Scrittore (Alcalá de Henares 1547 - Madrid 1616). Fu in Italia al servizio del cardinale Giulio Acquaviva (1570), combatté e fu ferito a Lepanto (1571); nel 1575, fatto prigioniero dai Turchi, fu inviato in Algeri dove trascorse cinque anni. Finalmente riscattato tornò in patria dove visse tra affari andati a male, scomuniche e varî arresti. L'attività letteraria di C. fu multiforme. La Galatea (1585) fonde con la materia consueta del romanzo pastorale, derivata in parte dalla Diana di J. de Montemayor, allusioni a persone reali, novelle, versi in onore di poeti contemporanei; le Ocho comedias y ocho entremeses (1615) in cui C. proietta esperienze personali in personaggi storici, hanno tratti vigorosi e ricchi di vita, di penetrante osservazione psicologica e caratteri scolpiti a linee rapide e sicure. Le 12 Novelas ejemplares (1613) raccolgono in pagine d'invenzione, o d'imitazione italiana o d'osservazione realistica, acuti saggi di analisi della passione amorosa, descrizioni di ambiente, ecc.: un mondo colorito, visto con la stessa serena ironia e sorridente indulgenza che caratterizza l'opera maggiore, El ingenioso hidalgo Don Quixote de la Mancha (Primera parte, subito fortunatissima, 1605; Segunda parte, 1615). Il racconto delle memorabili avventure del cavaliere il quale vuole attuare nella sua vita i grandi fatti dei celebri cavalieri, campioni di lealtà e di coraggio, protagonisti dei romanzi di cui egli si era nutrito, si presta veramente a tutte le interpretazioni: a quella che vede nel capolavoro la caricatura della società, perduta dietro la magia della materia cavalleresca; a quella che vi scorge la parodia del genere letterario o, più esattamente, la sua satira, a quella che, trascendendo queste definizioni, coglie in ogni fatto e in ogni detto altrettanti simboli: di satira personale, sociale, ecc., di esposizione razionalistica d'un sistema rivoluzionario; di antitesi fra aristocrazia e democrazia, ecc. In effetti la classica serenità e la benevola ironia "del più sano ed equilibrato degli ingegni del Rinascimento" concorrono a creare l'ultimo, e definitivo, dei libri di cavalleria, nel quale i motivi letterarî classici e romanzi, reminiscenze poetiche e leggende popolari, sono fusi nei varî episodi che si alternano con novelle e osservazioni di vita pratica, di morale, ecc., con una significazione di portata universale. Condensando nella figura di don Chisciotte, che ha smarrito il senso della realtà comune, tutte le capacità di volere e di agire per ristabilire nel mondo la realtà della giustizia e dei valori ideali, e nella figura di Sancho Panza gli interessi dell'uomo grossolano e furbo, che però al contatto di quella disinteressata nobiltà sembra innalzarsi a una sfera nella quale l'uomo riscatta la sua materialità, il C. ha creato due tipi eterni, mossi in un mondo animatissimo che, tra sogno e realtà, infine si pacifica nell'episodio del rinsavimento, cioè della morte, dell'immaginoso hidalgo. Oltre alle liriche che intercalò nelle varie opere sue, C. pubblicò sparsamente canzoni, sonetti, ottave, ecc. in occasioni varie. L'ultima sua opera, di non grande valore, fu Los trabajos de Persiles y Sigismunda, historia septentrional (1617), romanzo tra cavalleresco e pastorale.