Avventura, cinema d'
Sin dalle origini, il c. d'a. ha potuto contare, per rivolgersi all'immaginazione degli spettatori, su una riserva inesauribile, costituita dagli antichi miti, dalle leggende e dalla Storia, ma anche dalle innovazioni tecnologiche. Il genere è infatti erede di una lunga e consolidata tradizione letteraria, o piuttosto di diverse tradizioni (epopea, romanzo d'avventura, letteratura popolare e per ragazzi); ma i mezzi di cui dispone il cinema (le star, il trucco e gli effetti speciali, le scenografie, gli esterni esotici, la musica e il colore) gli hanno conferito un potere di seduzione quasi irresistibile.Il viaggio è indubbiamente la forma espressiva fondamentale del c. d'a., poiché consente la rappresentazione dell'imprevisto (l'avventura è ciò che 'avviene', ovvero l'inaspettato) e di storie di scoperta, di esplorazione e a volte di conquista di nuovi mondi. Se la più antica fonte del cinema d'azione è rappresentata dall'epopea guerresca e virile dell'Iliade di Omero, i più lontani antecedenti del c. d'a. vanno ricercati nell'altra opera di Omero, l'Odissea, e nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, in cui il viaggio si combina con elementi romanzeschi e fantastici, incarnati da una grande varietà di figure di maghe e mostri. Questi antichi racconti sono stati del resto oggetto di espliciti adattamenti cinematografici, tra cui l'Ulisse di Mario Camerini (1954) e Jason and the Argonauts (1963; Gli Argonauti) di Don Chaffey. Allusioni a questi miti fondanti si ritrovano tuttavia anche in altri film, ambientati in epoche molto diverse, come The Argonauts of California ‒ 1849 di Henry Kabierske (1916), in cui la corsa all'oro è assimilata alla ricerca del vello d'oro, e 2001: a space odyssey (1968; 2001: Odissea nello spazio) di Stanley Kubrick, che dilata a dismisura i limiti dell'avventura fino a farli coincidere con la storia dell'umanità e del cosmo.I viaggi d'esplorazione e di conquista costituiscono materiale fondamentale del c. d'a., con un'ampia gamma di approcci che va dal documentario al fantastico e al meraviglioso, di cui Georges Méliès ha offerto uno dei primi esempi con Le voyage dans la Lune (1902; Il viaggio nella Luna). Al contrario, Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack proposero con Grass: a nation's battle for life (1925) un documentario d'avventura, in cui è descritta la transumanza della 'tribù perduta' dei Bakhtiyārī in Iran. L'interesse di questo tipo di film risiede soprattutto nelle difficili condizioni di realizzazione e nella consapevolezza che i cineasti hanno vissuto le esperienze eroiche che descrivono, attraversando torrenti e scalando montagne innevate. Nel 1933, gli stessi cineasti presentarono King Kong, in cui un prologo quasi documentaristico si capovolge rapidamente in un senso onirico prossimo al fantastico: l'esplorazione dell'isola sconosciuta che non figura in alcuna mappa (motivo classico della letteratura d'avventura) si risolve in un viaggio nel tempo, sul modello di The lost world (1925; Un mondo perduto) di Harry O. Hoyt, tratto dall'omonimo romanzo di A. Conan Doyle. L'approccio documentaristico all'avventura venne coltivato anche in famosi western epici che celebrano l'apertura di una pista, come Northwest passage (1940; Passaggio a Nord-Ovest) di King Vidor, Red river (1948; Il fiume rosso) e The big sky (1952; Il grande cielo) di Howard Hawks. Lo stesso approccio si può rilevare in alcuni film scandinavi, come Berg-Ejvind och hans hustru (1919; I proscritti) di Victor Sjöström o Herr Arnes pengar (1919; Il tesoro di Arne) di Mauritz Stiller, in cui gli eroi devono confrontarsi con un ambiente naturale grandioso e ostile e con terribili condizioni climatiche. All'estremità opposta della gamma, la fantasia può sbizzarrirsi in altri film d'avventura, spesso ambientati in mare, i cui eroi sono Sindbad, il barone di Münchhausen o Gulliver. In essi si ritrovano una vena fantastica e affabulatoria e un accentuato gusto, spesso impregnato di esotismo, per i mostri e i prodigi. Le mille e una notte sono una fonte inesauribile, che ha ispirato tra l'altro le diverse versioni di The thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad): le più famose sono quelle di Raoul Walsh (1924) con Douglas Fairbanks, e quella dei non accreditati Alexander e Zoltan Korda, insieme a Michael Powell, Ludwig Berger e Tim Whelan (1940), con Sabu. L'opera è stata anche l'ispirazione di innumerevoli film di animazione, tedeschi (Die Abenteuer des Prinzen Achmed, 1926, Achmed, il principe fantastico, di Lotte Reiniger), francesi (Aladin et la lampe merveilleuse, 1969, di Jean Image), cechi (i cinque film su Sindbad di Karel Zeman, 1971-1973) e statunitensi (Aladdin, 1992, di John Musker e Ron Clements, prodotto dalla Disney). La vena orientaleggiante non ha solo un aspetto decorativo, è connessa a un tipo di racconto a scatole cinesi, strutturato a episodi e proliferante, a una sorta di vertigine affabulatoria che si trova anche in Rękopis znaleziony w Saragossie (1965; Il manoscritto trovato a Saragozza) di Woiciech J. Has, tratto dal romanzo di J. Potocki. Elementi orientaleggianti compaiono anche negli adattamenti di un altro classico della letteratura fantastica, Il barone di Münchhausen di R.E. Raspe, le cui avventure sono state più volte portate sullo schermo: in Germania da Josef von Baky (Münchhausen, 1943, Le avventure del barone di Münchhausen), in Cecoslovacchia da K. Zeman (Baron Prášil, 1961, Il barone di Münchhausen) e in Inghilterra da Terry Gilliam (The adventures of Baron Munchausen, 1989, Le avventure del barone di Munchausen), che trasforma la storia in un'esplicita perorazione a favore dell'immaginazione creativa e contro l'influenza perniciosa della razionalità. Sorprendenti e al tempo stesso familiari, le immagini del barone che viaggia a cavallo di una palla di cannone o che esplora il regno dei Seleniti sono degne di Méliès. Si può osservare che in diversi di questi film il gusto per i trucchi e per la profusione decorativa ha portato molto presto all'adozione del colore (The thief of Bagdad del 1940, il Münchhausen tedesco) e che il bisogno di controllare l'immagine 'irrealista' ha condotto spesso all'impiego dell'animazione (Gulliver's trav-els, 1939, I viaggi di Gulliver, di Max e Dave Fleischer).In senso classico o orientale, il meraviglioso tradizionale permea i film in cui compaiono gli effetti speciali dell'esperto di animazione Ray Harryhausen. Il Jason and the Argonauts di Chaffey e Clash of the Titans (1981; Scontro di Titani) di Desmond Davis sono per es. ispirati soprattutto all'antichità classica, mentre The seventh voyage of Sinbad (1958; Il settimo viaggio di Sinbad) di Nathan Juran e The golden voyage of Sinbad (1974; Il viaggio fantastico di Sinbad) di Gordon Hessler all'Oriente. Ma il sincretismo è la vera regola di queste opere, in cui l'invenzione più sorprendente tra tutte è quella degli scheletri che combattono, di lontana origine buddista. Negli inventivi film mitologici italiani degli anni Ses-santa compaiono lo stesso eclettismo, la stessa combina-zione eterogenea di stili architettonici e di prodigi: Maciste all'inferno di Riccardo Freda (1962), dove si passa dalla Scozia del 17° sec. all'Inferno di Dante, Maciste contro il vampiro di Giacomo Gentilomo e Sergio Corbucci (1961), che unisce peplum e horror, ed Ercole alla conquista di Atlantide di Vittorio Cottafavi (1961), che innesta sul mito di Atlantide elementi tipici della fantascienza (tra cui un implicito riferimento all'energia atomica). Ma il cinema ha anche favorito la nascita di un nuovo tipo di meraviglioso, il meraviglioso tecnologico, che si avvale di effetti speciali avveniristici e seducenti, come quelli di 2001: a space odyssey e di alcune produzioni meno ambiziose come Silent running (1972; 2002: la seconda odissea) di Douglas Trumbull, che peraltro aveva collaborato ai trucchi del film di Kubrick; per poi proseguire con la serie di Star wars (1977-1999; Guerre stellari) di George Lucas, Irvin Kershner e Richard Marquand, che coniuga l'avventura e la fantascienza. Vanno ricordate anche due 'odissee' all'interno del corpo umano, Fantastic voyage (1966; Viaggio allucinante) di Richard Fleischer, tratto dal racconto di I. Asimov, e Innerspace (1987; Salto nel buio) diretto da Joe Dante.
Con il cinema di fantascienza il tema del viaggio si estende non solo allo spazio, ma anche al tempo. The time machine (1960; L'uomo che visse nel futuro) di George Pal, tratto dal romanzo di H.G. Wells, la serie di Jurassic Park (1993-2001) di Steven Spielberg e Joe Johnston, ispirata a The lost world, la serie del Planet of the apes (Il pianeta delle scimmie), dal film di Franklin J. Schaffner del 1968 a quello di Tim Burton del 2001, Cesta do pravěku (1954, Viaggio nella preistoria) di K. Zeman, sono film, tra i molti che si potrebbero citare, che esplorano questo motivo, a volte a fini pedagogici o filosofici, ma soprattutto per sfruttarne le risorse spettacolari, per giocare con l'incongruità degli accostamenti tra culture o specie tra loro lontanissime e per suscitare negli spettatori il brivido dell'avventura.Alcuni adattamenti delle opere dei pionieri della fantascienza, come H.G. Wells o J. Verne, consentono di giocare sull'ambiguità, perché utilizzano trame e invenzioni avveniristiche ma le collocano nel passato, combinando così il fascino dell'innovazione tecnologica con quello del viaggio nel tempo: Vynalez zkázy (1958; La diabolica invenzione) di Zeman, 20,000 leagues under the sea (1954; 20.000 leghe sotto i mari) di R. Fleischer, Journey to the center of the Earth (1959; Viaggio al centro della Terra) di Henry Levin. Si ritrova lo stesso procedimento in una recente versione della leggenda di Atlantide, Atlantis, the lost empire (2001; Atlantis: l'impero perduto) di Gary Trousdale e Kirk Wise, cartone animato prodotto dalla Disney, che unisce il film in costume, la fantascienza, il film d'azione (oggetto di parodia) e il romanzesco convenzionale. Molti film d'avventura, pur prendendosi grandi libertà con la Storia, sono ambientati nel passato, prossimo o remoto, dando origine in alcuni casi a categorie ben definite del film storico o in costume. Si ritrova, per es., il gusto delle epoche barbare e delle avventure sul mare nei film che hanno come eroi i vichinghi: The Vikings (1958; I Vichinghi) di R. Fleischer, The long ships (1963; Le lunghe navi) di Jack Cardiff, The thirteenth warrior (1999; Il tredicesimo guerriero) di John McTiernan. Contrariamente alle accurate ricostruzioni dell'antichità classica (come il Ben Hur di William Wyler, 1959), queste opere incarnano, come i fantasiosi film mitologici, una sorta di contro-antichità, che si svolge ai margini della storia ufficiale e della sua rappresentazione accademica. I film di pirati combinano invece le avventure sul mare, l'esotismo delle Antille e del mondo ispanico contrapposto al mondo anglosassone, il gusto delle esibizioni acrobatiche e dei virtuosismi di scherma (swashbuckling, "spacconata"). Il cinema americano si basa spesso, dal punto di vista ideologico, su una combinazione tra l'esaltazione della rivolta contro un potere ingiusto e la sottomissione al sovrano legittimo, frequentemente accompagnata da stereotipi culturali ed etnici che contrappongono la libera Inghilterra alla Spagna dispotica: The black pirate (1926; Il pirata nero) di Albert Parker, con Douglas Fairbanks; Captain Blood (1935; Capitan Blood) e The sea hawk (1940; Lo sparviero del mare) di Michael Curtiz, con Errol Flynn; The black swan (1942; Il cigno nero) di Henry King, con Tyrone Power; The Spanish main (1945; Nel mar dei Caraibi) di Frank Borzage, con Paul Henreid; Anne of the Indies (1951; La regina dei pirati) di Jacques Tourneur, che offre una variazione piccante sul tema, affidando il personaggio della corsara all'affascinante Jean Peters. Avventure sul mare sono state realizzate con successo anche dal cinema popolare italiano, con film come La nave delle donne maledette (1953) di Raffaello Matarazzo, e Il terrore dei mari (1961), Il giustiziere dei mari e Le prigioniere dell'isola del diavolo (1962) di Domenico Paolella.
J. Richards (1977) ha tentato di definire la tipologia degli swordsmen o spadaccini cinematografici. Oltre ai pirati e ai bucanieri, le principali categorie comprendono: i moschettieri, nei numerosi adattamenti non solo francesi ma anche statunitensi, inglesi e italiani dei romanzi di A. Dumas; i cavalieri della Tavola Rotonda e medievali in genere, tratti non solo dai romanzi di W. Scott, come Ivanhoe, ma anche dai fumetti, come il Prince Valiant di H. Foster; i 'vendicatori' mascherati o meno (compresi quelli che usano armi diverse dalla spada), come la Primula rossa (le cui versioni più popolari rimangono quelle di Harold Young, 1934, con Leslie Howard, e di M. Powell ed Emeric Pressburger, 1950, con David Niven), Zorro (di Fred Niblo, 1920, con Douglas Fairbanks, e di Rouben Mamoulian, 1940, con Tyrone Power), Scaramouche (di Rex Ingram, 1923, con Ramon Novarro, e di George Sidney, 1952, con Stewart Granger). Uno degli eroi più popolari tra questi personaggi è Robin Hood, le cui interpretazioni più memorabili restano quelle di Douglas Fairbanks (nella versione di Allan Dwan, 1922) e di Errol Flynn (nella versione di M. Curtiz, 1938), due degli attori più strettamente legati a questa categoria del cinema d'avventura. Ogni interprete, ogni epoca introducono delle modifiche nei ruoli e nelle situazioni tipiche del genere, così come i maestri d'armi tentano di superare i duelli spettacolari dei loro predecessori. Douglas Fairbanks è atletico, robusto e truculento; Errol Flynn è invece più raffinato e seducente, e i pirati o i vendicatori da lui impersonati sono simili agli ufficiali inglesi dei suoi film sulle vicende dell'Impero britannico (The charge of the light brigade, 1936, La carica dei 600, di Curtiz); Tyrone Power è più malinconico (Captain from Castille, 1947, Il capitano di Castiglia, di H. King); Stewart Granger interpreta personaggi aristocratici, vicini a quelli di Flynn (The prisoner of Zenda, 1952, Il prigioniero di Zenda, di Richard Thorpe; Moonfleet, 1955, Il covo dei contrabbandieri, di Fritz Lang); Burt Lancaster segna il ritorno all'eroe esuberante e acrobatico in precedenza incarnato da Fairbanks (The flame and the arrow, 1950, La leggenda dell'arciere di fuoco, di J. Tourneur; The crimson pirate, 1952, Il corsaro dell'isola verde, di Robert Siodmak), come del resto Gene Kelly (The three musketeers, 1948, I tre moschettieri, di Sidney; The pi- rate, 1948, Il pirata, di Vincente Minnelli). Nel corso dell'epoca classica di Hollywood, la sensualità delle eroine (malgrado la bellezza di Olivia de Havilland) apparve spesso un po' repressa, prevalsero invece una sessualità ancora infantile e un'immagine virginea della donna. Ma già in Ivanhoe (1952) di Thorpe, la bruna Rebecca (Elizabeth Taylor) affascina gli spettatori più della bionda e scialba Rowena (Joan Fontaine). Molti anni dopo, nell'adattamento dei romanzi sui tre moschettieri diretto da Richard Lester (in due episodi, 1974 e 1975), con Raquel Welch nel ruolo di Milady, troviamo ormai una rappresentazione esplicita della sessualità: è evidente che questo film si rivolge a un pubblico adulto, già preparato a questa disinvoltura dal Tom Jones di Tony Richardson (1963).
Il filone dei film storici che mettono in scena seducenti avventurieri dai principi morali un po' troppo elastici non può, tuttavia, essere ridotto alla sua componente hollywoodiana: l'avventuriero veneziano G. Casanova, per es., è stato oggetto di numerosi e brillanti ritratti firmati, di volta in volta, da Aleksandr A. Volkov (Alexandre Volkoff), un regista russo in esilio in Francia (Casanova, 1927), da Freda (Il cavaliere misterioso, 1948), da Luigi Comencini (Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano, 1969) e naturalmente da Federico Fellini (Il Casanova di Federico Fellini, 1976); senza dimenticare Il cavaliere di Maison Rouge (1953) di V. Cottafavi, dal romanzo di A. Dumas.La scelta di Comencini di privilegiare l'infanzia e la giovinezza di Casanova rivela lo stretto legame esistente tra il c. d'a. e la letteratura per ragazzi. In numerosi film tratti dai classici della letteratura per ragazzi il protagonista è un bambino o un adolescente, come negli adattamenti di Treasure island di R.L. Stevenson (tra cui quello di Victor Fleming, 1934, L'isola del tesoro, con il piccolo Jackie Cooper), Adventures of Tom Sawyer e Adventures of Huckleberry Finn di M. Twain (rispettivamente quello di Norman Taurog, 1938, Le avventure di Tom Sawyer, con Tommy Kelly, e quelli diretti da Taurog, 1931, Huckleberry Finn, con Jackie Coogan, e da Thorpe, 1939, con Mickey Rooney), The jungle book e Kim di R. Kipling (per il primo, quello di Z. Korda, 1942, Il libro della giungla, con Sabu, e per il secondo, quello di Victor Saville, 1950, con Dean Stockwell), e Great expectations di Ch. Dickens (quello di David Lean, 1946, Grandi speranze, con Anthony Wager). In questi casi il viaggio intrapreso dal giovane eroe assume la forma di rito d'iniziazione che segna il passaggio dall'infanzia all'età adulta; il film d'avventura gioca allora, a volte in modo un po' contraddittorio, su due registri, quello dell'illusione e quello della perdita delle illusioni. Ma questa osservazione può essere applicata anche ai numerosi film, i cui eroi, pur non essendo più dei bambini, nutrono ancora delle illusioni, che finiscono inevitabilmente per perdere: ci si riferisce, per es., a Lawrence of Arabia (1962; Lawrence d'Arabia) di Lean, che è al contempo un film d'avventura, un'epopea, un film d'azione e un film storico; e a The man who would be king (1975; L'uomo che volle farsi re) di John Huston. Questi film sono gli eredi del cinema 'imperiale' o coloniale, rappresentato dalle opere ambientate nell'India britannica (come Lives of a Bengal lancer, 1935, I lancieri del Bengala, di Henry Hathaway), nell'Africa francese (come Beau geste, 1939, di William A. Wellman) o in quella inglese (come King Solomon's mines, 1937, Le miniere di re Salomone, di Robert Stevenson); contraddistinguono, tuttavia, anche il passaggio graduale a un cinema postcoloniale, sempre meno sicuro della superiorità della cultura occidentale, e in particolare di quella angloamericana.
Ma il c. d'a. aspira veramente a diventare adulto? Gli eroi che esalta sono quasi sempre figure di ribelli, ma è il c. d'a. in quanto tale che si è da sempre collocato in una sorta di irriverente marginalità estetica e ideologica nei riguardi di una produzione dominante più seria e accademica. Esso è legato ai ricordi d'infanzia, ai sogni d'evasione, ma anche a una sorta di gratuità, poiché se venisse strutturato in modo troppo filosofico o politico, perderebbe proprio il suo specifico carattere avventuroso. Ed è per questo che spesso non ha esitato a prendere la strada dell'arte popolare, dei generi minori e di-sprezzati, dal cartone animato ai film di pirati.
J.R. Parish, D.E. Stanke, The swashbucklers, New Rochelle (NY) 1976.
J. Richards, Swordsmen of the screen, from Douglas Fairbanks to Michael York, London-Boston 1977.
D. Elley, Epic film: myth and history, London 1984.
P. Brion, Le cinéma d'aventure: les grands classiques américains, de 'Robin des bois' à 'L'homme qui voulut être roi', Paris 1995.