 'jāti' si può intendere il gruppo endogamo, in un altro ambito, sociopolitico, ci si può riferire all'intera comunità brahmanica del villaggio. Dal contesto, inoltre, dipende anche il grado di segmentazione del sistema castale: è questo un aspetto importante del sistema. Nel Tamil Nadu, per esempio, la casta degli intoccabili Paraiyan si suddivideva solitamente in Sangu Paraiyan, Karum Paraiyan, Palla Paraiyan e Vinnamagalathan Paraiyan; suddivisione che, ormai, è priva di significato (v. Moffatt, 1979).
Questa elasticità nell'uso del termine 'jāti' viene via via rimpiazzata da un impiego codificato per opera del governo e dei tribunali, che, nelle loro operazioni, hanno bisogno di definizioni standard.
Il termine 'jāti' viene spesso distinto dal termine 'casta', che deriva dal portoghese casta e significa razza o genere. Nel presente contesto consideriamo il termine 'casta' come sinonimo di 'jāti', perché questo è il significato ormai sancito dall'uso. Per evitare confusioni ci limiteremo a utilizzare il termine 'casta'; in questo modo potremo riferirci alle suddivisioni di una casta chiamandole 'sottocaste'.
Un importante aspetto della casta, già accennato riferendoci a Manu, è l'appartenenza per nascita. Non è facile cambiare il proprio status di casta acquisito alla nascita. Si può essere cacciati dalla casta se se ne viola una regola importante: la punizione, in tal caso, è di solito più severa per la donna che per l'uomo. Il solo modo per liberarsi della casta è, rinunciando al mondo, diventare un asceta o saṃnyāsin.Per regolamentare la nascita vi sono norme matrimoniali. Anche se tali regole variano da regione a regione, la pratica generale è l'endogamia di casta. L'ipergamia, comunque, non è inusuale: su base territoriale essa è praticata tra i Patidar della regione di Charmotar, nel Gujarat centrale, tra i brāhmaṇa Anavil del Gujarat meridionale e, nel passato, tra i Nayar del Kerala e tra i brāhmaṇa del Bengala (v. Mandelbaum, 1970, pp. 236-240).
Le norme matrimoniali conducono a quelle di discendenza. In diverse caste, specialmente tra i Rajput e i Jat dell'India settentrionale, le regole di discendenza patrilineare svolgono un ruolo importante nel dividere la casta in clan ordinati gerarchicamente e in lignaggi. I sociologi che hanno compiuto le loro ricerche nell'India settentrionale tendono a sottolineare l'importanza del lignaggio o del clan in quanto unità elementari costitutive della casta (v. Kolenda, 1984). Questa concezione, comunque, si adatta meglio alle caste alte che a quelle basse, tra cui il principio del lignaggio è più debole: in effetti questo principio è ben sviluppato solo tra le caste ricche e potenti.
Le caste sono associate anche a specifiche attività lavorative. La specializzazione nel lavoro è stata discussa in due diversi contesti. Gli storici dell'economia notano la minuziosa divisione del lavoro che può aver luogo tra caste diverse: per esempio è possibile che quelli che cuciono scarpe di pelle provengano da una casta e quelli che le rifiniscono da un'altra (v. Raychaudhuri, 1984). In casi estremi le caste possono differenziarsi persino per il modo di lavorare: così, per come adoperavano l'ago nel tessere le reti - da sinistra a destra e dal basso in alto - le caste di pescatori dei Kaibartta e dei Tiyar si distinguevano e si ritenevano superiori a quella dei Malos. I Teli Gacchuna, che ricavavano l'olio schiacciando il seme tra due rulli di legno, si consideravano distinti dai Teli Bhunja che, per prima cosa, lo essiccavano. Queste due sottocaste Teli erano state tuttavia escluse dal più comprensivo gruppo castale Teli (v. Gupta, 1984). Secondo Weber (v., 1923), tale forma di minuziosa divisione del lavoro riduceva perfino un'attività specializzata a un insieme di movimenti rituali, che impedivano l'innovazione; la specializzazione del lavoro associata alle caste evidenziava gli aspetti magici della società castale. Nel complesso Weber riteneva che la casta avesse agito come una barriera allo sviluppo capitalistico. Questa tesi è stata sottoscritta anche da alcuni storici dell'economia (v. Raychaudhuri, 1984). Viceversa, secondo Milton Singer (v., 1960), il ritualismo tramandato nella pratica dei mestieri potrebbe aver consentito agli artigiani di perfezionarsi; dopo tutto, anche le regole dettagliate relative all'esercizio dei mestieri lasciavano spazio all'innovazione.Il secondo contesto entro cui ci si è occupati della specializzazione nel lavoro è quello inerente alla descrizione della società castale al livello del villaggio, in quanto basata su relazioni jajmani non di sfruttamento. Seguendo W. H. e C. Wiser, molti studiosi considerano il rapporto patronato-clientela, che intercorre tra una casta dominante di proprietari terrieri del villaggio e le caste che provvedono ai servizi, come un insieme di relazioni jajmani. Il termine 'jajman' è la forma vernacolare del sanscrito 'yajamāna', che indica il patrono che guida il yajña, il rito del sacrificio agli dei.Il jajman regna incontrastato sia nell'ambito sacro che in quello secolare del villaggio e riceve vari tipi di servizi dai diversi segmenti del villaggio, secondo modalità stabilite. Così il barbiere del villaggio serve la famiglia del jajman e, come vuole la consuetudine, riceve in cambio, nel periodo della mietitura, derrate di grano sufficienti a coprire il suo fabbisogno per un anno. Quando il barbiere o sua moglie compiono determinati atti rituali in occasione di matrimoni o nascite, ricevono in dono cibo e vestiti. Parimenti il jajman gode delle prestazioni del lavandaio, del carpentiere, del fabbro e del brāhmaṇa. La caratteristica della relazione jajmani cui si dà spesso risalto è la reciprocità equilibrata che realizza. Essa abitualmente specifica obblighi e privilegi mutui tra le diverse caste del villaggio. Proprio in ciò, secondo Leach (v., 1960), consiste la differenza tra la società di classe e quella di casta: nella prima la maggioranza dipende dalla minoranza al potere; le regole del jajmani, nella seconda, fanno in modo che la minoranza al vertice dipenda dalla maggioranza alla base. Il jajman non può facilmente cambiare i suoi barbieri o carpentieri senza correre il rischio di boicottaggio da parte dell'intera casta dei barbieri o dei carpentieri. Leach da ciò argomenta che le caste sono essenzialmente gruppi complementari piuttosto che competitivi.Viceversa altri studiosi considerano il jajmani un sistema di sfruttamento. In particolare c'è chi sostiene che la reciprocità equilibrata nasconda un sistema di sfruttamento, in quanto gli effettivi rapporti di produzione non rientrano nella sfera del jajmani (v. Beidelman, 1959; v. Meillassoux, 1973).
Non risulta chiaro dalla letteratura se il sistema jajmani, oltre alle caste degli addetti ai servizi, includa pure gli agricoltori; ma quello tra proprietari terrieri e agricoltori è anche un rapporto tra patroni e clienti fondato sulla 'servitù per debito' - un'istituzione onnipresente nell'India rurale. Nella regione del Kumaon, nell'Uttar Pradesh, gli intoccabili Kolta ottengono un piccolo prestito dai proprietari terrieri per le spese di matrimonio. Per estinguere il debito lavorano in cambio di una paga bassissima nelle proprietà del creditore e, spesso, accettano persino che le proprie mogli diventino sue amanti; esistono anche casi, venuti alla luce di recente, in cui il creditore le fa prostituire (v. Galey, 1983). In questo sistema di servitù le condizioni variano a seconda dello status di casta del debitore: a debitori appartenenti a caste relativamente alte non si chiede di lavorare nella casa del creditore, né si pretende che le loro mogli soddisfino gli appetiti sessuali del padrone.In base al sistema della servitù per debito, in alcune zone dell'Uttar Pradesh, i proprietari terrieri pretendono che i loro clienti senza terra lavorino gratuitamente per un certo numero di giorni pattuito (beggar days) nelle loro terre.
Nel Gujarat l'istituzione del lavoro coatto è detta 'sistema hali'; in alcune zone del Karnataka si chiama 'relazione jita'. In breve, l'istituzione della servitù per debito è assai diffusa nell'India rurale. I suoi molteplici tratti oppressivi, improntati allo sfruttamento, furono abbastanza mitigati nel passato, per la carenza di agricoltori, che costrinse i proprietari terrieri a trattarli con particolari riguardi. Per esempio, in alcune zone del Tamil Nadu, durante l'annuale festa per la mietitura veniva osservata una formale inversione dei ruoli: gli agricoltori venivano intrattenuti e 'corteggiati' dai loro patroni, affinché acconsentissero a lavorare le loro terre. Pur con tutti i suoi difetti, l'istituzione del lavoro coatto era fonte di sicurezza per gli agricoltori.La relazione jajmani forniva un certo grado di autonomia - dalle influenze dei mercati più ampi - all'economia e alla società del villaggio, e a quest'ultima un'intrinseca stabilità. Ciò tuttavia non autorizza a ritenere che il villaggio fosse un'unità autosufficiente.
Nell'antica India le relazioni jajmani non prevalevano in tutti i villaggi: in alcuni i servizi si ottenevano in cambio di una paga (v. Thapar, 1984). Gli storici rilevano che il sistema jajmani non era diffuso neppure nel periodo britannico. I dati demografici mostrano che nel periodo 1901-1951 la quota di lavoratori non impegnati in occupazioni tradizionali crebbe, suggerendo un declino del sistema (v. Commander, 1983; v. Kolenda, 1984). Oggi la demografia di casta dei villaggi varia da una regione all'altra e quasi il 78% dei villaggi conta meno di duemila abitanti (v. Rao, 1977). In villaggi così spopolati è difficile che il numero delle caste sia completo.
Le relazioni jajmani accentuano la complementarità, ma un aspetto della complementarità è la separazione. Le persone che sono costrette nell'universo di casta prendono coscienza delle differenze che separano 'noi' da 'loro'. Perciò i simboli di separazione - i segni distintivi - assumono importanza nella società castale. Sono segni distintivi i capi di vestiario, le abitudini alimentari, il lavoro, la scelta degli dei, i segni di casta sulla fronte, la forma di culto e vari altri aspetti degli stili di vita e di lavoro. L'importanza dei segni distintivi dipende dal livello di segmentazione. In certe zone del Tamil Nadu il portare una fascia sacra, il vegetarismo e l'apprendimento del sanscrito possono risultare rilevanti nel differenziare i brāhmaṇa dai non brāhmaṇa; per differenziare le caste di brāhmaṇa l'una dall'altra acquista importanza il modo in cui il cibo è preparato, e persino quello in cui è servito.
Abbiamo già notato, in un altro contesto, come sia fra i Teli sia fra i pescatori dell'India del nord le caste si differenzino mediante gli stili di lavoro; ciò che è importante sottolineare qui è che la coscienza della separazione può conferire a un qualsiasi particolare oggetto o aspetto dello stile di vita e di lavoro un valore metonimico. Le caste hanno la tendenza a simbolizzare le differenze, cioè a produrre segni distintivi. La separazione implica anche l'inclusione. La casta o il gruppo sociale che subisce la separazione a un determinato livello usufruisce dell'integrazione a un altro livello. È questo il principio che opera nel modo in cui gli indù assorbono alcune tribù (v. Bose, 1967): un gruppo tribale, venendo a contatto con l'induismo, tende a diventare una casta - usualmente di basso rango. Trattando la tribù come una casta separata, la si esclude dal novero delle caste non tribali e la si distingue da queste; al tempo stesso, in quanto casta, la tribù è inserita nel sistema delle stabili transazioni intercastali che caratterizzano la società indù.
La società castale non soltanto separa le caste l'una dall'altra, ma le ordina secondo una gerarchia. Il famoso inno Puruṣasūkta, già citato, postula una gerarchia tra i quattro ordini di varna: gli śūdra sono inferiori ai dvija o 'nati due volte' e, tra questi, il brāhmaṇa occupa la posizione superiore, seguito dallo kṣatriya e, quindi, dal vaiśya. Nel Manusmṛti la nozione di ordinamento si fa ancora più elaborata. Occorre sottolineare che quello appena citato non era un ordine gerarchico universalmente accettato in India: nei testi sacri buddhisti lo kṣatriya è di rango superiore al brāhmaṇa (v. Thapar, 1984). Come si vede, le dispute sul rango non sono un tratto moderno.
La gerarchia di casta può essere concepita secondo due modelli: in termini di attribuzioni o di interrelazioni. Secondo il primo modello sono gli attributi di una casta a fornire i criteri per l'ordinamento delle caste; per il secondo il punto focale è costituito dalle loro interrelazioni. Un illustre esempio del primo modello è il modo in cui Dumont (v., 1967) concettualizza la gerarchia di casta. Il rango di una casta - premette Dumont - può essere determinato solo in relazione al tutto. Secondo questo autore quella di casta è una gerarchia essenzialmente religiosa, fondata sul concetto di purità-impurità. L'ordine varna è visto, in primo luogo, come dicotomia fra i varna dvija, da una parte, e gli śūdra, dall'altra; questi, esclusi dalla vita religiosa, sono inferiori a quelli che vi partecipano in virtù della seconda nascita. A loro volta i dvija si dividono in brāhmaṇa e kṣatriya, di rango superiore, da una parte, e vaiśya, dall'altra. A un livello più alto i brāhmaṇa si contrappongono agli kṣatriya: ai primi, di rango superiore, sono assegnate le funzioni sacerdotali, il che riflette la priorità della purità sul potere.Dumont rileva una contraddizione nel sistema jāti, dove spesso un commerciante (o un agricoltore) vegetariano è classificato di rango inferiore allo kṣatriya, non vegetariano. In base a questo fatto Dumont sostiene che, mentre nel sistema varna (livello 'primario' o 'non segmentato') il potere è sempre subordinato alla purità, nel sistema jāti (livello 'secondario' o 'segmentato') spesso alla purità è negata la precedenza sul potere: secondo Dumont la gerarchia, per sopravvivere, chiude un occhio.
Il modello interrelazionale di gerarchia è stato sviluppato da McKim Marriott (v. Marriott e Inden, 1977). Secondo questo studioso, scambiandosi beni alimentari e servizi, le caste si affrontano in una partita dove la posta in gioco è il rango. Ricevere determinati cibi cotti o accettare acqua equivale a concedere rango; servire gli altri come barbiere o come orafo significa concedere rango. In questo gioco di casta la strategia di ogni casta consiste nell'evitare, per quanto possibile, di accettare beni di poco conto e nel costringere le altre caste a fornire servizi di tipo personale e beni di valore. Una casta di rango inferiore, per salire nella gerarchia, deve astenersi dall'eseguire lavori umili e dall'accettare generi alimentari di scarso valore; inoltre deve costringere le altre caste ad accettare il suo status appena acquisito, inducendole a modificare appropriatamente le loro transazioni con essa. Secondo questo modello, la gerarchia non è predeterminata, ma può mutare in conseguenza della capacità dimostrata da singole caste di gestire la politica delle transazioni. Questo modello transazionale dà luogo a un ordinamento relativo, nel senso che una casta può soltanto situarsi sopra, sotto o sullo stesso piano di un'altra; ciò non implica una scala continua e assoluta lungo la quale poter distribuire le caste.
Abbiamo già accennato, nel considerare i tratti tipici delle caste, a diversi concetti e valori a esse associati. Introduciamo ora i concetti indù di saṃsāra o 'rinascita', di karma o 'azione nel presente che ha ripercussioni sulle nascite future', di dharma o 'ordine morale', che, secondo Weber (v., Gesammelte..., 1922), contribuirebbero a rinforzare l'ordine di casta e ad assicurare la sottomissione delle caste più basse. In questa interpretazione il pensiero indù è giudicato retrivo, in quanto dà maggior risalto all'accettazione dell'ordine del mondo che al suo cambiamento. L'interpretazione di Weber, inoltre, mette in evidenza gli aspetti magici della specializzazione nel lavoro che caratterizza le caste. Occorre rilevare, qui, che anche Dumont (v., 1967) riconosce che fra determinate caste le idee di contaminazione poggiano su nozioni di 'pericolo', che rientrano nella sfera della magia. Egli nota, di passaggio, che la nozione di pericolo sta alla base della credenza dell'intoccabile Pallan, secondo la quale, se un brāhmaṇa entrasse nel suo villaggio, malattia e miseria colpirebbero tutti i Pallan.
Fin qui abbiamo considerato la casta come un'istituzione fondamentalmente indù; ma una differenziazione in caste, o simile, è presente anche tra le popolazioni buddhiste, sikh, musulmane e cristiane dell'India. Queste religioni, va detto, sono esplicitamente contro la casta, dal punto di vista ideologico, e per una serie di ragioni questo loro orientamento oggi si sta rafforzando. Perciò la casta potrebbe perdere la sua importanza fra i gruppi religiosi non indù, i quali potrebbero profilarsi come gruppi etnici in conflitto con le caste indù nella lotta per accedere alle risorse.
Accenniamo ora brevemente alle differenze nelle pratiche di casta anche all'interno dell'induismo. Una delle principali è quella tra sud e nord: nell'India meridionale l'ordinamento delle caste è associato anche a una divisione in destra e sinistra, che oggi ha perso molta della sua importanza, ma che rifletteva una divisione politica tra le caste superiori, di destra (comprendenti varie caste di coltivatori, di commercianti e i Paraiyan), e i gruppi inferiori, di sinistra (costituiti da caste di artigiani, come fabbri, muratori e conciatori, e da alcuni gruppi di intoccabili). Non ci sono giunte molte notizie su questa divisione in destra e sinistra, se non alcuni riferimenti storici a contese spesso violente fra le due fazioni a proposito dei privilegi relativi all'esibizione pubblica del rango, come il diritto di officiare cerimonie pubbliche, di cavalcare, di portare le insegne e simili (v. O'Malley, 1974). La divisione in destra e sinistra è molto importante per la comprensione teorica della casta e dev'essere indagata più a fondo.
L'istituzione della casta è molto più forte nell'India meridionale, nel senso che le regole di casta, specialmente quelle relative alla purità e all'impurità, sono osservate più strettamente. Nel Kerala gli intoccabili contaminano non solo attraverso il contatto, ma anche a una certa distanza: persino la distanza che un intoccabile deve mantenere tra sé e un brāhmaṇa è specificata. Al contrario, probabilmente per la forte influenza dell'Islam, della religione sikh e dell'Arya Samaj, in alcune zone del nord, e specialmente nel Punjab, la pratica dell'intoccabilità si riduceva al divieto di accettare da un intoccabile del cibo cotto. Anche nell'Assam le regole di casta sono osservate meno rigorosamente e sono ammesse persino alcune forme di ipogamia (v. O'Malley, 1974).
La composizione delle caste nei villaggi dell'India meridionale riflette l'usanza di preferire il matrimonio fra cugini incrociati. Perciò nell'India del sud le caste occupano territori limitati, diversamente da quanto accade nell'India settentrionale, dove le caste sono diffuse e sparse su una vasta area. È probabile che i villaggi meridionali comprendano un maggior numero di caste rispetto a quelli settentrionali, ma anche al sud il numero delle caste varia a seconda delle zone ecologiche. Per esempio, le aree agricole irrigate presentano un'elaborata struttura di casta rispetto alle zone aride (v. Béteille, 1974). Nel Kerala i villaggi sono in prevalenza grandi e perciò è probabile che comprendano un maggior numero di caste; inoltre, in questa regione, il singolo villaggio è 'disperso', mentre in altre zone dell'India meridionale è 'nucleato'.
Altre importanti differenze sono quelle che intercorrono fra caste di città e caste di campagna. Poiché gli studi sulla casta si sono concentrati sulle società di villaggio, tale istituzione sembra essere legata esclusivamente al mondo rurale indiano, mentre è predominante anche nelle piccole e grandi città. Dato che la divisione del lavoro nelle industrie ha creato parecchie occupazioni sconosciute o quasi nelle aree rurali, diverse caste presenti nelle aree urbane non hanno il loro corrispettivo rurale. Caste come quelle del soni (orafo), del kansara (calderaio), del bhavsar (stampatore di calicò) e del gola (addetto alla pesa) sono caste del Gujarat che si ritrovano soltanto nelle aree urbane (v. Sheth, 1981).
In passato alcune delle caste più numerose delle aree urbane si isolarono dalle altre e svilupparono una divisione del lavoro interna. Le relazioni di casta nella città sono state plasmate più dalle condizioni politiche ed economiche che non da quelle rituali. Il re e il tempio hanno spesso cercato di regolare le relazioni tra le caste, ma anche qui le considerazioni politiche ed economiche si sono rivelate cruciali (v. Marriott e Inden, 1974¹⁵). Gli intoccabili, ad ogni modo, hanno continuato a subire pesanti discriminazioni sociali anche nelle aree urbane.Nel delineare i tratti della società castale e nel breve cenno alle sue varianti non abbiamo tenuto conto dei cambiamenti verificatisi di recente. Un'adeguata descrizione della società di casta contemporanea sarà abbastanza diversa da quella fornita finora.
Nell'India moderna la casta ha perso alcuni degli aspetti descritti nel capitolo precedente, ne ha modificati altri e ha acquistato un nuovo significato sociale. Molti dei cambiamenti oggi in corso affondano le loro radici nel periodo britannico, ma le istituzioni politiche democratiche, l'attuazione delle riforme agrarie, l'introduzione della tecnologia agricola moderna e della zootecnia in alcune aree selezionate del paese e la rapida industrializzazione li hanno fortemente accelerati.Un aspetto dell'attuale società di casta che colpisce è la crescente indifferenza verso le interdizioni di determinati contatti a mensa. Oggi i politici di casta superiore frequentano i luoghi riservati agli intoccabili, partecipano come ospiti di riguardo ai loro matrimoni e alle loro feste e, in generale, entrano in contatto con loro. In alcune occasioni speciali si tiene anche un pasto comune con gli intoccabili. Nelle piccole città coloro che osservano le interdizioni riguardanti i contatti a mensa possono anche suscitare scherno. Le norme contro la contaminazione sono sempre più ignorate; in particolare sono spesso ignorate le norme contro la contaminazione derivante dal contatto con individui inferiori per nascita e contro quella derivante dal visitare ospedali. La crescente indifferenza nei confronti della contaminazione tra caste è stata recentemente approvata dallo Shankaracharya di Dwarka Peeth e da alcuni altri capi religiosi, quando questi hanno pubblicamente dichiarato che l'intoccabilità non è un tratto essenziale dell'induismo. Pochi anni fa alcuni importanti capi religiosi indù (fra cui lo Swami di Pejavar Mutt in Karnataka e un altro capo religioso indù, molto influente, di Thanjavur) organizzarono a Meenakshipuram - un piccolo villaggio del Tamil Nadu meridionale, che era stato testimone di conversioni in massa di intoccabili all'Islam - un pranzo collettivo, durante il quale infransero la tradizione mangiando con gli intoccabili. (Quando, nel 1981, si era sparsa la voce della conversione in massa all'islamismo da parte degli intoccabili di Meenakshipuram, il Jagadguru Saraswati Swami del Kanchi Kamakoti Peetham dichiarò guerra all'intoccabilità, annunciando la propria decisione di avviare gli intoccabili al sacerdozio). Questi sono cambiamenti veramente rivoluzionari promossi da forze politiche.
Ma i cambiamenti nella società di casta non sono stati uniformi. Per esempio, molto recentemente, è stato vietato l'ingresso agli intoccabili nel tempio Srinathji a Nathdwara nel Rajasthan, fatto che ha suscitato una gran quantità di discussioni e disordini. Se in altri templi non esiste questo divieto di accesso, ciò è dovuto al fatto che un acuito senso di autorispetto impedisce agli intoccabili di visitare templi e altri luoghi dove sanno di non essere graditi.
I segni distintivi delle caste hanno perso il loro significato. In passato era possibile individuare gli intoccabili in base al loro vestiario e al loro comportamento; oggi non è più così: è difficile riconoscere le caste osservando il modo in cui la gente si veste o si comporta. Una volta gli intoccabili che osavano farsi crescere i baffi, portare il turbante, calzare sandali o permettere alle proprie mogli di indossare camicette solevano essere puniti dai capi della casta dominante locale. Al giorno d'oggi questo non avviene più.
Anche il legame tra caste e specializzazioni si sta allentando. Lo sviluppo rurale e la 'rivoluzione verde' hanno dato vita a una nuova gamma di occupazioni non giudicate in termini di purità-impurità. Il consulente agrario, l'ostetrica, il consulente per la pianificazione familiare, il riparatore di biciclette, il meccanico di trattori, il conducente di autobus, il postino, il maestro di scuola, l'elettricista, il medico, l'ingegnere e altre simili figure professionali sono ormai comuni nelle aree rurali. Queste occupazioni sono molto ambite perché garantiscono un buon tenore di vita, un reddito regolare e prestigio. Ma nei villaggi alcune occupazioni tradizionali sono ancora sottoposte alle norme di casta. Nelle aree urbane, d'altronde, i giovani (uomini e donne) appartenenti alle caste superiori non esitano a lavorare come estetisti nei saloni di bellezza, camerieri negli alberghi 'a cinque stelle', fattorini negli uffici, commessi nei negozi di calzature e simili, sebbene queste occupazioni possano essere considerate contaminanti o degradanti secondo le rigorose regole di casta. Mestieri come quelli dello spazzino municipale e del conciatore di pelli, però, sono ancora valutati secondo le regole di casta relative alla contaminazione.
Nonostante i cambiamenti verificatisi negli standard valutativi, alcune occupazioni, persino nelle aree urbane, restano monopolio di determinate caste e comunità. I membri delle caste superiori prevalgono numericamente tra i liberi professionisti e nella pubblica amministrazione e addirittura quelli che provengono da ben precise regioni e che parlano determinate lingue occupano le posizioni più elevate. Questo schema si ripete fra gli imprenditori, i commercianti all'ingrosso e al dettaglio, i quadri dirigenti, gli operai dell'industria e alcune categorie di lavoratori in proprio, come lavandai, carpentieri, orafi, ecc. Così i fonditori di Bombay possono appartenere tutti a un gruppo castale proveniente da alcuni villaggi dell'Uttar Pradesh, la maggior parte degli operai tessili a una casta diversa e i proprietari di piccoli ristoranti a un'altra casta ancora e a un'altra regione (v. Panini, 1986). Lo stesso dicasi per quel che riguarda giardinieri, autisti, tassisti, calzolai, ecc. Questo monopolio delle occupazioni si riflette negli schemi residenziali delle città: spesso certe zone urbane sono abitate in prevalenza da particolari caste e gruppi regionali. Così la composizione sociale di Delhi città rivela concentrazioni di Pahadi (gente di collina), di Tamil di casta superiore, di carpentieri sikh di Alwar, di profughi indù del Punjab, di immigrati del Kerala, ecc.
Lo schema descritto presenta, comunque, piccole ma significative variazioni. Le politiche di 'discriminazione protettiva', contemplando, fra l'altro, la possibilità che alcuni posti di lavoro fossero riservati agli appartenenti alle caste e alle tribù 'schedate' e alle classi arretrate, hanno incoraggiato molti intoccabili e molti membri di caste e gruppi emarginati a intraprendere le professioni moderne dell'ingegnere e del medico, oltre che a tentare la carriera in prestigiosi servizi amministrativi. Nelle aree rurali le riforme agrarie e le varie politiche di distribuzione delle terre attuate dal governo hanno trasformato alcuni intoccabili e membri di altre caste basse in piccoli proprietari terrieri. Anche in tal caso questi mutamenti, benché statisticamente insignificanti, sono diventati sociologicamente rilevanti. Nei villaggi dove prevalgono numericamente alcune caste inferiori gli equilibri di potere e, di conseguenza, la distribuzione delle terre sono cambiati in loro favore. La 'rivoluzione verde' ha alterato i rapporti patrono-cliente. In Stati come il Gujarat le leggi di mercato hanno ridotto le relazioni tra proprietari terrieri e lavoratori, che in passato erano stabili e multiformi, a relazioni temporanee e regolate da contratto (v. Breman, 1985).
In politica le caste sono diventate influenti gruppi di pressione e di lotta; d'altro canto continuano a rappresentare massicce riserve di voti, sicché il 'calcolo di casta' diventa determinante per i partiti politici nella selezione dei candidati elettorali. Anche nella distribuzione delle cariche politiche è importante tener conto delle caste. Spesso i titoli dei giornali riguardano il verificarsi di violenti conflitti tra caste, praticamente in ogni parte del paese, nelle aree urbane come in quelle rurali. Gli intoccabili sono diventati consci dei propri diritti e li rivendicano energicamente. Le caste degli intoccabili, le caste arretrate e le tribù hanno dato vita a movimenti sociali in diverse località del paese. Questi movimenti vanno considerati alla stessa stregua dei movimenti dei 'figli della terra' contro gli 'estranei' e dei movimenti religiosi che perseguono l'autonomia politica, se non la separazione, dallo Stato indiano: loro tema comune è il distacco dalla cultura dominante e la ricerca di un'identità indipendente.
Questi conflitti di casta e questi movimenti hanno alterato gli schemi matrimoniali. Almeno nel caso di parecchie caste che contano un alto numero di appartenenti, sono emersi distinti nuclei endogami, che si estendono su vaste aree e comprendono migliaia di persone che ignorano le precedenti divisioni in sottocaste. Sebbene i matrimoni siano ancora combinati dai capifamiglia, all'individuo viene lasciata una certa libertà di scegliere il proprio partner all'interno della casta, così riconcepita. L'importanza di quelli che possono essere chiamati 'criteri mondani' è talmente cresciuta che gli individui, nella loro ricerca del coniuge, superano le barriere fra sottocaste - fenomeno impensabile anche soltanto pochi decenni fa. Così i giovanotti di una delle più basse caste di intoccabili del Maharashtra, gli spazzini municipali di Poona, sono considerati ottimi partiti dalle ragazze delle più alte caste di intoccabili. Il salario, le condizioni di lavoro e la sicurezza di cui godono i dipendenti municipali ne costituiscono l'attrattiva (v. Omvedt, 1980).
Sempre a proposito di matrimonio, un evidente mutamento è la graduale scomparsa della consuetudine di scegliere il coniuge all'interno della propria casta, ma prescindendo dalla differenza di religione. Questa era la pratica corrente tra sikh e indù, nonché tra diverse caste rajput costituite da musulmani e da indù. Oggi questi matrimoni stanno diventando rari, perché le comunità religiose difendono la propria peculiare identità dando deliberatamente poca importanza alle differenze di casta tra i propri membri.
Questo breve accenno alle nuove tendenze emergenti nella società di casta necessita di un approfondimento. Alcuni studiosi considerano questi cambiamenti come fenomeni superficiali, che non alterano i principî di base di tale società; altri li considerano come sintomi di un cambiamento radicale nella struttura sociale: è questo l'argomento del prossimo capitolo.
I mutamenti nella società castale possono essere studiati in due modi: identificando i tratti che sono cambiati e, quindi, cercando di spiegarli; oppure identificando i principî fondamentali che governano tale società e, quindi, cercando di determinare se i cambiamenti siano radicali o meramente superficiali.Un'importante tradizione di studi che ha tentato di individuare le caratteristiche essenziali della casta è quella indologica; essa prende le mosse da un'analisi scrupolosa dei Dharmaśāstra e di altri testi e quindi procede esaminando le corrispondenze tra la sfera ideale e la realtà effettiva. Se incontra qualche lacuna, cerca di superarla con 'balzi speculativi'. Una di queste tesi speculative sostiene che il sistema di casta è un'istituzione ariana che colloca gli arii nelle caste superiori e relega i dasyu - la popolazione indigena, che si suppone essere stata conquistata dagli arii - in quella inferiore degli śūdra (punto di vista che è stato sostenuto da H. H. Risley, famoso sanscritista e commissario del censimento del 1901). Questo tipo di spiegazione è penetrato profondamente nella coscienza indiana. Il movimento Arya Samaj, nato nel secolo scorso, ha cercato di riesumare il mito ariano.
Il movimento Dravida Kazhagam, fondato nel 1925 da E. V. Ramaswamy Naicker, considerava i Tamil e i Dravida i rappresentanti dell'autentica cultura indigena dell'India meridionale, mentre identificava il brāhmaṇa con l'ario - il nord -, con il sanscrito e l'hindī (v. Srinivas, 1966); di conseguenza questo movimento assunse un atteggiamento antibrahmanico e denunciò gli dei e le superstizioni indù; a un certo punto il Dravida Munnetra Kazhagam - succeduto al Dravida Kazhagam - giunse persino a propugnare uno Stato sovrano indipendente dei Tamil. Per passare a fatti più recenti, i capi del movimento dalit (dalit significa 'oppresso') stanno sviluppando un'ideologia opposta all'induismo, richiamandosi a quella che considerano l'autentica tradizione indigena dei dasyu, qual è rappresentata dai movimenti religiosi di protesta dello jainismo e del buddhismo. I dalit giudicano l'opprimente inegualitarismo della dottrina indù come un'escrescenza ariana (v. Khare, 1984). Perciò nel valutare la tradizione indologica si deve tener presente che, per quanto riguarda la casta, essa ha generato miti che hanno continuamente fornito lo spunto per avviare mutamenti sociali.
Inserendosi nella tradizione indologica, Louis Dumont, l'autorevole antropologo francese, sviluppa una solida teoria del sistema castale, evitando gli eccessi speculativi dei suoi predecessori e raccogliendo meticolosamente dati etnografici. Egli parte dal postulato secondo cui la società castale è una società olistica e gerarchica: è olistica perché non considera il singolo nella sua individualità, a meno che non sia un asceta o saṃnyāsin (persino la comprensione delle caste come unità presuppone quella dell'attività del tutto), ed è fondata su una gerarchia che rinvia all'opposizione tra la purità - che Dumont definisce negativamente come assenza di impurità - e, appunto, l'impurità, che è "l'irruzione della vita biologica nella vita sociale". Dumont (v., 1967, p. 61) considera le secrezioni corporee - sudore, urina, feci, saliva, sperma, bile, e simili - come impure; in uno stadio successivo, tuttavia, suggerisce di valutare la purità degli oggetti sulla base delle loro funzioni: perciò l'oro, impiegato nelle cerimonie religiose, è più puro del ferro.
Il concetto di gerarchia in Dumont è complesso e articolato. Il brāhmaṇa, l'incarnazione della purità, è al vertice e l'intoccabile, che rimuove ogni sorta di impurità e perciò ne è contaminato, alla base. Nella gerarchia dei varna (una corrispondenza tra varna e sistema jāti, entro cui la maggior parte degli indù conduce la propria vita quotidiana, è un postulato basilare in Dumont) i varna si dividono in dvija, dotati dei requisiti per partecipare alla vita religiosa, e śūdra, da essa esclusi. I varna dvija, a loro volta, si dividono in vaiśya, da un lato, e in brāhmaṇa e kṣatriya, superiori ai vaiśya, dall'altro. Esiste infine un terzo stadio di segmentazione, che assegna ai brāhmaṇa, in virtù del loro stato di officianti, la supremazia sugli kṣatriya, detentori del potere temporale. In quanto conferisce un rango più elevato allo status religioso che al potere temporale, la gerarchia di casta si caratterizza come gerarchia religiosa, distinguendosi da altre forme di stratificazione sociale. Ma, come si è visto, lo kṣatriya, subordinato al brāhmaṇa al livello dei varna, o primario, si prende la sua rivincita sulla purità nel sistema jāti, dove spesso al mercante o al coltivatore, vegetariani, è assegnata una posizione inferiore a quella dello kṣatriya, non vegetariano. Dumont argomenta che, dopo tutto, il potere temporale è una realtà sociale e il brāhmaṇa lo sa bene. Il brāhmaṇa, effettivamente, salva la gerarchia concedendo al potere temporale una posizione più alta di quanto non gli spetti in base al solo fondamento della purità (v. Dumont, 1967, p. 77). Per superare la difficoltà insita nella spiegazione di Dumont, Marriott e Inden sviluppano quello che definiscono un modello 'etnosociologico' della casta, cioè un modello della casta qual è concepita dai nativi. Gli indù, secondo questi autori, pensano in modo monistico. Le persone sono costituite da sostanze che sono anche 'codificate', cioè posseggono un dharma o moralità; il che significa, in pratica, che ogni sostanza implica uno specifico codice comportamentale. L'inno Puruṣasūkta identifica quattro ordini di sostanze codificate. Gli esseri umani, in quanto costituiti da queste sostanze codificate, sono 'divisibili': possono infatti perdere particelle di tali sostanze. I membri di una stessa casta hanno in comune le stesse sostanze codificate e ciascuno di essi deve assicurarsi che i rapporti tra le caste e gli scambi di cibo non comportino la contaminazione da parte di sostanze codificate inferiori. Passaggi di sostanze dalla divinità all'uomo e dai livelli più alti ai più bassi sono permessi. Anche in questo contesto alcune particelle codificate, come i liquidi corporei, sono più contaminanti e la loro propagazione va controllata ancor più strettamente. L'ordinamento delle caste si sviluppa a partire dagli scambi reciproci di generi alimentari e di altri beni, e per mantenere il proprio rango si deve vigilare continuamente per evitare la commistione di sostanze codificate, che è favorita dal calore. Processi esotermici come la cottura dei cibi, la digestione e l'attività sessuale sono fonti potenziali di contaminazione: di qui l'importanza delle regole che limitano la scelta dei commensali e delle regole matrimoniali.
A differenza di quanto avviene nel modello di Dumont, in questo la contraddizione kṣatriya-vaiśya scompare semplicemente perché lo kṣatriya ha in sé sostanze codificate più apprezzate. D'altra parte questo modello fa nascere molti altri interrogativi; in questa sede, comunque, basta richiamare l'attenzione sul concetto di 'divisibile', di Marriott e Inden. Se il 'divisibile' deve garantire che la contaminazione sia evitata e che siano effettuate le giuste transazioni, dovrebbe esserci certamente un 'individuo' (indivisibile) a dirigere il tutto. Questo modello considera la mensa comune come un tratto centrale del sistema di casta. Se così fosse, le regole riguardanti l'assortimento dei commensali sarebbero dovute essere le ultime a cambiare, mentre oggi, di fatto, le regole matrimoniali, per esempio, sembrano essere più resistenti al cambiamento. In effetti, negli ultimi quarant'anni, le regole che limitano la scelta dei commensali hanno cominciato a indebolirsi, particolarmente in contesti extradomestici.
Per un'appropriata valutazione delle teorie strutturalistiche è meglio riferirsi alle ricerche sul campo (a quelle eseguite in un'ottica specificamente strutturalistica). Un eminente esempio di tali studi è quello di Moffatt (v., 1979) sui Paraiyan intoccabili di un villaggio del Tamil Nadu settentrionale. Moffatt studia i Paraiyan soltanto per delinearne l'universo cognitivo e ne analizza i miti circa le loro stesse origini, la struttura sociale e la religione, per portare alla luce uno schema coerente. Egli scopre che i Paraiyan hanno interiorizzato le categorie di purità e impurità a tal punto che, sia nel modo di pensare sia nel modo di comportarsi, riproducono la gerarchia. I Paraiyan hanno i propri sacerdoti, presi da una casta superiore, il proprio barbiere, il proprio lavandaio e persino i propri intoccabili, che ne rimuovono i rifiuti. La struttura della comunità dei Paraiyan riproduce un ordine sociale gerarchico e le idee di purità e impurità trovano piena espressione nella loro religione. I loro miti circa le proprie origini fanno riferimento a una caduta da uno status originario superiore, dovuta a cupidigia o stupidità. Le idee di purità e impurità non allignano esclusivamente nelle menti dei brāhmaṇa, come Moffatt dimostra al di là di ogni dubbio.
La dimostrazione di Moffatt è una conferma della teoria di Srinivas della sanscritizzazione; egli definisce quest'ultima come un processo essenzialmente emulativo; la 'riproduzione', in questo caso, è un modello di sanscritizzazione. Ma ciò che è considerato come emulazione se visto dall'esterno può anche essere un atto di autoaffermazione se guardato dall'interno, cioè dal punto di vista dei protagonisti (v. Rao, 1984). Nella stessa prospettiva la riproduzione può essa stessa implicare non una muta accettazione, ma un'affermazione di eguaglianza. Sfortunatamente Moffatt non si concentra sull'aspetto politico, ma un fatto da lui raccontato - l'episodio degli intoccabili del villaggio che costruiscono una strada attraverso il campo del più potente proprietario terriero - mette in luce alcuni dettagli importanti. Il proprietario è furioso, ma comprende che deve rassegnarsi; decide quindi di accontentarsi di un gesto simbolico di omaggio al suo rango, e gli intoccabili accettano la formalità di recarsi in processione a richiedere il suo permesso. Questo atto simbolico mostra chiaramente che la riproduzione non significa necessariamente sottomissione e, come ha scoperto Freeman (v., 1986), l'accettazione da parte degli intoccabili dell'ordine gerarchico dipende dal contesto. Inoltre anche la rivolta può essere un'espressione degli stessi elementi della struttura, seppure rielaborati. Nel XII secolo una setta di protesta del Karnataka, quella dei Lingayat, denunciò molti aspetti del brahmanesimo, compresa la preoccupazione brahmanica per le idee di purità e impurità, ma quando asseriva che tutti quelli che indossavano il liṅga erano puri, in virtù dell'eterna presenza del dio Shiva in esso, stava, in un certo modo, soltanto riaffermando le idee che denunciava. Oggi gli intellettuali dalit di Lucknow affrontano un dilemma simile: i loro tentativi di formulare un'ideologia contrapposta all'induismo potrebbero risolversi in un semplice rimaneggiamento di alcune basilari categorie indù, anziché nello sviluppo di una nuova ideologia (v. Khare, 1984).
Per analizzare le reazioni della società castale a una nuova ideologia è necessario esaminare situazioni in cui si verifichi uno scontro di idee. Questo è proprio il contesto esaminato da Marvin Davis (v., 1983) nel suo studio su Torkotala, un villaggio del Bengala occidentale. L'autore individua due ordini politici nel villaggio: il tradizionale e il moderno. Egli va oltre la struttura di casta, la quale è soltanto un microcosmo della cosmologia indù. Gli abitanti di Torkotala ordinano il proprio mondo secondo gun (guṇa in sanscrito), che sono giudizi di valore relativi a una jāti, un'attività o una sostanza. Sattyagun, il più alto, è bianco; esso illumina o rivela, è bontà, gioia, ispira virtù e azioni nobili. Tamagun, il più basso, è nero, buio, nasconde la realtà ed è ignoranza, sensualità, stupidità, pigrizia e paura. Rajgun, che collega i due estremi, è il rosso, produce egotismo, egoismo, invidia e ambizione. Ogni tratto specifico di una casta, o dharma, è diverso, ma ogni casta deve cercare di incrementare il proprio sattyagun. Davis riconosce la presenza di individui nella società bengalese e li considera come entità uniche localizzate nel tempo, nello spazio e nel gun. Inoltre egli nota che a Torkotala la politica tradizionale e quella progressista coesistono. Gli abitanti considerano la politica tradizionale del villaggio nella prospettiva di un ordine gerarchico e della riconquista di una passata età dell'oro, mentre considerano la politica governativa in termini di eguaglianza e progresso. In entrambi i casi essi sono interessati all'ordinamento gerarchico. Davis, in altre parole, postula una 'compartimentazione' mediante la quale gli indù riescono a tener separati ordinamenti contraddittori e a passare dall'uno all'altro. Egli fa sua, in questo contesto, la scoperta fatta in precedenza da M. Singer (v., 1972) nell'ambito di uno scenario industriale e urbano.Il concetto di compartimentazione aiuta a render conto della disinvoltura con cui si sono lasciate cadere le interdizioni di determinati contatti a mensa sotto la spinta della modernizzazione. Come i Pandit Kashmiri studiati da Madan (v., 1982), che transigono sulle norme di purità-impurità in presenza di quelle che ritengono circostanze eccezionali, gli abitanti di Torkotala e Madras possono isolare, considerandole eventi eccezionali, situazioni legate al processo di modernizzazione, il che permette una mitigazione delle norme di casta. Inoltre anche le regole di espiazione legittimano certe deviazioni in alcune circostanze. Tutto dipende dalla definizione socialmente accettata di 'circostanze eccezionali'. La compartimentazione è anche conforme alla logica contestuale presente nel pensiero indù. Weber, nelle sue osservazioni sulla religione indiana, mise in rilievo che nell'induismo, come la razionalità opera in vista di traguardi trascendenti, così anche la magia svolge un ruolo importante nel ricercare l'intervento di forze trascendenti per riordinare il mondo della vita in modo tale da accordarlo alle esigenze di individui e gruppi (v. Weber, Gesammelte..., 1922). La magia implica una logica contestuale nella misura in cui insiste sull'invocazione del mantra appropriato e dell'opportuno rituale. Seguendo questa linea di ragionamento, si può spiegare come mai il venir meno delle restrizioni sui contatti a mensa non implichi socializzazione. D'altra parte la rapida industrializzazione sembra aver diffuso i culti religiosi carismatici che offrono un immediato risveglio della kuṇḍalinī e un immediato mokṣa.L'analisi strutturale della società castale dimostra perciò che gli elementi di persistenza coesistono con il mutamento delle idee e dei processi, grazie alla compartimentazione. Il termine 'compartimentazione', comunque, è soltanto un sinonimo di 'logica contestuale': per determinare il limite tra il tradizionale e il moderno si deve far riferimento al contesto.
L'incidenza sempre maggiore del conflitto tra le caste dev'essere vista nel contesto delle accresciute tensioni etniche, testimoniate in tutto il paese (col termine 'etnico' intendiamo riferirci a gruppi basati sulla casta, sulla lingua, sulla regione di appartenenza, sulla religione e su altri fattori culturali). Tanto le società urbane quanto quelle rurali non rappresentano più sistemi sociali completi: sono soltanto caste e comunità che interagiscono tramite legami economici o politici, senza un potere autorizzato a regolare il conflitto, anche perché lo Stato moderno deve ancora raggiungere la legittimità, soprattutto nelle questioni che riguardano le caste e gli affari religiosi. Nel Gujarat, specialmente nelle zone che sono state interessate dalla 'rivoluzione verde', il patronato tradizionale è stato sostituito da relazioni di mercato (v. Breman, 1985). I lavoratori immigrati, considerati come stranieri, hanno fatto precipitare il livello salariale dei lavoratori locali, monopolizzando le opportunità di guadagno nel villaggio. Per i proprietari terrieri i lavoratori locali sono una massa ribelle e arrogante, che ha negato il loro rango superiore, derivante sia dall'ordine castale sia dal possesso della terra. Per i lavoratori locali, invece, fra i proprietari terrieri e i lavoratori immigrati si è determinata una collusione per ridurli al silenzio. In una simile situazione, mancando un qualsiasi gruppo di individui in grado di mediare e arbitrare le dispute, è più facile che si verifichi un'escalation che non una ricomposizione del conflitto. È importante a questo proposito riconoscere il ruolo tradizionale delle caste dominanti: come patrone proteggevano e fungevano da arbitri risolvendo le dispute tra le caste. Le riforme agrarie, l'ascesa sociale di individui appartenenti a caste inferiori e la disintegrazione del villaggio come unità economica hanno contribuito all'erosione del tradizionale ruolo delle caste dominanti. L'introduzione del diritto di voto per i maggiorenni e il potere che tale diritto conferisce persino alle piccole caste dei villaggi - per il ruolo cruciale che queste possono assumere nel favorire l'elezione di uno dei candidati - hanno ulteriormente ridotto l'autorità delle vecchie caste dominanti.
Nel contesto urbano industriale la situazione non è differente. Pure qui il ricorso a canali personali di assunzione, anche nel settore pubblico, ha dato risalto a determinate caste e ad altri gruppi etnici, percepiti comunemente come se si fossero trincerati in specifiche occupazioni o fabbriche. Invariabilmente i gruppi in questione sono anche 'stranieri' rispetto alla città o allo Stato in cui lavorano. Tali situazioni costituiscono un terreno fertile per la nascita di movimenti di 'figli della terra', che chiedono l'espulsione degli intrusi (v. Gupta, 1978). Quando si verificano scontri aperti tra nativi e stranieri il vocabolario della politica viene trasformato in quello dei sentimenti di appartenenza primordiali. Se a Bombay un operaio tessile è attaccato perché musulmano, è probabile che cerchi e ottenga protezione da organizzazioni musulmane. Questo fatto, a sua volta, rafforza la credenza dei nativi in una cospirazione degli 'stranieri' intesa a soppiantarli. Narayan Sheth (v., 1981, p. 88) cita il caso di un impiegato il quale asseriva che nell'azienda in cui lavorava soltanto i membri della stessa casta del proprietario avevano prospettive di promozione, e interpretava in questo senso le decisioni della direzione in favore di alcuni lavoratori. Questo modo di interpretare la realtà finisce con l'autoconfermarsi, specialmente perché provoca risposte in termini di sensi di appartenenza primordiali.
È facile, a questo punto, considerare brevemente la questione delle classi sociali. Alcuni economisti e sociologi trovano sorprendente che la differenziazione in classi, prodottasi sulla scia della 'rivoluzione verde', non abbia creato una coscienza di classe. Perché le classi vengano alla luce il cambiamento nella struttura sociale dovrebbe essere accompagnato da un adeguato cambiamento del linguaggio politico. In una situazione in cui la realtà viene percepita ancora in termini primordiali e tale percezione si autogiustifica, non è probabile che le classi riescano a diventare gruppi sociali significativi. Come nel caso, ben documentato, dei Nadar del Tamil Nadu (v. Hardgrave, 1969), il vocabolario delle 'primordialità' tende a rinforzare la solidarietà di casta. Ciò spiega anche la riduzione di molte ideologie universalistiche a mere espressioni di gruppi particolaristici. Basti pensare, tra i molti esempi possibili, al fatto che Gandhi e Ambedkar sono oggi considerati, rispettivamente, il rappresentante degli indù e il rappresentante degli intoccabili, anche se entrambi, percorrendo strade diverse, lavoravano per un ideale universale.
Le trasformazioni sociali in India hanno alterato l'importanza della casta: le caste sono diventate potenziali tavoli di contrattazione nella lotta per il potere. I segni distintivi di casta hanno perduto la loro importanza, come pure le regole che limitano i contatti a mensa, ma ciò non implica né la secolarizzazione né l'indebolimento delle caste. La struttura economica mette in luce la monopolizzazione delle occupazioni da parte delle caste e di altri gruppi primordiali, ed è nato un vocabolario di primordialità, che include quello della casta. La casta ha acquistato un significato politico ed etnico. In una struttura in cui l'autorità della casta dominante è stata erosa si è sviluppata la tendenza verso l'amplificazione del conflitto di casta, verso l'ulteriore acutizzarsi delle primordialità. (V. anche Classi e stratificazione sociale; Induismo).
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