CAVOUR (A. T., 24-25-26)
Paese della provincia di Torino, nella pianura alla destra del torrente Pellice, ai piedi della cosiddetta Rocca di Cavour, collina rocciosa e isolata nella pianura sulla quale si eleva per circa 160 m. (459 m. s. m.), costituita da un enorme blocco di gneiss con vene quarzose. Il suo comune aveva 7202 ab. nel 1881, 6817 nel 1901, 6512 nel 1911, 6317 nel 1921 (pres. 6259, di cui 1508 nel centro capoluogo). Il territorio produce frumento, granoturco, vino, foraggi. Fiorente è l'allevamento del baco da seta. L'industria è rappresentata da filande di bozzoli e da piccole officine meccaniche.
La città antica. - Caburrum fu il probabile capoluogo dei Liguri Caburriates (Plinio, Nat. Hist., III, 7, 47). Si è anche supposto, senza dati sufficienti, che i Caburriates fossero stati fra le popolazioni sottomesse da Fulvio Flacco l'anno 179 a. C. Da un'iscrizione venuta in luce a Busca risulta che essi durante l'Impero ebbero propria res publica. Da Cavour uscirono avanzi romani varî e alcune iscrizioni in cui si accenna a municipes e alla tribù Stellatina, verosimilmente estesa, col diritto romano, da Giulio Cesare a questa regione come a quella dei Taurini. È pertanto verosimile che Cavour fin d'allora appartenesse all'Italia e che successivamente fosse inclusa nella XI regione augustea (Transpadana). Non si può determinare se a Caburrum si sia sovrapposta nella medesima località Forum Vibi, fondazione dovuta forse a C. Vibio Pansa proconsole della Gallia citeriore (44 a. C.). In questa regione correva una via romana, non segnata negl'itinerarî.
Bibl.: Oberziner, Le guerre di Augusto contro i popoli alpini, Roma 1900; Nissen, Italische Landesk., II, Berlino 1902, pp. 153, 164; E. Pais, La romanizz. dell'Italia occ., in Dalle guerre puniche a Cesare Augusto, Roma 1918; P. Barocelli, Antichità romane di Cavour, in Boll. d. società piemontese di archeol., VII, fasc. 1-2; G. Alessio, Cavour, Pinerolo 1908; Notizie degli scavi, 1902, pp. 51-52.
I marchesi e conti di Cavour. - Titolo nobiliare portato da un ramo della famiglia Benso, signori di Sàntena e di Ponticelli, conti di Isolabella. Il primo della famiglia è un cittadino di Chieri, Ubertus de domina Bensia (1184), di famiglia forse oriunda della Germania. Un altro Benso, Guglielmo, e i maggiori chieresi comprano i possedimenti di Santena (1191). Il secondogenito di Uberto eredita le sostanze paterne, dividendole tra i figli Iacopo e Enrico (1260). Questi ebbe in eredità le terre di Santena e fu capostipite dei Benso di Santena che si estingueranno nel 1748; Iacopo invece ebbe le terre di Ponticelli, costituendo così i Benso di Ponticelli, dei quali il ramo più longevo, i Cavour, si estinguerà nel 1875 con Ainardo, nipote del grande ministro. I due rami si svolsero per due secoli e mezzo parallelamente in sei generazioni, ascendendo in ricchezza e in potenza, benché impegnati in gravi lotte contro i marchesi di Monferrato e le plebi rurali, strette attorno alla potente società di S. Giorgio di Chieri.
Alla prima metà del sec. XVI si chiude la storia municipale di Chieri, su cui si è estesa l'autorità dei duchi di Savoia. In quell'epoca i rappresentanti delle due famiglie sono Michele, signore di Menabò e Cellarengo, del ramo dei Ponticelli, e Filiberto di quello dei Santena. Di quest'ultimo ramo ricordiamo Gioffredo, figlio di Filiberto, il più grande dei Benso prima di Camillo, eroico difensore di Momeliano contro Luigi XIII, consigliere, in seguito, di Madama Reale e cavaliere dell'Annunziata; un nipote, Cesare, andato al servizio di Venezia. Gli ultimi Santena furono Carlo Ottavio, costruttore del castello di Santena, governatore di Cuneo; Francesco Filiberto governatore di Ormea, e Giovanni Amedeo, canonico della cattedrale di Torino. Alla morte di Francesco Filiberto, non potendo il prelato succedere nel feudo, l'arcivescovo di Torino ne investì successivamente due nipoti, ma dopo lunghe cause, appoggiate a ricerche d'archivio d'uno dei Ponticelli, Michele Antonio Benso, conte prima e poi marchese di C., conte di Isolabella, suo figlio Giuseppe Filippo ebbe il feudo (1777).
La fortuna dei Benso di Ponticelli fu più lenta, e non priva di difficoltà e di scandali. Un nipote del primo dei Ponticelli, Michele, gettava le basi di nuove linee: i signori di Menabò e Mondonio, ramo che si spegne nel 1763 con un Cesare, e i Cellarengo, il cui capostipite è Bernardino. Suo figlio Pompilio, al servizio dei Savoia, fa lunghe crociere contro i barbareschi, e per diploma reale è creato conte di Isolabella. La sua discendenza si spegne con Casimiro, nel 1740, alla cui morte eredita la contea di Isolabella il secondogenito di Pompilio, Michele Antonio, creato marchese di C. nel 1649 da Carlo Emanuele II. Il primogenito, Maurizio Pompilio, secondo marchese di C., per gli scandali della moglie Giovanna di Trécesson, amante di Carlo Emanuele II, si ritira in Francia e rinuncia ai diritti di primogenitura in favore dell'altro fratello, Paolo Giacinto, cavaliere dell'ordine di Malta, governatore di Torino; diritti che alla sua morte passano al terzogenito di Michele Antonio, Giuseppe Filippo, governatore di Chieri. I figli di quest'ultimo a Guastalla salvano la vita di Carlo Emanuele III; il secondogenito Carlo muore nel fatto d'armi, e il maggiore, Michelr Antonio (II), che eresse il palazzo Cavour di Torino, rimarrà invalido per tutta la vita. Suo figlio, Giuseppe Filippo (II), sposa Filippina di Sales della famiglia di S. Francesco, e da lui discende Michele (v.), aiutante di campo di Berthier, ciambellano di Camillo Borghese. Figli di lui e di Adele di Sellon furono Gustavo (v.) e Camillo (v.) il quale, come secondogenito di marchese, portò il titolo di conte di Cavour.
Bibl.: P. Matter, Les origines des Cavour, in Revue historique, CXI (1912), con ampia bibl.; A. Manno, Bibliografia di Chieri, Torino 1891; F. Cognasso, Per la storia economica di Chieri nel sec. XIII, Pavia 1911.