CHINEA (dall'antico fr. haquenée "cavallo che va all'ambio")
Significò in origine il cavallo che va d'ambio; ma la parola fu usata poi prevalentemente per designare il cavallo che il re di Napoli presentava al pontefice in segno di omaggio feudale.
Omaggio della chinea. - Carlo d'Angiò, tra i patti fissati con Clemente IV per la conquista del regno di Manfredi, si obbligò a versare annualmente alla Santa Sede, nella festa dei Ss. Pietro e Paolo, un censo di ottomila once d'oro, e in più, a presentargli unum palefridum album pulcrum et bonum. La quantità o almeno il nome del censo variò in seguito sotto gli stessi Angioini, e fu qualche volta sospeso in dipendenza dei rapporti politici talora ostili tra i sovrani e i papi, come avvenne tra Carlo V da un lato e i papi Clemente VII e Paolo IV successivamente dall'altro.
Coi papi successivi la cerimonia dell'omaggio e del censo dovette stabilirsi in maniera definitiva con l'aggiunta d'una solenne cavalcata a Roma e svolgersi regolarmente ogni anno il 28 giugno (vigilia della festa degli Apostoli). Quando Filippo di Borbone e Carlo d'Austria chiesero entrambi l'investitura del regno di Napoli a Clemente XI, con l'offerta del censo e della chinea, il papa respinse tutte e due le richieste, dichiarando devoluto alla Santa Sede (sovrana) il regno di Napoli (suo feudo) per la morte di Carlo II senza prole. Riuscì comico e vano un tentativo compiuto il 28 giugno 1701 dall'ambasciatore spagnolo per presentare di sorpresa la chinea con la cedola del censo, ed entrambe le corone per tutti gli altri vent'anni che continuò a regnare Clemente XI si astennero dal solito omaggio. Ma Carlo VI d'Austria prima, e Carlo di Borbone poi, vollero essere dal papa investiti del regno secondo le vecchie bolle.
Nel 1776, prendendo l'occasione da una lite di precedenza tra il seguito dell'ambasciatore di Spagna e quello del governatore di Roma durante la cavalcata per offrire a Pio VI il tributo e il cavallo, il Tanucci abolì (9 luglio) quella solenne e pubblica cerimonia e ridusse quell'"atto di divozione" del re verso i Santi Apostoli alla presentazione della solita offerta pecuniaria per mezzo d'un agente delegato dal suo ministro a Roma. Ma di lì a tre mesi il Tanucci fu licenziato, e la corte romana indusse Ferdinando IV a prestare l'omaggio consueto. Così il 21 giugno 1777 fu compiuta la solita funzione nell'imminente vigilia dei Santi Apostoli; e così, di volta in volta, negli anni successivi fino al 1788 quando il ministro Domenico Caracciolo ordinò al regio incaricato d'affari a Roma di offrire il solo censo. Il papa si dolse che fosse mancata la cerimonia (allocuzione del 28 giugno) e ne scrisse anche al re (3 luglio), ma la corte di Napoli tenne duro. Da allora in poi, ogni anno il 28 giugno, il ministro di Napoli a Roma cominciò a depositare presso il Monte di pietà il censo, e il papa iniziò la serie dei suoi rifiuti e delle sue proteste. Ferdinando IV però, quando Napoleone lo ebbe spodestato del regno di Napoli, e alla sua volta ebbe a dichiarar vane le richieste pontificie, assicurò Pio VII che a suo tempo gli avrebbe offerto la chinea al modo antico. Ma, restaurato il Borbone e invitato a sciogliere la fatta promessa, rispose che la feudalità era finita, offrendo un compenso pecuniario per il censo e per la chinea, ma in connessione con la questione di Benevento e di Pontecorvo. Il papa rifiutò la proposta e tornò a ricordare la promessa avuta. Opera vana. Né Ferdinando I né il suo successore si piegarono ad appagare il desiderio del papa. Solo nel 1855 Ferdinando II offrì diecimila scudi per il monumento dell'Immacolata in Roma, a condizione di essere definitivamente esonerato da ogni altro tributo ed omaggio. La proposta fu accettata da Pio IX (25 giugno).
Bibl.: P. Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, Napoli 1865; A. Granito, principe di Belmonte, Storia della congiura del principe di Macchia, I, Napoli 1861; G. Lioy, L'abolizione dell'omaggio della Chinea, in Archivio storico per le prov. napoletane, VII (1882).