CENSIMENTO (IX, p. 734)
Censimento della popolazione. - Fra il 1931 e il 1934 furono resi noti i risultati del VII censimento generale della popolazione italiana (21 aprile 1931) presentati analiticamente per zone agrarie e per comuni come nel 1921 ma, per la prima volta, in fascicoli per singole provincie, riassunti poi in una quantità di volumi fra i quali è da segnalare, pure come novità, quello che per ognuno dei "centri abitati" (27.082 in 7311 comuni) indica, insieme con l'altimetria, la popolazione accentrata e sparsa. Contemporaneamente veniva costituendosi presso l'Istituto centrale di statistica l'Ufficio permanente dei censimenti cui era affidata la preparazione del successivo censimento eseguito il 21 aprile del 1936, alcuni risultati provvisorî del quale furono portati a conoscenza pubblica dopo un paio di mesi e quelli definitivi entro due anni. Caratteristica particolare di questo VIII censimento della popolazione fu l'ampia esposizìone delle condizioni professionali e sociali degli abitanti, senza riscontro nelle precedenti pubblicazioni e, per quanto riguarda la parte agricola, neppure in quelle di qualsiasi altro paese. Quelle condizioni vi erano presentate attraverso due grandiose classificazioni (soggettiva e oggettiva), la prima delle quali per professioni rilevate individualmente qualunque fosse il ramo di attività dell'azienda presso cui esse venivano esercitate (360 professioni), la seconda per rami di attività economica (12 categorie, 67 classi e 400 sottoclassi). Una particolare classificazione più sintetica in nove grandi rami di attività economica (agricoltura, industria, trasporti e comunicazioni, commercio, credito, libere professioni, amministraziorii pubbliche, amministrazioni private, economia domestica), tenendo distinte le attività artigiane, dava modo di conoscere, in numeri assoluti e relativi, gli aspetti professionali della popolazione per tutti singolarmente i più che settemila comuni; la esposizione oltremodo particolareggiata della popolazione agricola era accompagnata, provincia per provincia, con un elenco delle numerose voci usate localmente per contraddistinguere le svariate figure agricole.
Il IX censimento della popolazione, che avrebbe dovuto aver luogo nel 1941, fu impedito dalle circostanze belliche; cessata la guerra, le condizioni politiche, economiche e finanziarie del paese consigliarono di rimandarne l'esecuzione al 1950 o al 1951.
Dei censimenti eseguiti in paesi stranieri negli anni della guerra o nell'immediato dopoguerra, è da ricordare, insieme a quelli della Svizzera (1941) e della Svezia (1945), il censimento turco del 20 ottobre 1940, notevole per il tentativo di rilevare, sia pure in forma sommaria, le popolazioni nomadi. Anche qualche paese belligerante eseguì, dopo la guerra, un censimento: da quello francese (10 marzo 1946) si sa che la popolazione metropolitana ha perduto nell'ultimo decennio oltre un milione di abitanti passando da 41.907.000 a 40.829.000 censiti, quando si comprendano in quest'ultimo numero i 310.000 assenti per obblighi militari; nello stesso periodo il numero degli stranieri in Francia passava da 2 milioni e mezzo a 1.671.000. Il censimento polacco (14 febbraio 1946) coglieva la popolazione in pieno movimento dai paesi dell'est occupati dai Russi verso quelli dell'ovest sottratti ai Tedeschi e la trovava composta di quasi 24 milioni di abitanti dei quali 20 milioni e mezzo di nazionalità polacca, 2 milioni e un terzo di Tedeschi (tutti successivamente espulsi dal paese), 400.000 di altre nazionalità e 400.000 non altrimenti definiti, per i quali erano in corso procedimenti di verifica e di riabilitazione.
In alcuni paesi (Canada, Brasile) è stata ripresa o iniziata la pubblicazione di descrizioni, largamente illustrate, degli aspetti fisici, demografici, economici, sociali dei paesi medesimi anche come complemento o commento ai dati forniti dai censimenti e, in genere, dalle diverse fonti statistiche; in più stretti limiti, quelle pubblicazioni possono richiamare alla mente il volume che Pietro Maestri, in occasione della prima esposizione nazionale italiana del 1867, pubblicò a illustrazione dei risultati del censimento del 1861.
Censimento delle aziende industriali e commericiali.
Il censimento italiano del 1927 si era già nettamente differenziato dai precedenti essendosi, per la prima volta, esteso agli esercizî commerciali e non avendo trascurato, tra quelli industriali, gli esercizî più piccoli condotti da una sola persona. I censimenti che vennero eseguiti in Italia tra il 1937 e il 1938 compresero pure gli esercizî industriali e commerciali, ma si distinsero in modo assoluto da quello del 1927 per aver compreso nel campo delle loro indagini, oltre le consuete notizie sull'oggetto dell'attività economica, sul numero delle persone addette distinte per sesso e per età, sulla quantità, la natura e la potenza della forza motrice installata ecc., una quantità di altre notizie e segnatamente: a) sulla fluttuazione stagionale dell'occupazione operaia; b) sull'ammontare delle retribuzioni in denaro corrisposte al personale operaio; c) sul consumo annuale delle materie prime e delle principali materie ausiliarie; d) sulla produzione annuale in termini di quantità e, in alcuni casi, in termini di valore dei prodotti fabbricati; e) limitatamente ad alcuni casi, sull'ammontare delle vendite.
I risultati di detti censimenti dovevano esser resi noti, oltreché in appositi volumi per la parte generale, per classi di industrie e per singole monografie. Fino al 1942, oltre al primo volume dei risultati generali, dedicato alle industrie, e le relazioni sulla industria della pesca e sulle industrie alimentari, erano state pubblicate le monografie sulla industria dello zucchero; su quelle del malto e della birra e degli olî vegetali; sulla lavorazione del latte e dei prodotti derivati; sulle trebbiatrici e altre macchine agricole. Dopo la guerra lo spoglio del materiale raccolto è stato ripreso con un programma alquanto ridotto in confronto al piano originale; verranno così pubblicati soltanto i volumi per classi di industrie, di cui ai primi del 1948 erano già usciti quelli sulle industrie estrattive, metallurgiche e meccaniche e sulle industrie chimiche, della carta e poligrafiche; seguiranno altri cinque volumi sulle classi seguenti: industrie tessili, dell'abbigliamento e del cuoio; del legno, edilizie, produttrici e distributrici di energia elettrica, gas e acqua; industrie varie e fonocinematografiche; trasporti e comunicazioni; commercio.
Fra gli stati esteri che, negli anni precedenti alla seconda Guerra mondiale, davano ai loro censimenti industriali e commerciali una estensione di indagini analoga in qualche modo a quella dei censimenti italiani del 1937-38, sono da ricordare gli Stati Uniti d'America, la Germania, la Gran Bretagna, il Canada, l'Olanda e la Norvegia.
Bibl.: Istituto centrale di statistica, Censimento industriale e commerciale. Relazione per la Commissione generale, Roma 1937.
Statistica della proprietà terriera.
Fino dai primi tempi della sua costituzione, la Direzione generale della statistica si preoccupò di fissare le basi per una indagine sugli aspetti statici e dinamici della proprietà in Italia rendendosi presto conto che tale indagine, da condursi sugli articoli di ruolo della imposta fondiaria, avrebbe richiesto l'impiego di schede mobili sulle quali sarebbero stati trascritti gli elementi tratti, uno per uno, dagli articoli stessi; le schede avrebbero poi dovuto esser fuse in una serie alfabetica unica in modo da render possibile il raggruppamento delle proprietà situate in comuni diversi ma appartenenti a uno stesso proprietario. L'imponenza del lavoro e l'ingente costo sconsigliarono allora (1877) l'esecuzione.
Anche l'Istituto internazionale di statistica pose subito in discussione, nella sua prima sessione del 1885, la possibilità di una statistica della proprietà terriera da tenersi distinta tanto dalle rilevazioni per la statistica agraria quanto dai censimenti demografici; si portavano come esempio di tali indagini le statistiche inglesi, per quanto il loro valore significativo fosse stato già messo in dubbio per il fatto che esse riassumevano semplicemente i risultati del censimento nelle minori circoscrizioni senza procedere alla cumulazione delle partite appartenenti alle stesse persone ed erano quindi incapaci di dare un'idea delle reali condizioni della proprietà terriera britannica, allora, come è noto, estremamente concentrata. Né, per questo riguardo, la statistica di altri paesi si trovava, salvo qualche eccezione per alcuni minori stati tedeschi, in uno stadio più progredito; solo nel 1937 infatti la Germania impostò una Statistik des land- undforstwirtschaftlichen Grundeigentums su larghe basi, di cui, nonostante gli eventi bellici, si son pubblicati i risultati nel 1941.
Il censimento generale italiano dell'agricoltura del 19 marzo 1930 rilevò il frazionamento terriero non dal punto di vista giuridico della proprietà ma da quello economico dell'azienda agricola e non ebbe quindi da ricorrere a cumulazioni di alcuna specie; perciò, se in certe regioni e specialmente in montagna, dove azienda e proprietà spesso si confondono, quel censimento poteva fino a un certo punto rappresentare anche la distribuzione della proprietà terriera, in molte altre invece, e particolarmente dove è frequente l'appoderamento, la rilevazione aziendale non sostituisce in modo alcuno quella della proprietà.
Completamente nuova risulta dunque, tanto per gli scopi quanto per il metodo di esecuzione, l'indagine sulla proprietà terriera affidata con decr. legge luog. 26 aprile 1946, n. 381, all'Istituto nazionale di economia agraria e da questo eseguita in collaborazione con l'amministrazione catastale e con l'Istituto centrale di statistica. Per ogni comune censuario si sono rilevati numero, superficie e reddito imponibile delle proprietà, intendendosi per proprietà, ai fini dell'indagine, la somma delle partite catastali intestate a una stessa ditta. La "ricomposizione" delle proprietà di una stessa persona distribuite in più comuni è stata eseguita nell'ambito delle circoscrizioni via via più vaste e cioè nella zona agraria, nella regione agraria, nell'intera provincia e finalmente nei singoli compartimenti e nell'Italia complessivamente; tale ricomposizione si estende alle proprietà che, in ciascun comune, figurano o per una superficie di 50 o più ettari o per un reddito imponibile da L. 10.000 in su, nella fondata presunzione che le proprietà inferiori ai limiti predetti siano in massima parte contenute in un solo comune. Furono sempre considerate a parte le proprietà di enti, distintamente per le diverse categorie di questi: stato, provincie, comuni, enti collettivi, enti ecclesiastici, enti di beneficenza e assistenza, società commerciali, società civili, altri.
Dall'indagine, sostanzialmente compiuta ai primi del 1948, risulta che il numero delle proprietà terriere in Italia era di oltre 9 milioni e mezzo in confronto dei 4 milioni o poco più di aziende agricole rilevate nel ricordato censimento del 1930. A spiegare tale enorme differenza in più di proprietà occorre ricordare come dal censimento aziendale rimanessero escluse praticamente non solo le piccolissime aziende fino a mezzo ettaro ma anche un buon numero quelle tra mezzo ettaro e un ettaro e non poche di maggiore ampiezza. Questa differenza in più di piccolissime proprietà viene a compensare largamente, anzi a nascondere nella cifra complessiva, la riduzione numerica di unità in dipendenza delle ricordate ricomposizioni delle proprietà da 50 ettari in su.
La ripartizione dei 9.664.060 ettari di proprietà terriere rilevate nell'indagine (risultati provvisorî) mostra la enorme prevalenza delle piccolissime e piccole proprietà:
Soltanto 56.302 proprietà (0,6%) superano i 50 ettari, delle quali appena 4733 hanno una estensione superiore ai 500 ettari.
Se, invece del numero, si considera la superficie occupata dalle proprietà, la tavola seguente ci mostra come quasi la metà di quella complessiva e cioè il 47,6% (corrispondente a 13 milioni e un quarto di ettari) sia coperta dalle ricordate 56.302 proprietà di ampiezza superiore ai 50 ettari mentre gli otto milioni circa di piccolissime proprietà fino ai 2 ettari non ne coprono che un po' meno di quattro milioni, pari al 14,2% del complesso.
Sui 7 miliardi circa di reddito accertato in catasto secondo gli estimi in vigore al 1° gennaio 1943 basati sulla media dei prezzi del triennio 1937-39, un po' meno della metà e cioè 3 miliardi e un quarto, pari al 45,8%, corrispondono alle sole 88.000 proprietà (meno dell'1%) con oltre 10.000 lire di reddito imponibile, oltre tre quarti delle quali non superano le 40.000 lire di reddito.
Qualche caratteristica regionale della ripartizione delle proprietà può rilevarsi dalla tavola seguente.
Le quote percentuali della superficie complessiva interessate dalle proprietà delle singole classi di ampiezza mostrano differenze regionali notevolissime tanto se si considerano quelle delle piccolissime proprietà (da quasi un terzo del totale in Liguria e intorno a un quarto in Piemonte e in Campania al 5% o poco più nelle Marche, nell'Emilia e Romagna, in Toscana, nell'Umbria, nel Trentino-Alto Adige), quanto se il confronto si fa con le quote delle proprietà di oltre 50 ettari (da poco più di un quinto in Liguria a poco meno di due terzi nel Lazio e in Toscana, a più di due terzi nel Trentino-Alto Adige). Ma il significato di questi numeri non è univoco ché, ad esempio, nell'Italia centrale e nell'Emilia la prevalenza della mezzadria lascia le proprietà più piccole ai margini dei poderi, mentre quote rilevanti di superficie sono occupate dalle "fattorie" della Toscana e dell'Umbria e dalle grandi proprietà del Lazio le quali, a loro volta, nulla hanno di comune con quelle di boschi e pascoli del Trentino-Alto Adige, per il 60% di proprietà di enti.
Se poi, nei riguardi del reddito imponibile, supponiamo di ritenere piccole proprietà quelle con reddito inferiore a 10.000 lire e grandi quelle con reddito superiore a 100.000, si osserva che, mentre per l'Italia nel suo complesso, le seconde occupano il 15 per cento circa dell'intera superficie, la Liguria non ne segnala affatto e quote molto basse ne indicano pure gli Abruzzi e il Molise, le Marche, la Sardegna e il Piemonte; al contrario le grandi proprietà private agricole della Toscana, del Lazio, delle Puglie del pari che quelle boschive e pascolive del Trentino-Alto Adige, prevalentemente in mano di enti, comprendono quote intorno al quarto della superficie totale nelle rispettive regioni.