CHERSO (A. T., 24-25-26)
Isola del Quarnero, con 9100 abitanti, che appartiene alla provincia di Pola. Posta fra 45°10′ e 44°36′ di lat. settentrionale, in quel profondo addentramento fatto dall'Adriatico verso NE. e che circa al suo vertice ha la città di Fiume, è separata dall'Istria per mezzo del canale di Farasina, largo 6 km., profondo al massimo 66 m., dall'isola di Plauno per mezzo del canale della Corsia che non è largo neppure un chilometro, ma è relativamente profondo (m. 110). Questa è la massima profondità del Quarnero, in quanto nel Golfo di Fiume lo scandaglio trova le massime tra 60 e 66 m., e nel Quarnero tra 91 e 97 m.
Lunga e sottile, col suo asse maggiore diretto da N.-NO. a S.-SE., all'incirca parallelo alla costa orientale dell'Istria, dalla punta Iablanaz alla Punta Croce, l'isola misura una lunghezza di 65 km.; mentre la massima ristrettezza nella parte settentrionale è fra Predoschizza e il monte Siss (2 km.); l'area è di kmq. 398,7. A mezzodì della cittaduzza di Cherso (v. oltre) la costa occidentale cambia direzione e, movendo da E. a O. e poi da S. a N., forma il Vallone di Cherso, la maggiore delle insenature che presenti il contorno dell'isola; alla Punta Pernata la costa volge di nuovo a S. Per tal modo l'isola si allarga notevolmente nella parte di mezzo (fra la Valle Miracina nel Quarnero e la Punta Persani nel Quarnerolo 13 km.) quasi per accogliere nel suo centro il lago di Vrana. Poi si restringe ancora, ma leggermente, verso mezzodì.
Le coste occidentali sono erte e dirupate nel canale della Farasina e sul Quarnero: l'unico approdo è quello di Farasina; pure alta e ripida (230 m.) è la costa occidentale subito a S. della Punta Pernata, poi incomincia ad abbassarsi e ad articolarsi, in modo che i buoni punti di approdo sono parecchi (San Martino, Ustrine, Ossero).
I due canali di Ossero e di Punta Croce, opposti l'uno all'altro, s'interpongono fra la parte meridionale dell'isola di Cherso e l'isola di Lussino che della prima forma un'appendice strettamente connessavi, per ragioni non solo fisiche ma anche storiche e politiche, tanto che Lussino e Cherso sino dall'antichità ebbero un nome comune ('Αψυρτίδες νῆσοι). Solo lo stretto canale chiamato la Cavanella e soggetto a una corrente continuamente alternantesi in opposte direzioni separa le due isole, dall'una all'altra delle quali si passa per un ponticello girevole.
La costa orientale ha molti punti atti a servire come porti, ma è battuta dalla bora: vi sono notevoli alcune piccole baie, dette valli, come la Coromazina e la Crustizza; fra quest'ultima e la valle di Smergo vi è la penisoletta di Tarei che dà sullo stretto canale della Corsia separante Cherso da Plauno e formante l'attuale confine politico italo-iugoslavo.
Diretta continuazione geologica e morfologica della catena del Caldiera, dalla quale la staccarono i movimenti tettonici e lo spostamento positivo del livello del mare, l'isola, secondo il suo asse maggiore, è percorsa da due catene montuose dalle cime arrotondate e nude. La prima di queste si trova a N. (Gorizze, 650 m.), la seconda incomincia con la penisoletta di Pernata e occupa la parte occidentale dell'isola (Monte Chelm, 438 m.); verso mezzodì assumono la forma di un ripiano ondulato (Monte Guardia Grande, 154 m.). Essendo Cherso costituita per la massima parte da calcari del cretacico e dell'eocene, i fenomeni carsici vi sono assai frequenti. Le cavità superficiali che assorbono le acque meteoriche sono moltissime e delle più varie dimensioni. Grandi conche dal contorno circolare si notano nella parte settentrionale, in altre la forma è allungata e la terra rossa accumulatasi sul fondo ha grande valore per le coltivazioni e l'insediamento umano. Fra questi campi carsici è soprattutto notevole quello tra Pischio e S. Maddalena, della lunghezza di circa 1 km. Non meno cavernoso è il sottosuolo; vi si notano cavità a forma di pozzi e grotte, cioè cavità sviluppate prevalentemente in senso orizzontale; queste sono numerosissime e profonde, ma non tutte sufficientemente esplorate. Queste cavità sotterranee sono importanti per le brecce contenenti ossa di mammiferi quaternarî, che provano la separazione relativamente recente dell'isola dalla vicina terraferma. Una grande cavità carsica superficiale è quella che accoglie il lago di Vrana, nella parte mediana dell'isola.
La cavità è profonda, di forma ovale, chiusa da pareti rocciose quasi spoglie dí vegetazione, assai inclinate specialmente verso oriente e verso occidente; è lunga 5 km., larga in media 1 km. Verso N. una soglia alta circa 170 m. e larga 3 km. separa il lago dal mare. Lo specchio d'acqua medio è a 15 m. sul livello della media marea e misura un'area di 5,56 kmq. Ma, come avviene in tutti i bacini privi di emissario superficiale, il lago è soggetto a notevoli variazioni di livello, in modo che nelle piene può raggiungere i 18 m. sul mare. Allora sommerge i terreni coltivati (mais, frumento) che sono al suo margine meridionale.
L'acqua è dolce, però non è trascurabile la quantità di cloruri contenutivi (il cloro si presenta nella proporzione di grammi 0,06 per litro alla superficie e di o,05 a 30 metri di profondità). Questo fatto si spiega con la grande vicinanza del mare.
Secondo la carta batometrica costruita da Arturo Gavazzi, in base agli scandagli praticativi nel 1897 e nel 1900, il lago presenta un ampio fondo piatto, dai 50 metri di profondità declinante dolcemente verso una depressione centrale, ellittica, limitata dall'isobata di 60 m. Da questo ampio fondo si levano, inclinatissime, le pareti orientale ed occidentale della conca; sono dolci invece quelle a S. e ancor più quelle a N. L'angolo di media inclinazione del fondo è di 5°23. Poco lungi dalla riva SO. il fondo del lago si adima in un profondo imbuto dove lo scandaglio raggiunge 84 m.; gli scandagli eseguiti permisero anche di calcolare il volume della conca in kmc. 0.217723; il volume dell'imbuto è di 536 mc. Essendo il fondo del lago a 45 metri e quello dell'imbuto a 69 metri al di sotto del livello marino, la conca è una grande criptodepressione. E i caratteri risultanti dalla batimetria sono quelli di una valle carsica incompiuta. cioè di un campo carsico (polje). Quanto alla provenienza di una tale massa d'acqua, alcuni pensarono a comunicazioni sotterranee con la terraferma vicina, altri invece ammettono che dipenda esclusivamente dalle piogge locali che raggiungono in media un migliaio di millimetri annui. Le piogge manifestamente influiscono sulle differenze idrometriche che anche nel lago di Vrana sono notevolissime. Così, come le piogge cadono prevalentemente d'autunno, d'autunno il livello del lago si eleva. La stagione secca dura generalmente da giugno a ottobre e durante questo periodo anche nel corso di una settimana si può notare nel lago un abbassamento di livello che deve, almeno in parte, attribuirsi all'evaporazione. Si osserva inoltre che molti e poderosi torrenti, asciutti d'estate, d'ogni intorno si precipitano nel lago durante le piogge e che i coltivati della sponda meridionale ogni primavera devono essere liberati dal grosso pietrame portato dalle acque dilavanti. Se poi si tien conto che due sorgenti perenni, visibili al margine settentrionale del lago, aumentano di molto la portata nell'epoca delle piogge, più fatti confortano l'opinione che il lago debba la sua massa d'acqua alle precipitazioni atmosferiche sull'isola, le quali vi si raccolgono sia direttamente, sia per mezzo dei forti affluenti temporanei, sia ancora dopo essere state assorbite dalle cavità carsiche.
La fauna del lago è notevole per la presenza di specie eulimnetiche. Il lago alberga anche alcune specie di pesci: il luccio (Esox lucius), la scardola (Leuciscus erythrophthalmus), la tinca (Tinca vulgaris).
Ma nell'isola non è certo soltanto il lago di Vrana notevole dal punto di vista geobiologico. Essa è una delle pile del ponte che collega l'Istria alla Dalmazia, e come il clima che vi domina è distinto dal contrasto tra l'azione temperatrice del mare e dei venti meridionali (scirocco) e quella della terraferma, da cui irrompe spirando da NE. e da E. gelida e violenta la bora, così anche la vegetazione rispecchia questo contrasto e la Tramontana, cioè la regione settentrionale dell'isola più elevata sul mare e maggiormente esposta ai venti freddi, per i boschi di querce a foglie caduche si distingue abbastanza nettamente dalla parte meridionale dove dominano gli alberi e gli arbusti sempreverdi della flora mediterranea con le fitte associazioni della caraueristica macchia. Anche la fauna fa dell'isola una regione di transizione, in quanto presenta caratteri intermedî tra l'Istria e la Dalmazia. Il mantello vegetale originario è stato in gran parte distrutto o profondamente modificato. In più tratti le boscaglie furono distrutte e mancano, o quasi, anche gli arbusti. Cosicché la nota dominante è data dal paesaggio carsico con vegetazione erbacea, di cui fanno parte alcune piante aromatiche che formano buon pascolo per le pecore. Queste si tengono in gran numero e vivono sempre all'aperto. Una ragione dello stato in cui si trova l'ammanto vegetale sta appunto nella pastorizia che è molto estesa nell'isola, come la sola forma economica che possa dar modo di trar profitto di quelle rocce; ma altre cause, comuni, si può dire, anche queste a tutte le isole e penisole del Mediterraneo, agirono di conserva nel distruggere l'ammanto vegetale. A queste si aggiunge una causa particolare dei paesi dell'Adriatico orientale, cioè la violenza della bora che qui spira dalla costa morlacca e deforma i rari alberi e arbusti piegandoli a terra. Nella stagione delle piogge gli acquazzoni cooperano alla distruzione dilavando il terriccio. Contro queste medesime azioni infeste l'agricoltore deve lottare continuamente per salvare i pochi tratti di terra coltivabile. Ne consegue che la poca terra è coltivata con grandissima diligenza. Vi prevale il lavoro a mano, essendo raramente possibile l'uso dell'aratro. Frequentemente i campi, di forma circolare o ellittica, sono cinti da muriccioli a secco che sono un riparo contro la violenza delle meteore e contro il morso delle pecore. Olivo, viti, fico e cereali sono le coltivazioni principali; le viti soffrono della deficienza d'acqua e hanno un nemico nella bora, onde si tengono bassissime. Non trascurabile importanza economica ha la pesca marina (tonno, dentice, sgombro e sardella).
Ma la fisionomia economica di Cherso è data dal predominio dell'agricoltura e della pastorizia. La cittadina di Cherso si può considerare il centro principale dell'isola. La Valle Pischio, in fondo al golfo, è una palude malarica. Nei dintorni della città (per la quale v. appresso) sulla costa opposta è notevole il dirupo di Smergo. Ossero, situata al transito della Cavanella che la divide da Lussino, ebbe un passato florido; fu capoluogo delle due isole e residenza vescovile, ma poi fu abbandonata, causa la malaria avente il suo triste vivaio in uno stagno formatosi lateralmente alla città. Come nell'epoca preistorica, così tuttora alcuni villaggi occupano i vertici delle alture, estendendosi specialmente sul pendio più al riparo dalla bora, quelli vicini al mare vivono della pesca e della navigazione e anche dell'agricoltura. Questa e la pastorizia determinano il carattere economico dei villaggi dell'interno.
Bibl.: A. Brunialti, Le nuove province italiane, Fiume, Zara e le isole, Torino 1921; A. Fortis, Saggio d'osservazioni sopra l'isola di Cherso ed Ossero, Venezia 1771; A. Gavazzi, Die Seen des Karstes, in Abhandlungen der k. k. Geogr. Ges., V, Vienna 1904; A. Grund, Die Entstehung und Geschichte des Adriatischen Meeres, in Geogr. Jahresbericht aus Österreich, VI; N. Krebs, Die Halbinsel Istrien, Lipsia 1907 (Geographische Abhandlungen, edite da A. Penck, IX, 2); I.R. Lorenz, Der Vrana-See auf Cherso, in Pet. Mitt., 1859, p. 510 segg.; E. Mayer, Der Vrana See auf der Insel Cherso, in Mitteil. der k. k. Geogr. Ges. in Wien, XVI (1873).
Il capoluogo. - La cittadina di Cherso (prov. di Pola) è posta nella più interna insenatura delle coste occidentali. Ha un vasto porto difeso da due moli, con una banchina in muratura e numerose prese d'ormeggio. Ha pianta regolare (pentagonale) ed è ancora difesa da mura con torri; le vie sono anguste e tortuose. Il comune di Cherso (superficie 290,79 kmq.) conta 7214 ab. (1921), di cui 3565 nel centro e gli altri in una ventina di piccoli villaggi; la popolazione parla in prevalenza l'italiano; circa 3300 persone il serbo-croato.
La cittadina conserva pretto carattere veneziano. Delle sue tre antiche cinte di mura soltanto la terza, che conteneva tutta la città vecchia, compreso il palazzo Pretorio, è parzialmente conservata. L'architettura del luogo è principalmente in pietra a vista. Tra gli edifici sacri, notevole il duomo, con portale del Rinascimento. Molto pittoresca è la chiesa di S. Francesco, che conserva nell'interno stalli elegantemente intagliati. Tra le costruzioni civili va annoverata in prima linea la Torre dell'orologio, probabilmente del sec. XV, restaurata nel 1552, con un leone di S. Marco, che ricorda il glorioso dominio veneziano. Il palazzo comunale (sec. XVI), ora restaurato. conserva nell'atrio un interessante lapidario e ha una piccola raccolta archeologica di oggetti scavati nell'isola, ecc. Nella sala del Consiglio vi è una tavola di Alvise Vivarini, raffigurante S. Caterina e i Santi Sebastiano e Cristoforo, molto restaurata. Delle molte case caratteristiche vanno ricordate la casa Petris, con bifore archiacute del '400, e i resti dei palazzi Rodinis.
Storia. - L'isola fu certamente abitata già nell'epoca neolitica, come provano gli oggetti venuti alla luce in varie località e specialmente nei castellieri (armi, utensili dell'età della pietra, ecc.).
Le relazioni dell'isola con Roma si allacciano alle incursioni degli Illirî (229-258 a. C.); l'isola diventa colonia romana solo alla fine della repubblica (50 a. C.). Seguì poi le sorti dell'impero romano fino alla caduta dell'impero d'Occidente (476). Dalle invasioni barbariche l'isola non risentì gravi danni e, pur sotto la signoria dei conti ostrogoti, poté mantenere in vigore l'antico sistema municipale, che poi si trasformò gradatamente nel comune medievale. Nel periodo della dominazione bizantina, che durò circa cinque secoli, dai primi decennî del 500 sino intorno al 1000, gli abitanti dell'isola furono tenuti a pagare un tributo all'imperatore, ma nel rimanente conservarono intatta l'autonomia municipale. Le incursioni dei popoli slavi, incominciate nel sec. VI, le scorrerie dei pirati, le depredazioni compiute dai corsari narentani indussero gli abitanti delle isole a invocare la protezione di Venezia, che andava vigorosamente affermando la sua potenza, mentre Bisanzio declinava. Quando nel maggio dell'anno 1000 il doge Pietro Orseolo II si presentò con la flotta veneta nelle acque del Quarnaro, gli abitanti delle isole giurarono fedeltà e sommissione a Venezia, alla quale si obbligarono a versare alcuni anni più tardi (1016) un tributo in pelli di martora. Questa dipendenza formale da Venezia non intaccò la libertà degl'isolani, e le città di Ossero e di Cherso e i castelli di Lubenizze (Hibernicia) e di Caisole (Caput insulae) mantennero in vigore gli antichi ordinamenti anche durante le lotte fra la repubblica di S. Marco e il regno d'Ungheria per il possesso della Dalmazia. Ma, caduta la Dalmazia in potere dei re d' Ungheria, le isole dovettero subire per alcuni decenni il malgoverno dei conti ungheresi. Intorno al 1140 Venezia riafferma il suo dominio sulla Dalmazia e quindi sulle isole, Cherso compresa. In un primo tempo Venezia si riserva la conferma dei capi delle comunità; poi fa obbligo alle città soggette di eleggersi un rettore fra i patrizî veneti, avocando infine a sé la nomina dei conti, che furono veri feudatarî a vita e a volte con diritto ereditario.
Nel 1166 il doge Vitale Michiel assegnò l'isola di Cherso e Ossero in feudo al figlio Leonardo, che, avendo sposato una principessa ungherese, riuscì a ristabilire i legami di amicizia fra la repubblica di S. Marco e il regno d'Ungheria. Dai Michiel l'isola passò in feudo per successione a Ruggeri Morosino (1180), che governando l'isola a mezzo di rappresentanti fu causa di gravi soprusi. In seguito a tumultuose proteste degl'isolani, insofferenti della signoria feudale, Venezia si vide costretta a mutare più spesso i rettori dell'isola (conti-capitani), che non dovevano rimanere in carica oltre un biennio. Il primo dominio veneto venne a cessare nel 1358 alla conclusione della pace di Zara, con cui la Dalmazia e le isole passarono all'Ungheria. Il dominio ungherese, che durò fino al 1409, fu esiziale alle libertà pubbliche e private fino allora godute dagli isolani. Con l'inizio della seconda dominazione veneta si apre anche per l'isola di Cherso un periodo di pace prospera e feconda. La repubblica di Venezia esercitò sull'isola la sua sovranità per quasi quattro secoli fino al trattato di Campoformio (1797), per cui venne ceduta all'Austria. Dal 1805 al 1814, l'isola di Cherso fu incorporata al Regno italico e poi alle provincie illiriche dell'impero francese. La pace di Vienna restaurò il dominio austriaco. Liberata il 6 novembre 1918 dai marinai della R. N. Stocco, l'isola di Cherso venne definitivamente annessa all'Italia.
Bibl.: S. Petris, Spoglio dei libri dei Consigli della città di Cherso, Capodistria 1891; id., Cenni storici sulle Absirtidi fino ad Augusto, Capodistria 1883; Mitis, Storia dell'isola di Cherso-Ossero (476-1499), in Atti e Memorie della Soc. Isriana di archeol. e st. patria, XXXVII, Parenzo 1925; id., Il governo della repubblica veneta nell'isola di Cherso, Maddaloni 1893; id., La signoria francese nell'isola di Cherso, Parenzo 1900; id., Note storiche sull'isola di Cherso, in Riv. dalmatica, 1899; id., La partecipazione di Cherso-Ossero alla civiltà italica, Trieste 1927; G. Leonardelli, Le isole Apsirtidi, Roma 1885; F. Salata, L'antica diocesi di Ossero, ecc., Pola 1897; B. Schiavuzzi, Cenni storici sull'etnografia dell'Istria, in Atti e memorie della Società istriana di Archeologia e storia patria, XVII, XVIII, Parenzo 1906; F. Stefani, I conti feudali di Cherso ed Ossero, in Archivio veneto, CXI, p. 3.