Balbo, Cesare
Storico e politico (Torino 1789-ivi 1853). Figlio di Prospero e di Enrichetta Taparelli d’Azeglio, in gioventù, nonostante un certo alfierianesimo che lo portò nel 1804 a fondare con altri coetanei l’Accademia dei concordi, fu al servizio di Napoleone, segretario generale della giunta governativa della Toscana (1808), segretario della Consulta napoleonica per gli ex territori pontifici (1809), auditore al Consiglio di Stato a Parigi (1811), liquidatore dei conti a Lubiana, e infine addetto al ministero di Polizia a Parigi. Alla Restaurazione entrò nell’esercito piemontese; nel 1816 accompagnò il padre ambasciatore a Madrid e per alcuni mesi resse l’ambasciata. Coinvolto, sebbene infondatamente, nel moto liberale del 1820-21, dovette dapprima andare in esilio in Francia e poi, rientrato in Italia, fu confinato per alcuni anni a Camerano (1824). Il lungo periodo di isolamento gli permise di dedicarsi all’approfondimento di fondamentali problemi storici per soddisfare un interesse che, già manifestatosi durante la permanenza in Spagna, era stato in lui acuito dagli avvenimenti del 1821. Frutto di queste meditazioni e ricerche furono una serie di brevi scritti, tra cui le importanti Memorie sulla rivoluzione del 1821, e alcune di quelle opere che dovevano poi dargli un posto cospicuo nella storiografia neoguelfa: Storia d’Italia dal 476 al 774 (1830), Vita di Dante (1839), cui seguì più tardi l’appassionato Sommario della storia d’Italia (1846-47). La sua visione della storia italiana è dominata dal motivo dell’indipendenza dallo straniero, che si riflette nelle sue stesse valutazioni (come quando esalta i Comuni e ridimensiona la cultura del Cinquecento). Ma il motivo centrale della speculazione di B. è l’accordo della religione cattolica con la moderna teoria del progresso: ciò si osserva, tra l’altro, nelle Meditazioni storiche (1842-45), in cui cercò di conciliare i risultati dei più recenti studi filologici con la narrazione mosaica. Dal campo storico passò a quello della pubblicistica politica con le Speranze d’Italia (1844), nelle quali indicava nel Piemonte il fulcro dell’unificazione italiana e nell’espansione austriaca nella Penisola Balcanica la soluzione della questione italiana vista nel più ampio contesto europeo. Presidente del Consiglio dopo la concessione dello Statuto (13 marzo-26 luglio 1848), si rivelò inferiore al compito. Tornato semplice deputato, nel 1849 M. d’Azeglio gli affidò un’importante missione presso Pio IX a Gaeta.