CELESTINO IV
Goffredo da Castiglione discendeva dalla nobile famiglia milanese che prese il nome dal possesso del principale suo feudo, il castello di Castiglione Olona nel contado del Seprio. La sua appartenenza a questa antica famiglia del contado milanese, particolarmente attiva sul piano politico nei secc. XII e XIII, è attestata esplicitamente da un documento dell'arcivescovo di Milano Enrico di Settala del 18 luglio 1223 (F. Ughelli, Italia Sacra, IV, Venetiis 1719, col. 180), redatto, appunto, in presenza del "domino Gonfredo de Castelliono existente cancellario [...]", da notizie relative a un suo nipote e da alcune cronache, come la Continuatio Romana della cronaca di Ugo di San Vittore (in M.G.H., Scriptores, XXIV, a cura di G.H. Pertz, 1879, p. 100), e quella di Francesco Pipino (in R.I.S., IX, 1726, col. 665).
Secondo un'altra inveterata tradizione storiografica, Goffredo si sarebbe fatto monaco cistercense nell'abbazia di Hautecombe (Savoia), dopo la morte dello zio Urbano III (1187). La notizia non può essere tuttavia confermata da alcuna fonte: nessuna cronaca (nemmeno la Chronica abbatiae Altecumbae) vi accenna; nelle sottoscrizioni a privilegi papali e negli altri documenti pontifici non compare mai il titolo di "frater".
Non sappiamo dove studiò e si formò alla carriera ecclesiastica, ma abbiamo motivi per credere che la sua formazione intellettuale abbia raggiunto livelli apprezzabili: le vaste conoscenze in campo teologico attribuitegli da Rolandino da Padova, allievo di Boncompagno da Signa e contemporaneo del futuro pontefice (Liber chronicorum, in M.G.H., Scriptores, XIX, a cura di G.H. Pertz, 1866, p. 78), vengono confermate dall'explicit della Rettorica antica nella versione del 1226, dove Goffredo è detto "theologus". Altri cronisti usano una frase stereotipa ‒ ma non priva di significato ‒ del tipo "vita et scientia laudabilis" (Matteo Paris, con il titolo di "magister"; Martino Polono e Tolomeo da Lucca). Del tutto incontrollabili sono invece le notizie riportate da G.B. Moroni e da P. Argelati circa suoi ipotetici scritti letterari.
Goffredo fu creato cardinale prete del titolo di S. Marco il 18 settembre 1227 durante la prima promozione cardinalizia di Gregorio IX. Questo titolo presbiterale era rimasto vacante almeno dal pontificato di Celestino III in poi. Il neocardinale sottoscrive per la prima volta nella città di Anagni il 23 settembre dell'anno 1227 (Regesta Pontificum Romanorum, a cura di A. Potthast, I, Berolini 1875, nr. 8039).
Pochi mesi dopo la sua promozione Goffredo fu inviato da Gregorio IX quale legato in Toscana e in Lombardia. Non si mosse da Roma prima del 3 febbraio 1228, data della sua ultima sottoscrizione (ibid., nr. 8131). È attestato in questa sua nuova funzione per la prima volta il 10 aprile 1228, quando Gregorio IX lo incaricò di ricevere dal conte Tommaso I di Savoia il giuramento di fedeltà per la fortezza di Avigliana concessagli in feudo quale ricompensa dell'avvenuto riavvicinamento alla politica antifedericiana della Curia (Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches [...], a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901, nr. 6723). In Toscana si adoperò per ottenere dai pisani la restituzione al vescovo di Lucca di sette castelli nella valle dell'Era che erano stati occupati durante le contese che avevano condotto alla battaglia di Castel Bosco. In un primo tempo Goffredo riuscì a strappare ai pisani e ai lucchesi la promessa di sottostare alle sue decisioni (21 marzo 1228), ma ciò permise solo ai contendenti di guadagnare tempo. Con una sentenza del 21 agosto egli tentò di imporre ai pisani la restituzione immediata dei castelli al loro legittimo possessore, il vescovo Obizzo di Lucca; ma le autorità civili pisane rifiutarono categoricamente ogni obbedienza ai plenipotenziari del cardinale. In un convento della diocesi di Modena, il 17 ottobre Goffredo inflisse a Pisa l'interdetto, che rimase però senza effetto.
Si recò quindi in Lombardia per spiegare la sua attività a favore della politica papale contro le città fedeli all'imperatore Federico II. Nei primi mesi del 1229 era riuscito ad assicurarsi da parte delle città della Lega lombarda il rapido invio di truppe in direzione dello Stato pontificio (Annales Placentini Guelfi, in M.G.H., Scriptores, XVIII, a cura di G.H. Pertz, 1863, p. 445): queste promesse non furono però mantenute con la dovuta sollecitudine (cf. infatti le tenaci insistenze di Gregorio IX in due lettere del 13 luglio e del 9 ottobre 1229; Les Registres de Grégoire IX [1227-1241], a cura di L. Auvray, Paris 1890-1955, nrr. 322, 352). Nei mesi di aprile-maggio, ricevette l'ordine dal pontefice di condurre Padova e Treviso alla stipulazione di una tregua (ibid., nr. 296; cf. Regesta Imperii, nr. 6763). Da Milano, Goffredo si recò a Bergamo con il proposito di ristabilire la pace tra le fazioni in lotta da tempo. A tale scopo fece eleggere podestà quel Pagano della Torre che undici anni dopo avrebbe gettato le fondamenta della signoria della sua famiglia su Milano. Il podestà non riuscì a imporsi. La fazione avversa, capeggiata dai Colleoni, dai Suardi e dai Rivola, elesse un nuovo podestà, Rubaconte da Mandello, e aprì le porte delle prigioni agli eretici. La reazione di Goffredo non tardò: inflitto l'interdetto alla città, costrinse i ribelli alla sottomissione e all'accettazione delle sue condizioni (L. Fiumi, L'Inquisizione romana e lo Stato di Milano, "Archivio Storico Lombardo", ser. IV, 13, 1910, pp. 50-52).
La lotta contro gli eretici era uno degli scopi della legazione di Goffredo. A Milano confermò un severo decreto cittadino del gennaio 1228, con il quale si era stabilita la costituzione di un apposito collegio per lo svolgimento dei processi contro gli eretici. Di più, costrinse il podestà ad assistere personalmente all'esame degli eretici e alle altre fasi del processo, responsabilizzando così l'autorità civile alla quale già incombeva l'obbligo di eseguire le sentenze. In tal modo, fin dal 1228 tutto era previsto a Milano perché potesse funzionare il tribunale dell'Inquisizione con l'assistenza del braccio secolare.
A un importante sinodo provinciale indetto da Goffredo a Lodi (21 maggio 1229) parteciparono quasi tutti i vescovi della Lombardia, del Piemonte e della Liguria. Gli statuti sinodali posero le basi di una severa e necessaria riforma della disciplina del clero. La legazione si concluse nell'autunno 1229 (l'ultimo documento porta la data dell'8 settembre; Regesta Imperii, nr. 13041). In Curia il cardinale sottoscrisse di nuovo il 4 novembre 1229 (A. Paravicini Bagliani, Cardinali di Curia e 'familiae' cardinalizie dal 1227 al 1254, I-II, Padova 1972: II, p. 410).
Il successo politico da lui conseguito fu insignificante. I suoi sforzi diplomatici si vanificarono rapidamente. Goffredo non corrispose alle speranze riposte in lui da Gregorio IX. Valutando gli scarsi risultati ottenuti, E. Winkelmann ipotizza che egli sia caduto presso Gregorio IX in una vera e propria disgrazia. Vero è che dopo il 1229 Goffredo non si allontanò più dalla Curia, dove svolse l'abituale attività giuridica dei membri del Sacro Collegio in qualità di "auditor", ma non rivestì più incarichi importanti e delicati. La sua posizione all'interno del Collegio cardinalizio non fu eminente. E ci sfuggono pertanto i motivi che indussero il pontefice a promuoverlo alla diocesi suburbicaria della Sabina (probabilmente durante la promozione cardinalizia di quell'anno: Roma, maggio-giugno 1238; cf. ibid., I, p. 128). La sua sottoscrizione in qualità di cardinale vescovo risale al 25 giugno 1238 (ibid., II, p. 415 n. 116).
Alla morte di Gregorio IX (22 agosto 1241) due cardinali erano prigionieri di Federico II. Giacomo da Pecorara e Ottone da Tonengo erano caduti nelle mani dell'imperatore il 1o maggio 1241. Gli altri dieci componenti del Sacro Collegio tentarono di ottenere dall'imperatore la liberazione dei loro colleghi. Ma Federico II si limitò a trasferire i suoi prigionieri nei pressi di Roma, dove si svolgeva il conclave, e precisamente a Tivoli. Verso la fine del mese di agosto, il senatore Matteo Rosso Orsini, agendo forse su consiglio del previdente defunto pontefice (così K. Wenck; ma v. l'opinione contraria di E. Ruffini Avondo, Le origini del conclave papale, "Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino", 57, 1926-1927, pp. 276-279), rinchiuse i cardinali restii a procedere ad una rapida scelta del successore di Gregorio IX nell'antico e rovinato palazzo di Settimio Severo, il cosiddetto "Septizonium". Fin dal primo scrutinio, Goffredo ottenne più voti di qualsiasi altro cardinale, senza però mai raggiungere la maggioranza richiesta dei due terzi. La scelta sarebbe riuscita gradita all'imperatore. Nessun accordo essendo possibile su un membro del conclave, la scelta cadde a un certo momento su una personalità estranea al Sacro Collegio, che Wenck cercò di identificare con l'allora generale dei Domenicani, Umberto di Romans. Contrario a questa decisione, il senatore Orsini costrinse i cardinali a scegliere fra i membri del Sacro Collegio. Impressionati anche dalla morte (26 settembre) del loro collega inglese Roberto da Somercotes, vittima delle gravi restrizioni igienico-sanitarie vigenti durante questo "primo conclave della storia" (K. Wenck, Das erste Konklave der Papstgeschichte. Rom, August bis Oktober 1241, "Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken", 18, 1926, pp. 101-170), i cardinali finirono per eleggere papa, il 25 ottobre, dopo circa sessanta giorni di clausura forzata, Goffredo, che assunse il nome di Celestino IV. Lo stato di salute del neoeletto faceva prevedere una prossima vacanza. I cardinali si rifugiarono ad Anagni, da dove scrissero una lettera molto importante per la ricostruzione dei fatti.
Il pontificato di C., uno dei più brevi della storia, durò solo diciassette giorni. Secondo alcune cronache (Regesta Pontificum Romanorum, pp. 940 s.; Regesta Imperii, nr. *7378c) il neoeletto sarebbe caduto gravemente malato due giorni dopo l'elezione, non avrebbe ricevuto il pallio, non sarebbe stato consacrato e nessuna spedizione sarebbe stata effettuata dalla cancelleria durante il suo pontificato; secondo altre, meno attendibili, C. sarebbe invece stato incoronato il 28 ottobre e avrebbe officiato il giorno della festa di Ognissanti (ibid.). Morì ad Anagni il 10 novembre 1241. Fu tumulato nella basilica di S. Pietro in Vaticano.
Fonti e Bibl.: A. Paravicini Bagliani, Celestino IV, in Enciclopedia dei Papi, II, Roma 2000, pp. 380-384 (con fonti e ampia bibliografia).