BORGIA, Cesare
Nacque, secondo ogni probabilità, nell'estate del 1475 da Rodrigo Borgia, allora cardinale vescovo di Albano e vice-cancelliere della chiesa, e da Vannozza Catanei romana. Rivolto da prima a vita ecclesiastica, ebbe la dignità di protonotario (27 marzo 1482) e, dopo molti altri benefizî, il vescovado di Pamplona (12 settembre 1491).
Rodrigo Borgia, divenuto papa Alessandro VI (v.), lo elevò all'arcivescovado di Valenza (31 agosto 1492) e gli diede un enorme numero di benefizî ecclesiastici, pur tenendolo ancora alcuni mesi lontano da Roma, dove è ricordato solo nel marzo seguente. Il 20 settembre 1493, Cesare, dichiarato con un processo canonico figliuolo legittimo di un Domenico d'Arignano, ebbe il cappello cardinalizio: e il papa diceva di volergli dare "tutta l'autorità et reputatione"; ma il cancelliere fiorentino lo giudicava ancora "molto giovane in ogni suo gesto" (G. B. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1928, pp. 489, 536 n. 74). Ed egli seguì per vero come legato, o piuttosto come ostaggio, il campo di re Carlo VIII (gennaio 1495), dal quale a Velletri fuggì senza il consenso del papa; fu creato governatore generale e legato di Orvieto (16 luglio 1495), ebbe la nomina di legato a Napoli per la coronazione di re Federigo (8 giugno 1497). Il prediletto del papa, l'esecutore de' suoi disegni nella Campagna romana era allora il fratello maggiore di Cesare, Giovanni duca di Gandía; a Cesare pareva riserbato un ufficio di minor conto, nella carriera ecclesiastica.
Nella notte dopo il 14 giugno 1497, il duca di Gandía venne ucciso: la voce pubblica indicò variamente l'autore del delitto; più tardi, quando Cesare fu conosciuto meglio, lo attribuì a lui quasi concordemente. Il truce mistero che avvolse quel fatto, il repentino dileguarsi dei propositi di vendetta del papa, l'atteggiamento stesso di questo di fronte a Cesare rendono probabile il sospetto che Cesare volesse liberarsi di chi gli attraversava la via, ch'egli, ormai, voleva percorrere. Certo egli la percorse, d'allora in poi, risolutamente e trascinò dietro di sé il pontefice, che aveva per lui insieme amore e paura.
Il 17 agosto 1498, egli depone la dignità cardinalizia, qualche giorno dopo ha dal re di Francia la contea del Valentinois, che è eretta poco appresso in ducato e da cui gli viene il nome di duca Valentino. Si pensa per lui al matrimonio con una figlia di Federigo re di Napoli e a procurargli uno stato, se non forse l'eredità stessa del regno; ma poiché il re non vuole dare la figliuola a un semplice "fio dil papa" e il re di Spagna, ostile alla secolarizzazione del Valentino, si leva contro il nepotismo papale, Cesare piega definitivamente verso il re di Francia, da cui è stato accolto con grandissimo onore nel regno (ottobre 1498), e ha in isposa Carlotta d'Albret, sorella del re di Navarra (12 maggio 1499), e promessa d'appoggio ai suoi già vasti disegni.
Col titolo di luogotenente del re di Francia, con milizie fornite dal re o assoldate con il danaro del papa, Cesare imprende a spodestare i tirannelli di Romagna, col pretesto di sottomettere alla Chiesa la regione che dominava le vie dell'Italia centrale. Il primo assalto è alla signoria Sforza Riario; le città di Imola e di Forlì aprono subito le porte (24 novembre e 17 dicembre 1499); Caterina si difende fieramente nella rocca di Forlì, ma è costretta alla resa (12 gennaio 1500): Cesare assume nelle due città il titolo di vicario per la Chiesa.
Il ritiro delle truppe francesi, l'intervento dei veneziani costrinsero Cesare a sospendere l'impresa. Ritornò a Roma accolto in trionfo (26 febbraio 1500) ed ebbe dal papa l'investitura del vicariato (9 marzo), la rosa d'oro e il titolo di gonfaloniere della Chiesa (29 marzo). E già provvedeva a ordinare il governo delle città conquistate, promettendo di reggerle "cum iustitia et misericordia" (Alvisi, doc. 11) e stabilendovi governatore don Ramiro de Lorqua, spagnolo, energico e severo. Rimase tuttavia a Roma più mesi, e ora partecipava a feste carnevalesche, nelle quali apparivano carri rappresentanti il trionfo di Giulio Cesare, ora assisteva a cerimonie religiose del giubileo, ora combatteva una corrida di tori. Ma il 15 luglio di quell'anno Alfonso duca di Bisceglie, degli Aragonesi di Napoli, secondo marito di Lucrezia B. (v.), era ferito in piazza San Pietro e il 18 agosto ucciso nello stesso palazzo papale: forse il primo attentato, certo il secondo erano opera di Cesare, il quale rompeva così ogni possibilità che il papa, ritornando a politica favorevole a Napoli, intralciasse i disegni del re di Francia e le ambizioni del Valentino.
Fatti danari con la creazione cardinalizia del 28 settembre, amicata Venezia con gli aiuti dati o promessi contro il Turco, sicuro dell'appoggio francese, il Valentino riprende, nell'ottobre 1500, la sua gesta in Romagna, dove, già dall'agosto, il papa ha costretto Cesena e Bertinoro ad acclamarlo signore: lo seguono nell'esercito baroni romani e signorotti dello stato papale, i quali trovano più sicuro aderire a lui che resistergli. Prima ancora che egli giunga, Pandolfo Malatesta cede Rimini (10 ottobre), Giovanni Sforza fugge da Pesaro: Faenza sola resiste per l'amore dei cittadini al giovanissimo Astorre Manfredi e gli aiuti di Giovanni Bentivoglio, signore di Bologna, e dei Fiorentini. Il 25 d'aprile del 1501 la città, dopo meravigliosa difesa, si arrende: Astorre, contro i patti, è mandato prigione a Roma, dov'è ucciso nel giugno dell'anno appresso. Il Bentivoglio patteggia col duca; Firenze, con le milizie di lui quasi alle porte, gli offre condotta con assegno di 36.000 ducati per tre anni (15 maggio). Poi, mentre, occupate già l'Elba e Pianosa, l'esercito ducale stringe Piombino, che sarà nel settembre costretta alla resa, Cesare rientra a Roma (13 giugno); e, poiché il papa ha approvato (25 giugno) la spartizione del regno di Napoli tra la Francia e la Spagna, segue secondo i patti l'esercito francese, partecipa alla presa e al saccheggio orrendo di Capua, entra, precedendo i Francesi, in Napoli; il 15 settembre è in Roma di nuovo e attende di spiccare altro volo.
Riordina intanto la Romagna, di cui il papa fin dal maggio lo ha creato duca, stendendone poi il confine da Imola a Fano, e vi pone governatore generale don Ramiro perché la tenga tranquilla contro i tentativi di riscossa dei signori spodestati e i maneggi nascosti dei Veneziani.
Nel giugno del 1502, fatti a spese della Chiesa grandi apparecchi di guerra, Cesare lasciò Roma di nuovo. Il momento era propizio: il re di Francia aveva bisogno del papa per le contese ormai sorgenti con la Spagna; Ferrara, dov'era andata sposa Lucrezia, era in lega con i B.; Venezia, occupata col Turco, faceva protestare a Cesare dal doge il "paterno suo amore"; Firenze aveva già sulle braccia la guerra con Pisa, e il Valentino, senza assalirla direttamente come protetta dal re di Francia, lasciava operare contro di lei i suoi condottieri, che le ribellarono Arezzo e occuparono la Valdichiana. La spedizione ducale pareva diretta contro Giulio Cesare Varano, signore di Camerino; ma Cesare piomba a tradimento sopra il ducato di Urbino che gli è necessario per dominare la Romagna.
Guidobaldo da Montefeltro fugge a stento; Cesare prende il titolo di duca d'Urbino e fa portare a Cesena le opere d'arte e la biblioteca feltresca. Niccolò Machiavelli, inviato ad Urbino come segretario dell'oratore fiorentino, ammira la prudenza, la celerità, l'eccellentissima felicità di quell'uomo vittorioso e formidabile. Nel luglio, Camerino è tolta ai Varano, che morranno poi in carcere o saranno uccisi, ed è data nominalmente a Giovanni B., un bambino asserito figliuolo di Cesare.
E già il duca pensava all'impresa contro Bologna, quando, ai primi d'ottobre, si raccolsero alla Magione, in quel di Perugia, con alcuni degli Orsini, con Ermete Bentivoglio, col rappresentante di Pandolfo Petrucci da Siena, due dei Baglioni e Vitellozzo Vitelli, avversarî o condottieri di Cesare, tutti egualmente paurosi di essere "a uno a uno devorati dal dragone" (Villari, Machiavelli, 2ª edizione, I, 395). Parve allora crollare il dominio di Cesare: Urbino si ribellava e l'esercito ducale era vinto dagli Orsini a Calmazzo (15 ottobre); rientrava nei suoi stati acclamato il duca Guidobaldo; Camerino era pure ribelle e Fano minacciata. Ma Cesare raccoglie in Romagna un nuovo esercito, si riaccosta a Firenze, che gli manda oratore a Imola il Machiavelli, si fa forte della protezione del re di Francia. A capo della Romagna mette, in luogo del Lorqua, Antonio del Monte, lodato per dottrina, per senno e bontà, e poco appresso fa porre "a Cesena, in dua pezzi, in sulla piazza" don Ramiro, sia per fare "satisfatti e stupidi" quei popoli (Machiavelli, Principe, VII, 8), sia per ammonire i servitori malfidi. Intanto, con un'astuzia che sconcerta lo stesso Machiavelli, tratta con alcuni dei congiurati della Magione ancora titubanti; e, mentre Guidobaldo abbandona di nuovo il ducato e i condottieri di Cesare occupano in nome suo Senigallia, questi entra nella città con forze inferiori alle loro e, tradendo chi forse si apprestava a novamente tradirlo, li fa prigionieri (31 dicembre 1502). Oliverotto da Fermo e il Vitelli sono uccisi la stessa notte, il duca di Gravina e Paolo Orsini alcuni giorni appresso (18 gennaio 1503): Niccolò Machiavelli narra alla Signoria con ammirazione quei fatti memorabili e ne scriverà più tardi, colorendoli in parte diversamente dal vero, la Descrizione. A Roma gli Orsini sono fatti arrestare dal papa e Battista cardinale muore con sospetto di veleno (22 febbraio 1503); le terre loro sono per gran parte occupate; i tirannelli dell'Umbria fuggono come innanzi all'idra; Perugia e Città di Castello vengono in mano di Cesare, il cui esercito devasta le terre paurosamente.
La Romagna era ormai saldamente organizzata e sicura. Alle città erano stati accordati o confermati privilegi diversi; ma in ciascuna era un governatore ducale; le maggiori cariche erano date a Romagnoli. Per l'amministrazione della giustizia fu creata una Rota, corte suprema d'appello, composta di dottori scelti dal duca uno per ciascuna città: il 24 giugno del 1503, con grandi feste e rappresentazioni sacre e profane, nelle quali apparve il carro trionfale di Cesare e Cleopatra, si aprì, sotto la presidenza di Antonio del Monte, la prima sessione; furono norma le Costituzioni egidiane. E in Romagna si armavano fanti dell'ordinanza con la divisa ducale, esempio di milizia paesana, più tardi largamente imitato. La terra, che poco innanzi era spartita fra molti piccoli tiranni e lacerata da fazioni, sentiva ora e già apprezzava il forte governo d'un solo e rapidamente s'avviava a formare uno stato.
E già Cesare si andava staccando dalla Francia, sconfitta nel Napoletano, e s'avvicinava alla Spagna vittoriosa, raccoglieva con mezzi più o meno leciti o delittuosi nuovo danaro, si diceva pensasse a occupare Siena e Pisa e Firenze, non più protetta efficacemente dal re di Francia: all'uomo, che da più anni portava sulla sua spada il motto Cum nomine Caesaris omen, si attribuiva il disegno di cingere la corona di re. Il raccogliersi a Parma di un nuovo esercito francese interruppe i nuovi disegni, la morte del papa (18 agosto 1503) li infranse. Disse Cesare al Machiavelli "che aveva pensato a ciò che potessi nascere morendo el padre, et a tutto aveva trovato remedio, eccetto che non pensò mai, in su la morte, di stare ancora lui per morire (loc. cit., 12). Infermo, poté tuttavia rimanere a Roma più giorni, ma dovette pacificarsi con i Colonna, e giurare obbedienza al Sacro Collegio (22 agosto); solo il 2 settembre, dopo lunghe trattative con i cardinali, lasciò la città, ponendosi sotto la protezione del re di Francia. I signori spodestati tornavano nelle loro terre; ma rimaneva ferma la Romagna, e il nuovo papa Pio III, eletto il 22 settembre per un accordo tra cardinali francesi e spagnuoli, mostrava favore a Cesare fino a confermargli i diversi vicariati e l'ufficio di gonfaloniere, scrivere brevi per lui, consentirgli il ritorno in città (3 ottobre).
Ma Pio III venne a morte il 18 ottobre; Faenza e Forlì andarono perdute; Cesare stesso appariva all'oratore veneziano assai diverso da un tempo, "molto sbattuto", senza "l'arroganzia sua consueta" (Giustinian, Dispacci, II, 268). Poté ancora dal Castel Sant'Angelo, dove s'era ritratto, patteggiare con Giuliano della Rovere, promettendo a questo antico fierissimo avversario dei B. i voti dei cardinali spagnoli, purché egli avesse l'ufficio di gonfaloniere e protezione dal nuovo pontefice. Ma, eletto papa (i novembre), Giulio II non mantenne la fede, né poteva mantenerla senza che la Romagna cadesse intera nelle mani dei Veneziani. Cesare sembra ora "uscito del cervello... avviluppato e inresoluto" (Machiavelli, Disp., 14 novembre 1503). Mentre i Veneziani s'impadroniscono di Faenza e di Rimini, il papa, che vuole rivendicare la Romagna alla Chiesa, tenta di ottenere da lui la cessione delle terre che gli rimangono: a un suo rifiuto, lo fa arrestare a Ostia e condurre a Roma (novembre 1503). Dopo lunghi negoziati poco sinceri, il duca cede per gran parte: liberato senz'ordine del papa (aprile 1504), si rifugia a Napoli, dove Gonsalvo di Cordova prima lo accoglie con onore, poi, per ordine del suo re sollecitato dal papa, lo arresta come disturbatore della pace d'Italia (27 maggio); solo a questo modo e non subito, gli si strappa l'ordine al castellano di cedere la rocca di Forlì, ultima che fosse ancora tenuta per lui. E tuttavia Cesare è inviato prigioniero in Spagna, fugge il 25 ottobre del 1506 e ripara presso il cognato re di Navarra; muore combattendo sotto il castello di Viana il 12 marzo 1507.
Fu Cesare Borgia biondo, d'aspetto bellissimo, prima che le pustole, dovute a malattia o a dissolutezza, ne deformassero il volto, di corpo tanto robusto che si narrò potesse con le mani infrangere un'asta e stroncare una fune o un ferro da cavallo. Fu parlatore facondo, amante della cultura e dei libri, protettore di letterati. Il Pinturicchio fu preso al suo servizio, Leonardo fu per due anni suo "architetto et ingegnere generale" e attese per lui a opere di difesa militare e di utilità o decoro pubblico, particolarmente in Romagna. Ebbero per suo impulso notevole sviluppo le industrie; ebbe protezione la tipografia sonciniana di Fano; furono innalzati edifizî, fra i quali a Cesena il palazzo della Rota e il Ginnasio.
Pensò Cesare vasti disegni, li eseguì con audacia e fermezza, senza scrupolo nella scelta dei mezzi; giunto alla meta, seppe governare con severità e con giustizia, sicché il Machiavelli lo additò come ideale dei nuovi principi, e credette di vedere in lui uno "spiraculo", per la redenzione d'Italia (Principe, VII, 13; XXVI, 1). Ma fu dissoluto, crudele, orgoglioso; chi conobbe lui giovinetto, scrisse che ogni cortesia fatta a lui era poco apprezzata e i suoi modi avevano "del marano sconciamente" (Picotti, l. c., 679); dieci anni dopo, l'oratore veneto, che non riusciva ad averne udienza, lamentava "la difficile natura sua" (Giustinian, l. c., I, 23).
Si osservò che la fortuna di Cesare, sorta per opera di papa Alessandro, tramontò con questo; e certo gran parte del buon successo egli dovette al formidabile appoggio, che, pure in età di decadenza, poteva dare il papato; è tuttavia da riconoscere che i disegni e le azioni non furono di Alessandro, ma suoi. Può anche additarsi già ne' suoi tempi migliori un contrasto fra periodi di operosità intensa e di riposo, quasi di ozio, come se la ferrea natura propria di lui si alternasse con una natura molle e sensuale, ereditata dal padre. E più s'avverte il contrasto fra quei cinque anni gloriosi e l'abbattimento in cui cadde poi, nella cattiva fortuna. Forse lo aveva fiaccato la malattia? o fu Cesare Borgia uno di quegli uomini, che, quasi per fatalistica fede, seguono la loro stella, finché appaia luminosa, e si accasciano quando essa si oscuri?
Bibl.: Per la bibliografia generale si vedano le voci: Alessandro VI e Borgia; tra le opere speciali E. Alvisi, Cesare Borgia duca di Romagna, Imola 1878; Ch. Yriarte, Les Borgia, César Borgia, sa vie, sa captivité, sa mort, voll. 2, Parigi 1889; W. H. Woodward, Cesare Borgia, a biography, Londra 1913; R. Sabatini, The life of Cesare Borgia, 10 ed., Londra, 1926.