CAVALLO
. Il denaro, o dodicesima parte del soldo, fatto coniare in rame da Ferdinando I d'Aragona re di Napoli e di Sicilia (1458-1494) portava al dritto il busto del sovrano e al rovescio un eavallo al passo e perciò venne denominato cavallo e anche cavalluccio, cavalluzzo e cavallirazi.
Ne vennero fatte abbondantissime emissioni da molte zecche del reame: Napoli, Amatrice, Aquila, Brindisi, Capua, Lecce e Sulmona. Il nome rimase alle monete di pari valore emesse successivamente, sebbene con impronte variate, come quelle di Carlo VIII, che portarono a una eccessiva produzione di monete di poco o nessun valore, le quali vennero falsificate e portarono turbamento nella circolazione, tanto che ne fu ridotto il valore della metà; esse poi furono proibite nel 1498. In questo anno Federico I, ultimo degli Aragonesi di Napoli, fece battere una nuova moneta di rame detta sestino o doppio cavallo. Il tipo originario riapparve per poco tempo nel 1626 sotto Filippo IV, mentre i multipli da 2, 3, 4, 6 e 9 cavalli con impronte variate furono emessi sotto quasi tutti i sovrani, fino a Ferdinando IV che ne fece coniare anche da 12 con la scritta un grano cavalli 12. Dopo la Restaurazione (1815), i cavalli scomparvero dai conteggi, sostituiti dal tornese, che divenne unità di misura, mentre prima era uguale a sei cavalli.
Bibl.: V. Lazari, Le zecche e le monete degli Abruzzi, Venezia 1858; E. Martinori, La moneta, ecc., Roma 1915, p. 62; A. Sambon, I "cavalli" di Ferdinando I d'Aragona re di Napoli, in Rivista italiana di numismatica, IV, Milano 1891, pp. 325-356.