Chiese nazionali
In Età moderna (e oltre) la Chiesa cattolica si caratterizza quale federazione di C.n. i cui rapporti con Roma erano regolati da una serie di accordi e/o consuetudini. Martino V, ancora a Costanza, stipulò nel 1418 concordati riguardanti i diritti del papa in materia di benefici, indulgenze e dispense con le cinque nationes presenti al concilio (italiana, tedesca, spagnola, francese e inglese). Già negli anni successivi questi accordi vennero contestati, soprattutto per le crescenti ambizioni dei sempre più attivi Stati europei desiderosi di controllare le proprie Chiese, nominando i titolari dei benefici maggiori e conservando, o acquisendo, voce nella gestione del patrimonio ecclesiastico. A smuovere definitivamente la situazione fu la Francia, adottando nel 1438, nel tempo delle accese dispute tra il papa e il Concilio di Basilea, la Prammatica sanzione di Bourges che privava il papa di qualsiasi possibilità di influenza sulla Chiesa transalpina e riconosceva ai concili un ruolo superiore a quello del vescovo di Roma. Nello stesso anno, i principi elettori di Germania, sull’esempio gallicano, rivendicarono la piena giurisdizione sulle Chiese dei loro territori e nel 1447 i cosiddetti concordati dei principi segnarono la resa del papa alle pretese tedesche. La debolezza del papato continuò a obbligare la Sede romana a concessioni: Niccolò V pensò alla Polonia e all’Aragona; Pio II al Portogallo; Sisto IV ancora all’impero e poi a Castiglia, Aragona (e nel 1478 concesse alla Spagna di istituire l’Inquisizione sotto controllo regio), Danimarca, Confederazione elvetica, Ungheria. Giulio II stipulò nuovi concordati con la Castiglia e poi con Portogallo, Polonia, Norvegia, Danimarca, Scozia, Savoia, Svizzera. Nel 1516 Leone X raggiunse l’obiettivo della cancellazione della Prammatica sanzione di Bourges, pagandolo però col Concordato con la Francia, che assicurò a quel regno il pieno controllo sulla sua Chiesa. Da tutto ciò scaturì un sistema di C.n. le cui componenti erano legate a Roma da un rapporto fondato sulla convenienza e null’altro e da ciò derivò, per es., il fatto che i canoni del Concilio di Trento furono incondizionatamente accettati solo nella penisola italiana. Qui il papato riuscì a mantenere sempre e senza incontrare troppi ostacoli la propria giurisdizione continuando tra l’altro a nominare la quasi totalità dei vescovi. La situazione prese a mutare nel 19° sec., ma fu solo con il codice di diritto canonico del 1917 che la Chiesa romana si dotò dell’apparato normativo utile a sostenere la propria ambizione di imporre un monopolio di giurisdizione sulla Chiesa cattolica. E tuttavia ancora a lungo molti Stati avrebbero puntato a conservare i propri diritti in materia ecclesiastica: il Concilio vaticano II li invitò a cederli spontaneamente, e nel nuovo codice di diritto canonico del 1983 si affermò che per l’avvenire a nessuna autorità laica sarebbero state più attribuite prerogative in materia.