Chirurgia plastica
La chirurgia plastica ha origini antichissime. I primi interventi di plastica vengono descritti nei Veda, libri sacri indiani, e in Mesopotamia due millenni prima dell'era cristiana. A parità di altre discipline chirurgiche lo sviluppo della chirurgia plastica si è enormemente accelerato nel XX sec., anche grazie ai tragici eventi delle guerre mondiali, che hanno creato le condizioni per un utilizzo su larga scala delle pratiche di chirurgia plastica. Le finalità terapeutiche della disciplina sono complesse, in quanto essa si propone di integrare il ripristino della funzione e della morfologia delle strutture sulle quali opera, aiutando spesso anche a superare problemi psicologici nei pazienti. Nel rispetto delle sue profonde radici storiche, la chirurgia plastica conserva un approccio non limitato a un singolo organo o apparato, dovendo affrontare patologie di differenti origini e a carico di parti molto diverse dell'organismo. Anche per questo, la chirurgia plastica occupa un posto di primo piano nella pratica clinica. Essa infatti costituisce un banco di prova sperimentale privilegiato per l'utilizzo di tecniche innovative che vengono sviluppate in numerosi settori delle scienze biomediche: l'uso di materiali artificiali, le basi biologiche e immunologiche dei trapianti, le tecniche di coltura e di produzione in laboratorio dei tessuti, la microchirurgia ricostruttiva, oltre all'ormai onnipresente chirurgia estetica.
La chirurgia plastica è la disciplina che si occupa di modificare, correggere, ricostruire le forme del corpo umano. Il suo ambito di intervento riguarda la correzione di difetti sia acquisiti che congeniti (chirurgia plastica correttiva od ortomorfica), nonché la ricostruzione di strutture corporee assenti o amputate (chirurgia plastica ricostruttiva). La chirurgia plastica ha come presupposto essenziale la salvaguardia dell'integrità delle strutture operate e, quando possibile, provvede a un miglioramento o al ripristino del loro stato fisiologico. A questo scopo, il chirurgo plastico interviene di norma sul rivestimento cutaneo che costituisce il contenitore esterno e visibile del corpo umano. Tuttavia, in molti casi vengono modificati anche i tessuti profondi, come accade negli interventi di modellamento del profilo corporeo. In questi casi si agisce sulle strutture sottotegumentarie, e altresì, per motivi funzionali, si eseguono plastiche su tendini, muscoli, ossa, articolazioni e così via, gran parte delle quali realizzata a scopo correttivo.
Ricade infine nell'ambito della specialità il trattamento di tutti i processi che modificano le fattezze dell'organismo, nonché la correzione di caratteri giudicati inestetici (chirurgia plastica estetica). La chirurgia plastica ha assunto un suo ruolo sempre più importante e ben definito in quella che, definita come 'chirurgia estetica', si è sempre più avvicinata alla chirurgia ricostruttiva. Le motivazioni che spingono i pazienti a sottoporsi a interventi di chirurgia estetica, infatti, possono essere rappresentate da inestetismi oggettivamente evidenti, o anche avvertiti solo soggettivamente, che comunque comportano problemi psicologici nella vita di relazione tali da giustificare il ricorso alla terapia chirurgica. Ovviamente la maggior parte degli interventi di chirurgia estetica viene eseguita per inestetismi del viso e in misura minore per la correzione del contorno corporeo. Intuitiva è la distinzione tra la chirurgia plastica estetica dei difetti costituzionali e quella dell'invecchiamento, che tende a correggere i dismorfismi (rughe, pliche cutanee, ecc.) che si rendono manifesti in modo più o meno evidente con il trascorrere del tempo in età adulta o avanzata.
La chirurgia plastica è una disciplina chirurgica non regionale, che (a differenza delle discipline di organo) privilegia lo studio e il perfezionamento delle metodiche ricostruttive piuttosto che il semplice approfondimento degli aspetti patologici. In particolare sono parte integrante del patrimonio culturale della materia: la biologia dei processi di guarigione e di rigenerazione, il trapianto dei tessuti, la biocompatibilità e le tecniche di impianto dei materiali artificiali, l'approfondimento dei meccanismi molecolari dei processi di riparazione. Tutti questi settori hanno avuto negli ultimi anni un progresso notevole, dovuto alla ricerca biomedica di base, per la quale la chirurgia plastica rappresenta un insostituibile laboratorio di applicazione clinica.
Lo studio delle tecniche di trapianto dei tessuti rappresenta uno dei cardini su cui si fonda questa specialità. Nella chirurgia plastica si considera trapianto qualunque trasferimento di tessuto da una sede (donatrice) a un'altra (ricevente), oppure da un individuo a un altro. Vengono così distinti, nel campo dei trapianti, i lembi e gli innesti. Si definisce 'trasferimento di un lembo' il trapianto di uno o più tessuti dotati di un apporto vascolare proprio (peduncolo), la cui continuità viene rispettata, il che garantisce la sua sopravvivenza. Si chiama 'innesto' il trasferimento di tessuti privati di ogni connessione vascolare con la sede donatrice e destinati all'attecchimento per opera del letto in cui sono collocati nell'area ricevente. È pertanto evidente come l'impiego di un lembo sia possibile solo con tessuti dello stesso individuo, mentre gli innesti possono avere provenienza diversa dall'individuo che li riceve.
Gli innesti possono essere quindi classificati, rispetto alla provenienza del tessuto, come 'autoinnesti' (prelevati dallo stesso soggetto che li riceve), 'omoinnesti' (prelevati da individui della stessa specie), 'eteroinnesti' (prelevati da individui di specie diversa dal ricevente, eventualmente biologicamente inferiore); sono destinati all'attecchimento definitivo i soli autoinnesti, mentre gli altri vanno, dopo un breve periodo di tempo, incontro a rigetto per motivi immunitari. Un'ulteriore classificazione è possibile in base ai tessuti costituenti l'innesto (cute, adipe, osso, tendine, fascia, nervo, ecc.).
I lembi, a loro volta, possono essere suddivisi in base a molteplici caratteristiche:
(a) l'apporto vascolare (assiali, quando sono dotati di un identificabile peduncolo vascolare arterioso e venoso, oppure random, in assenza di questo);
(b) i tessuti che li costituiscono (cutanei, muscolari, miocutanei o muscolocutanei fasciali, fasciocutanei, fasciomiocutanei, ossei, osteocutanei, osteomiocutanei);
(c) il movimento che effettua il tessuto durante il trasferimento (rotazione, avanzamento, trasposizione);
(d) la forma del lembo stesso;
(e) la loro provenienza anatomica (di vicinanza o a distanza).
Un tipo particolare di lembo, reso possibile dallo sviluppo della microchirurgia vascolare, viene definito 'libero' ed è costituito da un tradizionale lembo assiale il cui peduncolo viene interrotto e successivamente riconnesso in altra sede anatomica. In questo caso è particolarmente evidente l'analogia con i trapianti d'organo comunemente intesi, che vengono effettuati in maniera pressoché identica; infatti sono già stati usati trapianti di tessuti non a fini vitali: arto superiore, viso, ecc., provenienti da donatori diversi dal ricevente (omotrapianti), grazie ai miglioramenti in atto nelle terapie di controllo del rigetto immunitario. Si tratta per lo più di casi isolati, ma l'esperienza appare importante per il progresso delle conoscenze biologiche e delle metodiche chirurgiche.
Un altro campo che negli ultimi anni ha consentito di ampliare le tecniche riparative a disposizione del chirurgo è quello della biologia della cute e dei suoi processi di riparazione. Infatti sono state sviluppate tecniche che permettono di distendere e aumentare la superficie cutanea utilizzabile per realizzare un lembo mediante un meccanismo biologico, la cosiddetta 'espansione tissutale', o mediante un meccanismo biofisico, il cosiddetto 'stretching'. La tecnica di espansione tissutale prevede l'impianto sottocutaneo di palloncini gonfiabili in silicone riempiti progressivamente con soluzione fisiologica, così da provocare un aumento della superficie cutanea, e infine rimossi all'atto dell'intervento finale di allestimento del lembo con l'utilizzazione della cute eccedente. Sempre più spesso si ricorre anche all'espansione cutanea intraoperatoria, o stretching, ottenuta in tempi brevissimi (una o due ore), stirando la cute con appositi dispositivi meccanici, sfruttando l'elasticità del tessuto cutaneo.
Queste metodiche hanno dato vita a un tipo nuovo di lembi, i cosiddetti 'lembi espansi', che a loro volta fanno parte del nuovissimo gruppo dei 'lembi prefabbricati', nei quali prima di procedere al trapianto del lembo si prepara il tessuto per renderlo il più possibile idoneo alla ricostruzione. Si può, per esempio, incidere e sollevare un lembo, ricoprire con un innesto cutaneo il suo verso cruento e attendere la guarigione prima di utilizzare, nell'intervento finale, questo lembo prefabbricato, dotato di una doppia superficie cutanea. Un'altra possibilità è quella di trasferire un lembo assiale ben vascolarizzato intorno a una struttura che si desidera utilizzare in altra sede, ma che non è dotata di un suo proprio indipendente apporto vascolare. In tal modo, dopo un'adeguata attesa, la struttura viene vascolarizzata dal lembo e può essere trapiantata impiegando il peduncolo di questo lembo prefabbricato.
Le tecniche di immunosoppressione hanno consentito l'utilizzo di tessuti di donatore diverso dal ricevente per periodi prolungati e in assenza di rigetto. Queste tecniche sono state sviluppate a partire dagli studi sugli innesti di cute, e quindi applicate ai trapianti d'organo. Attualmente l'attenzione degli sperimentatori è principalmente volta alla produzione di tessuti autologhi od omologhi coltivati in vitro, 'colture tissutali' impiegate per la cura di ustioni gravi ed estese o per la ricostruzione di tessuti particolarmente specializzati (congiuntiva, uretra). Nella pratica si coltivano in vitro, partendo da piccoli frammenti, superfici più estese del tessuto di partenza, fino a ottenere dei veri e propri innesti della dimensione desiderata, costituendo così quella che è la premessa per la futura creazione di estese 'banche di tessuti'.
In chirurgia plastica si utilizzano numerosi materiali biocompatibili sintetici per impianto (si parla di 'impianto' quando si fa uso di materiale non organico per la sostituzione, l'integrazione o il supporto di strutture organiche). Gli impianti vengono normalmente utilizzati per il rimodellamento corporeo in chirurgia estetica (protesi mammarie, zigomatiche, mentoniere, ecc.), nonché per la riparazione di strutture ossee di sostegno, in particolare del distretto facciale e della mano, o per il trattamento di osteotomie e fratture (placche e viti); si impiegano anche per la ricostruzione di intere articolazioni (per es., nella mano) e per la correzione delle perdite di sostanza di più varia natura. Il materiale alloplastico più comunemente impiegato è il silicone medical grade (protesi mammarie, protesi articolari, espansori tissutali e altro), sebbene in epoca abbastanza recente siano sorte polemiche intorno alla sua specifica utilizzazione sotto forma di gel come materiale di riempimento delle protesi mammarie. Per tale motivo sono in studio nuove protesi mammarie radiotrasparenti, non pericolose in caso di rottura, dotate di una consistenza più naturale.
Per la ricostruzione dei tessuti connettivi altamente specializzati sono disponibili materiali in grado di rimpiazzare strutture tendinee, legamentose o fasciali. Per esempio, il politetrafluoroetilene espanso (ePTFE) presenta una notevole resistenza alla tensione accoppiata a una struttura microporosa che ne consente una notevole integrazione nei tessuti biologici, grazie alla popolazione della microstruttura da parte del tessuto connettivo. Il tessuto osseo, a seconda delle esigenze, viene di volta in volta consolidato con resine sintetiche, reti o protesi metalliche (in titanio, tantalio, lega di vitallium, ecc.) e integrato con colla di fibrina miscelata a idrossiapatite, o sostituito da vari tipi di protesi in porcellana o in microsfere porose. Di particolare rilievo la ricerca nel settore dei materiali sintetici biocompatibili riassorbibili, i quali, utilizzati, per esempio, per la fissazione di fratture ossee, vengono poi eliminati dall'organismo in tempi più o meno brevi.
I notevoli progressi della biologia molecolare consentono oggi di conoscere meglio l'evoluzione dei processi di riparazione, e in chirurgia plastica si tenta di applicarli in vari settori, tra i quali spicca quello dei processi di guarigione delle ferite. Nell'ultimo trentennio sono stati isolati numerosi composti proteici in grado di indurre la moltiplicazione e/o il differenziamento cellulare: tali proteine, chiamate genericamente 'fattori di crescita', intervengono in maniera rilevante nell'oncogenesi, nell'embriogenesi e nei processi di rigenerazione tissutale e guarigione delle ferite. Tra questi l'EGF (Epidermal growth factor) e il KGF (Keratinocyte growth factor), che, isolato nel 1989, ha manifestato un'altissima specificità per la cute. L'obiettivo cui tendono queste nuove tecnologie è quello di produrre farmaci o biomateriali che possano concretamente accelerare o modulare i processi di guarigione. Inoltre, tali metodologie si integrano con altre tecniche ricostruttive: una recente metodica, per esempio, consente la trasformazione di lembi di tessuti molli, in genere muscolari, in autentici innesti di osso autologo sagomato esattamente secondo le necessità, di fatto destinando a un rapido superamento gli impianti in materiale sintetico. Attualmente, la chirurgia plastica si occupa prevalentemente della correzione delle patologie congenite, della riparazione della patologia traumatica, della terapia della patologia tumorale cutanea e degli interventi di ordine estetico.
Patologie congenite di pertinenza della chirurgia plastica sono le malformazioni esterne, quelle cioè che provocano un'alterazione delle forme dell'individuo; tra queste le più comuni sono a carico della testa, della mano, dei genitali.
Queste malformazioni, la cui classificazione è tuttora discussa ed estremamente intricata, comprendono la labiopalatoschisi (labbro leporino), le cisti e fistole del collo, le malformazioni delle palpebre, del naso e del padiglione auricolare, nonché le cosiddette 'malformazioni complesse', caratterizzate anche da uno sviluppo distorto delle strutture craniofacciali (sindromi di Crouzon e di Apert, microsomia emifacciale, ecc.), dovute talvolta ad anomalie genetiche che influenzano lo sviluppo embrionale. La più comune tra le malformazioni del viso è la labiopalatoschisi, per la quale è stata anche dimostrata una componente ereditaria. La patologia è caratterizzata dalla presenza di una fenditura a metà del labbro superiore (labioschisi) e da un'apertura nel palato che mette in comunicazione la cavità nasale e quella orale (palatoschisi). Dal punto di vista terapeutico, gli obiettivi da raggiungere sono il ripristino della funzionalità del labbro, un miglioramento estetico e il corretto orientamento delle strutture al fine di consentirne un armonico sviluppo. Tale risultato è conseguibile per mezzo dell'accostamento dei monconi del muscolo orbicolare delle labbra, del riposizionamento delle cartilagini nasali e della ricostruzione del filtro labiale mediante la congiunzione dei lembi separati del labbro.
La palatoschisi, a differenza della labioschisi, pone l'immediato problema dell'alimentazione del neonato (impossibilitato a succhiare), oltre a difficoltà di fonazione, di respirazione, di masticazione e a problemi estetici. L'intervento correttivo, allo scopo di ricostruire la continuità del palato e di garantire la necessaria mobilità del palato molle, viene eseguito precocemente. Vengono praticate due incisioni ai margini della fenditura e vengono scollati e suturati sulla linea mediana due lembi di fibromucosa dal lato nasale e orale, così da chiudere l'apertura. Il palato molle e l'ugola vengono ricostruiti accostando i muscoli e la relativa mucosa. Intorno ai tre anni è necessaria la riabilitazione della fonazione e del linguaggio, e si può far ricorso a ulteriori interventi per migliorare l'estetica o risolvere problemi ortodontici. In circa il 10% dei casi, infine, si rende necessario un ulteriore intervento di natura funzionale per correggere l'eventuale incapacità del palato molle di separare efficacemente la cavità orale da quella nasale durante la fonazione (incontinenza velo-palatina); in questo caso si allestisce un lembo mucoso dalla parete posteriore della faringe, che viene suturato al bordo libero posteriore del palato molle, riducendo permanentemente lo spazio di comunicazione tra bocca e naso (faringoplastica).
Anche questo è un capitolo particolarmente vasto e complesso; vengono generalmente divise in malformazioni per difetto oppure per eccesso di accrescimento, per mancata divisione o per errore di forma dei singoli elementi. Molte di queste hanno carattere ereditario e spesso si associano a malformazioni esterne complesse o interne, specie cardiache. Tra le più frequenti citiamo la polidattilia e la sindattilia. La polidattilia è caratterizzata dalla presenza di uno o più dita o di loro parti in soprannumero, e viene classificata in sottogruppi sulla base della localizzazione dell'elemento in eccesso: polidattilia radiale, ulnare o da dita intercalate. L'intervento chirurgico correttivo consiste nell'amputazione dell'elemento soprannumerario. La sindattilia è caratterizzata dalla fusione totale o parziale di due o più dita. Colpisce circa un bambino su 500 nati, con maggior frequenza nel lato sinistro. La correzione viene effettuata separando gli elementi e ricostruendo la cute con plastiche a Z multiple, o, nei casi più gravi, con innesti cutanei a spessore parziale.
Queste malformazioni costituiscono una patologia di frequente riscontro, suscettibile in molti casi di trattamento chirurgico ricostruttivo. Rientrano in questo settore anche gli stati intersessuali, i cosiddetti 'ermafroditismi' e 'pseudoermafroditismi', e le altre anomalie congenite del sesso, come pure altre frequenti patologie quali le ernie inguinali o la ritenzione del testicolo. La fimosi è un'alterazione, in genere acquisita e non congenita, costituita dal restringimento dell'orifizio prepuziale con impossibilità dello scorrimento del prepuzio sul glande; il suo trattamento chirurgico consiste nella circoncisione e si rende normalmente necessario come profilassi delle infiammazioni ricorrenti del glande e per le difficoltà che i pazienti incontrano nei rapporti sessuali. In alcuni casi è possibile eseguire un intervento con mantenimento parziale del prepuzio, al fine di risparmiarne la funzione protettiva, detto 'postectomia'. L' è un'alterazione dello sviluppo dell'uretra maschile, il cui sbocco esterno si trova in posizione più o meno prossimale rispetto all'apice del glande, sulla superficie ventrale del pene. Spesso allo sbocco anomalo dell'uretra si associano il restringimento del meato urinario e l'incurvamento ventrale dell'asta. Il trattamento chirurgico, consistente nella ricostruzione del tratto di uretra mancante, viene in genere effettuato tra i 3 e i 5 anni di età. La neouretra viene allestita con un lembo di cute prepuziale dorsale, trasferito e modificato a formare un tubo (intorno a una struttura artificiale) e poi suturato in continuità alla vecchia uretra.
Tra le anomalie congenite del sesso vanno annoverate le più comuni malformazioni complesse dell'apparato genitale di interesse anche chirurgico. La sindrome di Turner, definita anche 'sindrome della gonade rudimentale', è caratterizzata dal mancato sviluppo di gonadi funzionanti, con genitali esterni differenziati in senso femminile e l'assenza del secondo cromosoma sessuale (è presente solo un cromosoma X). La sindrome di Klinefelter è caratterizzata dalla presenza di uno o più cromosomi X soprannumerari e fenotipo maschile: i portatori sono in genere alti, con ginecomastia (seno accentuato), iposviluppo dei genitali esterni e ritardo mentale. Il trattamento prevede la correzione chirurgica della ginecomastia e l'introduzione eventuale di protesi testicolari in silicone a fini esclusivamente estetici e psicologici.
Lo pseudoermafroditismo femminile è uno stato intersessuale caratterizzato dalla presenza di gonadi femminili con fenotipo differenziato in senso maschile, ed è conseguenza di un abnorme tasso di androgeni durante la vita intrauterina. Il trattamento è basato sulla somministrazione di cortisolo e sull'intervento chirurgico volto a eliminare i caratteri maschili (femminilizzazione). Nei casi in cui si sia costituito un atteggiamento psicologico maschile, si procede invece alla virilizzazione e all'asportazione di utero e annessi. Lo pseudoermafroditismo maschile è caratterizzato dalla presenza di testicoli più o meno normali con fenotipo ambiguo o chiaramente femminile, e i soggetti vengono in genere sottoposti a un trattamento femminilizzante di tipo sia ormonale sia chirurgico. L'ermafroditismo vero è una rara malformazione dovuta alla contemporanea presenza nello stesso soggetto di tessuto ovarico e testicolare. Nella maggior parte dei casi si tratta di individui cromosomicamente femminili con sviluppo mammario e genitali esterni maschili o femminili. Il trattamento, che dovrebbe essere effettuato in età quanto più precoce e senz'altro prepubere, è normalmente orientato alla femminilizzazione, essendo insoddisfacenti i risultati della mascolinizzazione.
Tra le malformazioni esterne di particolare interesse per la chirurgia plastica vanno ancora ricordati i nei (o nevi) giganti, le malformazioni vascolari arteriose e/o venose e le malformazioni linfatiche. Il nevo gigante si presenta clinicamente come una lesione che può essere anche molto estesa, notevolmente pigmentata e spesso ricoperta da peli. Poiché è dimostrata una notevole incidenza, circa il 10% di melanomi maligni insorti nel contesto del nevo, l'escissione chirurgica viene generalmente indicata come necessaria; essa è seguita dalla plastica cutanea mediante innesti, espansione cutanea, o utilizzando cute coltivata. Le malformazioni vascolari e linfatiche vanno distinte dagli angiomi e dai linfoangiomi, con cui per anni sono state associate. Le malformazioni vascolari sono sempre presenti al momento della nascita e crescono lentamente, o, più correttamente, aumentano le loro dimensioni di pari passo con quelle generali del bambino. Gli angiomi sono invece lesioni generalmente non presenti alla nascita, che divengono evidenti nella prima settimana di vita e sono caratterizzate da una crescita rapidissima; il loro aspetto può essere abbastanza diverso in base alla collocazione cutanea superficiale o profonda, con un colore tipicamente rosso vivo che può giungere fino al bluastro. La loro crescita comincia, di norma, a rallentare intorno ai 6-12 mesi e generalmente entro il quinto o sesto anno di vita si verifica una regressione spontanea che non lascia che minime tracce di tessuto fibroso. Il loro trattamento è di semplice attesa, a meno che non vengano coinvolte sedi particolari dove gli angiomi, a causa del loro volume, possono essere di ostacolo meccanico al corretto sviluppo di determinate funzioni, costringendo all'intervento precoce.
La patologia traumatica rappresenta senz'altro il più antico campo di applicazione della chirurgia plastica, come della chirurgia in generale. In questo ambito vanno distinti i traumi da cause meccaniche e i traumi da altre cause fisiche o chimiche.
Questi traumi comprendono i vari tipi di ferite. Il trattamento dipende dal quadro clinico e generalmente comprende: ispezione, detersione e disinfezione, rimozione di eventuali corpi estranei, sutura, trattamento farmacologico (terapia antibiotica, profilassi antitetanica, ecc.). Le tecniche di chirurgia plastica vengono sempre più spesso richieste nel caso di lesioni complesse, o se sono interessate aree esposte (viso, mani, arti), con problemi estetici che rendono necessari non solo la ricostruzione funzionale, ma anche il ripristino della migliore morfologia possibile affinché il paziente possa condurre una normale vita di relazione.
Nell'ambito degli agenti fisici, il calore elevato è il principale responsabile di danno corporeo. Si definisce 'ustione' il processo patologico conseguente all'esposizione a temperature eccessive; la gravità di un'ustione è legata alla temperatura raggiunta dai tessuti e alla durata della loro esposizione al calore. Le ustioni vengono generalmente classificate in base alla profondità ed estensione: si distinguono pertanto ustioni di primo, secondo o terzo grado che interessano rispettivamente l'epitelio, il derma a varia profondità, e la cute a tutto spessore; per quanto riguarda l'estensione, le ustioni si classificano in base alla percentuale di superficie corporea interessata dal danno. Le ustioni superficiali guariscono di solitospontaneamente, mentre le ustioni dermiche profonde vanno incontro a processi degenerativi e necrotici, accompagnati da infezioni, rendendo necessario un intervento di riparazione plastica cutanea. L'attuale orientamento terapeutico è comunque quello di eliminare precocemente, entro i primi giorni dal trauma, il materiale necrotico e ricoprire i tessuti sani con innesti cutanei a spessore parziale.
Allorché l'estensione di un'ustione superi il 20% della superficie corporea di un adulto o il 10% in un bambino, si verificano alterazioni di tipo sistemico, la cosiddetta 'malattia da ustione'. In questa situazione l'ustione cessa di essere un fatto prevalentemente locale e richiede, soprattutto nella prima fase, delicati processi di rianimazione, basati su un'adeguata somministrazione di liquidi per infusione venosa fino al ripristino della quantità di sangue nell'organismo, sul monitoraggio della diuresi oraria, sull'eventuale terapia dello shock e dell'acidosi e su un'opportuna terapia analgesica e sedativa. Per tale motivo sono stati istituiti in tutto il mondo i centri ustione, dedicati esclusivamente al trattamento di questi delicatissimi casi, che necessitano di personale particolarmente addestrato e di ambienti in cui venga mantenuta l'asepsi più rigorosa. Un cenno particolare meritano altre lesioni da agenti fisici, e propriamente le folgorazioni, conseguenti al contatto con corrente elettrica di elevata intensità, i congelamenti e le radiodermiti (dovute in genere a terapie radianti di aree interessate da tumori maligni).
Nel campo dell'oncologia la chirurgia plastica ha un duplice ruolo: si interessa del trattamento delle neoplasie benigne o maligne della cute e delle parti molli (basaliomi, spinaliomi e melanomi maligni) e corregge i dismorfismi provocati dalla loro asportazione. Inoltre, la chirurgia plastica collabora con altre specialità oncologiche per la ricostruzione di regioni anatomiche (mammelle, arti, ecc.) demolite o danneggiate in seguito al trattamento (chirurgico, radiante o altro).
Il basalioma, o , o carcinoma a cellule basali, è la neoplasia più frequente in assoluto e rappresenta da solo oltre il 50% delle neoplasie cutanee maligne. Colpisce con lieve preferenza il sesso maschile, con la massima incidenza tra i 60 e gli 80 anni. È ormai dimostrato come l'esposizione cronica e prolungata alle radiazioni solari sia collegata all'insorgenza di questo tumore, che compare per il 90% in aree esposte alla luce in pazienti che sono esposti alle radiazioni ultraviolette molte ore al giorno. Il quadro clinico della lesione è più frequentemente quello di un'erosione cutanea che si evolve fino ad assumere l'aspetto ulcerativo con margini netti e callosi, fondo crostoso e facilmente sanguinante. L'accrescimento è lento e la metastatizzazione rarissima, ma la neoplasia è comunque in grado di portare a morte il paziente infiltrando strutture vitali come l'encefalo o grossi vasi. La terapia consiste nell'asportazione radicale del tumore.
Lo spinalioma, o , o carcinoma a cellule squamose, è una neoplasia maligna che può insorgere su qualsiasi epitelio, costituita da cellule che tendono alla cheratinizzazione. Dopo il basalioma, è il tumore cutaneo più frequente e colpisce con netta prevalenza il sesso maschile (80%), tra i 60 e i 70 anni di età. Tra i fattori predisponenti vanno considerate le radiazioni solari, le radiazioni ionizzanti, gli agenti chimici come paraffina o catrame, le cicatrici distrofiche, le ulcere flebostatiche, le aree di flogosi cronica. Tipicamente si presenta come un nodulo ulcerato o un'erosione, dotati di notevole rapidità di sviluppo e capacità di dar luogo a metastasi. Il trattamento prevede l'ampia escissione chirurgica (margine sano di almeno 1 cm), con rimozione dei linfonodi se necessaria, e/o eventualmente terapia palliativa chemioterapica o radiante.
Il maligno rappresenta, pur con un'incidenza più bassa rispetto ai carcinomi cutanei, la più comune causa di morte tra le neoplasie della cute. Secondo le teorie più diffuse, origina dalla trasformazione dei melanociti che si trovano nella cute normale e, in quantità molto maggiore, nei nevi. Il principale fattore predisponente sembra essere, anche in questo caso, l'esposizione alle radiazioni ultraviolette, prolungata od occasionale ma intensa, con una maggiore incidenza nei soggetti a carnagione chiara che vivono in aree geografiche di forte insolazione. È in genere caratterizzato da pigmentazione scura irregolare, sanguinamento spontaneo, prurito o dolore e modificazioni rapide di forma e colore. Lo stadio clinico della malattia viene valutato sulla base della classificazione istologica in livelli di invasione o mediante la classificazione basata sulla profondità di infiltrazione misurata in millimetri. Con gli attuali trattamenti (ampia escissione chirurgica con eventuale rimozione dei linfonodi e terapia di supporto) la sopravvivenza a cinque anni nei casi meno avanzati è vicina al 100%, sottolineando l'importanza di una diagnosi precoce.
Ricostruzione mammaria. Un capitolo che si è molto sviluppato negli ultimi anni è quello della chirurgia mammaria oncoplastica. Esso prevede l'impiego di tecniche di chirurgia plastica (protesi, lembi) per la ricostruzione delle mammelle dopo l'asportazione (mastectomia) per tumore o l'asportazione parziale della ghiandola con le plastiche del tessuto residuo.
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