GONZAGA, Cesare
Nacque, probabilmente in Sicilia, il 6 sett. 1536, primogenito di Ferrante I Gonzaga e Isabella di Capua; fu chiamato Cesare in onore di Carlo V. Tra i titoli ereditati dal padre furono quello di duca di Ariano, concesso nel 1532 da Carlo V a Ferrante, che l'aveva servito come viceré di Sicilia (1535-46) e governatore di Milano (1546-54), e quello di principe di Molfetta, portato in dote da Isabella di Capua nel 1534. Nel 1539 Ferrante comprò dai conti Torelli il feudo di Guastalla, dando così inizio al ramo cadetto dei Gonzaga di Guastalla (conti, poi duchi dal 1621). Quando egli morì (il 16 nov. 1557 a Bruxelles, alla corte di Filippo II) la signoria di Guastalla passò al G., allora ventunenne, che mirò subito a consolidare la propria posizione. Il 21 maggio 1558 ebbe da Filippo II la nomina a capitano generale delle truppe in Lombardia e il 2 maggio 1559, mediante un decreto imperiale, i titoli del padre. Il 25 dic. 1559 il milanese Giovanni Angelo de' Medici fu eletto papa col nome di Pio IV, grazie soprattutto al sostegno di Ercole Gonzaga, zio paterno del G.; e per mostrare la sua riconoscenza il papa concertò un matrimonio tra sua nipote Camilla Borromeo e il Gonzaga. Il contratto nuziale fu siglato a Roma il 12 marzo 1560 "nella camera del Papa" (Affò, Istoria, III, p. 13), e nell'aprile dello stesso anno vi fu il matrimonio, dal quale nacquero due figli: Margherita (1562, dal 1582 seconda moglie di Vespasiano Gonzaga, duca di Sabbioneta) e Ferrante (1563), che nel 1575 successe al padre. Il matrimonio con la Borromeo portò al G. molti vantaggi, incluso un forte legame con Pio IV, che elevò al cardinalato suo fratello Francesco (26 febbr. 1561), e anche l'amicizia, durata tutta la vita, col fratello di Camilla, il cardinale (e futuro santo) Carlo Borromeo.
Il 31 ag. 1560, pochi mesi dopo il matrimonio, il G. si recò a Roma, soprattutto per consolidare i possedimenti nel Meridione, ma vi restò quasi due anni. Si valse del legame con la Curia per frequentare i membri delle famiglie più importanti, accreditarsi, risolvere una lunga disputa con i Farnese e anche esplorare le meraviglie della città eterna, soprattutto le numerose collezioni private di antichità.
Diversamente dal padre, che era stato soprattutto un uomo d'arme, il G. aveva infatti considerevoli interessi letterari, culturali e intellettuali. Nel soggiorno romano gettò le basi per una futura attività di collezionista di marmi e monete antiche. Il Senato romano gli conferì anche la cittadinanza onoraria (4 dic. 1561), ed egli godé il favore di quattro personaggi che diedero poi un importante contributo al suo programma culturale a Mantova e a Guastalla: il vescovo di Gallese e cultore d'antiquaria G. Garimberto, poi suo corrispondente e consigliere in materia archeologica; l'antiquario e commerciante G.A. Stampa; lo scultore e restauratore T. Della Porta il Vecchio e infine l'architetto F. Capriani, detto Francesco da Volterra. Il G. lasciò infine Roma per Mantova il 31 luglio 1562, ma vi ritornò almeno tre volte (vi fece una lunga visita nel 1564; l'ultimo soggiorno fu nel 1573, mentre stava preparando una spedizione in Tunisia).
Nel 1562, stanco dei frequenti viaggi, il G. si stabilì a Mantova, dove avviò una serie di importanti iniziative culturali designate ad abbellire il grande palazzo ereditato dal padre (non lontano da palazzo ducale, tra le odierne vie R. Ardigò e Accademia). Dell'originale aspetto quattrocentesco del palazzo, dove il G. dimorò fino al 1567-68, quando si trasferì a Guastalla (oggi è sede dell'Accademia Virgiliana), restano solo alcune finestre. Durante la sua vita, comunque, esso continuò a ospitare due fra le sue più importanti attività di committenza: l'Accademia degli Invaghiti e la Galleria dei marmi.
La prima fu fondata il 13 nov. 1562; dal 1564 i membri godettero di importanti privilegi concessi dal papa e fino al 1610 usufruirono del palazzo per dibattiti, letture di testi letterari e spettacoli teatrali (nel 1607 vi avvenne la prima rappresentazione dell'Orfeo di C. Monteverdi). È probabile che il G. avesse già pensato a formare una galleria di marmi mentre si trovava a Roma, perché al ritorno a Mantova nel 1562 iniziò immediatamente una fitta corrispondenza col Garimberto, che durò fino al 1573, sulla ricerca e acquisizione di marmi antichi (tra 1572 e 1575 il vescovo fu consulente per le stesse questioni anche del cugino del G., il duca di Mantova Guglielmo Gonzaga). Garimberto informò il G. su tutte le nuove scoperte archeologiche a Roma, gli diede suggerimenti per la sua collezione, lo aiutò a procurarsi licenze d'esportazione e fu anche il suo intermediario con figure importanti operanti a Roma, come i citati Stampa e Della Porta (a quest'ultimo il G. affidò il restauro d'una serie di teste antiche di marmo che aveva acquistato). Nel 1565 Garimberto giudicò la Galleria dei marmi in "bonissimo termine" e pronta da "mettere in publico"; le collezioni erano quindi già cospicue, anche se il G. seguitò gli acquisti negli anni successivi. Un inventario della Galleria compilato il 23 febbr. 1575, pochi giorni dopo la sua morte, elenca 156 oggetti; sebbene in maggioranza fossero teste marmoree antiche, vi erano anche statue a figura completa (piccole e grandi), rilievi, vasi e lampade a olio, ritratti dipinti e un elaborato "scrittoio" creato per disporvi le monete e medaglie antiche. Secondo il Vasari (VI, p. 489), questo "studiolo fatto per le medaglie", disegnato da Francesco da Volterra con intarsi di ebano e avorio, era ornato con "figurine di bronzo antiche". Nel 1566 il Vasari (ibid.) visitò la Galleria dei marmi, che descrisse come "un bellissimo antiquario e studio […] pieno di statue e di teste antiche di marmo", notandovi la presenza di diversi quadri moderni, tra i quali ritratti di vari Gonzaga di F. Ghisoni e una Madonna, che attribuì a Raffaello. Secondo U. Aldrovandi, che visitò la Galleria nel 1571, lo scrittoio per le medaglie era intarsiato con gemme e unito a tavoli di marmo su un "pavimento […] fatto di marmi diversi" (vedi questa e altre descrizioni dell'epoca in Brown, 1993, pp. 124-139). Sebbene la Galleria dei marmi fosse stata approntata prima di altre simili create da altri Gonzaga (tra esse la Galleria dei mesi nel palazzo ducale di Mantova, iniziata dal duca Guglielmo nel 1572, e la Galleria degli antichi formata a Sabbioneta da Vespasiano Gonzaga dopo il 1580), la raccolta del G. rimase intatta solo fino al 1587, quando il figlio e successore Ferrante (II), con l'intento di ridurre gli enormi debiti ereditati dal padre, la smantellò e trasferì a Guastalla.
Nel 1567-68, come detto, il G. trasferì la sua corte da Mantova a Guastalla, che fu la sua dimora principale fino alla morte. Il trasferimento fu avviato verso la metà degli anni Sessanta con la chiamata a Guastalla di Francesco da Volterra, come architetto-ingegnere di corte incaricato di dare lustro alla capitale del piccolo Stato. Alcuni dei progetti, come il restauro di strade e le fortificazioni della città, erano stati già iniziati dal padre del G., ma erano rimasti incompiuti alla morte del precedente ingegnere di corte, il pratese D. Giunti. Il Volterra rimase a Guastalla fino al 1570 dirigendo l'edificazione, oltre che di nuove abitazioni e strade, della chiesa maggiore (poi duomo) di S. Pietro e del palazzo della Comunità, e la trasformazione del palazzo ducale e della chiesa dell'Annunziata dei padri serviti. La Zecca fu realizzata solo nel 1571, anche se Ferrante (I) aveva ottenuto dall'imperatore il diritto di coniare moneta già nel 1557.
Quando nel 1574 il G. tornò a Guastalla dalla Tunisia, dove aveva servito Filippo II come capitano, la costruzione di S. Pietro era quasi ultimata, ed egli invitò Carlo Borromeo per la cerimonia di consacrazione. Ma prima che questa avvenisse si ammalò (era sempre stato di salute debole). Il cardinale giunse a Guastalla appena in tempo per impartirgli i sacramenti prima della morte, avvenuta il 17 febbr. 1575; il 20 successivo consacrò S. Pietro, dove il giovane signore di Guastalla fu sepolto. Nell'orazione funebre l'umanista P. Baccusi lodò il G. per aver fondato l'Academia, "rifugio vero et sicuro alle virtù", e la raccolta di "quelle antiche reliquie che di Roma recò".
In conformità al testamento (del 10 febbr. 1575) al G. successe il figlio undicenne Ferrante, che rimase sotto la reggenza della madre fino al 1579, quando assunse in pieno il potere. Dal padre il G. aveva ereditato forti debiti, passati poi a Ferrante (II) e Camilla, che dedicarono gran parte della loro attività a riacquistare solvibilità. Quando il G. si era trasferito a Guastalla, la situazione finanziaria lo aveva costretto a lasciare a Mantova la Galleria dei marmi e l'Accademia. Alla sua morte la moglie tentò più volte di vendere la prima; un possibile acquirente fu inizialmente il granduca di Toscana Francesco I de' Medici, che però rinunciò su consiglio d'un suo agente, E. Basso, che il 15 nov. 1583 gli scrisse da Bologna: "Per eseguire quanto che Vostra Altezza Serenissima mi comandò li giorni passati, mentre che ero costì, sono andato a Mantoa e vista la Galeria delli marmi del già Signor Don Cesare Gonzaga e quelli diligentemente considerati, ho trovato ch'essi non corispondono a quello che se ne raggiona" (Barocchi - Bertelà, p. 248 n. 274). Nel 1587, mancando un compratore, i marmi furono trasportati a Guastalla, dove molti furono inventariati nel 1679 in palazzo ducale (Brown, 1993, pp. 146-150). Ferrante (II) riuscì a far completare (ed espose nel 1594) la statua bronzea di Leone Leoni Ferrante che calpesta il Vizio e l'Invidia, tuttora nella piazza principale di Guastalla, che il G. aveva commissionato circa mezzo secolo prima in onore del padre.
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