Cenerentola
Dalla cenere alla corte: il sogno di diventare principessa
La fiaba di Cenerentola è nota al grande pubblico anche grazie alla versione cinematografica di Walt Disney. Ma la fiaba originale narra una storia diversa da quella che vediamo al cinema. Se analizziamo le tre differenti versioni della tradizione fiabesca europea ‒ quella di Giambattista Basile, di Charles Perrault e dei fratelli Grimm ‒, scopriamo come il clima di un'epoca modifichi e trasformi la vicenda
La fiaba di Cenerentola è una delle più famose di tutti i tempi: se ne trovano testimonianze in qualunque parte del mondo, dall'Europa alla Cina.
In Italia la prima versione scritta di Cenerentola è quella del napoletano Giambattista Basile, pubblicata nel 1634. La fiaba narra di una ragazza di nome Zezolla che uccide la sua prima matrigna, al fine di convincere il padre a sposare la sua istitutrice. Purtroppo, nonostante le promesse, la nuova matrigna maltratta Zezolla, la relega ai lavori più umili e si occupa solo delle sue sei figlie.
Un giorno il padre, tornato da un viaggio, porta a Cenerentola una palma da datteri che, coltivata, cresce fino a raggiungere l'altezza di una donna, materializzandosi in una fata. Grazie alla fata, Cenerentola, vestita con abiti principeschi, va alla festa del re e lo fa innamorare. Questi, desideroso di averla in sposa, la fa pedinare da un servitore e Cenerentola nella fuga perde una pianella (zoccolo con tacco basso), grazie alla quale il re ritroverà la sua amata. È una fra le poche versioni di Cenerentola dove l'eroina è causa del suo destino, poiché la sua condizione è il risultato delle sue trame, del suo delitto e della sua espiazione.
Diversa è invece la versione di Charles Perrault. Colto letterato, vissuto nella seconda metà del Seicento presso la corte del re di Francia, Perrault depura la versione di Basile da alcuni aspetti aspri e crudi al fine di renderla adatta a essere raccontata a corte. Più precisamente nella sua fiaba, dal titolo Cendrillon, inventa particolari conformi ai modelli estetici e alla morale del tempo.
La sua Cenerentola è dotata delle qualità di una regina: è mite, buona, affronta con grande dignità le difficoltà che la sorte le riserva e adempie i propri doveri umilmente, ma senza servilismi. È intelligente, altruista anche con le stesse sorellastre che la maltrattano, ha buon gusto e non si atteggia a martire. Anche dopo il suo matrimonio con il principe, Cenerentola dona alle sorellastre due appartamenti nel palazzo reale e le fa sposare a due gentiluomini della corte. Accurata la descrizione dei vestiti di Cenerentola, regali e maestosi secondo il gusto di corte, così come la fatale scarpetta di vetro, che sembra un'invenzione di Perrault, non avendo riscontri in altre versioni. Alla descrizione delle ingiustizie patite fa da contrappunto l'immagine di lusso e splendore della corte, descritta con abbondanza di particolari, sfoggio di ricchezze e fasto: è una Cenerentola che si muove in un mondo stilizzato, abitato da aristocratici e contadini, villani e principi.
Aschenputtel è il titolo della versione dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, che porta la data del 1812. La Cenerentola ottocentesca dei Grimm non ha la stessa dignità regale della versione di Perrault, ma è molto più umana. Si lamenta spesso della sua condizione anche con la matrigna, scoppia in lacrime prima che le sorelle vadano alla festa, insiste con la matrigna perché la mandi alla festa. Il ruolo magico è svolto dal fantasma materno per mezzo delle colombe e di un altro uccello che, evocato da Cenerentola sulla tomba della madre, le getta tra le braccia gli splendidi abiti.
Anche il finale è completamente diverso da quello di Perrault. Le sorelle decidono autonomamente di recarsi al matrimonio di Cenerentola per trarre vantaggio dalla sua fortuna: mentre si avviano alla chiesa, i piccioni strappano a ciascuna di loro un occhio e, al loro ritorno dalla chiesa, l'altro occhio. Nella versione dei fratelli Grimm sembra esserci una maggiore esigenza di giustizia, che si esprime nella ricompensa all'innocente perseguitata (le nozze) e nella dura punizione delle sorelle colpevoli.