Gravina, castello di
Il territorio di Gravina, in età sveva, è legato alla presenza di un castello e di un parco per la caccia, considerati dal cronista Giovanni Villani tra le "cose notabili" che Federico II realizzò durante il suo regno, al pari della Porta di Capua e di Castel Capuano a Napoli.
Di un "barco cinto di mura per l'uccellaggioni" in Gravina riferisce anche Giorgio Vasari, il quale attribuisce al toscano Fuccio la paternità dell'opera, insieme con altre, negli anni immediatamente successivi all'incoronazione di Federico nel 1220. Il parco si trovava in un'area di confine, tra Basilicata, Capitanata e Terra di Bari, dove si concentrava gran parte delle domus sollaciis e delle massariae curiali del Regno di Sicilia. Esso si collegava alle riserve ricche di selvaggina della "Montagna" del Vulture, frequentate dall'imperatore nella stagione estiva, e al "Parco delle uccellagioni" del Pantano di S. Lorenzo in Carmignano presso Foggia, dove Federico II, come riferisce sempre Giovanni Villani, "el verno stava a uccellare".
L'habitat del parco era notevolmente diverso da quello attuale. In particolare comprendeva estese aree boschive nelle colline di "Guardialto", note come "Foresta" nei documenti medievali e "Selva" in quelli di età moderna, e un lago ricco di fauna, situato a nord e a valle del poggio su cui sorge il castello, a un'altitudine di circa 450 m. La fabbrica domina le pendici meridionali del colle e la valle sottostante su cui si insedia l'abitato di Gravina. Presenta una forma rettangolare di dimensioni 29,4 x 58,7 m circa, e ha la consistenza di un rudere senza coperture e con muri in tufo calcarenitico che solo in minima parte conservano l'altezza originaria, rendendo difficile ricostruirne la spazialità e la distribuzione funzionale propria dell'epoca in cui fu costruito.
Questo, insieme alla carenza di documenti, ha fatto sì che la storiografia si occupasse solo marginalmente delle vicende del castello di Gravina, nonostante la citazione del Vasari (1568) e i primi studi dello Schulz (1860) e del Bertaux (1904). Questi ultimi non avevano a disposizione le importanti informazioni contenute in un documento del 1309, pubblicato nel 1934, nel quale si descrivono gli ambienti del castello e il suo circondario. Parte del contenuto di tale documento si ritrova anche in una descrizione del 1608 facente parte di un apprezzo dei beni dell'allora feudatario di Gravina, il duca Antonio Orsini.
Per lo studio della fabbrica medievale è importante l'analisi delle strutture architettoniche che consente di ricostruire gran parte dell'iconografia e degli elementi costruttivi rinvenuti durante gli scavi e i restauri effettuati a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Allo stato attuale delle ricerche, il castello pare avere un impianto di fondazione unitario, dalla forma rettangolare rigorosamente geometrica, costituito dall'addizione di due moduli quadrati di lato pari a 14 canne, del valore ciascuna nel XIII sec. in Puglia di 2,11 m. La testimonianza del Vasari e un documento del 1239 suggeriscono una datazione a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del XIII secolo. A quell'epoca il castello faceva parte della ristretta schiera di castra exempta esistenti in Puglia e Basilicata. Alla sua manutenzione, come si legge nello Statutum de reparatione castrorum, erano tenuti a provvedere gli homines di Gravina e di Altamura.
In origine la fabbrica si sviluppava in altezza per due piani e si articolava intorno a un cortile rettangolare, a cui si accedeva mediante un'entrata centrale, cum porta magna, e un androne con volta a botte ancora esistente. I lati lunghi, orientati nella direzione est-ovest, erano interrotti da quattro piccole torri quadrate e rettangolari, tre su un lato e una su un altro, di cui rimangono le parti basamentali. Tali strutture si collegavano a un camminamento di ronda ligneo, posto a una quota intermedia, che avviluppava i lati nord, ovest e sud della cortina muraria esterna. L'approvvigionamento idrico era garantito da una cisterna, posta al di sotto del cortile, costituita da una sala divisa in due navate voltate. Dalla descrizione trecentesca è dato sapere dell'esistenza, nei pressi dell'entrata, di un'altra torre all'interno della quale vi era una cappella dedicata a s. Caterina.
Il cortile era delimitato dai vari corpi di fabbrica di cui rimangono parte delle mura esterne e alcuni filari di conci tufacei delle murature interne. Il piano terra delle ali sud e nord era costituito da depositi, forni, cucine, stalle e stanze illuminate dall'esterno mediante strette feritoie strombate. Sul lato dell'entrata vi erano degli oculari anch'essi strombati, di cui alcuni sagomati esternamente a forma di losanga, secondo una riproposizione tarda di un motivo decorativo romanico, diffuso in Puglia soprattutto nel XII secolo.
Sul lato occidentale, dalla parte opposta all'ingresso, vi era il palatium che era preceduto da un porticato, con archi e volte, confinante su un lato con uno scalone esterno che portava al piano nobile. Del porticato rimangono le basi dei pilastri in pietra calcarea; del palatium si conservano le pareti esterne in conci squadrati di tufo, consistenti tracce di archi e volte, boccioli di capitelli, ammorsature di muri, camini e cornici marcapiano che consentono di ricostruire l'originaria configurazione architettonica, divisa in due livelli e un ammezzato. In particolare, il piano terra del palatium era coperto da volte a botte, interrotte da archi trasversali secondo una tipologia frequente nell'architettura fortificata federiciana e praticata anche nei cantieri cistercensi. Al di sopra vi era l'ammezzato coperto da un impalcato ligneo poggiante su archi trasversali ed elementi costruttivi a sbalzo, costituiti da archetti pensili su beccatelli sagomati. L'ultimo piano conteneva una grande sala, divisa in tre campate, mediante archi-diaframma che reggevano una copertura piana lastricata. Gli ambienti erano illuminati da alte monofore, in parte conservate, e da bifore, non più esistenti, che si affacciavano sul cortile e sulla cappella.
Cosa fosse il castello di Gravina non è ancora dato saperlo con certezza. Nei documenti di età sveva e primo-angioina viene citato come castrum o castrum et domus, e come tale non farebbe escludere anche una sua funzione difensiva, mirata soprattutto al controllo del territorio circostante. Si spiegano così il camminamento di ronda e le torri. Tuttavia sembra prevalere sulla funzione militare il carattere civile della sua facies architettonica e della distribuzione funzionale degli ambienti in esso contenuti. Inoltre la sua collocazione nei pressi del lago lo accomuna alla domus sollaciis di Lagopesole, alla domus Salparum (Salpi) e al palacium Panthani di S. Lorenzo. Infine la sala que dicitur falconeria, di cui si parla ancora nel documento trecentesco, rende plausibile l'ipotesi di una casina di caccia all'interno del parco, dove l'imperatore, che a Gravina si era sicuramente fermato nel 1227 e nel 1242, poteva praticare l'arte venandi cum avibus, così come suo figlio Manfredi, che era il legittimo titolare della contea omonima, sin dal 1250.
fonti e bibliografia
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