Centro e periferia
A partire dai primi anni sessanta i due concetti correlativi di 'centro' e 'periferia' sono stati ampiamente utilizzati nell'analisi politica. Tuttavia, mentre il loro rapporto è stato interpretato in molti modi, la loro applicazione allo studio della politica non è stata esente da critiche. Sono stati espressi dubbi sulla loro sottigliezza concettuale e sul loro valore esplicativo. Il più delle volte, comunque, tali critiche hanno poggiato su un'interpretazione troppo strettamente geografica di centro e periferia, mentre centro e periferia non sono solo concetti spaziali: essi costituiscono un paradigma che denota gli elementi geografici di differenziazione sociale e di divergenza politica, cioè le origini e le basi territoriali di raggruppamenti politici, i cui interessi possono anche essere economici e/o culturali. In altre parole, non si può sostenere semplicemente che le diverse convinzioni politiche e i diversi comportamenti politici, riscontrabili in territori differenti, dipendano da caratteristiche intrinseche di unità puramente spaziali e a queste siano circoscritte (v. Rose e Urwin, 1975, p. 12). Il territorio in quanto tale è un concetto politicamente neutro; diventa politicamente significativo in virtù dell'interpretazione e del valore attribuitigli dalla gente, e di conseguenza diventa "un concetto creato dalla gente che organizza lo spazio per i propri scopi" (v. Gottman, 1975, p. 29).
Il paradigma centro-periferia riguarda quindi il grado di distanza sia geografica che sociale dall'asse centrale di una società e può riferirsi tanto al territorio quanto ai gruppi sociali. La distanza può essere psicologica oltre che fisica, e può così ingenerare, nella periferia, sentimenti di dipendenza verso quei luoghi/gruppi che diffondono i valori e le norme dominanti della società, e viceversa sentimenti di superiorità tra coloro che vivono al centro.Tutte le analisi che utilizzano il paradigma centro-periferia devono inevitabilmente riferirsi a qualcosa di più che alla mera geografia. Tarrow (v., 1977, pp. 15-31) ha individuato, nella letteratura, tre tipi di modelli interpretativi. Secondo i modelli 'diffusionisti' la relazione centro-periferia è caratterizzata dalla trasmissione di valori culturali dal centro alla periferia. Quest'ultima - arretrata e tradizionalista - è sottoposta alla continua pressione culturale esercitata dal centro, sebbene cerchi di resistere disperatamente a tale pressione. I modelli ispirati al concetto di 'marginalità' tendono, invece, a enfatizzare gli aspetti economici del paradigma, evidenziando il fatto che la periferia è economicamente dipendente e incapace di acquisire e accumulare le risorse necessarie per superare la propria posizione subordinata e debole nell'ambito di un'economia territoriale più ampia (statale o internazionale). In aggiunta a questi due modi di affrontare il problema, l'uno che enfatizza l'opera di socializzazione svolta dal centro e l'altro il dominio del capitale, ce n'è un terzo, che mette l'accento sull'elemento organizzativo del controllo politico. Il centro istituisce apparati, in particolare burocratici, il cui compito è quello di realizzare e perpetuare un modello di amministrazione standardizzato su tutto il territorio. Questa terza prospettiva implica una struttura di controllo che permette un canale di comunicazione a due vie: l'influenza, o almeno il tentativo di esercitarla, non deve necessariamente essere sempre unidirezionale.
Questi esempi illustrano come possano essere impiegati differenti modelli di riferimento per sviluppare un'analisi del rapporto centro-periferia. Ciascuno coglie un aspetto della questione, ma così facendo tende a escludere gli altri. Il problema della selettività è particolarmente acuto nelle analisi del rapporto centro-periferia, forse perché questi concetti si sono rivelati di difficile applicazione nell'analisi empirica. L'esistenza di centri e periferie può essere dimostrata ovunque; ciò che sono dipende dal punto di vista concettuale adottato: potrebbe trattarsi, come negli esempi precedenti, di condizioni materiali e/o di atteggiamenti mentali. Inoltre, troppo spesso si tende a ipotizzare un rapporto biunivoco fra centro e periferia: individuato un centro, si individua di solito anche una periferia dipendente e, viceversa, ogni periferia viene spesso giudicata in funzione dei suoi rapporti con un particolare centro.
In breve, sorgono difficoltà perché i concetti usati sono troppo generali, mentre un'analisi empirica deve affrontare il problema delle differenze, presumibilmente considerevoli, tra centri e periferie di paesi diversi. Per rivelarsi di qualche valore, il paradigma deve essere applicato al rapporto complessivo tra tutte le aree all'interno di un sistema territoriale, rapporto che, almeno teoricamente, può assumere nove configurazioni alternative, dal momento che un paese può avere nessuno, uno o più di un centro e nessuna, una o più di una periferia. Inoltre, se si vuole che il modello sia dinamico, si deve tener conto dei cambiamenti nel corso del tempo, il che porta a chiedersi fino a che punto si debba considerare il confine politico di uno Stato come inviolabile. Non solo un centro (politico) può stabilire relazioni con altri centri (politici) - relazioni internazionali -, ma una periferia può mantenere una relazione stabile con centri diversi da quello che esercita il controllo politico su di essa. I confini politici sono sempre stati contingenti, mai permanenti.
Se per centro intendiamo una città dominante, o metropoli, allora la Germania e la Svizzera, nonché gli Stati Uniti e il Canada, possono essere considerati paesi con molteplici centri e, forse, con molteplici periferie, nei quali la capitale politica non coincide con i centri finanziari, economici e culturali. Al contrario altre nazioni posseggono un unico centro: esempi illustri di questo caso sono la Francia e l'Austria, dove le metropoli di Parigi e Vienna predominano in molti campi dell'attività umana. Una nazione con un solo centro può anche possedere più periferie, tutte distinte tra loro per uno o più aspetti. Da questa constatazione prende le mosse il classico studio sulla Norvegia di Rokkan (v., 1967); altri possibili esempi sono il Regno Unito (Scozia, Galles, Irlanda del Nord) e la Francia (Bretagna, Alsazia, Occitania, Corsica). Viceversa, può darsi il caso di due o più centri che si contendono il controllo di uno stesso hinterland, assimilabile, in pratica, a una 'periferia': un esempio di queste situazioni è offerto dalla Siria, con la storica rivalità tra le città di Aleppo e Damasco. Le periferie, inoltre, possono essere collegate a più di un centro da legami culturali, economici e politici. L'Alto Adige (Sud Tirolo), per esempio, benché politicamente faccia parte dell'Italia, a causa della comunanza linguistica si identifica, sotto diversi aspetti, con il mondo di lingua tedesca e con lo Stato austriaco.
Se definiamo la centralità in termini analoghi a quelli usati da Renan (v., 1970, pp. 61-83), che definisce l'identità nazionale come 'plebiscito quotidiano', allora, psicologicamente, le relazioni più centrali per ogni individuo sono quelle 'faccia-a-faccia', stabilite nella località in cui vive. Da questo punto di vista la località, anche se oggettivamente periferica, diventa centrale: tutto ciò che sta fuori, incluso il centro dello Stato, diventa periferico. È necessario tener conto di questo punto di vista per una comprensione più approfondita della mobilitazione politica periferica, comunque motivata: da rivendicazioni economiche o da una qualche forma di nazionalismo. Per esempio, nel caso dell'Irlanda del Nord, Belfast può essere considerata un'area periferica rispetto sia a Dublino che a Londra. Tuttavia, un protestante dell'Ulster considererà centrale Belfast e periferiche sia Dublino che Londra, fino al punto di giustificare l'esistenza di un regime separato dell'Irlanda del Nord.
È questa complessità che pone ostacoli all'utilizzazione del paradigma centro-periferia come strumento di analisi; comunque, i concetti di centro e periferia possono essere impiegati con profitto, a patto di considerare ogni aspetto della relazione. È in questo spirito che tali concetti - intesi come due elementi di un archetipo spaziale in cui la periferia è subordinata all'autorità del centro (v. Rokkan, 1975; v. Rokkan e Urwin, 1983) - sono stati applicati con successo al tema della costruzione dello Stato e della nazione.
I centri costituiscono una forma di 'imperialismo temporale' (v. Innis, 1951, pp. 92-131). Quale che sia la ragione che ha determinato la scelta del luogo dove il centro è stato fondato, esso viene conservato gelosamente nel tempo come area privilegiata del territorio dove i detentori delle risorse-chiave politiche, economiche e culturali si riuniscono in apposite istituzioni per esercitare il loro potere decisionale. Un'altissima concentrazione di ogni tipo di risorsa in una piccola area geografica dà luogo a quella che può essere definita una struttura monocefala, dove i detentori delle risorse tendono a vivere e a lavorare a stretto contatto l'uno con l'altro e quindi a interagire reciprocamente. Al contrario, quando esiste una marcata dispersione geografica dei detentori delle risorse e dei differenti tipi di istituzioni dove si esercita il potere decisionale, si può parlare di struttura policefala: un modello di distribuzione spaziale delle risorse e di coloro che le controllano, e una catena di centri particolari, ciascuno con un proprio tipo di élite. Queste strutture sono il risultato di differenti esperienze nella costruzione dello Stato e possono avere conseguenze politiche nell'epoca della politica di massa.I centri possono anche essere individuati in base alle attività degli abitanti, verificando come si guadagnino da vivere e a quali reti di attività cooperative partecipino. In termini di attività umana, un centro, in quanto parte di un sistema spaziale di autorità e di subordinazione, può essere definito come quell'area che possiede la maggiore concentrazione di individui capaci di determinare, realmente o simbolicamente, l'ambiente degli altri e di dire loro quello che devono fare. Un centro svolge un ruolo decisivo nell'elaborazione e nella comunicazione a lunga distanza delle informazioni e delle istruzioni. Una percentuale significativa della popolazione di un centro risulta perciò impiegata nel settore 'quaternario' (v. Gottman, 1971) dell'economia, cioè negli enti e nelle istituzioni responsabili della registrazione, della manipolazione e della divulgazione nel territorio di decisioni, ordini, istruzioni e informazioni. La Francia costituisce un esempio significativo di accentramento estremo, in quanto le risorse sono concentrate a Parigi e nell'Île de France (v. Noin, 1976; v. Pumain e Saint Julien, 1976), mentre la Germania e la Svizzera presentano un modello di distribuzione molto più differenziato territorialmente (v. Juillard e Nonn, 1976; v. Urwin, Germany..., 1982; v. Ahnström, 1973).
Va comunque sottolineato che i centri territoriali, in quanto insediamenti che forniscono servizi, elaborano informazioni e controllano transazioni su grandi distanze, non possono essere analizzati isolatamente: vanno considerati complessivamente, evidenziandone gli eventuali rapporti gerarchici e le reti di comunicazione che li collegano. I centri devono perciò essere analizzati a due livelli; bisogna cioè valutare, da un lato, la centralità del singolo sito e, dall'altro, il suo grado di centralizzazione all'interno della rete di cui fa parte. Considerazioni topografiche e decisioni politiche hanno sempre contribuito a determinare la centralità, sul cui grado influivano diversi fattori economici, specialmente la rete delle principali rotte commerciali (e le sue variazioni) e l'ubicazione delle attività economiche su scala locale, regionale e mondiale. In breve, sia la centralità stessa che il grado di centralizzazione possono variare secondo molte combinazioni di localizzazione geografica, sviluppo economico e decisioni politiche. Questi sono gli elementi essenziali su cui si basano l''imperialismo temporale' e la costruzione di infrastrutture istituzionali, e sono essi che determinano il modo in cui il retaggio del passato può influire sui criteri di fondazione di un nuovo centro e sulle strategie di conquista del potere politico.I fattori-chiave che determinano la centralità di un insediamento sono, quindi, la dotazione di risorse e i canali di comunicazione. Un centro controlla la maggior parte delle transazioni tra i detentori delle risorse di un dato territorio, in genere sorge in prossimità delle aree ricche di risorse (sia umane che materiali) e domina il flusso delle comunicazioni, in particolare attraverso la diffusione nel territorio di un linguaggio standardizzato e attraverso il controllo di una serie di istituzioni a carattere consultivo e direttivo.
Una periferia controlla, nel migliore dei casi, le proprie risorse, tende a essere isolata da altre aree e contribuisce poco al flusso globale delle comunicazioni all'interno del territorio; dipende da uno o più centri ed esercita uno scarso controllo sul proprio destino; in genere presenta una specifica fisionomia culturale, che riflette, quantomeno, una certa consapevolezza della propria identità, di solito espressa attraverso una lingua e/o una religione diverse; tuttavia non dispone di risorse adeguate per difendere la propria specificità. Una periferia è spesso un territorio conquistato o annesso, amministrato da funzionari il cui ruolo li rende meno sensibili ai desideri della periferia che alle direttive impartite da un centro più o meno lontano. Le transazioni tra periferia e centro risultano sfavorevoli alla prima in termini di costi e benefici. Di solito la periferia ha un'economia scarsamente sviluppata o dipendente da una singola merce, il che la rende facile vittima delle fluttuazioni della domanda e del livello dei prezzi, su cui può esercitare poco o nessun controllo.
Quelle appena delineate sono caratteristiche tipico-ideali, che non si possono applicare in tutti i casi; inoltre, esse tendono ad attirare l'attenzione soprattutto sugli aspetti geografici della perifericità, evidenziando semplicisticamente il contrasto tra due aree (e le rispettive popolazioni). Se, invece, si considerano gli aspetti sociali della perifericità, allora lo spazio può essere definito come la totalità di un sistema di interazioni, dove il centro è costituito da una collettività di produttori di decisioni-chiave e la periferia da quelle persone che nel sistema interattivo hanno un'influenza minima sull'assunzione di decisioni. Entrambi gli aspetti della perifericità devono rientrare in ogni analisi delle strutture centro-periferia, dal momento che ciò che è importante è l'interazione tra i due elementi.
Dire che un'area è periferica rispetto a un'altra non significa stabilirne semplicemente la posizione geografica: la perifericità è espressa dalla vita quotidiana delle persone e dalla natura dei loro legami con i gruppi del centro. In questo senso una periferia è una struttura di opportunità: un insieme di insediamenti che offrono diverse opportunità ai loro abitanti e impongono loro un certo numero di costrizioni. La gamma e l'attrattiva di queste possibilità sono pesantemente influenzate da fattori esterni alla periferia; i più importanti di questi fattori esterni dipendono dal centro.
Le caratteristiche essenziali delle periferie sono distanza, differenza e dipendenza; insieme esse possono interagire per generare incertezza, ambivalenza e divisione tra la popolazione, la quale, pur facendo parte di un sistema, può sentirsi emarginata. La popolazione di una periferia è consapevole della propria specifica identità, peraltro sottoposta costantemente alla pressione degli influssi esercitati dal centro, ma può non disporre di strumenti efficaci per difendere e controllare i confini che la separano dal mondo esterno.Un sistema centrale consiste di tre sottosistemi distinti: quello politico (militare e amministrativo), quello culturale e quello economico. Ciascun sottosistema possiede una propria base di infrastrutture e propri metodi di penetrazione territoriale: per esempio, le chiese, le scuole, la lingua e la rete di diffusione delle informazioni formano la base del sistema culturale, mentre l'esercito, le forze di polizia e gli uffici amministrativi formano il nucleo del sistema politico.
Nell'ambito di ciascun sottosistema, a un tentativo di centralizzazione la periferia può reagire con una manovra opposta e corrispondente per preservare la propria specificità: per esempio, la periferia può opporsi al processo di standardizzazione culturale, preoccupata di mantenere una propria identità separata. Il grado di penetrazione entro i confini politici, economici e culturali di una periferia ha importanti conseguenze per la strutturazione interna della sua popolazione. Questi confini sono facilmente violati quantomeno da alcuni rappresentanti delle autorità centrali, mentre la questione del controllo su tali confini, che conserva una certa importanza, può generare conflitti sia tra le élites che tra le masse della periferia.Le transazioni attraverso questi confini hanno luogo in tutti e tre i sottosistemi: quello economico (importazioni/esportazioni di beni, servizi, manodopera, crediti, investimenti, sussidi), quello culturale (messaggi, norme, stili di vita, ideologie, miti, rituali) e quello politico (guerre, invasioni, alleanze tra élites). Per ciascun sottosistema e per ciascuna transazione è necessario esaminare la forza e la specificità del confine periferico, per valutare il grado di dipendenza dal centro di ciascun settore della periferia e per individuare i gruppi e i settori periferici che oppongono più resistenza alla rimozione dei confini e quindi a una completa integrazione nel più vasto sistema territoriale controllato dal centro.
Il fattore distanza sembra di particolare importanza: è senza dubbio significativo per la strutturazione delle economie territoriali e può, inoltre, limitare la portata dell'imperialismo territoriale. Analogamente, per i sistemi di comunicazione culturale, maggiore è la distanza tra l'area centrale e l'area-bersaglio esterna, maggiore è la probabilità di distorsione del messaggio. Perciò contano non solo le distanze all'interno di territori politicamente definiti, ma anche quelle tra territori distinti, in quanto fungono da indicatori dell'influenza che centri esterni alternativi possono esercitare. Ogni analisi delle relazioni centro-periferia deve perciò cercare di collegare i differenti livelli ai quali si estrinsecano tali relazioni (v. Galtung, 1971).
La perifericità può non manifestarsi in tutti i settori: per esempio, una periferia conquistata può essere capace di sottrarsi alla dipendenza economica dal centro politico e, analogamente, l'assoggettamento politico può non comportare, necessariamente, una standardizzazione culturale. D'altra parte i processi di centralizzazione sono continui, e cambiamenti in un settore possono avere conseguenze sugli altri: per esempio, periferie che stanno diventando più dipendenti sotto il profilo economico possono benissimo incontrare sempre maggiori difficoltà a mantenere il proprio precedente livello di specificità culturale. In breve, non esiste una semplice relazione unilineare: le iniziative del centro e le relative reazioni della periferia possono corrispondere a svariate configurazioni. Ciascun caso deve essere studiato in un più vasto contesto geopolitico, geoeconomico e geoculturale. Solo in questo modo si può tentare di individuare i diversi tipi di periferie e le loro politiche. La difesa della specificità può portare la periferia a esprimere politicamente la sua protesta. Viceversa non si può capire il successo o il fallimento della protesta se non si considerano sia le strategie centrali che portano alla fondazione di uno Stato e di una nazione, sia la reazione delle autorità e delle organizzazioni centrali alle sfide della periferia.
Questa impostazione multidimensionale dell'analisi del rapporto centro-periferia consente di delineare una mappa concettuale, o griglia, del territorio. Questa tecnica, anche se può essere usata nelle analisi di singoli paesi (v. Urwin, Territorial..., 1982, sul Regno Unito; v. Urwin e Aarebrot, 1981, sulla Germania), viene particolarmente valorizzata nell'analisi comparativa, dove può essere utilizzata per individuare centri e periferie all'interno di un quadro multirelazionale. Sinora questa impostazione è stata applicata a fondo solo all'Europa occidentale (v. Rokkan, 1975; v. Rokkan e Urwin, 1983), dove è possibile individuare differenti tipi di periferie.Il tipo di periferia più ovvio è la periferia esterna, che corrisponde fedelmente al tipo ideale descritto prima. Una periferia esterna è in genere geograficamente lontana dal centro ed è esposta all'influenza di un solo centro. In Europa periferie di questo tipo si trovano generalmente ai margini del continente e tendono a essere arretrate economicamente, meno vitali o non sviluppate affatto. Comunque, anche se la protesta politica può essere innescata da problemi esclusivamente economici, la rilevanza politica delle periferie che si distinguono dal centro soltanto sotto il profilo economico è più limitata di quella delle periferie esterne, che presentano anche una certa specificità culturale ereditata storicamente.
Diametralmente opposte alle periferie esterne sono le periferie interfaccia. Si tratta di territori marginali che si trovano in mezzo a due o più centri dominanti appartenenti a Stati diversi. Anche se sono collegate in qualche modo con tutti i centri limitrofi, queste periferie non sono mai pienamente integrate in nessuno di essi. In Europa, per esempio, una serie di periferie interfaccia si snoda lungo il confine francese dalle Fiandre, a nord, alla Valle d'Aosta e a Nizza, a sud-est, e un'altra, analoga, a est, dove tedeschi e italiani vivono a contatto con slavi e magiari. La situazione economica delle periferie interfaccia varia caso per caso: alcune possono essere economicamente inferiori al centro che le ha inglobate in uno Stato, mentre altre possono essere più avanzate, in quanto per queste periferie la frontiera politica può rappresentare un elemento positivo o negativo, cosa che non è possibile per le periferie esterne. Le periferie interfaccia possono sottrarsi alla dipendenza economica da un solo centro e, data la presenza di un centro culturale alternativo, possono disporre di strumenti che consentono loro di conservare il proprio distacco dal rispettivo centro politico a un livello impossibile per le periferie esterne. Questa diversa situazione può offrire altre opzioni, anche extrapolitiche, che possono tradursi in una pressione politica sul centro. L'Alsazia e l'Alto Adige forniscono buoni esempi dei dilemmi e dei vantaggi inerenti a una situazione interfaccia (v. Alcock, 1970; v. Gras, 1982); infatti le popolazioni di questi territori, pur incapaci di decidere all'unanimità se aderire all'uno o all'altro dei sistemi politici confinanti, possono giostrare a proprio vantaggio la particolare situazione in cui si trovano.
Si possono individuare altri due tipi di periferie: i centri falliti e le periferie enclaves. I centri falliti sono territori - come la Scozia, la Catalogna e la Baviera - che in passato praticarono l'imperialismo temporale costruendo proprie strutture centrali, ma che successivamente dovettero cedere di fronte a più efficaci iniziative di annessione promosse da altri centri. Nella fase imperialistica i centri falliti hanno creato un'infrastruttura istituzionale a sostegno della propria legittimità e della propria identità. Nella misura in cui elementi di questa infrastruttura sono sopravvissuti all'annessione, possono contribuire a conservare i confini tra periferia e centro.
Le periferie enclaves, infine, a prescindere dalle loro caratteristiche specifiche, hanno in comune di essere completamente circondate dalla cultura dominante. Dato questo accerchiamento geografico, le enclaves sono sottoposte alla pressione costante delle istituzioni centrali e la loro capacità di sopravvivere è probabilmente minore di quella degli altri tipi di periferia.
Le periferie possiedono due dimensioni spaziali interrelate: lo spazio di appartenenza, costituito da un gruppo con alcune caratteristiche socioculturali comuni e riconosciute, e lo spazio geografico, cioè il territorio. Questi due spazi non coincidono necessariamente; in effetti le periferie che pongono i problemi più spinosi - come le province basche e l'Irlanda del Nord - sono proprio quelle in cui i due spazi non coincidono. Le due dimensioni spaziali forniscono, nondimeno, le basi della mobilitazione della periferia.Il territorio, naturalmente, rappresenta quasi una conditio sine qua non, dal momento che un gruppo che non sia concentrato in un territorio troverà più difficile mobilitarsi e rivendicare diritti territoriali. D'altro canto l'importanza e la consapevolezza del fatto di appartenere a un gruppo variano nel tempo, mentre gli elementi che indicano l'appartenenza differiscono da gruppo a gruppo. In questo contesto la lingua può svolgere un ruolo notevole (ma non esclusivo). Un mezzo di comunicazione caratteristico, pur essendo uno strumento per preservare i confini, è però anche una risorsa che può facilmente portare al conflitto, perché è un bene collettivo che deve essere condiviso da tutti gli interlocutori, compresi, al limite, gli abitanti del centro: un centro può fingersi cieco, ma non sordomuto (v. Zolberg, 1977, p. 140).
È più probabile che la politicizzazione di queste risorse abbia luogo quando la periferia si trova a fronteggiare processi di (rapido) cambiamento: politiche di costruzione dello Stato, per esempio di standardizzazione linguistica e del sistema educativo, espansione o declino economico, una più intensa attività di governo, migliori comunicazioni e mass media più efficaci. Dietro questi catalizzatori del cambiamento si nasconde lo spettro dell'identità, l'essenza della componente culturale della perifericità.
L'identità si forma per stratificazioni: gli strati-base accentuano l'appartenenza alla comunità locale, altri indicano l'appartenenza a reti territoriali più ampie. All'interno di un unico sistema territoriale possono coesistere più strati; le relazioni che intercorrono tra questi strati, in qualsiasi momento, dipendono dalla particolare costellazione di eventi, tendenze e politiche che emergono in quel sistema. I processi di consolidamento perseguiti nel tempo - talvolta deliberatamente, talvolta inconsapevolmente - dalle élites del centro hanno spinto la grande maggioranza della gente verso una forma di doppia identità: un'identità statale, più ampia, sovrapposta all'identità storica locale. Ciò che conta è la distanza tra i diversi strati e i costi per spostarsi da uno all'altro.
Sono questi i fattori che creano il dilemma tipico della periferia, in particolare nello Stato moderno, perché si riferiscono a tipi diversi di diritti del cittadino: da una parte il diritto al rispetto per la comunità di origine, dall'altra il diritto all'accesso a opportunità che consentano la piena realizzazione delle capacità individuali. Il primo diritto riguarda le radici, che costituiscono l'essenza dell'identità, dal momento che aiutano un individuo a rispondere alle domande cruciali: "Chi sono, che cosa sono, dove sono?". Il secondo riguarda le opzioni, il diritto della gente di coltivare i propri talenti e le proprie capacità nell'ambito di una comunità territoriale e di una struttura di opportunità più ampie. In passato, il conflitto potenziale tra radici e opzioni era meno grave di oggi, perché la mobilità, le opportunità economiche e le attività dello Stato erano più limitate. Tale conflitto ha maggiori probabilità di svilupparsi nello Stato moderno, perché le popolazioni delle periferie, più articolate, esigenti e coscienti politicamente, sono diventate più riluttanti ad accettare restrizioni del loro diritto sia alle radici che alle opzioni.
Ogni Stato o centro persegue due obiettivi primari: preservare l'integrità del territorio di cui rivendica il controllo e veder sancita la propria legittimità tramite l'appoggio popolare e il riconoscimento della propria autorità politica. Questi imperativi del centro rappresentano ciò che deve essere superato perché le richieste della periferia possano essere soddisfatte, dal momento che queste ultime implicano invariabilmente qualche modifica, probabilmente non insignificante, sia dell'integrità territoriale che della natura della legittimità.
Per un centro è altamente innaturale rinunciare volontariamente a una parte del territorio: "I governi manifestano una tendenza naturale a integrare le società che governano. La protezione delle minoranze non è naturale per loro" (v. LaPonce, 1960, p. 43). Malgrado ciò e malgrado le spinte a una più accentuata centralizzazione che hanno caratterizzato il processo di costruzione degli Stati nel corso del XX secolo, una resistenza assoluta alle richieste di maggior autonomia avanzate dalle periferie può costituire un'operazione costosa. Mentre questa sembra essere l'opzione preferita dai nuovi Stati, in Asia e in Africa, ipersensibili a tutto ciò che riguarda la propria integrità e legittimità, i governi del mondo occidentale, qualunque possa essere stato il loro atteggiamento nel passato, oggi non sono propensi a resistere in modo assoluto: in genere rispondono alle richieste delle periferie cercando di pervenire a un accordo o di far decantare la situazione nell'ambito dei confini esistenti.
Dato che le richieste della periferia nascono spesso da un misto di scontento economico e culturale, il centro può optare per una risposta economica o per una più specificamente politica. Una risposta economica può essere costosa in termini finanziari, ma nel lungo periodo comporta meno rischi per le esigenze territoriali del centro. Negli ultimi decenni, tuttavia, l'opzione economica è diventata meno soddisfacente a causa dell'aumento delle contraddizioni tra le tendenze del centro e le aspirazioni della periferia, dovuto alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione geografica, a un maggior accentramento del potere economico e finanziario, alla crescente burocratizzazione e a una forte pressione verso l'uniformità degli stili di vita. Gli sforzi economici del centro sono stati portati avanti, e le soluzioni sono state cercate, all'interno di questo quadro generale: migliorare l'economia periferica per migliorare lo Stato nel suo insieme e la sua economia. Ma non è questo che interessa la periferia: le sue aspirazioni hanno sempre ruotato intorno a un più vasto concetto di giustizia territoriale, volto a preservare, soprattutto, il diritto alle radici insieme a un crescente diritto alle opzioni. Per un centro sarà quindi sempre insoddisfacente perseguire una strategia solo economica là dove si profilano prevalenti questioni di identità: le richieste essenziali della periferia tendono a essere politiche e richiedono una risposta politica.
Dove un centro deve fare i conti con l'aspetto politico (nell'ipotesi che le due risposte estreme - accettare una secessione o resistere totalmente - siano impraticabili), le opzioni possibili sono due: addivenire ad accordi di gruppo o territoriali. Il federalismo è la forma classica e di maggior efficacia di decentramento territoriale e di accordo; l'accordo di gruppo non implica una divisione geografica dell'autorità politica o costituzionale: è piuttosto una soluzione consociativa che determina la divisione del potere e dei beni pubblici tra gruppi. L'opzione territoriale è più adatta dove la periferia è culturalmente omogenea. L'opzione di gruppo potrebbe invece essere più appropriata quando due o più gruppi culturali occupano e rivendicano uno stesso territorio periferico.Fino a che punto un centro scelga di perseguire l'una o l'altra di queste strategie è questione legata allo stile storico e istituzionale della sua politica. La monocefalità tende a essere associata a (e derivata da) strategie di accentramento, che incorporano tutte le aree in un sistema più o meno universale di standardizzazione e in uno Stato unitario. La policefalità è associata a pregresse strategie federalistiche; in tal caso le aree periferiche, anche se appartengono a un'unità territoriale e sono subordinate a un centro, mantengono nondimeno qualche carattere distintivo, godono di una certa garanzia di protezione e di rispetto della loro identità e magari di una certa autonomia in qualche settore della politica.
In ultima analisi, tutto si riduce al costo. Il centro pagherà un prezzo alto per mantenere la propria integrità territoriale e il controllo su tutto il territorio, specialmente se la periferia dissidente ha un alto valore (strategico o economico). Non c'è ragione di credere che questo dilemma non persisterà nel futuro, dal momento che le identità hanno mostrato una notevole capacità di resistere nel tempo; ogniqualvolta vengono politicizzate, possono essere potenzialmente pericolose per la stabilità dei regimi in quanto entità territoriali. Per esplorare questa prospettiva si deve cominciare dall'incongruenza tra cultura, economia e politica; è questa incongruenza che forma l'essenza del paradigma centro-periferia e che costituisce il maggiore ostacolo sia per una definizione generale di centro e periferia, sia per la soluzione dei problemi territoriali esistenti. (V. anche Stato).
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