AGOSTINI, Cesare
Nacque a Foligno il 3 sett. 1803. Dedicatosi agli studi di diritto, ebbe, prima del 1848, modesti incarichi amministrativi, come quello di membro della commissione d'annona di Roma, e insegnò storia nelle scuole serali. Fu, poi, tra i più attivi collaboratori del Contemporaneo, di cui divenne, negli ultimi tempi della Repubblica romana, quasi l'unico estensore. Il 9 genn. 1849 entrò nel Comitato dei circoli italiani, rappresentandovi quello di Foligno. Fatto nominare da Pietro Sterbini sostituto al ministero del Commercio, Industria e Agricoltura, dové conservare tale carica anche durante la repubblica, giacché in questa qualità, il 3 luglio 1849, gli fu affidato provvisoriamente dal secondo triumvirato il ministero stesso, dopo le dimissioni di Mattia Montecchi.
Eletto il 21 genn. 1849 deputato alla Costituente romana per la Comarca, nella prima seduta dell'assemblea sostenne, contro la proposta dilatoria del Mamiani, la necessità di proclamare senza indugio la repubblica e di dichiarare decaduto il potere temporale. Il 14 febbraio fu incaricato di studiare il riordinamento del ministero della Marma e il 15aprile fu eletto consigliere municipale di Roma.
Oratore efficace, anche se ricercato ed ampolloso, dimostrò avvedutezza e capacità nei molti incarichi ricevuti dall'assemblea. Delle proposte da lui presentate le più importanti sono quelle dell'istituzione delle giurie nei processi penali; della formazione di un Monte agricolo per il credito ai piccoli proprietari; dell'adozione del sistema decimale per la moneta della repubblica. La Costituente romana avrebbe dovuto, nel suo pensiero, promuovere la convocazione di quella italiana, quando però la situazione politica della penisola fosse stata matura. Si oppose, perciò, alla proposta (accolta peraltro dall'assemblea) di dichiarare membri di diritto della Costituente italiana i sessanta deputati eletti con il maggior numero di voti in ciascuna provincia.
Il 17 apr. 1849 presentò all'assemblea il progetto della costituzione, alla cui discussione prese attiva parte, sostenendo che essa dovesse essere il fondamento non solo dei diritti dei cittadini, ma anche dei loro doveri. Contrario alla introduzione immediata della libertà di culto, che aveva proposto Carlo Luciano Bonaparte, sostenne, invece, la necessità di concedere al papa la garanzia del libero esercizio dei suoi poteri spirituali e di assicurare la protezione dello Stato alla religione cattolica. L'ottavo "principio" da lui perciò proposto, e che diceva: "La religione cattolica è la religione dello Stato", non fu però approvato dall'assemblea e non comparve nel testo definitivo della costituzione.
Avvenuto l'intervento francese, il 18 maggio fu incaricato con lo Sturbinetti e l'Audinot di condurre le trattative con il Lesseps e il generale Oudinot, e quando questi, rotta la tregua, diede l'ultimatum, propose di lasciarlo senza risposta.
Il 4 luglio sottoscrisse in qualità di vice presidente della Costituente romana l'atto di protesta contro l'invasione francese e l'imposto scioglimento dell'assemblea. Caduta la repubblica, lasciata a Genova in grandi strettezze la famiglia affidata al cognato Francesco Benaducci, andò esule a Londra, ove nell'aprile 1850 abitava nella stessa casa di Carlo Pisacane; collaborò all'Italia e popolo di Genova (l'articolo L'Italia e i suoi oppressori del 30 sett. 1852 gli procurò un processo) e si occupò con Mazzini del Comitato nazionale italiano, del quale fu segretario. A Londra ebbe stretti rapporti con Giacinto Achilli, passato al protestantesimo, ispirando però la sua collaborazione alla propaganda antipapale dell'ex domenicano a motivi più politici che religiosi. Dopo il fallimento del moto milanese del 6 febbr. 1853, volle separare le sue responsabilità, asserendo che il proprio nome era stato posto a sua insaputa tra quelli dei firmatari del proclama insurrezionale (cfr. la sua lettera al Daily News del 16 febbr. 1853, riprodotta in N. Bianchi, Vicende del mazzinianismo, Savona 1854, pp. 66-67). Si staccò, quindi, da Mazzini e cessò da ogni attività politica, cercando di riparare all'estrema miseria, nella quale era caduto, con l'insegnamento della lingua italiana.
Morì a Londra il 30 maggio 1854 e fu seppellito nel cimitero di St. Mary a Paddington.
Mazzini, dopo la morte dell'A., fu accusato non solo di avere rifiutato ogni aiuto all'amico morente, ma anche di avere organizzato contro di lui una vera e propria persecuzione (cfr. lettera di Mazzini a Caroline Stansfeld del giugno 1854, in Ediz. Naz. degli scritti... di G. Mazzini, LII, pp. 248 s.). Queste accuse furono dimostrate infondate dall'esule Adamo d'Oria con una pubblica dichiarazione del 30 giugno 1854:vi affermava di aver portato all'A. ogni aiuto, per incarico del Mazzini, anche dopo la rottura del febbraio 1853 (cfr. Ediz. Naz., LII, p. 249).
Fonti e Bibl.: Le Assemblee del Risorgimento, Roma, Roma 1911, III, p. 10; IV, pp. 190-200, 1083; Ediz. Naz. degli scritti... di G. Mazzini, XXXVII, XL, XLIV, XLVII, LII, cfr. Indici; G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del governo pontificio, I, Firenze 1868, p.100; III, ibid. 1869, pp.200, 203, 385;G.Leti, Roma e lo Stato pontificio dal 1849 al 1870, II, Ascoli Piceno 1911, p. 108; G. Degli Azzi, Gli Umbri nelle assemblee della patria, in Arch. stor. del Risorgimento umbro, VIII (1912), pp. 168-198; G. Spini, Risorgimento e Protestanti, Napoli 1956, pp. 252, 267, 295 (che erroneamente presenta l'A. come sostenitore nell'Assemblea Costituente dell'illimitata libertà dei culti); F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano 1958, pp. 182, 406, 467; Diz. del Risorgimento naz., I, p. 21; Encicl. Ital., sub voce (che però danno erroneamente quale anno di morte il 1855).