CHIESA (X, p. 7)
L'unione delle chiese (p. 9). - Per gli ulteriori sviluppi di questo movimento, v. ecumenico, movimento, in questa Appendice.
Storia (p. 19).
La vita della Chiesa cattolica anche dopo il 1930 si è svolta secondo le linee determinatesi nel decennio precedente in rapporto all'atteggiamento generale degli spiriti, adeguandosi volta a volta alle situazioni nuove create dai regimi politici e dalle crisi economico-sociali, duramente provata essa pure dai mutamenti di regime, dalle guerre, dagli smembramenti territoriali.
La vita interna. - L'accresciuta facilità delle comunicazioni ha contribuito a rafforzare nella Chiesa l'accentramento amministrativo, rendendo possibile fino alla seconda Guerra mondiale il controllo da parte della S. Sede della vita ecclesiastica anche delle più lontane diocesi, aiutata in questo sia dalla tendenza generale dei fedeli, chierici e laici, a chieder l'approvazione delle proprie iniziative alla S. Sede, sia dalle personalità spiccate dei pontefici, sia infine dalla tendenza degli organi della Curia romana a un maggior controllo delle iniziative locali.
Per quanto intensa però sia stata l'azione di propulsione, di direzione, di controllo della vita religiosa da parte della gerarchia, sarebbe errato non riconoscere la ricchezza di iniziative autonome nei campi dell'organizzazione caritativa, della pietà, dell'educazione, della cura d'anime, per l'approfondimento della coscienza professionale in spirito cristiano; ricchezza che testimonia l'energia e la prontezza con cui la coscienza cristiana di singoli e di gruppi ha reagito ai molteplici problemi psicologici e sociali di questo duplice dopoguerra agitato. La statistica delle congregazioni di diritto pontificio maschili e femminili - salite rispettivamente nel 1938 a 95 con 110.385 membri e a 732 con 586.641 membri - non rispecchia affatto la fioritura delle iniziative religiose collettive.
La vita interna della Chiesa è caratterizzata innanzitutto da un impegno difensivo: quello di arginare il progressivo distacco delle masse dall'idea e dalla pratica religiosa. A questo fine la gerarchia ha valorizzato la ripresa che la coscienza e la pratica cristiana hanno avuto nella cerchia delle persone colte del laicato, promuovendo od appoggiando molte iniziative per assicurare la partecipazione attiva di questi laici all'azione religiosa, consapevole che ad essi risultano accessibili ambienti preclusi all'azione diretta del clero. Anche nel campo della cultura propriamente teologica è stata accentuata la funzione attiva, e non meramente passiva di "discenti", dei laici. Con questo indirizzo è connesso il largo sviluppo dell'Azione cattolica (v. cattolica, azione, in questa App.) in tutti i paesi, formando veri corpi ausiliarî di laici fiancheggianti l'attività propriamente pastorale della gerarchia, loro indicando campi sempre più vasti d'azione, dalla pratica pubblica della pietà e dell'attività ricreativa e sportiva alla assistenza giovanile, all'opera caritativa, all'istruzione catechistica, alla stampa, all'azione presindacale e fino all'azione politica vera e propria con comitati elettorali. Questa forma di azione religiosa laicale è venuta sostituendo sempre più quella delle vecchie confraternite in fatale decadenza. Essa però non ha avuto eguale seguito ovunque: rimangono diffidenze d'una parte del clero alto e basso da un lato e dall'altro; in molti luoghi la massa dei cattolici di tradizione si mostra riluttante ad accettare l'impegno di un'azione religiosa che vada oltre la pratica consuetudinaria del culto. L'Azione cattolica è particolarmente efficiente in Francia, Belgio, Olanda, nell'Italia settentrionale e centrale, mentre sotto altre forme è imponente la partecipazione dei laici alla vita interna della Chiesa negli Stati Uniti d'America.
Al duplice fine di un rinvigorimento della vita religiosa dei praticanti e di una riconquista dei non praticanti, sono sempre più valorizzate le missioni interne, predicazioni straordinarie dentro e fuori le chiese, col ricorso alle forme più moderne della propaganda, manifesti, radio, adunate, cortei, e organizzando gruppi comprendenti sacerdoti e laici, uomini e donne, che per attuare queste missioni si trasferiscono di luogo in luogo. La gerarchia inoltre è venuta accettando e praticando sempre più il principio della "cura d'anime professionale" e differenziata, rispetto a quello territoriale delle parrocchie. La deficenza del clero ha poi diffuso il sistema della cura d'anime da parte di clero non residenziale, ma che si sposta velocemente con moderni mezzi meccanici. Mentre in tale maniera i metodi della cura d'anime delle terre di missione (v. missioni, in questa App.) si applicano nelle zone tradizionalmente cattoliche, largamente intaccate dall'indifferenza religiosa, nei paesi di missione si intensifica l'organizzazione stabile della vita ecclesiastica con clero e vescovi indigeni, con proprie scuole anche di teologia, con un'incipiente letteratura spirituale e apologetica, con una propria arte cristiana.
Nella sua predicazione come nella sua azione la Chiesa ha dato molto rilievo ai problemi sociali: la direttiva teoretica è stata segnata dalle encicliche Quadragesimo anno (25 maggio 1931), Nova impendet (2 ottobre 1931) e Charitate Christi (5 maggio 1932), da ulteriori discorsi di Pio XI e Pio XII, specialmente quello della Pentecoste del 1942. (Sull'argomento v. sotto: Dottrine economico-sociali). Ne è venuta una letteratura economico-sociale quantitativamente ricca se non sempre molto originale, specialmente in Francia, nel Canada e negli S. U., che affianca lo sviluppo imponente delle istituzioni di assistenza, il modello delle quali sta diventando la National Catholic Welfare Conference degli S. U. Nel secondo dopoguerra l'organizzazione assistenziale della Chiesa si è fatta più sistematica. Sul piano più propriamente religioso si ricollega a questo programma l'insistenza sull'aspetto sociale della liturgia come preghiera collettiva, dei sacramenti, specie dell'Eucarestia, dell'organizzazione parrocchiale, le cui opere sociali, a cominciar dalle Conferenze di S. Vincenzo, occupano un posto sempre maggiore. In quest'azione la Chiesa si è valsa largamente dei mezzi di propaganda moderni: stampa, agenzie di notizie e grandi case editrici, facoltà universitarie e corsi popolari, società cinematografiche di produzione e di distribuzione coi relativi bollettini, la cui imponenza almeno numerica, è stata testimoniata dall'esposizione mondiale della stampa cattolica, organizzata nel 1936 in Vaticano. Per la libertà di questa stampa la S. Sede ha chiesto e ottenuto esplicite garanzie nei concordati postbellici, ma l'azione pubblica della Chiesa è stata più compressa e limitata in non pochi regimi totalitarî di polizia e obbligata a rifugiarsi nella stampa clandestina e nella predicazione.
Sia per la paralisi che l'azione pubblica della Chiesa ha subìto e subisce nei regimi totalitarî, sia per l'approfondimento della concezione della educazione, si è intensificato l'appello alla famiglia e all'educazione familiare come a centro e organo della formazione cristiana. In questa prospettiva rientrano le numerose ammonizioni rivolte agli sposi dai pontefici e in parte la stessa enciclica Casti connubii del 31 dicembre 1930, in cui si manifesta viva la preoccupazione per il diffondersi del controllo delle nascite.
Anche la formazione culturale del clero è stata intensificata e rinnovata, sotto il duplice impulso della richiesta di una cultura religiosa aggiornata da parte di clero e laici e delle esperienze culturali di papi dotti come Pio XI e Pio XII. L'enciclica Deus scientiarum Dominus del 24 maggio 1931 ha promosso un'importante riforma degli studî superiori ecclesiastici, facendo in essi posto alle discipline e ai metodi storico-critici: essa ha così favorito la creazione di istituti superiori cattolici, eretti canonicamente dopo il 1930 (Bogotá, Lima, Medellin, Rio de Janeiro, San Paolo e Santiago del Chile) dell'Istituto ambrosiano di musica sacra (Milano) e dell'Institute of Medieval Studies di Toronto.
La enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII (30 settembre 1943) ha poi riconosciuto appieno la critica filologica applicata alla Bibbia (v. bibbia in questa App.). Quest'interesse dei Papi per l'alta cultura si è manifestato anche nella rinnovazione (1936) dell'Accademia pontificia dei Lincei come Pontificia accademia delle scienze, e nell'attenzione prestata da pontefici, vescovi e organizzazioni chiesastiche agli sviluppi della scienza, con la preoccupazione di mantenerla coordinata alla teologia e subordinata nelle sue applicazioni tecniche a finalità di bene. Questo impulso dall'alto s'è incontrato con una intensa ripresa teologica del cattolicismo contemporaneo, specialmente francese e tedesco, dove si sono presentati in modi nuovi i vecchi temi, come quello della scienza, della fede e de' suoi presupposti (C. Adam), della spesso faticosa ricerca di equilibrio tra Chiesa interiore come corpo mistico e organizzazione gerarchica (C. Adam, R. Guardini), del significato anche simbolico dell'Eucarestia (de la Taille), del primato di funzione del clero secolare in cura d'anime, rispetto a quello regolare (Thiels). Si è anche accentuata per il clero l'esigenza della presenza nel mondo e nei problemi terrestri contro certe correnti ascetiche (Sellmary); è stato approfondito l'aspetto kerygmatico della rivelazione cristiana accanto a quello speculativo ed apologetico della teologia tradizionale (Rähner), si è approfondito l'elemento dello sviluppo nella teologia e nel dogma (de Lubac), si sono esaminati con nuovo occhio gli elementi positivi del cristianesimo degli acattolici sia in prospettiva storica (Lortz, Algermissen), sia in quella sistematica (Pribilla, Congar), si è fatto appello con maggior larghezza e fiducia ai laici, specie nello studio storico della teologia e nell'elaborazione delle dottrine economiche, si è accentuata nella teologia morale, accanto alla tradizionale casistica come studio dei peccati, quella delle virtù, con forte rilievo delle esigenze cristiane nella morale professionale (Tillmann, Hildebrand).
L'adeguazione alle correnti moderne si è avuta anche nell'arte religiosa. L'architettura ecclesiastica, sollecitata dalla necessità di fornire luoghi di culto alle nuove parrocchie, si è provata coi concetti razionali. Nelle arti figurative, l'influsso delle numerose tendenze artistiche che si sono svolte dall'impressionismo si è venuto affermando, in contrasto con le tendenze arcaicizzanti di alcune correnti del movimento liturgico. Significativa, pur ne' suoi timidi inizî, è l'arte religiosa delle nuove comunità cristiane della Cina, dell'India, del Giappone, dell'Africa, espressione della vitalità di quel cattolicismo.
La persecuzione prima e poi le devastazioni, dispersioni e miserie della guerra e del dopoguerra hanno provocato un riavvicinamento psicologico ed organizzativo dei cattolici agli acattolici. I motivi che li uniscono sono riemersi in primo piano rispetto a quelli che li dividono, sia nei teologi che nei curatori d'anime e nei semplici fedeli. Così in Germania, in Olanda, in Polonia "i cattolici ritornano più intensamente alla S. Scrittura, mentre i protestanti riprendono un uso più frequente della Cena eucaristica. Nel campo degli studî l'esegesi protestante si fa dogmatica, mentre la dogmatica cattolica si fa esegetica; la partecipazione del cattolico laico al sacerdozio di Cristo è più intensa, mentre tra i protestanti l'autorità del pastore accentua il suo carattere istituzionale di fondazione divina" (Chevrot). Una feconda emulazione spirituale si è, pertanto, delineata nel campo religioso; anche storici di grande prestigio e valore tendono oggi a limitare la portata dei dissensi agl'inizî della Riforma protestante.
L'azione politica. - Essa ha inquadrato e coordinato la multiforme attività interna, seguendo due metodi e volta a volta insistendo sull'uno o sull'altro, a seconda delle circostanze. Si è accordata coi governi ed i regimi totalitarî, nell'intento di assicurare ai cattolici le migliori condizioni di diritto e di fatto per l'affermazione della loro fede e la pratica della loro religione, pur correndo così il rischio di dare l'impressione di assumere una solidarietà morale coi governi stessi, il che naturalmente era al di fuori delle sue intenzioni. Ma ha fatto appello anche alla coscienza dei fedeli, in regime democratico corresponsabili dell'indirizzo politico e ideologico dello stato, per ottenere in sede di legislazione interna le garanzie essenziali per la sua libera attività religioso-organizzativa.
La direttiva concordataria del primo dopoguerra è stata continuata, con esito però diseguale, spingendo la S. Sede a ricorrere sempre più energicamente all'azione indiretta. Così si ebbero i concordati col Reich tedesco del 20 luglio 1933 e con lo stato austriaco del 10 maggio 1934, quello con la Iugoslavia del 25 luglio 1935, mai però ratificato, l'accordo integrativo con la Polonia del 20 giugno 1938, il concordato e l'accordo missionario col Portogallo del 17 maggio 1940, una convenzione con la Spagna del 7 giugno 1941 circa la nomina dei vescovi, con l'impegno di osservare i primi 4 articoli del concordato del 1851 e una nuova convenzione circa la provvista dei benefici e il finanziamento dei seminarî del luglio 1940, una convenzione con la Colombia del 22 aprile 1942, non ratificata, che modifica le disposizioni del concordato del 1887 e del concordato addizionale del 1892, e cioè circa le circoscrizioni diocesane, la nomina dei vescovi fissata sul tipo comune dei concordati postbellici, la trascrizione dei matrimoni religiosi e l'amministrazione dei cimiteri; e altre meno rilevanti con l'Italia.
La S. Sede dovette affrontare situazioni molteplici nelle chiese dei diversi paesi, con adattamenti alle esigenze ambientali che salvaguardassero i principî generali. Così, mentre in Italia nel 1935-36 non contrastava l'atteggiamento del clero a favore della guerra contro l'Etiopia e si mostrava soddisfatta per la politica anticomunista del regime fascista, irrigidendosi però di fronte alla legislazione razziale di imposizione tedesca, riaffermava dall'altra in tesi generale il principio della soluzione pacifica delle controversie e quindi l'istituto della Società delle Nazioni. In Francia raccomandò all'episcopato prudenza davanti alla "main tendue" dei comunisti e al Fronte popolare antifascista; più tardi fu riservata nei riguardi del governo di Vichy e pronta invece a riconoscere nel 1944 il governo di De Gaulle; favorì la costituzione di un partito controllato dai cattolici, non contrastò le ardite esperienze di sacerdoti e laici nel campo dell'apostolato socialc del secondo dopoguerra. In Belgio appoggiò, approvando l'atteggiamento del card. primate van Roy, la coalizione governativa cattolico-socialista contro il movimento dei "rexisti" di L. Degrelle, nel 1937-38. In Spagna, dopo aver assistito ai mutamenti costituzionali e politici tra il 1930 e 1936 e alla guerra civile, limitandosi a contestare vivacemente le giustificazioni apportate dalle sinistre alla persecuzione anticlericale, a cominciare dal 1937 prese ad approvare in linea generale il programma di ricostruzione di F. Franco e la politica ecclesiastica del dittatore spagnolo, venendo così sia pure indirettamente a dare appoggio alle correnti cattoliche favorevoli a Franco di fronte a quelle a lui contrarie, diffuse in Francia, Inghilterra, America. In Portogallo la S. Sede accettò la costituzione separatista, contenta dello spirito non avverso con cui l'applicava il governo di Oliveira Salazar, concludendo con esso nel 1940 anche un concordato. In Germania accedette nel 1933 alla proposta del governo Hitler-von Papen di un concordato unitario per il Reich, abbandonando al suo destino il vecchio partito cattolico del Centro e affidando così al solo strumento giuridico la tutela della vita cattolica nel paese. Deplorò poi vivacemente, in appoggio alle proteste dell'episcopato germanico, la violazione sistematica dello spirito e della lettera degli accordi con la enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge del 14 marzo 1937. Di qui il conflitto col Reich tedesco-nazista che si aggravò sempre più per la politica di annientamento degli enti ecclesiastici nazionali e delle persone fisiche che li rappresentavano nelle terre occupate, specie in Polonia, in Olanda, in Belgio, ed in generale per il rifiuto della S. Sede e della Chiesa di accettare la teoria e la prassi, dentro e fuori il Reich, dell'ideologia razzista. Il che popolò i campi di concentramento tedeschi di sacerdoti e cattolici militanti. In Austria la S. Sede si compiacque dello "Stato corporativo cristiano" di Dollfuss e Schusschnigg, che nel concordato del 1934 aveva accolto tutte le rivendicazioni tradizionali della Chiesa, ma, annessa l'Austria al Reich, protestò discretamente contro la sua denunzia e contro l'estensione alla Marca orientale delle concezioni e dei metodi nazisti. Nell'Europa orientale agitata, turbolenta, con stati etnicamente poco compatti, la S. Sede non ha cessato di compiere un'azione mitigatrice, cercando di aiutare l'evoluzione degli spiriti e delle istituzioni verso il nuovo ordine politico e territoriale. Così ottenne in Polonia prima della seconda Guerra mondiale il riconoscimento delle chiese uniati, in Romania l'accettazione dello status catholico-transilvanus, cioè dell'autonomia dei cattolici magiari, in Ungheria il consolidamento delle istituzioni cattoliche appoggiando insieme con discrezione il revisionismo magiaro (tali istituzioni dovevano entrare in crisi prima con l'occupazione tedesca e poi nel 1947 col colpo di stato instaurante il controllo comunista sul paese); in Iugoslavia riuscì ad ottenere il riconoscimento della Chiesa cattolica nel concordato del 1935 (però l'opposizione della Chiesa ortodossa ne impedì la ratifica parlamentare); in Cecoslovacchia appoggiò l'autonomismo degli Slovacchi, riconobbe nel 1940 il governo indipendente presieduto da mons. G. Tiso, fucilato poi nella rinata Cecoslovacchia come traditore. Nell'America latina ha cercato di conservare le sue posizioni di fronte alle tendenze laiciste radicali che avevano clamorosamente conquistato il Messico in combinazione con motivi indigenisti e marxistici; di fronte alle quali la S. Sede ha richiamato la necessità di intensificare la vita religiosa e le varie attività dell'Azione cattolica con l'enciclica Nos es muy conocida della Pasqua del 1937, dopo aver invano sperato sull'influsso degli Stati Uniti per il ristabilimento della libertà religiosa in quel paese. Un compromesso con le esigenze di laicità dello stato rappresenta l'accennata convenzione con la Colombia.
Premuta da una parte dal totalitarismo fascista e nazista, appoggiato da molte sfere conservatrici inclini al compromesso, dall'altra dal comunismo non privo di suggestioni anche in ambienti devoti, ma decisamente ateo nella sua teoria e nella sua prassi nell'Unione Sovietica e in numerosi altri paesi, la Santa Sede denunciò come anticristiani sia il razzismo tedesco sia il comunismo ateo, quest'ultimo con l'enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo 1937.
Nello stesso tempo la S. Sede avverte e valorizza l'organizzazione e la vitalità della Chiesa cattolica negli Stati Uniti, come pure l'importanza crescente del cattolicismo del Commonwealth britannico per la Chiesa in generale. Di qui il significato della visita nel 1936 del card. Pacelli segretario di Stato agli S. U. e al presidente F. D. Roosevelt, della nomina di un rappresentante personale di questo presso la S. Sede (dicembre 1939), mantenuto anche dal successore H. S. Truman, nonostante le opposizioni degli antipapisti. Infine la Santa Sede non ha mancato di apprezzare le ripetute dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti di fondare la propria azione politica sul riconoscimento dei principî cristiani nella vita sociale e politica interna ed estera: ciò spiega, tra l'altro, lo scambio di messaggi tra Truman e Pio XII dell'agosto 1947.
Nel conflitto mondiale 1939-1945 l'azione della S. Sede è stata intensa e, a prescindere dagli accorati appelli alla pace, svolgenti gli stessi motivi di quello di Benedetto XV del 1917, si è svolta secondo una triplice direttiva. Innanzi tutto nell'ordine caritativo-assistenziale, per mitigare le sofferenze e le ansie di combattenti, organizzando un Ufficio informazioni per la ricerca di prigionieri e dispersi e la trasmissione di messaggi, una commissione di soccorsi per prigionieri, civili e profughi, il Secours catholique franco-svizzero, ma soprattutto una Commissione Pontificia di Assistenza, attiva specialmente in Italia, le cui erogazioni al dicembre 1947 assommavano ad oltre 9 miliardi e mezzo di lire, raccolte specialmente in America. Secondariamente, nel campo degli orientamenti ideali, cercando di farsi portavoce della coscienza umana, come nei periodi più agitati del Medio Evo. A questo fine la S. Sede ha protestato contro le violazioni del diritto internazionale nella violazione dei territorî dell'Olanda e del Belgio, e, nel regime di amministrazione dei territorî occupati, specialmente per la Polonia; ha affermato il diritto di esistenza delle piccole nazioni; ha ammonito i vincitori contro le suggestioni di una politica di vendetta; ha delineato, specie nei discorsi natalizî di Pio XII (1940-45) un programma di ricostruzione della vita sociale nel campo interno ed internazionale che faceva proprie le aspirazioni più diffuse radicandole sui principî cristiani, cercando anche di inserirvi i motivi di maggior risonanza delle due parti in conflitto, facendosi poi nel dopoguerra portavoce autorevole delle delusioni amare provocate dalla politica delle sfere di influenza, e delle aspirazioni dei vinti alla revisione delle clausole territoriali.
Nel campo diplomatico ha cercato di mantenere, a qualsiasi costo, i rapporti diplomatici con i belligeranti continuando il riconoscimento ai governi in esilio, dando ospitalità alle rappresentanze diplomatiche che avevano residenza a Roma: e provvedendo con amministratori apostolici alle diocesi smembrate o prive dei vescovi deportati o cacciati. Per svolgere quest'attività di emergenza, rimasta affidata alla Segreteria di stato, questa ha allargato assai la sua struttura con nuove sottosezioni. Il carattere universale, supernazionale del reggimento della Chiesa fu accentuato da Pio XII nella creazione cardinalizia del 18 febbraio 1946 (v. cardinali, in questa App.), ammettendo nel Sacro collegio rappresentanti di 23 nazioni e abbandonando il principio mantenuto per secoli della prevalenza numerica assoluta degl'italiani.
Bibl.: L'attività della Chiesa (pubblicazioni annuali non ufficiali ma redatte in Vaticano sulla base delle notizie dell'Osservatore Romano); L'opera della S. Sede per la pace nel I anno di pontrificato di Pio XII, Milano 1940; A. Saba, Storia della Chiesa, III, p. 2ª, Torino 1942; P. Marella, Speranze di cristiani in Giappone, Roma 1939; Encicliche sociali da Pio IX a Pio XII, a cura di I. Giordani, Roma 1945; Discorsi e radiomessaggi di Pio XII, Città del Vaticano - Milano 1944 segg.; M. Bendiscioli, La politica della S. Sede (1918-38), Firenze 1940; L. Salvatorelli, L'eredità pontificale di Pio XI, Torino 1940; E. Buonaiuti, Pio XII, Roma 1945; G. Gonella, Presupposti di un ordine internazionale (note ai messaggi di Pio XII), Città del Vaticano 1942; H. De Lubac, Il cattolicismo (aspetti sociali del dogma), trad. ital. Roma 1948; Y. Congar O. P., Chrétiens désunis, Parigi 1935; Lucien Marie de s. Joseph, Problèmes sociaux et attitudes chrétiennes, Lilla 1944; Fr. Mauriac, Ducatillon, N. Berdiaeff, H. Daniel-Rops, M. Bendiscioli, Il comunismo ed i cristiani, Brescia 1946; M. Scarle Bates, Religious Liberty, New York 1945; Ch. Journet, Exigences chrétiennes en politique, Friburgo e Parigi 1945; Il nazionalsocialismo e la S. Sede, a cura di M. Maccarrone, Roma 1947; M. Bendiscioli, La Germania religiosa nel III Reich, Brescia 1936; Nazism versus Christianity, Londra 1939; Th. Maynard, The story of American Catholicism, New York 1941; R. Pattee, El catolicismo en los Estados Unidos, Madrid 1946; Cl. Bishof, France Alive, New York 1947; Ivo Zeiger, Zur Lage der Kirche in Deutschland, in Stimmen der Zeit, 1947; Y. Congar, Pour une théologie du laicat, in Études, gennaio-febbraio 1948.
Chiesa e Stato (p. 46).
Le relazioni fra Chiesa e Stato in Italia (p. 48). - Le relazioni fra la Chiesa e lo Stato in Italia nel decennio precedente la seconda Guerra mondiale, e durante e dopo questa, restarono sempre formalmente regolate dai Patti Lateranensi (v. laterano, XX, p. 570) pur manifestandosi un distacco sempre maggiore da quella concezione confessionistica dello Stato che a taluno era apparsa - benché già allora non senza dissensi - alla base del sistema stabilito dal concordato del 1929. Per quanto in alcune norme di questo (soprattutto in quelle contenenti limitazioni all'attività degli ecclesiastici e religiosi) e in altre successive (ad es. nella maggior protezione accordata dal codice penale alla religione dello Stato rispetto agli altri culti) alcuni potessero vedere un'impronta confessionale, dal complesso dell'attività politica dello Stato e della sua legislazione positiva, successive agli accordi, appare sempre più chiaro come l'una e l'altra non recassero alcuna specifica impronta di confessionalismo. Onde si mostrò sempre più giustificata l'opinione di coloro che, negando un carattere confessionale al sistema di relazione fra lo Stato e la Chiesa sorto dagli atti del Laterano, vedevano in questi semplicemente un sistema di giuridica delimitazione delle rispettive attività, nei reciproci rapporti fra i due ordinamenti, conforme alla loro natura e consono alle esigenze storiche, per cui - pur senza venir meno ai principî dell'uguaglianza religiosa dei cittadini di fronte alla legge e della libertà di ogni culto, i cui riti non contrastino con l'ordine pubblico e col buon costume (legge 24 giugno 1929, n. 1159) - si considerava in posizione di speciale riguardo e protezione la religione professata dalla quasi totalità del popolo ital iano.
La costituzione della Repubblica Italiana (27 dicembre 1947) ha pienamente accolto questo ordine di idee, ispirandosi al principio della aconfessionalità dello Stato. In essa, stabilite le fondamentali garanzie della libertà (artt. 3, 19, 20) e in particolare affermato che tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge (art. 8), si determinano i criterî con i quali vanno regolati i rapporti fra lo Stato e ciascuna di esse.
Per la Chiesa cattolica in particolare è enunciato anzitutto il principio fondamentale che "lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani" (art. 7). Questo principio non solo richiama la comune nozione, che riconosce nella Chiesa un ordinamento giuridico originario, ma stabilisce anche l'indipendenza dell'ordinamento giuridico dello Stato di fronte alla Chiesa.
Dallo stesso principio discende che i rapporti dello Stato con la Chiesa non sono disciplinati unilateralmente con leggi interne dello Stato, ma bilateralmente con atti concordati, alla stessa guisa che con ogni altro ente sovrano.
A questo fine la Costituzione precisa che tali rapporti sono regolati dai Patti lateranensi, la cui modificazione, concordata, non richiederà procedimento di revisione costituzionale (art. 7 cpv.).
Bibl.: Per un elenco dell'abbondantissima letteratura successiva agli Accordi lateranensi, v.: A. Giannini, Saggio di una bibliografia sugli accordi del Laterano, in Rivista internazionale di scienze sociali, 1930, fasc. genn.; id., Secondo saggio di una bibliogr. ecc., ibid, nov. 1931; id., Terzo saggio, ecc., ibid., nov. 1933; R. Giustiniani, Bibliogr. degli Accordi Lateranensi, in Dir. Eccles., 1934, p. 100 segg. E fra i lavori più recenti, oltre alle trattazioni generali di dir. eccles. e costituzionale, v.: G. Salvatorelli, La Politica della S. Sede dopo la guerra, Milano 1937; M. Bendiscioli, La politica della S. Sede, Firenze 1940; Chiesa e Stato, Studi storici e giuridici ecc., 2 voll., Milano 1939; C. A. Biggini, Storia inedita della Conciliazione, Milano 1942; A. Giannini, Il cammino della Conciliazione, Milano 1946; V. Del Giudice, La questione romana e i rapporti fra Stato e Chiesa fino alla conciliazione, Roma, s. d. (ma 1948); e in genere i commenti, all'art. 7 della costituzione della repubblica italiana. Per le fonti legislative v. A. Bertola e A. C. Jemolo, Codice ecclesiastico, Padova 1937.
Dottrine economiche e sociali della chiesa.
È oggetto di controversia se sia legittimo che la Chiesa professi una propria dottrina o proprie dottrine economiche e sociali. Soprattutto nel sec. XIX, allorché l'acutizzarsi dei contrasti ideologici sollecitò in modo particolare l'intervento della Chiesa, fu sostenuto da talune correnti che fosse arbitrario l'estendere il credo religioso alle questioni d'organizzazione economica e dei rapporti sociali. Leone XIII, nell'Enciclica Rerum Novarum (15 maggio 1891), confutò tale accusa.
Coloro che contestano alla Chiesa il diritto e negano la possibilità di possedere un proprio pensiero in materia economica e sociale insistono sul contenuto essenzialmente religioso del magistero della Chiesa e fanno appello alla libertà che ha il credente di applicare la propria riflessione e il proprio giudizio personale a tutto ciò che non tocca la fede e la morale. In questa argomentazione confluiscono, si intrecciano e si alternano elementi diversi, che conviene tener distinti per chiarire la questione e giungere così alla esatta definizione di ciò che deve intendersi per dottrine economiche e sociali della Chiesa.
Occorre riflettere che altra cosa è il pensiero ufficiale della Chiesa e l'insegnamento che promana dalla gerarchia, e altre cose sono le idee sostenute, sia pure appoggiandosi o riferendosi a quello, dai credenti (interpretazioni, commenti, svolgimenti del pensiero della Chiesa avanzati da questo o quello studioso, uomo d'azione o anche corrente politica, arbitrariamente identificati col magistero ecclesiastico); che le preoccupazioni da cui è mossa la Chiesa sono d'indole morale (e che essa si pone esclusivamente su questo piano allorché, nell'adempimento della sua missione, indica direttive ai singoli e alle istituzioni affinché non ostacolino, anzi facilitino a tutti il conseguimento dei fini dell'esistenza) e non pretendono sostituirsi alla scienza, alla tecnica e alla pratica organizzative - ché sul piano dell'ordinamento dell'economia e delle relazioni sociali nessuna limitazione intende porre la Chiesa, eccetto quelle discendenti dalle esigenze morali - e che, infine, sono un riflesso del processo di secolarizzazione della cultura e del conseguente orientamento antropologico degli spiriti (che nell'universo costruito dall'uomo con la sua attività, mal tollera un intervento esterno) le vedute, respinte dal pensiero cattolico, di alcune correnti dottrinarie moderne, secondo le quali l'economia, la politica, i rapporti sociali si sottrarrebbero all'impero dell'etica. E va chiarito che le direttive della Chiesa in questo campo appartengono al piano morale ed è solo una locuzione abbreviata, la quale, rigorosamente parlando, non risponde al contenuto che serve a designare, quella di "dottrine economiche e sociali" con cui si suole qualificarle.
Il pensiero della Chiesa in materia economica e sociale discende dalla nozione di persona umana, ente libero e responsabile, composto d'anima e di corpo, che per la sua dignità è superiore a qualunque altra cosa creata. Essa vive nella società, e con l'ausilio di questa deve svilupparsi e perfezionarsi per attingere il proprio fine. È una realtà bipolare e i due poli sono l'individualità e l'alterità. Le principali direttive che derivano da questa nozione della persona sono: a) l'uso della ricchezza è subordinato al conseguimento delle finalità superiori, per cui è riprovevole, perché contraria alla legge morale e inoltre turba la convivenza sociale, la tendenza ad accumulare come fine a sé stesso; b) i beni della terra sono destinati al soddisfacimento dei bisogni di tutti gli uomini: l'ordinamento della proprietà deve tendere a realizzare questa esigenza; c) il lavoro umano è al tempo stesso una pena e un mezzo d'elevazione: va circondato di garanzie tali da favorire lo sviluppo dell'uomo e da consentirgli di procacciarsi i mezzi per una vita conforme alla sua dignità. Si tratta di direttive che talora si rivolgono alla coscienza del singolo, talaltra additano compiti all'ordinamento della società; vi sono pertanto norme di morale individuale e norme di morale sociale.
Nel corso della storia la dottrina della Chiesa concentrò gli ammaestramenti su oggetti diversi. Mentre nell'antichità particolare cura venne rivolta alla valorizzazione del lavoro umano, nell'epoea medioevale si sentì il bisogno di elaborare norme atte a far rispettare la giustizia in tutte le forme che l'attività economica veniva assumendo. I temi preferiti furono allora il giusto prezzo e il giusto salario e, come corollario di essi, la illiceità del prestito a interesse, o divieto dell'usura, fondato sul precetto evangelico: Mutuum date nihil inde sperantes (v. interesse, XIX, p. 382). L'influenza delle dottrine della Chiesa toccò in quel periodo il grado più elevato. L'organizzazione corporativa dell'economia rifletteva appunto l'idea centrale che il lavoro, l'apprestamento di beni e di servizî e il commercio sono sottoposti alla realizzazione del bonum commune: cosicché, per far rispettare la giustizia, molteplici e spesso assai minuziose prescrizioni venivano emanate.
Col formarsi dell'economia moderna, di mercato o di concorrenza, anche la Chiesa fu chiamata a precisare le direttive atte a salvaguardare il patrimonio della civiltà cristiana di fronte alle innovazioni tecniche e istituzionali e a tutelare lo sforzo di ciascuno per realizzare il proprio fine. Col regime economico instauratosi fra la fine del sec. XVIII e i primi decennî del sec. XIX nei varî paesi d' Europa, cioè col sistema che, soprattutto per influenza della critica marxistica viene generalmente denominato capitalistico, si trovarono ad operare germì violenti di disgregazione, di dissociazione e di lotte sociali. Sotto un certo aspetto, il problema sociale sale al primo piano nella storia dei popoli europei.
Si apre allora un'epoca nuova per le dottrine economiche e sociali della Chiesa: nuova nel senso dell'estensione, della profondità e dell'importanza che l'insegnamento sociale assume nella vita della Chiesa. Le sorti della civiltà cristiana appaiono in gran parte legate all'esito dei conflitti sociali; perciò è naturale che alla forza religiosa si debba fare appello perché abbia a mostrare la sua vitalità, la sua perennità, la sua capacità di salvezza. È l'epoca delle encicliche sociali, documenti solenni che da Roma raggiungono la gerarchia ecclesiastica sparsa in tutto i] mondo, i fedeli viventi in tutti i paesi, gli uomini appartenenti alle varie categorie sociali. Dalla Rerum novarum di Leone XIII del 1891 alla Divini redemptoris (1928) e alla Quadragesimo anno (1931) di Pio XI, fino ai messaggi di Pio XII è tutto un vasto compendio di insegnamenti che mettono in luce il contenuto sociale della religione cattolica. Esso è apparso talmente aderente ai bisogni della società contemporanea da dar luogo alla espressione "cattolicesimo sociale"; al tempo stesso se ne è vista la profonda derivazione dalle stesse verità essenziali della religione, e, quasi a correzione di quella espressione, si è concluso: non esiste cattolicesimo che non sia cattolicesimo sociale.
Di fronte a un mondo politico, economico e sociale pervaso di immanentismo e di laicismo, le dottrine economiche e sociali della Chiesa perdono il carattere d'ammaestramenti su questo o quel problema, questione o controversia e assumono il contenuto di un programma di riforma che investe le basi stesse dell'ordinamento sociale, economico e politico. È un vero e proprio appello alla riforma sociale, che ha potuto essere preso, sia pure nelle sole sue linee essenziali, come fondamento dei programmi di alcuni partiti politici. Non per questo però il pensiero della Chiesa abbandona il terreno dei principî morali. Mentre si avvicina alle situazioni storiche per poter avere presa su coloro che operano a modificarle, se ne tiene lontana quanto è necessario per essere fedele alla sua cattolicità, per non varcare i limiti della propria missione e per non vedere travolta la propria parola dalle mutevoli contingenze di tempo, di luogo e di popoli. In armonia con il carattere ora indicato, il pensiero sociale della Chiesa nell'epoca moderna si arricchisce di più nella parte relativa alle istituzioni agli ordinamenti, alla legislazione che in quella rivolta alla coscienza individuale. Ciò non va inteso come preminenza del momento organizzativo su quello personale, perché anzi ciò che contraddistingue la corrente sociale cattolica è sempre l'idea che l'influenza decisiva in ogni campo di riforme spetta al rinnovamento degli spiriti. Ma va inteso nel senso che, di pari passo col manifestarsi in tutta la sua ampiezza e profondità della crisi sociale del tempo nostro, la Chiesa ammonisce che i rimedî non saranno efficaci se non avranno uguale ampiezza e profondità.
In poche parole, il contenuto essenziale del cattolicesimo sociale si potrebbe sintetizzare nel programma di elevazione del proletariato. Ciò che nel presente ordinamento economico sociale offende la coscienza cristiana, e anzi ogni coscienza umana appena sensibile alle sorti dell'uomo, è indubbiamente la precarietà di esistenza cui è condannata una gran parte della classe lavoratrice, e la incapacità in cui questa si trova di elevare sé medesima, o almeno la propria prole, economicamente, socialmente, culturalmente e di sottrarsi alla sua condizione di inferiorità.
Per raggiungere la meta della redemptio proletariorum si richiedono non pochi mutamenti nei rapporti economici e sociali: la proprietà va regolata in modo da rappresentare sostegno e consistenza alla persona umana e non strumento di privilegio, e in modo che sia aperto a tutti l'accesso ad essa; il rapporto di lavoro va modificato in guisa da valorizzare il fattore umano; il regime successorio deve altresì consentire il frequente ricambio sociale come conseguenza della più rapida circolazione dei beni; la previdenza sociale attende di essere sviluppata fino ad estendere nella maggiore maniera possibile la sicurezza sociale, ecc. Le singole riforme vanno adattate alle circostanze di tempo e di luogo e alle concrete condizioni di sviluppo delle singole economie. È difficile trovare un'altra ragione convincente del rinnovarsi, a distanza a volte assai breve di tempo, dei documenti pontifici in materia sociale. Del resto, chi mediti con attenzione le encicliche e i messaggi sociali, tenendo conto da un lato dell'evoluzione economica degli ultimi decennî e dall'altro dei progressi compiuti nello stesso periodo dagli studî economici, non esita a individuare le varie tappe segnate da ciascun documento, pur in costante aderenza al medesimo filo conduttore: la difesa della persona e, sul terreno storico, l'elevazione del proletariato. La Rerum novarum, cadendo su un ambiente infocato dal dissidio, che allora pareva insanabile, fra capitale e lavoro, additava un vasto programma di legislazione sociale per attenuare il contrasto ma al tempo stesso propugnava un più ampio moto di rinnovamento, che tuttavia rinviava a un'epoca più remota perché i tempi non erano maturi. Nell'enciclica del 1891 era stata esaurientemente confutata l'ideologia del materialismo marxista; ma alcuni decennî più tardi, allorché essa aveva preso consistenza in un paese e di là minacciava di estendersi ad altri popoli, la Divini redemptoris venne a ribadire il concetto che la persona umana non trova il clima adatto alla propria espansione e al proprio perfezionamento in un sistema che concentri la proprietà, l'iniziativa e la direzione di tutta l'economia nelle mani dello stato. E quando le gravi conseguenze della depressione mondiale avevano mostrato a tutti l'urgenza di più pronunziati mutamenti nell'ordinamento economico esistente, la Quadragesimo anno venne a prospettare un'azione di più vasto orizzonte rispetto a quella raccomandata dalla Rerum novarum. Essa supera infatti il programma di legislazione e di politica sociale e postula un mutamento più profondo nell'intero organismo economico affinché sia orientato verso la giustizia sociale.
Gli avvenimenti successivi, e in modo particolare i contrasti politici prima e il conflitto armato poi, hanno mostrato che i motivi di disagio della classe lavoratrice non si arrestano ai confini dei singoli paesi ma non di rado hanno connessione col modo con cui sono ripartite le risorse naturali e le materie prime fra i varî popoli, col regime delle migrazioni della mano d'opera, con la distribuzione dei possedimenti coloniali, ecc. In altre parole tali avvenimenti hanno mostrato che la questione sociale ha anche un aspetto internazionale. Toccò appunto a Pio XII, di cultura, di formazione e di attività veramente cosmopolite, di richiamare con enfasi particolare questo nuovo aspetto del problema sociale. I suoi Messaggi ribadiscono il fondamento filosofico-morale del cattolicesimo sociale; rinnovano i moniti per la legislazione sociale e la politica sociale; ripresentano la necessità di più profonde revisioni del sistema economico; ma, oltre a tutto ciò, rivelano una nota nuova: la soluzione del problema sociale è legata alla collaborazione economica internazionale, sul fondamento della giustizia.
Bibl.: I. Giordani, Il messaggio sociale di Gesù, volumi 4, Milano 1947; Staatslexikon, della Görres Gesellschaft, voll. 5, Friburgo in Br. 1930; O'Nell Breuning e H. Sacher, Zur christlichen Gesellschaftslehre, ivi 1947; C. Echelmeyer e I. P. Steffes, Die Kirche in der Welt, Münster i. W. 1947; H. Guitton, Le catholicisme social, Parigi 1945; G. Hoog, Histoire du catholicisme social en France, ivi 1947; Encicliche e Messaggi sociali di Leone XIII, Pio XI e Pio XII, a cura dell'Unione cattolica e di studî sociali, Milano 1944 con ampia introduzione; Collezioni: Problemi sociali contemporanei e La Dottrina sociale cattolica, Milano 1944 segg. e 1945 segg.; Scritti in onore di Giuseppe Toniolo, Milano 1929; Il XL Anniversario della Rerum Novarum, ivi 1931; si vedano inoltre la Rivista Internaz. di scienze sociali, 1890 segg.; gli atti delle "Settimane sociali" di Francia, Italia, Canada, ecc.; le pubblicazioni dell'Union Internationale d'Études sociales, tra cui il "Codice di Malines" (Code social, Malines 1928), dell'Institut International de Sciences Politiques et Sociales di Friburgo (Svizzera), della Catholic Economic Association (Milwaukee).