Celso
Filosofo platonico del sec. 2°. È, fra gli autori che nella Tarda Antichità scrissero contro la dottrina cristiana, quello di cui si conservano i materiali più cospicui, a causa della dettagliata confutazione della sua opera, ᾽Αληϑὴς λόγος («Discorso vero»; trad. it. Contro i cristiani) compilata nel 248 ca. da Origene, il Contra Celsum. A partire dallo scritto origeniano si è infatti stabilito, approssimativamente, il testo (ed. di P. Glöckner, 1924; di R. Bader, 1940) in cui C. critica la concezione cristiana della divinità, la dottrina dell’incarnazione (IV, 2) e quella della provvidenza (IV, 23), in base alla concezione platonica della trascendenza divina. Platone è presentato come l’«illuminante maestro» da cui apprendere «molte divine verità»; a partire dall’impossibilità di comunicare a tutti «il creatore e padre di quest’Universo» (Timeo, 28 c), conosciuto soltanto dal saggio mediante il νοῠς, C. considera i cristiani una «associazione» pericolosa per lo Stato, che in clandestinità diffonde dottrine erronee che rappresentano la banalizzazione e il fraintendimento di insegnamenti antichi. Essi rifiutano la conoscenza razionale (III, 44-78) e utilizzano argomenti fondati sul terrore (III, 16) poiché si rivolgono a persone rozze e ignoranti; i poteri straordinari che sembrano possedere «si basano sulla conoscenza dei demoni e sugli incantesimi» (I, 6). Cristo non è il messia, ma un «mentitore» (II, 6-9) che ha operato miracoli «grazie alla magia» (I, 6; II, 48-49) e la cui resurrezione non è altro che una «favola» (II, 54). Utilizzando i testi biblici, C. confuta l’interpretazione cristiana delle profezie e l’esegesi allegorica della Scrittura, rintracciando già in Mosè e nell’ebraismo la corruzione di antiche verità (ulteriormente deformate dai cristiani; I, 14-27): «le storie scritte da Mosè sono inaccettabili anche se interpretate allegoricamente» (I, 17).