Cecoslovacchia
Stato federale dell’Europa centrale. Dal 1° genn. 1993 si è diviso in due unità politiche sovrane e indipendenti, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Lo Stato cecoslovacco nacque, alla dissoluzione dell’impero asburgico, dall’unione di Boemia, Moravia, Slesia, Slovacchia, Rutenia Subcarpatica, il distretto di Hlučín e una parte del distretto slesiano di Těšin. Proclamata la Repubblica nel 1918 (con T.G. Masaryk presidente), nel 1920 fu approvata la Costituzione e si tennero le prime elezioni politiche. Tuttavia la millenaria separazione tra cechi e slovacchi, e le profonde differenze economiche, sociali e culturali fra le regioni occidentali e quelle orientali resero difficile l’edificazione del nuovo Stato. La prima Repubblica andò in crisi nel 1935, a causa della depressione economica e del persistere dei separatismi. Nel 1938 l’abbandono da parte di Francia e Inghilterra (patto di Monaco) consentì a Hitler di annettere al Terzo Reich la fascia di frontiera della Boemia e della Moravia; contemporaneamente la Polonia annetteva il distretto di Těšin e l’Ungheria la fascia meridionale della Slovacchia e della Rutenia Subcarpatica (annessa totalmente nel 1939). Nel 1939 i tedeschi occuparono la parte restante di Boemia e Moravia e la Slovacchia fu proclamata indipendente (satellite della Germania). La resistenza fu condotta da Londra dal dimissionario presidente E. Beneš, che con un’intensa attività diplomatica, ottenne l’appoggio dell’URSS (trattato di alleanza, 1943). Terminata la guerra, la C. fu ristabilita nei confini del 1938 (tranne la Rutenia Subcarpatica, annessa all’Ucraina). Le elezioni del 1946 videro una netta affermazione delle sinistre e in partic. dei comunisti, che divennero la forza di maggioranza relativa: Beneš affidò quindi al leader del Partito comunista, K. Gottwald, il compito di guidare il nuovo governo di unità nazionale. Le divisioni fra i partiti, alimentate dalla Guerra fredda, portarono nel 1948 a un’azione di forza del PCC, che con Gottwald formò un nuovo governo (costituito in prevalenza da comunisti e socialisti di sinistra), mentre vari esponenti dell’opposizione lasciarono il Paese. Una nuova Costituzione dichiarò la C. una Repubblica democratica popolare, sancì la nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione e attribuì alla Slovacchia una limitata autonomia. Al posto di Beneš l’Assemblea nazionale elesse Gottwald, cui successe come primo ministro A. Zápotocký. Gli anni successivi videro un progressivo irrigidimento del regime in senso stalinista: una serie di processi politici colpirono migliaia di persone, fra le quali anche esponenti comunisti. Dopo la morte di Gottwald (1953), Zápotocký fu eletto presidente della Repubblica, mentre il governo passava a V. Siroký e il partito ad A. Novotný (poi presidente della Repubblica). Il processo di destalinizzazione sviluppato negli anni successivi, accompagnato da crescenti pressioni in senso riformista e da una forte ripresa dell’autonomismo slovacco, sfociò nel 1968 nell’avvio della cosiddetta «primavera di Praga». La direzione del partito e dello Stato furono assegnati rispettivamente ad A. Dubček e L. Svoboda e l’avvento di O. Černik al governo, con il rinnovamento di gran parte del gruppo dirigente, aprì la strada a un processo di democratizzazione che ottenne un largo sostegno popolare. Il timore da parte sovietica che tali sviluppi potessero rappresentare una minaccia per la stabilità dell’intero blocco orientale portò all’invasione del Paese (21 ag. 1968) da parte delle truppe del Patto di Varsavia (escluse quelle romene). I dirigenti furono sostituiti da una nuova leadership (G. Husák nel PCC, L. Štrougal capo del governo). L’unica riforma portata a termine fu la federalizzazione della C. (Repubblica socialista ceca e Repubblica socialista slovacca). Husák cercò di ricostruire il consenso interno attraverso un’accelerazione dello sviluppo economico e una crescita del reddito e dei consumi della popolazione, che fu poi ridimensionata dalla crisi energetica internazionale. Sul piano internazionale la C. mantenne uno stretto allineamento con l’URSS. L’intensificarsi delle manifestazioni di dissenso, insieme al ritiro dell’appoggio sovietico, portarono alla caduta del regime (1989). Si costituì un governo a maggioranza non comunista presieduto da M. Čalfa, mentre alla presidenza della Repubblica fu eletto V. Havel (Forum civico) e a quella dell’Assemblea federale Dubček. Le elezioni del 1990 videro una netta vittoria di Forum civico che, insieme al Pubblico contro la violenza, ottenne la maggioranza assoluta dei seggi nell’Assemblea federale (che riconfermò Havel e Dubček nelle rispettive cariche) e formò un governo di coalizione presieduto da Čalfa. Alla dissoluzione del blocco sovietico si acuirono le tensioni interne che sfociarono nella scissione (1993) dello Stato federale in due repubbliche indipendenti, la ceca e la slovacca.