Catalogna
Questa regione iberica costituiva il nucleo centrale dell'antica contea di Barcellona, entrata a far parte della confederazione catalano-aragonese dal 1137. È indiscutibile la sua appartenenza all'area di diffusione del volgare d'oc; ma permangono, a proposito di VE I VIII 6, II XII 3, alcune incertezze interpretative soprattutto per quanto concerne la delimitazione territoriale degli Yspani che parlano e poetano in quella lingua. È opinione che D. abbia inteso riferirsi non solo alla C. ma all'intera confederazione (V. ARAGONA).
In effetti, D. identifica la Spagna occitanica con quella gens che abita la parte occidentale dell'Europa meridionale e che, mentre è detta limitata ad est dai Januensium finibus, rimane imprecisata nel resto dei confini. L'osservazione del Marigo, secondo cui nel giudicare le lingue D. avrebbe dato importanza alle divisioni politiche, non convince del tutto nel nostro caso. Certamente Alfonso I (1162-1196) e Pietro I d'Aragona (1196-1213) perseguirono il programma di mantenimento e di espansione della sovranità catalana nei territori della Francia meridionale; ma il disegno di formare un grande stato occitanico tramontò a datare dal 1213, anno in cui Pietro I cadde nella battaglia di Muret, lottando contro Simone di Monfort e i suoi crociati. Se si eccettuano il Rossiglione catalano e la signoria di Montpellier, che del resto Giacomo I aveva ereditato da sua madre, i domini catalani nel sud della Francia andarono perduti per il regno di Aragona. La rinuncia fu definitivamente ratificata con il trattato di Corbeil (1258), con il quale Giacomo I, in cambio della cessione dei suoi diritti sui territori transpirenaici a favore di Luigi IX di Francia, ottenne che la Francia desistesse dall'avanzare pretese sulla stessa C., rifacendosi a presunti diritti di origine carolingia: un impegno che Filippo III l'Ardito non osservò, poiché invase la C. nel 1285, a seguito della scomunica comminata da papa Martino V a Pietro III d'Aragona. La sconfitta della flotta francese a Las Formiguas presso il porto di Rosas fece desistere Filippo III dall'impresa, costringendolo a fuggire e causandone la morte di crepacuore a Perpignano (v. Pg VII 103-105 E quel nasetto che stretto a consiglio / par con colui c'ha sì benigno aspetto, / mori fuggendo e disfiorando il giglio).
Ma la carta politica della Francia non venne modificata a vantaggio della confederazione catalano-aragonese tra la fine del sec. XIII e gl'inizi del XIV. È da dire, se mai, che il controllo politico aragonese diminuì ulteriormente nei territori di lingua occitanica, quando il distacco di Maiorca dalla Corona dette origine al regno baleare (1286).
Se dunque D. colloca gli Yspani ‛ loquentes oc ' entro limiti geografici che rimangono in gran parte imprecisati, a una così fatta delimitazione territoriale è estranea ogni intenzione di tener conto delle realtà politiche contemporanee. Molto più opportunamente lo stesso Marigo parla di un'identificazione di territorio linguistico con quello letterario, adducendo in proposito la testimonianza di Brunetto Latini (Li livres dou Tresor, ed. P. Chabaille, Parigi 1863, 167), dove le regioni dell'Occitania appaiono raggruppate secondo una generica visione etnica e linguistica, piuttosto che sulla base delle entità statali: cosa che spiegherebbe in D. l'adozione del termine gens (VE I VIII 6), riferito a coloro che parlano l'idioma tripharium, e nel quale si ravvisano valori linguistici e letterari, e non motivazioni politiche.
Per quel che concerne in particolare la C., è da escludere un processo di integrazione nel regno aragonese, perfino sotto il profilo istituzionale: essa rimase " uno stato-nazione, dentro la monarchia catalano-aragonese ", e conservò piena autonomia di istituti amministrativi e legislativi (Consiglio dei Cento a Barcellona, assemblee delle ‛ Cortes catalanes ', leggi del Consolato del mare), e un proprio sistema monetario e fiscale. La recente storiografia (D'01wer, Soldevila, Giunta, Del Treppo), ha insistito nel porre in risalto le diversità di strutture economico-sociali, che si palesano feudali e in prevalenza agricole in Aragona, borghesi e mercantili nell'antica contea di Barcellona. La profonda divergenza di interessi tra le due parti toccò il suo culmine, tra il sec. XIII e il XIV, con il prevalere della componente catalana nelle direttrici politiche della Corona aragonese, come dimostra la scelta dell'orientamento mediterraneo in alternativa al proseguimento dell'espansione continentale, che era una costante delle tradizioni aragonesi propriamente dette. Una così spiccata individualità catalana non si coglie invece molto differenziata in quei documenti - per pochi che siano - dove i mercanti della C. e quelli delle regioni della Francia meridionale sono chiamati provenzali. Tale termine infatti viene riferito globalmente agli abitanti ‛ A Massilia usque Barchinonam ' (A. Germain, Histoire du commerce de Montpellier, I, Montpellier 1861, 180; G. Heyd, Storia del commercio del Levante nel Medioevo, trad. ital., Torino 1913, 334 n. 5; A. Schaube, Storia del commercio dei popoli latini del Mediterraneo sino alla fine delle crociate, trad. ital., Torino 1915, 218). Inoltre, colonie mercantili catalane appaiono indistinte in Oriente da quelle di Marsiglia, Montpellier e S. Gilles, " costituivano tutte insieme un unico comune provenzale, ed avevano un solo tribunale presieduto da un visconte " (Giunta, p. 27; Heyd, p. 348; Schaube, pp. 218, 331).
È possibile perciò che, come Catalani e Provenzali sono genericamente chiamati ‛ Provenzali ' presso le fonti, allo stesso modo D. abbia voluto intendere negli Yspani di lingua ‛ oc ' gli abitanti di quelle medesime regioni, dando una coloritura ispanica a causa della prevalente posizione assunta dai Catalani e, in pari tempo, confermando i tradizionali legami culturali tra C. e paesi transpirenaici. Ciò non implica necessariamente che egli abbia esteso il suo concetto all'intera formazione politica catalano-aragonese, né che il suo giudizio sia stato motivato dalle divisioni territoriali. Alla coscienza dei contemporanei C. e Aragona continuavano a essere due civiltà non fuse, nonostante il vincolo alla persona di un medesimo sovrano.
Contrastanti interpretazioni sono state date a Pd VIII 77, dove l'avara povertà di Catalogna è stata assunta a denuncia dell'avarizia di re Roberto d'Angiò, che sarebbe stata degna di un catalano o che il re avrebbe appreso durante la sua permanenza in C. come ostaggio (1288-1295). I risultati di studi sul re angioino (Caggese, Léonard) non confermano la fama di quel vizio, che a lui era attribuito dai contemporanei (un esempio in Finke, Acta Aragonensia, I n. 336: lettera di Manfredo della Notte, datata al 1316, nella quale si fa parola dell'insoddisfazione dei Fiorentini per la signoria di Roberto " propter avaritiam, quae in eo regnet ").
Ma per l'espressione dantesca non può nemmeno accogliersi la spiegazione prospettata da F. Rahola (Comentaris a un versfamos del Dant, in "Illustració Catalana " XI núm. 508), che vi scorgeva un'allusione personale a Federico III di Trinacria. Il D'Olwer, che a buon diritto la respinse (L'avara povertà, Parad. VIII 77, in " La Revista " CXXII [1921]), concordava con l'esegesi più tradizionale (Benvenuto, Ottimo, Buti) e ammise un riferimento ai Catalani ‛ pobrets e alegrets '. In sostanza, si tratterebbe di quei nobili che Roberto d'Angiò aveva conosciuto in C. o che gli erano stati inviati dietro sua richiesta da Giacomo Il d'Aragona (Finke, Acta, I n. 183), e ai quali concesse poi uffici stipendiati nel regno di Sicilia. Costoro si sarebbero resi invisi alle popolazioni a causa della loro cupidigia (Sapegno).
Il Villani parla dei cavalieri " araonesi e catalani " al servizio angioino in Firenze, Bologna e Roma (VIII 82, IX 17, 39) e altre fonti danno la loro presenza in Romagna agli ordini di Gilberto di Centelles, vicario del re angioino in quella regione (Finke, I n. 183). Ma va segnalata soprattutto la diffusa opinione della loro povertà. La Notitia saeculi (in " Mitteil. des Instit. für Österreichische Geschichtsforschung " XIX [1898] 669) esprime meraviglia che gli Angioini, ricchi e potenti, fossero stati umiliati " per gentem Aragonum parvam, nudam corporis et ad omne genus laboris pronam et succintam ". E il contemporaneo cronista catalano Ramon Muntaner conferma indirettamente tale fama proprio quando, nel tentativo orgoglioso di smentirla, afferma che i Catalani non erano un popolo povero, ma uno dei più ricchi fra quelli conosciuti.
Il nome C. ricorre ancora in Fiore (XXIII 13), per indicare una regione lontana: E quello Schifo... / gli varria me' che fosse in Catalogna.
Bibl. - D.A., De vulg. Eloq., a c. di A. Marigo, Firenze 19573 con appendice di aggiornamento a c. di P.G. Ricci, XCIII-XCV, 54 n. 27, 55 n. 28; A. Magnaghi, La ‛ devexio Apennini ' del De vulg. Eloq. e il confine settentrionale della lingua del sì, in " Gior. stor. " suppl. n. 19-21 (1921) 368 ss.; E. Paratore, Il latino di D., in Tradizione e struttura in D., Firenze 1968, 138 n. 20; R. Muntaner, Cronica, a c. di M. Coll I Alentorn, I, ibid. 1927, cap. 29 (e sulle fonti catalane e aragonesi dell'epoca, A. Boscolo, I cronisti catalano-aragonesi e la storia italiana del basso medioevo, in Nuove questioni di storia medioevale, Milano 1964, 301-323); F. Torraca, Il regno di Sicilia nelle opere di D., in Studi danteschi, Napoli 1912, 372-373; R. Caggese, D. e Roberto d'Angiò, in Studi per D., III, Milano 1935, 67-97; E.G. Léonard, Les Angevins de Naples, Parigi 1954, 270-282; A. Pézard, Il canto VIII del Paradiso, in Lett. dant. 1489-1514; A. Vallone, Lettura del c. VIII del Paradiso, in " Humanitas " XIV (1959) 277-295 (rist. in La critica dantesca nel Settecento ed altri saggi danteschi, Firenze 1961, 116-136); F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, II, Palermo 1959, 7-15, 19-26 e passim; M. Del Treppo, L'espansione catalano-aragonese nel Mediterraneo, in Nuove questioni di storia medioevale, Milano 1964, 259-275.