CASTRACANI, Castruccio
Condottiero d'armi della famiglia magnatizia Antelminelli di Lucca, il cui nome, dapprima, associò al proprio, e assunse da solo quando venne elevato alla signoria. Figlio di Gerio (Ruggero) di Castracane e di Puccia degli Streghi, nacque nel 1281, e seguì la fortuna dei Bianchi contro il popolo minuto di parte nera, dal quale i C. furono nel 1297 privati delle vene del ferro di Versilia, origine della loro ricchezza, e poi, nel 1300, dopo l'uccisione di Obizo degli Obizi della fazione guelfa, dichiarati ribelli e banditi. L'avvento al potere dei Neri, capeggiati da Bonturo Dati e tanto invisi a Dante (Inf., XXI), fece trasmigrare la maggior parte degli esuli bianchi a Pisa ghibellina; mentre Gerio, per motivi di commercio, trovò rifugio in Ancona, dove in breve morì con la sua donna. Due documenti provano la presenza di C. in Pisa nel 1304 e nel 1313, come attore di procure mercantili; cosicché alcuni biografi credono di rigettare come "pagine favolose" quelle di Nicolao Tegrimi e di Aldo Manuzio iunior che per le loro vite di C., pur colorite da fantasia letteraria, attinsero alle carte domestiche di Bernardino Antelminelli, erede della sventura, non della gloria dei C. Al contrario una carta di perdono concessa a Castruccio da Edoardo II d'Inghilterra, il 12 dicembre 1325, a richiesta di Plancio da Controne, lucchese, restituisce fede ai primi biografi, i quali, riferendo intorno al soggiorno di lui a Londra, dissero anche la ragione della sua improvvisa partenza, meglio chiarita dal documento: che fu l'uccisione del concittadino Ciacco Roncini. Che militasse dipoi al soldo degli Scaligeri e di Venezia, di cui fu connestabile a Capodistria, è attestato dal suo testamento, e dalla lettera del 1325 di Marin Sanuto senior a Ingramo, arcivescovo di Capua. La discesa di Arrigo VII, al quale C. aveva giurato ubbidienza per procura fin dal 1310, aprì a lui e agli altri fuorusciti la via del ritorno in patria, che avvenne, dopo la pace conchiusa dal re Roberto di Napoli (27 febbraio 1314), il 25 aprile dello stesso anno. La vita d'armi del ghibellino lucchese si associa d'allora col valore di Uguccione della Faggiola, cui, per primeggiare nella città sempre partita, dette in preda Lucca il 14 giugno, e che accompagnò, il 29 agosto 1315, alla vittoria di Montecatini contro i guelfi di Firenze, sostenuti da Filippo, principe di Taranto, e da Carlo di Calabria. La rivalità fra C. e Uguccione fu risolta per l'improvvisa ribellione di Pisa a vantaggio del primo, che per tredici anni assunse il grave onore di rappresentare in Toscana la parte imperiale; sicché, dopo la morte di Arrigo VIl, si può anche essere in Castruccio, che levò per arma gentilizia un veltro rampante, affisato con la speranza vana l'alto pensiero di Dante. Capitano e difensore della sua città (12 giugno 1316) n'è acclamato signore a vita; eletto da Federigo III imperatore suo vicario generale in Lucca, Valdinievole e Lunigiana (12 giugno e 4 aprile 1320); confermato da Lodovico il Bavaro (28 giugno 1324) è dallo stesso riconosciuto duca di Lucca, con diritto dei figli alla successione (17 novembre 1327). I quali privilegi fanno testimonianza della forza d'intelletto e della virtù militare del C., che da furmicula de pulvere, come lo designò il Sanuto, ascese alla signoria di quasi tutta la Toscana, dopo la vittoria di Altopascio (23 settembre 1325) combattuta contro Firenze e celebrata con un trionfo romano. Nel 1327 C. accompagnò a Roma, per il compimento dell'incoronazione, l'imperatore, e sentì tanto forte la voce delle rovine del classicismo e della cristianità, ch'egli, conte del Sacro palazzo e senatore romano (15 febbraio e 15 marzo 1328), dispose per testamento (10 luglio 1328) d'essere sepolto in S. Pietro, se la morte l'avesse sorpreso fuori di Lucca. Conforme alla strana profezia dell'astrologo Dionisio da S. Sepolcro, riferita da G. Villani (10, 86), C., accorso da Roma al ricupero di Pistoia e quando già minacciava la conquista di Firenze, improvvisamente soggiaceva in Lucca, il 3 settembre 1328 alle fatiche della guerra; mentre gli anonimi cronisti pisani ne attribuirono l'immatura fine a veleno. Scomunicato due volte da Giovanni XXII (1324 e 1328) per la rapina del tesoro della chiesa in S. Frediano (1314) e per aver seguito il Bavaro e l'antipapa Pietro da Corbara, C., uomo tutto del suo tempo, volle essere sepolto religiosamente e con l'umiltà dell'abito francescano nel tempio del Santo in Lucca. La sua vita e le sue gesta trapassarono dalla storia alla leggenda, meritando di essere elevate a dignità d'arte e a luce di pensiero dal Machiavelli; il quale nella vita del C. adombrò la figura, attesa e perfetta, del Principe.
Bibl.: V. Bacci, C.: scene storiche, Roma 1894; S. Bongi, Gli ultimi Antelminelli, in app. alla Storia di Lucrezia Bonvisi, Lucca 1864; G. Ficker, Urkunden zur Geschichte des Römerzuges Kaiser Ludwig des Baiern, Innsbruck 1865; E. Magnani, C. C., Milano 1926; A. Manuzio, Le azioni di C. C. (ed. Fornaciari), Lucca 1843; G. Sforza, C. C. degli A. e i Lucchesi di parte bianca in esilio, in Acc. scienze di Torino, s. 2ª, XLII (1892); G. Simonetti, I biografi di C. C. in Studi storici, II, Pisa 1893; N. Tegrimi, Vita di C. C. (con vers. di G. Dati), Lucca 1742; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, in Archivio storico italiano, X, Firenze 1847; P. Vigo, Uguccione della Faggiuola ecc. Livorno 1879; F. Winkler, C. C. Herzog von Lucca, Berlino 1897. La maggior parte dei documenti su C. C. e gli Antelminelli sono conservati nel R. Archivio di Stato in Lucca.