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Il Ciad ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960. Situato agli estremi settentrionali dell’Africa centrale e senza sbocchi sul mare, il paese confina a nord con la Libia, ad est con il Sudan, a sud con la Repubblica Centrafricana e nella parte occidentale, da sud a nord, con Camerun, Nigeria e Niger.
Una lunga guerra civile, che dal 1965 in avanti ha visto confrontarsi le regioni del nord del paese, musulmane e sostenute dalla Libia, con quelle del sud, a maggioranza cristiana e supportate principalmente dalla Francia, ne ha a lungo inibito lo sviluppo economico e ha reso il sistema politico tra i più instabili al mondo.
Dopo un decennio di governo dittatoriale retto da Hissène Habrè, nel 1990 un colpo di stato ha portato al potere il generale Idriss Deby, ancora oggi presidente.
Nonostante da allora il paese abbia intrapreso la strada della democratizzazione, con l’introduzione di un sistema multipartitico e l’approvazione di una costituzione, la maggior parte del potere rimane nelle mani del presidente, del suo partito (il Mouvement Patriotique du Salut) e dei militari, da sempre suoi sostenitori.
Il prolungato periodo di guida di Deby, con la sua gestione personalistica del governo e la sistematica opera di monopolizzazione delle risorse strategiche nazionali e di marginalizzazione dei gruppi etnico-politici a lui rivali, rende di fatto il Ciad una democrazia incompiuta, che registra livelli di trasparenza politica e amministrativa in coda alle classifiche mondiali.
Dal 2003 ondate di rifugiati hanno iniziato ad entrare in Ciad dal vicino Darfur, come conseguenza del conflitto scoppiato in questa regione del Sudan. Il continuo susseguirsi di incidenti di confine ha portato il governo del Ciad a dichiarare, nel dicembre 2005, lo stato di belligeranza con il Sudan, colpevole, a detta del presidente Deby, di sostenere i gruppi ribelli antigovernativi nel Ciad e di volere destabilizzare il suo paese, esportandovi il conflitto del Darfur.
Guidato da Libia e Repubblica del Congo, il gruppo comprende anche rappresentanti del Senegal, del Gabon, dell’Eritrea, di alcune organizzazioni regionali come la Comunità degli stati del Sahel e del Sahara, la Comunità economica dell’Africa centrale, l’Organizzazione della conferenza islamica e l’Unione Africana, oltre che un rappresentante della missione di peacekeeping delle Nazioni Unite Minurcat (United Nations Mission in Central African Republic and Chad). Sotto il mandato delle Nazioni Unite è stato disposto il dispiegamento di una forza militare (fornita per il primo anno, a partire da gennaio 2008, dall’operazione Eufor Tchad/Rca dell’Unione Europea) incaricata di proteggere i civili, in particolare i rifugiati e gli sfollati, e di facilitare gli interventi umanitari nelle regioni orientali del Ciad e in quelle a nord est della Repubblica Centrafricana.
Il mandato della missione Minurcat si è concluso il 31 dicembre 2010. Agli accordi di Dakar hanno invece fatto seguito altri colloqui di pace tramite i quali Sudan e Ciad hanno negoziato direttamente la rimessa in sicurezza del loro confine comune e deciso il dispiegamento di una forza congiunta per il suo monitoraggio.
Il Ciad è così entrato in una nuova fase di turbolenza politica che, intrecciandosi con la crescente opposizione politica interna, ha già prodotto due tentativi di colpo di stato nell’aprile 2006 e nel febbraio 2008.
La longevità e la sopravvivenza politica di Deby si fondano in gran parte, da un lato, sulla frammentazione che caratterizza la galassia della ribellione armata e quella dell’opposizione politica, e, dall’altro lato, sul sostegno che la sua presidenza riceve dalla Francia, l’attore estero più influente dell’Africa centrale.
Cruciale negli equilibri interni al paese e nelle dinamiche politiche regionali è stato anche il ruolo esercitato dalla Libia di Gheddafi, impegnatasi con successo nella mediazione sia per risolvere le tensioni tra Ciad e Sudan, sia per promuovere la ricomposizione nazionale del Ciad. Stati Uniti e Cina sono poi altri due importanti attori interessati al processo di stabilizzazione regionale: i primi avendo lanciato nell’area sahariana un’importante operazione di controterrorismo e messa in sicurezza dei confini (Trans-Sahara Counter Terrorism Initiative), la seconda avendo investito ingenti capitali per lo sfruttamento petrolifero tanto nel Sudan quanto nel Ciad.
I miglioramenti registrabili nell’ultimo anno per quanto riguarda la situazione politica interna al Ciad hanno portato la commissione elettorale indipendente, dopo continui rinvii, ad annunciare la calendarizzazione delle ultime elezioni, tenutesi in febbraio per il parlamento e a maggio per la presidenza. In entrambi i casi il presidente Deby si è riconfermato alla guida del paese, con un consenso personale superiore all’88%, mentre il suo movimento ha ottenuto 110 seggi su 188.
Il tasso di crescita della popolazione ciadiana ha fatto registrare percentuali annue intorno al 3%. Gli incrementi demografici più rilevanti hanno interessato le regioni meridionali, che hanno un clima e un territorio tipico della fascia tropicale, più favorevoli rispetto a quelli delle zone centrali e settentrionali del paese, dominate rispettivamente dal deserto del Sahara e dalle vaste e aride pianure del Sahel.
La popolazione del Ciad comprende più di 200 gruppi etnico-linguistici, che negli anni hanno dato vita a contrapposizioni di diversa natura, tra le quali spicca, per rilevanza nella storia politica e civile del paese, quella tra le regioni del nord a prevalenza musulmana e quelle del sud, in maggioranza cristiane. Il quadro delle tensioni interne è ad ogni modo molto più vasto e articolato, dal momento che si sviluppa attorno a linee di frattura che interessano non solo variabili religiose o etniche, ma anche i differenti modelli di organizzazione sociale delle comunità – nomadi, semi-nomadi e sedentari – o ancora i diversi interessi economici connaturati alle sfere di attività caratteristiche delle varie regioni (principalmente allevamento, agricoltura e commercio).
Il sistema educativo nazionale si attesta a livelli molto bassi e insufficienti dal punto di vista dell’offerta qualitativa e quantitativa; un settore, quello dell’istruzione, che sconta un gap rilevante di investimenti e che, insieme a tutti gli altri ambiti dello stato sociale ciadiano, risente dell’alto livello di insicurezza del paese. Molto negative sono poi le statistiche legate al lavoro minorile, alla discriminazione di genere e più in generale tutti gli indicatori legati alle condizioni di vita quotidiana: la speranza di vita alla nascita è bassa, pari a 46 anni, e l’età mediana della popolazione si attesta a 17 anni.
La situazione umanitaria nel paese è andata progressivamente deteriorandosi negli ultimi anni, specie per quanto riguarda le regioni interessate dal forte aumento dei flussi di rifugiati provenienti dal Sudan (stimati intorno ai 262.000, secondo i dati del gennaio 2011) e dalla Repubblica Centrafricana (intorno ai 73.000). Il fenomeno del banditismo è in aumento e, colpendo in prevalenza i campi di rifugiati e di sfollati, rende difficoltoso l’intervento degli operatori umanitari presenti nel paese.
Allevamento e agricoltura restano le attività principali della maggior parte della popolazione attiva del Ciad, nonostante nel corso dell’ultimo decennio il settore primario abbia pesato progressivamente sempre meno sul prodotto interno lordo nazionale: una tendenza che è spiegata dall’irruzione nella composizione del pil dei proventi derivanti dalle esportazioni di petrolio.
Dai primi anni del 2000, infatti, nel paese è iniziata una rilevante attività estrattiva di petrolio che ha fatto crescere in misura vertiginosa il pil, soprattutto in riferimento ai tassi relativi al triennio 2003-05. Gli anni successivi hanno invece segnato una forte battuta d’arresto nella crescita del pil.
La principale coltivazione, che dà lavoro a quasi un milione di ciadiani, è quella del cotone: una produzione, dunque, preziosissima per l’economia nazionale e che tuttavia ogni anno rischia di essere compromessa a causa delle condizioni climatiche avverse. Dalle attività legate all’allevamento di bestiame si origina, invece, quasi il 10 % del pil del paese.
Instabilità politica, infrastrutture carenti, corruzione nei rami dell’amministrazione e scarsi investimenti rappresentano dei deficit cronici per l’economia ciadiana, che ne hanno inibito la possibilità di uno sviluppo ;diversificato, il processo di affrancamento dalla dipendenza dal settore primario, e la capacità di attrarre investimenti esteri. Nel biennio 2009-10 il Ciad è finito in fondo alle classifiche mondiali tanto in termini di competitività globale (139° sugli altrettanti paesi valutati dal Word Economic Forum), quanto nella speciale classifica che la Banca mondiale stila ogni anno analizzando le regole e le procedure necessarie a intraprendere un’attività imprenditoriale (183° su 183 paesi per Doing business).
L’esercito in Ciad è un attore profondamente coinvolto nella lotta per il potere politico interno: strumento prezioso dei governi, dall’indipendenza ad oggi, tanto per controllare le tensioni interetniche nelle regioni più turbolente quanto per difendere le roccaforti governative nella capitale, dai suoi ranghi sono emersi anche diversi leader e militanti dei principali gruppi ribelli che negli anni hanno sfidato gli esecutivi insediati a N’Djamena.
La spesa che il Ciad ha impiegato nel settore della difesa ha registrato nell’ultimo triennio tassi molto elevati. Con il 6,5% del pil nel 2009, il Ciad si è posizionato alle spalle soltanto di quattro paesi nel mondo: Arabia Saudita (11,2%), Oman (7,7%), Israele (6,9%) e Timor Est (6,8%). Un dato molto significativo, specie in un paese ancora molto povero e con un bisogno cronico di investimenti in programmi di sviluppo, di riduzione della povertà e di rilancio infrastrutturale, ma che è tuttavia direttamente connesso alle crescenti tensioni politiche, interne ed esterne, a cui il governo ha dovuto fare fronte in questo specifico periodo.