Filosofo (Cento 1550 - Padova 1631); insegnò (dal 1590) all'università di Padova per molti anni. Collega a Padova di Galilei, C. non volle, sembra, prender mai in considerazione le sue ipotesi né compiere osservazioni celesti col "cannocchiale" galileiano. Aristotelico - non senza subire l'influenza del platonismo di Pico della Mirandola - egli difende una concezione fisico-metafisica coerente con i principî dell'aristotelismo (mondo finito, Dio motore finito che muove come fine, causalità dei cieli - retto ciascuno da un'anima informante - che agiscono attraverso il calore, anima razionale come forma informante e quindi mortale, al di sopra della quale sta un principio d'intelligibilità incorporeo e unico), distinguendo nettamente tra il pensiero di Aristotele (o filosofia), che era compito del maestro esporre, e i divergenti insegnamenti della fede verso i quali era professato formale ossequio. Pochi gli scritti di C. stampati (Explanatio prohemii librorum Aristotelis de physico auditu, 1596; De formis quatuor corporum simplicium, 1605, commenti al De caelo), molti gli inediti.