CALDEA, CHIESA
. È costituita dai cristiani che seguono il rito caldeo; oggi tuttavia questo termine è ristretto a designare quei nestoriani (v.) che lungo il corso dei secoli si sono staccati dal nestorianesimo e riuniti con la Chiesa cattolica. Essi si dividono in due gruppi: il primo è costituito dalle cristianità disseminate nella Mesopotamia e nel Kurdistān; il secondo, che di caldeo ha solo il rito ma non una discendenza etnologica, è formato dai siro-malabarici.
I cristiani delle contrade nord-orientali mesopotamiche (detti comunemente "persiani") non ebbero dirette relazioni con la chiesa di Roma prima del loro passaggio in massa al nestorianesimo: con questo, poi, diventati eretici, si staccarono automaticamente da Roma. Relazioni dirette si hanno soltanto verso il 1233, per mezzo di missionarî domenicani inviati da Roma, i quali riuscirono a guadagnare al cattolicismo il patriarca (nestoriano) di Baghdād. Nel 1552 uno scisma nestoriano favorì lo stabilirsi del cattolicismo: avendo i nestotiani contrapposto al loro patriarca Simone VI bar-Māmā, il monaco Giovanni Sulāqā, costui si recò a Roma, ove fu consacrato da Giulio III, e tornato in patria costituì una regolare gerarchia episcopale; la quale, tuttavia, più tardi tornò al nestorianesimo. Nel 610 anche il patriarca nestoriano Elia II entrò in relazione con Roma e ristabilì l'unione, che durò anch'essa appena 50 anni. Nel 1672 l'arcivescovo nestoriano di Amida, Giuseppe, tornò al cattolicismo e lo diffuse largamente in quelle regioni: il papa Innocenzo XI nel 1681 gli concesse il titolo di patriarca, che fu trasmesso fino al successore Giuseppe V. Ma nel 1830 Pio VIII concesse il titolo a Giovanni Hormizd discendente di bar-Māmā, ristabilendo così l'unità di governo. Al presente il patriarca cattolico caldeo governa l'archidiocesi di Mossul, e da lui dipendono quattro arcivescovati, Amida (Diarbekir), Kerkur, Seert e Urmia, e otto vescovati. Dopo le gravi persecuzioni subite da parte dei Turchi durante la guerra mondiale, i Caldei cattolici, che nel 1913 superavano i 100.000, sono ridotti a meno di 60.000.
Il gruppo malabarico (Malabar, India Occidentale inglese), i cui membri si chiamano anche "cristiani di S. Tommaso", discende da comunità ivi fondate almeno fin dal sec. IV e passate poi al nestorianesimo. La loro stabile organizzazione risale al 1599, nel quale anno l'arcivescovo di Goa, Alessio Menezes, tenne a Udiamparur (Diamper) un sinodo per unificare la gerarchia e correggere in senso cattolico la liturgia seguita ancora dai molti nestoriani convertiti. Ma, oltre a questa correzione dogmatica, i missionarî gesuiti passarono a latinizzare sistematicamente i riti fino allora seguiti, ai quali i fedeli erano attaccatissimi. Del malessere diffuso da queste riforme colse occasione l'arcidiacono Tommaso Parambil, che si distaccò da Roma con quasi 200.000 fedeli per unirsi con i siri giacobiti (monofisiti). Alessandro VII allora inviò, in sostituzione dei gesuiti, i carmelitani che riuscirono a ricondurre molti all'unione con Roma. Un altro scisma provocato verso la metà del sec. XIX dal sacerdote indigeno Antonio Thondanatta ha prodotto la setta detta dei mellusiti (da Mellus, vescovo inviatovi dal patriarca caldeo cattolico Giuseppe VI Audo). Forse in conseguenza di ciò Roma non volle mai, più tardi, acconsentire al desiderio molte volte espresso dai siro-malabarici di passare alle dipendenze dirette del patriarca caldeo cattolico di Mossul; tuttavia Pio XI col breve Romani Pontifices (del 21 dicembre 1923) ha costituito l'arcivescovato di Ernakulan con i vescovati suffraganei di Changanachery, Kottayam e Trichur. L'insieme dei fedeli delle quattro diocesi supera di poco i 500.000, con numeroso clero indigeno sia secolare (circa 500 sacerdoti) sia regolare, e florida organizzazzione di congregazioni locali, scuole, stampa, ecc.; gli scismatici delle varie sette prese insieme, si aggirano sui 320.000.
Bibl.: Silbernagl-Schnitzer, Verfassung und gegenwärtiger Bestand sämtlicher Kirchen des Orients, Ratisbona 1904; A. Fortescue, The lesser Eastern Churches, Londra 1913; R. Janin, Les églises orientales et les rites orientaux, 2ª ed., Parigi 1926.