Cina
Fatta eccezione per alcuni brani di uno spettacolo dell'Opera di Pechino (Dingjun shan, Il monte Dingjun, pièce teatrale interpretata dal celebre attore Tan Xinpei), filmati nel 1905 dallo studio fotografico Fengtai, il cinema delle origini in C. ‒ un Paese che in un certo senso aveva 'previsto' la nuova forma espressiva con il teatro delle ombre ‒ fu a lungo affidato a iniziative straniere, com'era del resto prevedibile in una nazione che aveva subito una grave sconfitta dall'esercito giapponese nel 1894, e che fu costretta, prima e dopo la rivolta dei Boxer (1900), a una serie di trattati e di concessioni alla Russia e ad altre potenze europee, mentre i fermenti di rinnovamento, come quelli animati da Sun Zhongshan (SunYat-sen), rimanevano in clandestinità.
Nell'estetica cinese il cinema appartiene al 'genere' letterario e la stessa lingua cinese per designarlo ricorre al termine dianying ("ombre elettriche"), oppure all'espressione dianguang yingxi ("spettacolo di ombre elettriche"), come a voler stabilire un legame con la tradizione storico-teatrale, che con il nuovo linguaggio assume la forma di una serie di immagini riprese e proiettate, ossia 'elettriche'. E a ulteriore rivelazione di un legame del cinema con le tradizioni popolari, negli anni in cui si verificò la prima affermazione della produzione interna, tra il 1922 e il 1926, furono gli adattamenti dai romanzi pubblicati sui quotidiani a ispirare i film più noti. Tuttavia per lungo tempo la produzione cinematografica cinese venne sostanzialmente modellata sugli esempi occidentali, sia per quanto riguarda la tecnica di ripresa sia per le attrezzature utilizzate e, talora, anche per la scelta dei soggetti.
Nondimeno il cinema fu presente fin dalle origini, poiché nel 1896 un operatore francese effettuò proiezioni in una casa da tè di Shanghai e, nello stesso anno, operatori dei fratelli Lumière fecero riprese in più zone del Paese e proiezioni nei giardini Xu di Shanghai. L'anno successivo lo statunitense James Recalton presentò film di Thomas Alva Edison a Shanghai e nel 1902 si svolsero le prime proiezioni a Pechino; lo spagnolo Antonio Ramos già nel 1903 aveva aperto in C. alcune sale. Nel 1907 venne aperta la prima sala a Pechino, a Shanghai si produssero i primi cinegiornali, e in quel periodo il napoletano Enrico Lauro girò alcuni documentari. Quella documentaria fu una forma ricorrente e fortunata, attraverso la quale si raccontò anche la storia nazionale, dalla rivolta dei Boxer alla guerra a Wuhan e a Shanghai e all'inizio della presidenza repubblicana di Sun Zhongshan (1912). Dopo il crollo dell'Impero (1911) si succedettero tentativi repubblicani, lotte interne, terribili carestie, scioperi e violente repressioni. Tuttavia, fino ai tempi del colpo di stato di Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek), avvenuto a cavallo tra il 1927 e il 1928 e sostenuto prima dalla Russia di Stalin e poi, dopo la sua rottura con i comunisti, dalle potenze occidentali, non si potrà parlare di una vera e propria produzione cinematografica nazionale, se non per alcune eccezioni.
Intanto nel 1909 il russo-americano Benjamin Brodsky aveva fondato a Shanghai l'Asia Film & Theatre Company e nel 1913 Zheng Zhengqiu e Zhang Shichuan girarono il primo film a soggetto, Nan fu nan qi (Una coppia sfortunata), mentre fu del 1920 la prima produzione di film d'animazione. Nel 1921 ‒ anno di fondazione del partito comunista a opera di Chen Duxiu e di alcuni intellettuali, tra cui Mao Zedong ‒ si realizzò il primo film di lungometraggio a soggetto, Yan Ruisheng, diretto da Ren Pengnian. Il numero delle compagnie cinematografiche salì a 175 tra il 1922 e il 1926, di cui 141 a Shanghai. In particolare il 1922 fu un anno chiave per lo sviluppo del cinema in C., in quanto nacque la Minxin Film Company di Li Minwei, attiva prima a Hong Kong poi a Shanghai, e venne realizzato il più antico film cinese conservato, Laogong zhi aiqing (Il romanzo di un venditore ambulante) di Zhang Shichuan, fondatore, con Zheng Zhengqiu, della Mingxing, che divenne con la Lianhua e la Tianyi una delle principali case di produzione cinesi. Si tratta di un film comico, di poco successivo a Huaji dawang you Hua ji (1922, Il re dei comici visita la Cina), il cui protagonista era il personaggio di Charlot interpretato da un attore inglese. Nel 1923 la Mingxing ottenne un grande successo con Guer jiu zu ji (L'orfano salva suo nonno) di Zheng Zhengqiu, uno dei registi di spicco della prima fase, già critico teatrale dell'Opera di Pechino, considerato con Zhang Shichuan il padre del cinema cinese. Del resto il teatro, che in C. era storicamente una delle forme più popolari di spettacolo, ebbe un'incidenza decisiva nello sviluppo del linguaggio cinematografico. Dal mondo teatrale provenivano i primi registi di cinema, e con l'introduzione dello xin xi, ovvero del 'nuovo teatro' ‒ ispirato a modelli occidentali e promosso anche da artisti che erano rientrati da soggiorni di studio in Occidente ‒ si intese creare, contro la stilizzazione della tradizione teatrale, una forma di naturalismo, di cui il cinema ‒ con la sua componente fotografica ‒ fu avvertito come uno sviluppo.
Alla fine degli anni Venti furono fondate altre compagnie, si affermarono film di genere fantastico e di arti marziali, ma anche prodotti seriali, tra i quali Huo shao Honglian si (1928-1931, Incendio nel tempio del loto rosso), 18 episodi diretti da Zhang Shichuan per la Mingxing, che ottennero grande successo.
Nel 1929 solo il dieci per cento circa dei 500 film proiettati in C. era di produzione cinese. L'avvento del sonoro doveva peraltro stimolare la cinematografia nazionale, in quanto soltanto una minoranza degli spettatori era in grado di leggere le didascalie. In un Paese dominato dal Guomindang di Jiang Jieshi ‒ ma nel quale gli intellettuali erano più vicini alla sinistra comunista di Mao ‒ registi e sceneggiatori (primo fra questi ultimi Xia Yan) riuscirono a realizzare opere significative sia per le produzioni Mingxing sia per la rivale Lianhua, creata nel 1930 dal proprietario di una catena di sale cinematografiche. Tra queste opere, spesso melodram-mi di forte respiro, vanno ricordate Shennü (1934, La dea) di Wu Yonggang per la Lianhua, storia di una ragazza povera che deve prostituirsi per amore del figlio (ne è protagonista Ruan Lingyu, la bellissima e intensa 'Garbo cinese', della quale, molti anni dopo, con il film del 1992 Ruan Lingyu, noto anche come The actress, Stanley Kwan, regista di Hong Kong, avrebbe raccontato la drammatica storia), Chun can (1933, Bachi da seta di primavera) di Cheng Bugao, Yu guang qu (1934, Il canto dei pescatori) di Cai Chusheng per la Lianhua (primo premio al Festival di Mosca nel 1935) e Malu tianshi (1937, Angeli della strada) di Yuan Muzhi per la Mingxing, ambientato fra ladruncoli, prostitute e suonatori itineranti. La conquista giapponese, iniziata nel 1931 con l'invasione della Manciuria (con episodi di eroica e disperata resistenza, narrati per es. in Fengyun ernü, 1935, Figli di un'epoca tormentata, di Xu Xingzhi), sarebbe culminata nel 1937 con la caduta di Shanghai e i massacri di Nanchino, segnando la fine di un'epoca ricca di tensione e di fervore per il cinema e la cultura cinese. Ben presto cessò ogni attività produttiva e an-che dopo la resa del Giappone (1945) la fine della guerra mondiale segnò solo l'inizio di una sanguinosa guerra civile fra le forze ufficiali del Guomindang di Jiang Jieshi (sostenuto dagli USA) e i ribelli di Mao, dal 1949 ufficialmente appoggiati dall'URSS.
Ma se tra il 1927 e il 1930 si erano prodotti circa 400 film, già nel 1929 il Guomindang aveva creato un ufficio di censura e nel 1931 una Commissione nazionale per la censura cinematografica, inasprendo il controllo sulla produzione e sulle stesse sceneggiature e arrivando alla persecuzione dei cineasti della sinistra. Nello stesso periodo era nata la Lega di sinistra per artisti dello spettacolo, che aveva cercato di promuovere un cinema proletario e film contrari al regime, quali Shanghai ershisi xiaoshi (1933, Ventiquattr'ore a Shanghai) di Shen Xiling, un'indagine sulle difficili condizioni di vita nella grande città. La 'politicizzazione del cinema' si sviluppò, tra il 1932 e il 1936, anche nell'affermazione di uno spirito nazionalista avverso alla forte influenza giapponese, mentre alla diatriba naturalismo/stilizzazione si aggiunse quella tra cinema muto ‒ prodotto fino al 1936, soprattutto dalla Lianhua ‒ e cinema sonoro. Della Lianhua facevano parte numerosi intellettuali legati al Movimento letterario del 4 maggio 1919, convinti della necessità che la cultura e le arti si liberassero sia dalle influenze straniere sia da un'opprimente tradizione nazionale, al fine di creare nuove forme di espressione dei caratteri culturali cinesi. In genere la critica è concorde nel ripartire in tre gruppi i film dei primi anni Trenta: opere antimperialiste, come Xiao wanyi (1933, Il giocattolino) di Sun Yu; opere antifeudali, come Kuang liu (1933, Torrente selvaggio) di Cheng Bugao; opere 'di denuncia', come Nüxing de nahan (1933, Grida di donne) di Shen Xiling.
Quelli tra il 1930 e il 1937 furono anni di grande fervore nelle arti, nella cultura e nel cinema. In particolare, nell'ambito della pubblicistica cinematografica, nasceva, nel 1934, una rivista, "Qingqing dianying", che avrebbe acquisito ben presto grande autorevolezza.
Dal muto al sonoro (e al parlato)
Gli anni Trenta erano iniziati con una data storica per la cinematografia cinese, l'uscita del primo film sonoro, Genü Hong Mudan (1930, La cantante Peonia rossa), diretto da Zhang Shichuan per la Mingxing, che, sebbene con limiti tecnici, ottenne ampio successo. Nonostante i costi elevati, i tentativi per introdurre definitivamente il sonoro proseguirono e l'anno successivo la Mingxing riuscì a produrre il suo secondo film interamente parlato, Jiu shi, jinghua (La vecchia capitale), ancora diretto da Zhang Shichuan, che era stato preceduto da tre film sonori di altre produzioni. L'introduzione del sonoro fu accompagnata (e facilitata) dall'adozione di una lingua nazionale anche per il cinema, nel quale confluirono la musica e le canzoni legate al teatro e all'Opera, in un'ideale unione delle principali e più seguite forme di spettacolo del Paese. Tuttavia la fase storica fu densa di profonde agitazioni, da un lato per i nuovi attacchi giapponesi e per il bombardamento di Shanghai, dall'altro per il conflitto tra nazionalisti e comunisti. Questi ultimi continuarono a godere di ampio consenso tra gli intellettuali, i quali, dopo la formazione della Lega di sinistra per artisti dello spettacolo, fondarono nel 1931, la Lega dei drammaturghi di sinistra, immediatamente presa di mira dal Guomindang, che nel febbraio dello stesso anno eliminò ventiquattro rappresentanti, tra cui lo scrittore Rou Shi. Nell'ambito dell'industria cinematografica questo stato di cose portò nel 1932 all'ingresso del Partito comunista cinese nella Mingxing, che ben presto produsse alcune delle prime opere di Cheng Bugao e di Shen Xiling. Quegli anni, vivaci e densi di speranze, videro convivere la forte spinta al realismo e all'impegno con l'affermazione di un sistema divistico nazionale, influenzato da quello statunitense.
Ma tale clima venne interrotto bruscamente dall'occupazione giapponese di Shanghai del 1937, che costrinse molta gente di spettacolo a riparare altrove, a Hong Kong, a Hankou o a Chongqing. Un'eco di questo dramma pare avvertirsi nel film di Shen Xiling Shizi jietou (1937, Crocevia), con i suoi giovani senza lavoro o in lotta contro i giapponesi, e anche nell'intensa, profonda tristezza di Malu tianshi di Yuan Muzhi; due tra gli ultimi titoli di rilievo in una fase che vide l'avanzata dell'occupazione nipponica, a fronte della quale si definì l'alleanza tra nazionalisti e comunisti.
Negli anni successivi furono i fronti locali del secondo conflitto mondiale a determinare un'ovvia recessione produttiva, sebbene si debbano registrare almeno altre due opere di rilievo, Ye shenchen (1941, Notte fonda) di Zhang Shichuan e Qiu Haitang (1943, Begonia d'autunno) di Ma-Xu Weibang.
Tra il 1945 e il 1949 si consumarono eventi fondamentali nella storia del Paese, culminati con la proclamazione, a Pechino, della Repubblica popolare cinese, guidata da Mao Zedong. Nel cinema si prospettò una seconda età dell'oro e i registi di alcuni dei film più significativi ambientarono le storie tra gli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta, in un vero e proprio confronto con il recente passato: dall'ampia scansione temporale di Yaoyuan de ai (1947, Amore lontano) di Chen Liting a quella di Songhua jiang shang (1947, Lungo il fiume Sungari) di Jin Shan, fino alla Shanghai in guerra narrata nel più celebre titolo del periodo, Yijiang chunshui xiang dong liu (1947, Il fiume di primavera scorre a Est) di Cai Chusheng e Zheng Junli. Ai quali si aggiunsero le commedie 'morali' di Sang Hu, quale Taitai wansui (1947, Viva la signora!) e Taiping chun (1950, La primavera della pace), realizzate per la Wenhua. Poco prima, nel 1946, Cai Chusheng era stato tra gli artefici del recupero degli studi Lianhua, formando nel 1947 un gruppo più ampio all'interno della compagnia Kunlun, produttrice di molti celebri film, tra cui quello diretto da Cai Chusheng e Zheng Junli.
Quantitativamente più ricco, il cinema cinese nel periodo della Repubblica popolare fu tuttavia sempre più improntato all'ortodossia e ‒ nonostante la teoria dei 'Cento fiori', promossa nel 1956 ‒ a una rigida adesione ai canoni del realismo socialista. Già all'inizio del 1950 furono banditi i film statunitensi ‒ che avevano esercitato notevole influenza ‒, in luogo dei quali vennero distribuiti molti film sovietici. Questo non impedì possibili richiami al Neorealismo italiano (l'aspro, picaresco San Mao liulang ji, San Mao, piccolo vagabondo, di Zhao Ming e Yan Gong, iniziato del resto sotto il Guomindang e terminato nel 1949), anche se per lo più si affrontarono ‒ e in modo retorico ‒ vicende fiabesche o leggendarie sia pure provviste di un'ovvia emblematicità. Al contrario una meno ovvia 'morale' si ebbe con Bai mao nü (1950, La ragazza dai capelli bianchi) di Wang Bin e Shui Hua, rielaborazione di una storia legata alla tradizione, alla quale rimandano anche le musiche di gusto folkloristico. Non va dimenticato, peraltro, che la situazione del Paese era molto meno schematica e più complessa di quanto potesse sembrare: il film storico Qing gong mishi (1948, Storia segreta della corte dei Qing) di Zhu Shilin, ambientato in una fase storica compresa tra l'epoca dell'imperatrice vedova Cixi (1889) e la rivolta dei Boxer, fu accusato di tradimento e ritirato dagli schermi al momento della sua uscita nel 1950 (a quanto pare su ispirazione dello stesso Mao), accusa che venne nuovamente mossa più tardi, durante la rivoluzione culturale (iniziata nel 1966), da un critico-funzionario vicino a Jiang Qing, moglie di Mao. Nel corso degli anni Cinquanta e fino ai primi anni Sessanta, si assisté alla rinascita del melodramma, per es. attraverso i film di Xie Jin, e alla comparsa di opere che celebravano eroi o eroine comuniste della resistenza anti-giapponese, come in Zhao Yiman (1950) di Sha Meng. Nel 1947 Wu Xinzai fondò la compagnia Wenhua, composta in buona parte da esponenti del gruppo teatrale Kugan, diretto da Huang Zuolin, regista di pièces di grande successo.
Probabilmente l'esempio paradigmatico dell'ostracismo che il regime maoista rivolse contro opere coraggiose ‒ o meno legate ai nuovi imperativi politici, estetici e culturali ‒ fu costituito dalla condanna di un film di Sun Yu, Wu Xun zhuan (La vita di Wu Xun, 1950, su una leggendaria figura al tempo della fine della dinastia Manchu). Alcuni anni dopo, nel 1956, anno di fondazione dell'Accademia del cinema di Pechino, lo stesso Mao, che si era scagliato contro questo film, si fece artefice della campagna dei 'Cento fiori', ovvero dell'effimera proposta di promuovere un libero dibattito culturale nel Paese. La conseguenza fu che intellettuali e artisti accolsero in massa la sollecitazione, ma il regime subito la contraddisse, relegando molte figure di spicco nei campi di lavoro e creando una paralisi anche nella produzione cinematografica, che tuttavia annoverò alcuni titoli di rilievo, come il mélo a colori Nü lan wuhao (1956, La giocatrice di basket n° 5), di Xie Jin, o Jia (1957, La famiglia), di Chen Xihe e Ye Ming.
Eletto presidente all'ottavo congresso del partito comunista cinese del 1956 ‒ con Deng Xiaoping segretario generale ‒ Mao lasciò nel 1959 la presidenza della repubblica a Liu Shaoqi. Ma dopo anni segnati dalla ripresa economica e produttiva, dal conflitto con l'India e dall'esplosione della prima bomba atomica cinese, il 1966 segnò una data spartiacque, con l'avvio della rivoluzione culturale voluta da Mao e la sfilata delle Guardie rosse su Piazza Tian'anmen, atto simbolico del clan maoista per una strategia di destabilizzazione della struttura del partito. Si aprì in tal modo una fase di conflitti e guerriglie, di esodi imposti verso le campagne, che culminò nel 1968 con l'espulsione dal partito di Liu Shaoqi e Deng Xiaoping e, nel 1969, con la nomina di Lin Biao a erede di Mao. Sul piano cinematografico le conseguenze furono non solo di ordine censorio, ma anche di forte limitazione dell'attività produttiva, fino alla totale inattività del biennio 1967-1969. Fu a metà degli anni Sessanta, in piena rivoluzione culturale, che il cinema subì i maggiori contraccolpi, soprattutto a opera della moglie di Mao, Jiang Qing, celebre attrice degli anni Trenta. Quest'ultima riuscì a imporre nelle arti la rivoluzione culturale, attraverso il 'rinnovamento' dell'Opera ‒ che fu indirizzata verso temi contemporanei ‒, del balletto e del teatro cosiddetto rivoluzionario, che doveva soppiantare il cinema. Fu la stessa Jiang Qing a decidere la messa al bando o, addirittura, l'eliminazione di attori e registi che, talora, avevano lavorato con lei, come Xie Tian, Tian Han o Zhou Yang.
Il 1966 segnò peraltro il momento di formazione della 'Quarta generazione' di registi, tra cui Teng Wenji, Xie Fei, Zhang Nuanxin, Wu Tianming, di fatto attivi solo molti anni dopo, ovvero nella fase di esordio dei registi della 'Quinta generazione'. Poco dopo il 1949 si era formata la cosiddetta Terza generazione di cineasti, i cui maggiori esponenti erano stati, con Xie Jin, Shui Hua (Liehuo zhong yongsheng, 1965, Immortali tra le fiamme) e Xie Tieli (Zaochun eryue, 1963, Primavera precoce). Ancora durante la rivoluzione culturale, Bai mao nü venne proibito come film, ma anche trasformato in un balletto di regime. Xie Jin, regista molto attivo negli anni Cinquanta e Sessanta, poté firmare opere di sfacciata propaganda come Hongse niangzi jun (1961, Distaccamento femminile rosso) e capolavori come Wutai jiemei (1964, Sorelle di scena), di ambiente teatrale e non inferiore al ben più tardo e famoso film di Chen Kaige, Bawang bie ji (1993; Addio mia concubina).
Ma a ben guardare anche nei primi anni Settanta non si realizzò una vera produzione. I 'film' che uscirono furono in realtà solo le riprese delle cinque opere modello del teatro rivoluzionario voluto da Jiang Qing, tra cui Hong deng ji (1970, La lanterna rossa) di Cheng Yin e Bai mao nü (1972, La ragazza dai capelli bianchi, il balletto di regime che rimanda al film omonimo del 1950) di Sang Hu, già autore nel 1956 dell'adattamento a colori (Song Shijie, con il grande attore Zhou Xinfang) di un celebre spettacolo dell'Opera di Pechino, il cui tema è la corruzione dei magistrati. Solo dopo la caduta di Lin Biao, nel 1971, il ritorno di Deng Xiaoping ‒ favorito da Zhou Enlai ‒ e la morte di Mao (1976) la produzione riprese, tanto che il 1978 segnò la riapertura dell'Istituto cinematografico di Pechino, che accolse coloro che poi formeranno la 'Quinta generazione', da Zhang Yimou a Chen Kaige, da Tian Zhuangzhuang a Ning Ying. Registi che poterono vedere molte opere della storia del cinema cinese alla Cineteca di Pechino.
Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta si sviluppò dunque una generazione di registi che ha permesso, nel volgere di pochi anni, l'affermazione del cinema cinese sul piano internazionale. Anche grazie a figure quali Xie Jin ‒ che pure è stato percepito dai giovani della 'Quinta generazione' come espressione del vecchio cinema, del cinema dei padri, ovvero da superare ‒, Sang Hu e Xie Tieli, maestri dei nuovi registi, gli autori della 'Quinta' e della 'Sesta generazione' hanno potuto far conoscere meglio il cinema cinese in Occidente, anche come segno delle nuove ondate contemporanee. Nel 1979 venne redatto un manifesto sulla modernizzazione del linguaggio cinematografico a opera di Zhang Nuanxin, espressione di punta del 'nuovo cinema cinese' e autrice di Qingchun ji (1985, Il sacrificio della gioventù), coraggiosamente ambientato in epoca di rivoluzione culturale. Ma, a conferma che anche il nuovo corso politico postmaoista non fu molto indulgente con il 'nuovo cinema', basti pensare che un film del 1980, Ku lian (Amore non corrisposto) di Peng Nin, ampia narrazione nel tempo della vita di un pittore, fu aspramente criticato. Colui che è considerato il padrino della 'Quinta generazione', Wu Tianming, autore di Meiyou hangbiao de heliu (1983, Fiume senza attracchi), dopo il 1988 ha dovuto lasciare il Paese, per rientrarvi solo nel 1995. Anche i grandi film che hanno conquistato i festival e i mercati occidentali negli ultimi decenni del secolo, quelli di Chen Kaige e di Zhang Yimou, non sempre risultano di produzione cinese ma, per così dire, periferica (Taiwan, Hong Kong). Lo splendido Da hong denglong gaogao gua (1991; Lanterne rosse), che ha rivelato Zhang Yimou al pubblico occidentale, realizzato in buona parte con finanziamenti giapponesi, è stato a lungo proibito in Cina. Spesso apprezzati più all'estero che in patria, in quanto giudicati troppo ermetici, i film di questi due autori ‒ e degli altri cineasti della 'Quinta generazione', come Liu Miaomiao, Xia Gang, Sun Zhou, e le registe Ning Ying e Li Shaohong ‒ hanno stentato peraltro ad affermarsi in un mercato che negli ultimi anni si è drammaticamente ristretto (dai 29 milioni di spettatori del 1979 ai 9 milioni della fine del 20° sec.). La possibilità di affrontare temi più vasti e complessi rispetto al passato e il relativo allentamento della censura (peraltro ancora operante) non hanno compensato, agli occhi del pubblico cinese, il costo del biglietto (ai tempi di Mao Zedong l'esercito e le unità di lavoro pensavano a distribuire le copie presso soldati e lavoratori in modo spesso gratuito; e la concorrenza della televisione, vigorosamente attaccata dal regista Zhou Xiaowen nel suo Ermo, 1994, ha ulteriormente aggravato la situazione). La stessa popolarità raggiunta in Europa e in America da autori come Zhang Yimou, Chen Kaige e dall'attrice Gong Li ‒ ripetutamente premiati in vari festival internazionali ‒ si è rivelata non del tutto producente per l'attività degli interessati, in un clima ancora dominato dal sospetto e da probabili gelosie. Di qui la necessità per i cineasti di ricorrere a finanziamenti stranieri, e per gli spettatori occidentali di fare tesoro di festival e rassegne per poter ammirare opere altrimenti ben poco diffuse all'estero e talora nemmeno nel Paese d'origine. Per lo più il cinema delle nuove generazioni è apparso legato al modello artistico cinese degli anni Trenta. Proprio in quanto radicati in una cultura narrativa e figurativa di grande ricchezza, sapienza ed eleganza, i film di Chen Kaige e di Zhang Yimou costituiscono alcune tra le più raffinate e ammirevoli eccezioni rispetto a un'epoca odierna di più generale esaurimento e stanchezza del linguaggio filmico. Basti pensare alla grande tradizione del melodramma e del teatro cinese, così efficacemente rivissuta e rielaborata in Bawang bie ji e in Da hong denglong gaogao gua, ma anche negli altri film di Zhang Yimou, dalla stilizzata violenza di Hong gaoliang (1987; Sorgo rosso), ai toni di commedia e di apparente 'realismo contadino' di Qiu Ju da guansi (1992; La storia di Qiu Ju) o in Yao a yao, yao dao waipo qiao (1995; La triade di Shanghai). Opere tra le più significative della produzione contemporanea, accanto alle quali si devono citare almeno Yaogun qingnian (1988, I giovani rock) e Lan fengzheng (1993, L'aquilone blu), un'ampia narrazione della storia cinese dopo il 1957, entrambi diretti da Tian Zhuangzhuang; Haizi wang (1987, Il re dei bambini) di Chen Kaige; Hei shan lu (1990, Il passaggio del Monte Hei) di Zhou Xiaowen, che per aver affrontato in modo più esplicito la sfera sessuale è incappato nelle maglie della censura e per anni è stato proibito; il commosso discorso sul ruolo della donna nella società cinese leggibile nei film del regista Xie Fei (Xiang nü Xiaoxiao, 1986, Una ragazza di nome Xiaoxiao, codiretto con Wu Lan, e Xiang hun nu, 1992, La famiglia dei fabbricanti di olio) e gli originali e coraggiosi tentativi di Li Shaohong, diplomata al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. A quest'ultima, che ha avuto notevoli difficoltà con la censura del suo Paese, si devono un'interessante rilettura di Crónica de una muerte anunciada (il romanzo di G. García Márquez, già portato sullo schermo nel 1987 da Francesco Rosi), ambientata in C. e non priva di riferimenti allusivi all'eccidio di Piazza Tian'anmen (giugno 1989), dal titolo Xuese qingchen (1990, Alba di sangue), e l'eccellente Hongfen (1994, Cipria), sulla chiusura delle case di piacere nel 1949 e la rieducazione delle prostitute in appositi campi di lavoro. Figura di rilievo è Huang Jianxin, formatosi a Sidney e autore di una 'trilogia urbana' ‒ in coproduzione con Hong Kong ‒ composta da Zhanzhi le, bie paxia (1992, Sta' dritto, non piegarti), Bei kao bei, lian dui lian (1994, Schiena contro schiena, faccia a faccia) e Da zuo deng, xiang you zhuan (1996, Freccia a sinistra, gira a destra).
Nel 1990 si è formata la 'Sesta generazione', composta tra gli altri da Zhang Yuan, Guan Hu, Wu Di e Wang Xiaoshuai e dal 1991 si sono aperti corsi di cinema in diverse università. Gli ultimi anni del Novecento han-no ancora una volta visto intrecciarsi il contesto storico e la ricerca artistica, toccando in particolare i registi della 'Quinta generazione' con i drammatici eventi di Piazza Tian'anmen. Tra recupero della tradizione e tentativi di innovazione le opere degli ultimi anni rivelano alcune difficoltà anche negli autori ormai più maturi, ma il cinema cinese ha saputo ancora offrire opere significative, talora nuovamente apprezzate e premiate sulle ribalte internazionali: Xiao Wu (1998, Il piccolo Wu) di Jia Zhangke, Guonian hui jia (1999; Diciassette anni) di Zhang Yuan, Gran premio della giuria a Venezia nel 1999, Xizao (1999, Il bagno) di Zhang Yang, Yige dou bu neng shao (1999; Non uno di meno) di Zhang Yimou, robusto ritorno alle tematiche contadine e Leone d'oro a Venezia nel 1999, Zhantai (2000, Palcoscenico) di Jia Zhangke, Yixi zhuoma (2000, Canzone per il Tibet) di Xie Fei, Guizi laile (2000, Arrivano i giapponesi!) di Jiang Wen, Wo de fuqin muqin (2000; La strada verso casa) di Zhang Yimou, Premio speciale della giuria a Berlino nel 2000, Shiqi sui de danche (2001; Le biciclette di Pechino) di Wang Xiaoshuai, Premio speciale della giuria a Berlino nel 2001. Nell'insieme, una promettente deriva di fine secolo e di avvio del nuovo, pur nelle incertezze rispetto a un sistema nazionale che ‒ sebbene più tardi di altri ‒ sta rapidamente orientandosi verso la generale globalizzazione.
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