Uomo politico e scrittore (Pesaro 1799 - Roma 1885). Partecipò ai moti del 1831 in Emilia; arrestato dagli Austriaci, fuggì poi a Parigi. Fu deputato dell'Assemblea Costituente a Roma (1849), schierandosi contro la Repubblica. Deputato al Parlamento subalpino per la maggioranza cavouriana e in seguito ministro dell'Istruzione del gabinetto Cavour (1860), ricoprì poi vari incarichi diplomatici. Tra le opere: Lettere dall'esilio (1899).
D'ingegno precoce, nel 1826 si recò a Firenze dove strinse amicizia con Leopardi, che gli era parente, con N. Tommaseo, con G. B. Niccolini, con G. Capponi. Tornato a Pesaro alla morte del padre (1828), contribuì a preparare la rivoluzione del 1831, durante la quale fu eletto deputato e segretario dell'Assemblea nazionale raccolta a Bologna, e poi nominato ministro dell'Interno. Arrestato dagli Austriaci, fu rinchiuso per quattro mesi nelle carceri di Venezia, dove compose l'Inno ai Patriarchi. Messo in libertà, ma condannato all'esilio perpetuo dalle autorità pontificie, riparò a Parigi, dove rimase fino al
Corrispondente dapprima di Mazzini, si staccò da lui (1839) e fu tra gli iniziatori del movimento moderato con l'opuscolo Nostro parere intorno alle cose italiane (1839). Nel 1847 poté ritornare a Roma, e (maggio 1848) fu nominato ministro dell'Interno nel gabinetto del cardinale L. Ciacchi, rappresentandovi l'elemento liberale: ma si dimise nell'agosto quando vide mancargli la fiducia di Pio IX. Si recò a Torino, ove promosse con V. Gioberti l'associazione della Confederazione Italiana. Tornato a Roma dopo l'assassinio di P. Rossi (1848), tenne il ministero degli Esteri nel gabinetto Muzzarelli, ma dopo la fuga di Pio IX a Gaeta e il trionfo del partito democratico si dimise. Eletto (1849) deputato dell'Assemblea costituente, si pronunciò contro la repubblica, e quando questa fu proclamata si dimise e si ritirò a vita privata. Costretto a esulare dopo la restaurazione pontificia, fu prima a Marsiglia, poi a Genova. Eletto deputato al parlamento subalpino per la 15a legislatura, fece parte della maggioranza cavouriana. Nel 1857 ottenne la cattedra di filosofia della storia nell'univ. di Torino; poi (1860) fu ministro dell'Istruzione nel rinnovato gabinetto Cavour. Passato alla diplomazia, fu ministro plenipotenziario ad Atene (1861) e a Berna (1865). Nel 1871 tornò all'insegnamento della filosofia della storia nell'univ. di Roma. Senatore dal 1864; socio nazionale dei Lincei dal 1875.
Come poeta (Inni sacri ,1832; Nuove poesie,1835; Idillî ,1840, ecc.) M. non va oltre i limiti d'un decoroso classicismo. Come filosofo, fondò nel 1870 la rivista La filosofia delle scuole italiane, e pubblicò numerosi scritti fra i quali: Del rinnovamento della filosofia antica italiana (1836); Sei lettere al Rosmini (1838: replica alla severa critica che Rosmini aveva mosso al Rinnovamento, dove si propugnava, contro la logica rosminiana dell'essere, il ritorno a un vago "metodo naturale", o empirico); Dell'ontologia e del metodo (1841); Dialoghi di scienza prima (1846: l'incerto empirismo di M., da un lato timoroso e dall'altro desideroso delle altezze metafisiche, vi oscilla fra una tendenza scettica e un'indagine psicologica dell'esperienza comune); Confessioni di un metafisico (1850, che M. considerava la sua massima opera: il suo empirismo vi si congiunge con un ingenuo platonismo); Meditazioni cartesiane (1869). Notevoli le Lettere dall'esilio (post., 1899).