Cinema
Le voci di argomento cinematografico compaiono sin dall'inizio nell'Enciclopedia Italiana (v. cinematografo, X, p. 335), in cui sono rievocati gli esperimenti sugli oggetti in movimento e i 'macchinari' utilizzati per riprodurli in immagine prima dell'invenzione del cinematografo dei fratelli Lumière. La trattazione verte inoltre sugli oggetti indispensabili della macchina c. (proiettori, obiettivi, pellicola ecc.), sui primi esperimenti con il colore e con il suono, sulle diverse forme di linguaggio (primo piano, dissolvenza, sovrimpressione ecc.), sull'industria, sul c. educativo e sull'architettura della sala cinematografica. Vengono poi analizzate storicamente le cinematografie nazionali più importanti (Italia, Stati Uniti, Francia, Germania, Russia, Svezia) dalle origini fino all'inizio degli anni Trenta. Nell'App. I (p. 420) sono segnalati i progressi nel campo dell'immagine e viene approfondita soprattutto la rivoluzione del sonoro avvenuta con il primo film parlato, Il cantante di jazz (1927) di A. Crosland. Seguono alcuni sottolemmi sulla cinematografia scientifica e sulle legislazioni in differenti paesi (Italia, Germania, Cecoslovacchia, Francia, Inghilterra, Svizzera, Stati Uniti). Nell'App. II (i, p. 592) vengono menzionati i perfezionamenti conseguiti nell'ambito delle macchine da presa, pellicole, obiettivi. Sono inoltre presenti sottolemmi sul documentario, sul c. didattico e scientifico, sui diversi sistemi della cinematografia a colori (Technicolor, Agfacolor, Kodachrome, Dufaycolor), sulla musica nel c. e aggiornamenti sulla storia ed estetica del film, sull'industria, la legislazione e l'architettura delle sale cinematografiche. Nell'App. III (i, p. 384) sono trattati da un lato i nuovi sistemi tridimensionali di proiezione (Cinerama, Cinemascope, i drive-in) e la regolamentazione pubblicistica della cinematografia, con riferimenti alla censura, e dall'altro le trasformazioni storiche ed estetiche avvenute nelle cinematografie dei paesi più importanti dal dopoguerra in poi. Nell'App. IV (i, p. 446) il lemma cambia da cinematografo a cinematografia. Nella voce sono evidenziati i progressi in campo tecnico e le prime avvisaglie di una crisi economica causata dal ruolo crescente della televisione. L'App. V (i, p. 636) dedica al c. uno spazio considerevole. La voce cinematografia comprende numerosi sottolemmi: innovazioni tecniche, coproduzione, distribuzione, ristorno, cinematografia scientifica, documentario, c. underground, thriller, premi Oscar. Sono inoltre trattate per la prima volta le cinematografie di molti paesi dell'Africa, dell'America Latina, dell'Asia. Gran parte delle voci dedicate a paesi europei ed extraeuropei includono il sottolemma cinema. Alcune biografie di attori e registi cinematografici (per es., G. Garbo, Ch. Chaplin) compaiono già nell'Enciclopedia; dall'App. III il loro numero aumenta considerevolmente; nell'App. V sono inserite le biografie dei più importanti cineasti e interpreti italiani e stranieri. *
Storia del cinema
di Gianni Rondolino
Le celebrazioni per il primo centenario del cinematografo, che si sono svolte nel 1995 in molti paesi europei ed extraeuropei, hanno riaperto la questione del significato del c. nella moderna civiltà dell'immagine, della sua validità in un ambito della comunicazione sociale dominato ormai dalla visione in tutte le sue forme e articolazioni. Tanto sul piano della teoria, quanto su quello della critica e dell'informazione, la questione è stata affrontata sotto diversi aspetti, tenendo conto sia dell'indubbia incidenza che il c. continua ad avere sul pubblico indifferenziato, condizionandone almeno in parte i vari comportamenti sociali, sia del suo valore come mezzo di indagine della realtà in confronto con altri mezzi, come la televisione, che hanno delle potenzialità di intervento sul reale certamente molto più incisive e immediate. Senza entrare nel merito di tali discussioni, che spesso hanno una prospettiva condizionata dal momento storico e rischiano di non cogliere nel suo complesso il problema, va detto che, rispetto alla storia del c., e quindi alle varie tendenze che si sono sviluppate nell'ultimo decennio del secolo, a cavallo di quel 1995 che segna una sorta di data emblematica, occorre tenere presente anche un aspetto non secondario della fruizione cinematografica, non più limitata come un tempo alle sole sale di pubblico spettacolo ovvero, per taluni film, ai festival e ai circoli del cinema.
Da quando la televisione ha assunto una funzione di supporto del c., nel senso di una sua capillare diffusione attraverso la programmazione di film, sempre più numerosi su tutti i canali e le reti disponibili, e da quando l'uso del videoregistratore ha promosso una altrettanto capillare diffusione di videocassette, il mercato cinematografico ha raggiunto una diversa dimensione economica e sociale. Di conseguenza, anche il pubblico, individuabile non più come normale frequentatore di sale cinematografiche ma come fruitore individuale di film, ha perduto i suoi caratteri peculiari e tradizionali per acquistarne altri. Tanto che oggi è più corretto parlare di pubblici diversi, meglio ancora di spettatori singoli, che hanno col c. un rapporto personale, fatto di scelte motivate, piuttosto che di un pubblico unico. E anche il consumo cinematografico, costituito oltre che da spettacoli sul grande schermo anche da film, più o meno recenti, in videocassetta o trasmessi dalla televisione, ha assunto caratteristiche tutt'affatto diverse da quelle abituali, ancora in vigore sino agli anni Ottanta.
La conseguenza di questa differente frequentazione del c. da parte degli spettatori o, se si vuole, della compresenza di vari modi e tempi nella fruizione cinematografica, è stata una diversa articolazione della produzione, che si è andata muovendo nell'ultimo decennio verso una pluralità di proposte. Da un lato si è intensificata la grande produzione spettacolare, più adatta al grande schermo, con film che si basano proprio sulla spettacolarità, ottenuta spesso coi cosiddetti effetti speciali o con l'impiego di scenografie magniloquenti e di ampi movimenti di masse. Dall'altro sono stati realizzati film a basso costo, che si rivolgono a un pubblico diverso, sia attraverso il circuito delle sale specializzate, sia attraverso la televisione e le videocassette. Inoltre questa variegata produzione filmica tiene conto delle continue modificazioni del gusto, con riguardo al pubblico giovanile, che, compreso fra i quindici e i venticinque anni, pare sia attualmente il maggior frequentatore di spettacoli cinematografici.
Ma la fruizione del c. attraverso la televisione e le videocassette ha anche prodotto nuove forme, nuovi modelli, un nuovo modo di narrare per immagini. Per es., si è diffuso l'uso della citazione, ovvero l'impiego del bianco e nero, da solo o in combinazione col colore, o il ritorno ai formati standard, allo schermo normale. Infatti il consumo indifferenziato di film di oggi e di ieri - con la conseguenza di una migliore conoscenza della storia del c., ma soprattutto di una visione continua di stili registici, interpretativi, produttivi differenti, quasi un continuum cinematografico ininterrotto, in cui i film paiono sommarsi l'uno all'altro, mescolando di fatto tecniche e modelli spettacolari - ha creato un pubblico onnivoro, che accetta, anzi a volte sollecita, la mescolanza degli stili e delle tecniche, e anche le citazioni, le allusioni, i riferimenti espliciti. Ci troviamo di fronte a una sorta di 'azzeramento' delle differenze storiche e culturali, di 'appiattimento' dei valori estetici, ma anche, di conseguenza, a una disponibilità alla sperimentazione, all'allargamento dei campi di competenza, alle novità e al tempo stesso alle ripetizioni.
La produzione cinematografica degli anni Novanta ha tenuto conto in larga misura di queste nuove forme di consumo, e gli autori e i film più significativi spesso nascono in questo clima di sperimentazione, con risultati non sempre convincenti, ma certamente indicativi di questa tendenza. Permangono comunque opere e scuole più tradizionali, che si rifanno ai vecchi canoni del c. popolare e si rivolgono a quella parte di pubblico che continua a vedere nello spettacolo cinematografico il luogo del puro divertimento, dell'evasione dalla realtà quotidiana, della fuga nel sogno a occhi aperti.
Sul piano più strettamente industriale e commerciale, queste innovazioni non sempre hanno coinciso con uno sviluppo positivo. Permane una crisi produttiva che solo in parte, e in talune cinematografie, è stata risolta o è in via di soluzione. In altre si è invece aggravata, per una serie di ragioni che non afferiscono unicamente alla sfera dell'industria e del commercio, ma nascono da situazioni storiche e politiche determinate. Si pensi soltanto al crollo dell'Unione Sovietica e al nuovo assetto di non pochi stati dell'Europa orientale. Si pensi alle mutazioni sociali o alle difficoltà economiche che hanno colpito Stati, piccoli o grandi, dell'Africa, dell'Asia, dell'America Latina. Né si trascuri il fatto che, a fronte di queste difficoltà e crisi, c'è stata una rinascita del c. statunitense - forse il più sensibile a queste trasformazioni del gusto e alle nuove tendenze del pubblico giovanile, e certamente il più ricco sul piano tecnologico e finanziario - che ha conquistato i mercati mondiali con una concorrenza quantitativa e qualitativa che, in certi casi, ha sostanzialmente distrutto o ridotto a proporzioni minime la produzione locale.
Questa situazione di crisi produttiva, che ha colpito non pochi paesi e ridotto di conseguenza il panorama del c. contemporaneo, non ha impedito tuttavia il proliferare di piccole iniziative, di realizzazioni indipendenti, di prodotti poveri, di ricerche individuali, grazie anche all'economicità delle nuove tecnologie, che consentono di realizzare film e video con pochi mezzi. Di qui tutta una vasta produzione cinematografica, spesso relegata nei festival e nei circuiti alternativi, che ha un suo valore e significato e conferma la vitalità del c., a cento anni dalla sua nascita, come mezzo di espressione e di conoscenza della realtà, di svago e di spettacolo, di ricerca estetica e di sperimentazione tecnica.
Anche per gli anni Novanta, come per il decennio precedente, la produzione cinematografica degli Stati Uniti si è imposta sul mercato mondiale non soltanto per la quantità dei prodotti e la qualità tecnica e spettacolare dei medesimi, ma anche per la validità di certe proposte artistiche e il numero degli autori che si sono affermati e hanno proseguito il loro discorso estetico e culturale. La diversificazione dei generi e degli stili, dei contenuti e delle tecniche, ha inoltre favorito una varietà di film che hanno incontrato il favore del pubblico internazionale. Anche se la vecchia Hollywood ha ceduto il posto a una diversa articolazione della produzione, non più limitata ai luoghi canonici degli studi californiani, ma diffusa in tutto il paese con prevalenza di New York e dintorni, è certo che il c. statunitense ha riacquistato uno statuto di qualità, se non di omogeneità, che l'ha ricondotto ai fasti della Hollywood degli anni d'oro. Anche i generi tradizionali, seppure aggiornati nei modi e nelle forme del c. contemporaneo, sono tornati a indicare tendenze precise, gusti, motivi: dal western al dramma passionale, dalla commedia sofisticata all'avventura esotica, dal poliziesco alla fantascienza, dal cosiddetto c. civile e politico al film comico. Sebbene permangano ancora, come negli anni Ottanta, talune mescolanze, interferenze, contaminazioni, associazioni, i generi sono di nuovo individuabili come tali, con le loro caratteristiche contenutistiche e formali. Ciò significa la riconquista di modelli produttivi che avevano fatto grande il c. hollywoodiano, e anche la riproposizione di formule - situazioni drammatiche, personaggi, sviluppi narrativi, luoghi scenici ecc. - che sono parse tuttora vincenti sul piano della concorrenza mondiale.
Dei registi che si erano affermati nel corso degli anni Settanta - R. Altman, B. Rafelson, F. Ford Coppola, G. Lucas, S. Spielberg, M. Cimino, B. De Palma, J. Carpenter, M. Scorsese, J. Ivory, C. Eastwood, W. Allen, M. Brooks e altri - e di quelli che si affermarono nel decennio successivo - R. Scott, D. Lynch, L. Kasdan, O. Stone, T. Burton, R. Zemeckis, S. Seidelman, J. Jarmush, S. Lee, i fratelli J. ed E. Coen, A. Ferrara, J. McNaughton, J. Jost, J. Sayles, A. Poe e altri -, la maggior parte ha proseguito la sua carriera con notevole successo di critica e di pubblico.
Su questi registi e sulle loro opere il c. americano ha saputo costruire una struttura spettacolare di grande impatto. E se Lucas si è mantenuto ai margini, rinunciando a dirigere film per occuparsi di produzione e di alta tecnologia, e Rafelson, Carpenter, la Seidelman, Kasdan, Brooks, Poe sono parsi meno interessanti e propositivi, non v'è dubbio che, anche nel corso degli anni Novanta, i registi citati hanno confermato di essere fra gli autori più significativi del c. contemporaneo. Si pensi al grande affresco storico-musicale Kansas City (1996) di Altman, in cui osservazione minuta dei fatti e ricostruzione ambientale si coniugano in una struttura apparentemente frammentaria secondo il modello di The player (1992; I protagonisti) e di Prêt-à-porter (1994). Si pensi alla rilettura in chiave gotico-fantastica ed esistenziale, con venature di straziante melanconia, che Coppola ha fatto del romanzo di Stoker in Bram Stoker's Dracula (1992; Dracula di Bram Stoker). Ma si pensi anche a Schindler's list (1993) di Spielberg, il quale, lasciati per il momento i temi e i modi dei suoi film fantascientifici e avventurosi, ha affrontato un argomento tragico come quello dei campi di sterminio nazisti con grande senso della misura e forte impatto drammatico, per poi tornare al grande spettacolo preistorico e fantastico di The last world (1997; Il mondo perduto) e nuovamente trattare il dramma della Seconda guerra mondiale con Saving Private Ryan (1998; Salvate il soldato Ryan).
Quanto a Cimino, il cui The deep hunter (1978; Il cacciatore) aveva segnato una tappa fondamentale nel c. americano e il successivo Heaven's gate (1980; I cancelli del cielo) era stato massacrato dalla produzione sino a snaturarlo (nonostante rimanga probabilmente il suo capolavoro, nella versione integrale), egli è tornato a imporsi all'attenzione della critica e del pubblico con Sunchaser (1996; Verso il sole), lungo viaggio alla ricerca di uno scopo da dare alla propria esistenza, in cui spirito di avventura, reminiscenze storiche, scoperte ambientali, memoria di una cultura autoctona, costituiscono gli elementi di un discorso affascinante.
De Palma, in parte rifacendosi al suo stile composito e al gusto della citazione, in parte rinnovandosi nei temi e nei modi, ha realizzato nel 1993 un film di forte drammaticità, Carlito's way, tutto teso nella rappresentazione di una crisi esistenziale, per poi tornare con Mission: impossible (1996) al suo abituale mestiere corretto e vigoroso, ma un poco di maniera. Dal canto suo Scorsese, confermandosi uno dei migliori registi americani degli ultimi tre decenni, dopo la raffinata, elegante interpretazione filmica del romanzo di E. Wharton, The age of innocence (1993; L'età dell'innocenza), ha ripreso i motivi e le forme del suo c. più personale con Casinò (1996), un affresco storico-sociale del mondo corrotto del gioco a Las Vegas, in cui personaggi e ambiente paiono fondersi in una rappresentazione che rasenta, in certi momenti, il virtuosismo. Anche Eastwood, dopo una serie di film western o d'azione un poco corrivi e ripetitivi, si è affermato, soprattutto presso la critica e il pubblico giovane, come un regista di forte personalità, come si è visto, per es., in Unforgiven (1992; Gli spietati), A perfect world (1993; Un mondo perfetto), Absolute power (1996; Potere assoluto). Ivory e Allen, invece, sono parsi un poco chiusi nel loro mondo, anche se certi loro film degli anni Novanta hanno mostrato una forza di stile indubbia: si pensi a The remains of the day (1993; Quel che resta del giorno) di Ivory, dal romanzo di K. Ishiguro, e a Mighty Aphrodite (1995; La dea dell'amore) di Allen, cui hanno fatto seguito Everyone says I love you (1996; Tutti dicono I love you) e Deconstructing Harry (1997; Harry a pezzi).
Se Scott, dopo l'affascinante doppio ritratto femminile di Thelma & Louise (1991), in cui azione e contestazione, spirito d'avventura e incertezza esistenziale danno vita a una rappresentazione di grande scioltezza spettacolare, è rimasto un po' ai margini del nuovo c. americano, Lynch, invece, dopo il serial televisivo Twin Peaks e il film che ne è derivato, Twin Peaks: fire walks with me (1992; Fuoco cammina con me), opere un po' di maniera ma, come sempre in Lynch, piuttosto inquietanti, è tornato con Lost highway (1996; Strade perdute) ai temi e ai modi del suo c. stilisticamente complesso, problematico, conturbante e provocatorio, con risultati notevoli. Dal canto suo Stone, regista prolifico e discontinuo, ha ottenuto un grande successo di pubblico e di critica con Natural born killers (1994; Assassini nati) che, basandosi su un soggetto di Q. Tarantino (v. oltre), ha trattato con forte incisività il tema della violenza gratuita nella società contemporanea.
Sul versante di un c. fantastico, a volte fantasmagorico, ovvero intriso di elementi favolistici, aperto alle suggestioni del sogno, delle nuove tecnologie e degli effetti speciali, si sono mossi tanto Burton quanto Zemeckis: il primo con film di fattura anticonvenzionale, in cui il gusto per lo spettacolo si coniuga con l'ironia, da Batman (1989) ed Edward Scissorhands (1990; Edward Mani di forbice) a Batman returns (1992; Batman - Il ritorno) e Mars attacks! (1996); il secondo con alcune opere di grande suggestione spettacolare, dalla serie di Back to the future (Ritorno al futuro), la cui prima puntata è del 1985, al divertente Who framed Roger Rabbit (1988; Chi ha incastrato Roger Rabbit), al comico-commovente Forrest Gump (1994), sino a Contact (1997).
Ma è forse sul contributo di registi più indipendenti, un poco al di fuori dei grandi circuiti commerciali, che il c. americano degli anni Novanta ha costruito buona parte del suo nuovo patrimonio di idee e di proposte: registi provenienti, a volte, dal c. underground, altre volte dal documentarismo o da zone periferiche. Un c., il loro, che non rinuncia alle esigenze dello spettacolo popolare, ma vi immette, spesso, degli elementi più personali, autobiografici, ovvero tenta nuove strade rivolgendosi a pubblici più selezionati.
Si pensi a un autore come Jarmush, certamente il più noto fra i registi della cosiddetta new wave di New York. Dopo i suoi primi film degli anni Ottanta - fra cui spicca Down by law (1986; Daunbailò), non foss'altro per il successo internazionale che incontrò presso il pubblico giovanile - egli ha firmato almeno un paio di opere di grande intensità espressiva, unita a un sottile spirito caustico e a un umorismo melanconico, come Mystery train (1989) e Dead man (1995). Si pensi anche a Lee, esordiente a metà degli anni Ottanta con She's gotta have it (1986; Lola darling), regista di forte impatto sociale, attento a documentare la vita dei neri d'America in modi e forme inconsuete, mescolando provocazione e comicità, discorso politico e gusto del paradosso: per es. in Do the right thing (1989; Fa' la cosa giusta), in Jungle fever (1991), in Crooklyn (1994), in Girl 6 (1996; Girl 6. Sesso in linea), in He got game (1998), per tacere del film biografico Malcom X (1992), più esplicitamente politico.
Anche il contributo di altri registi come i fratelli Coen, Ferrara, McNaughton, Jost, Sayles, o i più giovani S. Soderbergh, W. Wang, G. Araki, R. Rodriguez, L. Clarks, K. Smith, H. Hartley e soprattutto il citato Tarantino, è stato determinante nel creare la nuova immagine del c. americano: giovane, dinamico, aggressivo, spregiudicato, come il pubblico a cui si rivolge.
Dei fratelli Coen vanno ricordati almeno Raising Arizona (1987; Arizona junior), Barton Fink (1991), The hudsucker proxy (1994; Mister Hula Hoop), Fargo (1996), The big Lebowski (1998; Il grande Lebowski), che compongono un quadro sfaccettato e prospettico di certi aspetti della mentalità americana contemporanea. Di Ferrara, si deve sottolineare la peculiarità di uno stile violento che dà forza a temi e soggetti anch'essi violenti, come Bad lieutenant (1992; Il cattivo tenente), Snake eyes (1993; Occhi di serpente), The funeral (1996; Fratelli), Blackout (1997). Uno stile che è proprio anche di McNaughton, almeno in Henry. Portrait of a serial killer (1986; Henry. Pioggia di sangue), ben più teso e provocatorio del successivo Mad Dog and Glory (1993; Lo sbirro, il boss e la bionda), che ha i toni della commedia; ha poi diretto il thriller Wild things (1998; Sex crimes - Giochi pericolosi). Sia Jost sia Sayles paiono seguire invece propri percorsi un poco ai margini del c. spettacolare. Per es. le opere raffinate del primo, come All the Vermeers in New York (1990; Tutti i Vermeer di New York) o quelle più rozze del secondo, come City of Hope (1991) e Lone Star (1996; Stella solitaria). Quanto a Soderbergh, non si può ignorare il suo Sex, lies and videotape (1989; Sesso, bugie e videotape), Palma d'oro al Festival di Cannes, divertente film su due coppie più o meno bene assortite. E un cenno almeno meritano certi film di Araki (Doom generation, 1995), di Rodriguez (Desperado, 1995), di Clarks (Kids, 1995), di Smith (Clerks, 1994; Commessi) e soprattutto di Wang e di Hartley. Il primo, nato a Hong Kong ma residente negli Stati Uniti, è autore di Eat a bowl of tea (1989) e di Smoke (1994), due film 'newyorchesi', in cui osservazione attenta dei comportamenti sociali e umorismo genuino creano situazioni ambientali piacevolissime. Il secondo ha realizzato Trust (1990), Simple men (1992; Uomini semplici), Amateur (1994) e Henry's fool (1998), che paiono fondere un certo stile alla Godard con uno spirito indagatore, leggero e sottilmente inquietante.
Ma il regista americano che può essere considerato il simbolo stesso della nuova Hollywood degli anni Novanta, e che in qualche modo ha rappresentato una nuova moda, addirittura una scuola, a cui hanno attinto non pochi giovani e meno giovani autori, tanto registi quanto sceneggiatori, è certamente Tarantino, il quale, con il 'trittico' Reservoir dogs (1992; Le iene), Pulp fiction (1994), Palma d'oro al Festival di Cannes, e Jackie Brown (1997) ha creato un c. che sa mescolare sapientemente violenza e avventura, umorismo e dramma, rappresentazione crudele della realtà e gusto dello sberleffo. Un c., il suo, che affascina e turba, e lo spettacolo pare coinvolgere a tal punto lo spettatore da non lasciargli spazio alla riflessione.
Di fronte a questo nuovo modello, registi come Ang Lee (Sense and sensibility, 1996, Ragione e sentimento; The ice storm, 1997, Tempesta di ghiaccio), B. Singer (The usual suspects, 1995; I soliti sospetti), G. Van Sant (Drugstore Cow Boy, 1989; My own private Idaho, 1991, Belli e dannati); To die for, 1995, Da morire; Good Will Hunting, 1998, Will Hunting - Genio ribelle), K. Bigelow (Point Break, 1991; Strange days, 1995) rischiano di rimanere emarginati, nonostante i loro film confermino, nella varietà delle proposte e degli stili, la fertilità di una cinematografia che continua a dominare il mercato mondiale. Come la confermano i casi isolati di Evita (1996) di A. Parker, di The people vs. Larry Flynt (1996; Larry Flynt) di M. Forman, di Cold comfort farm (1996) di J. Schlesinger, di Looking for Richard (1996; Riccardo iii - Un uomo un re) di Al Pacino, che segna l'esordio come regista dell'attore americano. Tutti esempi di una produzione che ha saputo mantenere un saldo rapporto col pubblico senza rinunciare alle ragioni dell'arte e della cultura.
Di fronte alla massiccia presenza del c. statunitense nel panorama internazionale, la situazione delle cinematografie europee risulta alquanto critica, sebbene alcune di esse - in particolare la francese, l'inglese e, parzialmente, l'italiana - abbiano dato segni di stabilità o di ripresa. Va sottolineato tuttavia il fatto che la produzione statunitense, basata spesso, come si è visto, sui grandi spettacoli con l'apporto più o meno esplicito delle nuove tecnologie, ha in qualche modo orientato la produzione degli altri paesi, non solo europei, verso diversi modelli spettacolari, certamente meno grandiosi e magniloquenti, ma, a volte, più profondi e coinvolgenti. Nel senso che, fuori dei confini del c. di grande consumo, alla moda, rivolto in particolare ai nuovi pubblici giovanili, alquanto omologati nella maggior parte dei paesi, continua a esistere, anzi a svilupparsi, un c. più attento alla vita quotidiana, ai problemi d'ogni giorno, alla situazione concreta di uomini e donne, spesso giovani, alle prese con i problemi dell'esistenza: un c. che possiamo definire più realistico, anche più politico, in quanto maggiormente attento alla realtà fenomenica e al momento storico; anche meno metaforico per il fatto che personaggi e ambienti sono più esplicitamente e direttamente confrontabili con le persone e i luoghi del vivere contemporaneo nelle diverse situazioni sociali. Così c'è stata una certa ripresa dei vecchi modelli nati dal neorealismo italiano, dalla nouvelle vague francese, dal free cinema inglese, magari adattati e aggiornati sulla realtà odierna: modelli che privilegiano il cosiddetto c. della realtà rispetto al cosiddetto c. dell'immagine.
In Italia questo movimento, che alcuni hanno voluto definire neo-neorealismo, ha avuto un rappresentante insigne in G. Amelio, autore de Il ladro di bambini (1992) e di Lamerica (1994), un film di grande rilevanza drammatica e documentaristica sulla situazione dell'Albania in un momento di profonda crisi economica, sociale e politica, in cui l'osservazione minuta della realtà si coniuga con un discorso di forte impatto politico. Su un versante più personale e intimo, e tuttavia anch'esso debitore della grande lezione di R. Rossellini, si colloca l'opera di N. Moretti, autore nel 1993 di Caro diario, un film in tre episodi di impianto marcatamente autobiografico, e nel 1998 di Aprile, anch'esso autobiografico, che proseguono il cammino intrapreso dal regista fin dal 1977 con Io sono un autarchico. Anche altri registi si muovono in un'area di analisi del reale e di ricerca espressiva che, pur nelle differenti linee di tendenza e nei diversi risultati raggiunti, può essere definita realistica o neorealistica. Pensiamo a S. Soldini (L'aria serena dell'Ovest, 1990; Un'anima divisa in due, 1993; Le acrobate, 1997), a C. Mazzacurati (Un'altra vita, 1992; Il toro, 1994; Vesna va veloce, 1996), a G. Salvatores (Mediterraneo, 1991; Sud, 1993), che tuttavia nel 1996 ha tentato anche il genere fantascientifico con Nirvana, a G. Tornatore (L'uomo delle stelle, 1995; La leggenda del pianista sull'oceano, 1998), a P. Corsicato (Libera, 1993; I buchi neri, 1995), a M.T. Giordana (Pasolini, un delitto italiano, 1995), a F. Archibugi (Il grande cocomero, 1993; Con gli occhi chiusi, 1994; L'albero delle pere, 1998), a M. Calopresti (La seconda volta, 1995; La parola amore esiste, 1998) e a W. Labate (La mia generazione, 1996), ma anche all'opera personale, complessa e multiforme di M. Martone, da Morte di un matematico napoletano (1992) a L'amore molesto (1995), a Teatro di guerra (1998) e al forte, aggressivo e polemico film di A. Capuano, Pianese Nunzio, 14 anni a maggio (1996).
In un ambito diverso, meno debitore delle nuove tendenze e più legato alle poetiche personali degli autori o a modelli filmici già consolidati, si collocano le opere più recenti di importanti registi come M. Antonioni, B. Bertolucci, P. Avati, C. Lizzani, M. Monicelli, P. e V. Taviani, M. Ferreri, F. Rosi, M. Bellocchio, R. Faenza, S. Citti, F. Piavoli e altri, diversamente impegnati in un c. di ricerca o di spettacolo, di impegno civile o di impianto letterario. Sono inoltre da menzionare i registi-attori della nuova commedia italiana, da C. Verdone (Viaggi di nozze, 1995; Gallo cedrone, 1998) a R. Benigni (La vita è bella, 1997, vincitore di tre premi Oscar), da M. Nichetti (Luna e l'altra, 1996) ad A. Benvenuti (Ivo il tardivo, 1995; Ritorno a casa Gori, 1996), a L. Pieraccioni (Il ciclone, 1996; Fuochi d'artificio, 1997), che hanno proseguito sulla strada di una comicità attenta ai mutamenti del costume e alla situazione ambientale italiana degli anni Novanta. Comicità che è stata invece portata all'eccesso provocatorio, che ne ha ribaltato la componente bonaria in una violenta satira sociale, aggressiva e stilisticamente inedita, dalla coppia D. Ciprì e F. Maresco con i loro iconoclastici Lo zio di Brooklyn (1995) e Totò che visse due volte (1998).
Con il sostegno tecnico di W. Wenders, Antonioni ha realizzato nel 1995 Al di là delle nuvole, un film a episodi di grande fascino formale, in cui i temi a lui cari, i personaggi solitari e in crisi esistenziale, gli ambienti rarefatti e le storie evanescenti, hanno ritrovato i toni giusti dei suoi film più personali degli anni Sessanta e Settanta. Bertolucci, dopo le grandi produzioni internazionali, è tornato a una dimensione spettacolare più dimessa, ma certamente più intensa e coinvolgente, in Io ballo da sola (1996) e L'assedio (1998). Avati ha proseguito sulla strada di un c. alquanto personale, fuori dei canoni abituali del c. italiano, con film non sempre convincenti, ma certamente significativi, come L'arcano incantatore (1996) e Il testimone dello sposo (1998). Lizzani, dal canto suo, ha realizzato un interessante film-documento storico, Celluloide (1995), basato sull'omonimo libro di U. Pirro, in cui si descrive la nascita di Roma città aperta. Monicelli, con Facciamo paradiso (1995), è tornato all'affresco generazionale, ma con risultati discutibili. Più coerenti e stilisticamente raffinati i fratelli Taviani con Le affinità elettive (1996), dall'omonimo romanzo di Goethe, in cui tuttavia ambienti e personaggi paiono chiusi in una dimensione stilistica calibrata, un po' di maniera; letteraria (Pirandello) è anche la matrice di Tu ridi (1998). Quanto a Ferreri, il suo ultimo film, Nitrato d'argento (1996), pur nella sua fattura apparentemente sciatta, è al tempo stesso un omaggio ai cent'anni di c. e una sua rivisitazione critica, un gioco filmico e l'amara analisi di una società in crisi. Più tradizionale e con una certa retorica è parso Rosi in La tregua (1997), trascrizione cinematografica dell'opera di P. Levi, non priva tuttavia di momenti di intensa drammaticità. Laddove Faenza, nelle sue interpretazioni filmiche di due testi letterari come Sostiene Pereira di A. Tabucchi e Marianna Ucrìa di D. Maraini - rispettivamente nei film omonimi del 1995 e del 1996 -, ha dimostrato una buona padronanza tecnica e formale; e Bellocchio, ne Il principe di Homburg (1997) tratto dal testo di H. von Kleist, ha saputo unire alla fedeltà all'originale una personale visione drammatica, tutta tenuta sui toni notturni e melanconici di una rappresentazione percorsa da bagliori laceranti. Quest'ultimo regista ha successivamente diretto La balia (1999), film tratto da un racconto di Pirandello.
Infine in una posizione appartata ma ricca di prospettive estetiche, delimitata da poetiche personali e personali ricerche stilistiche, si collocano i film di Citti e di Piavoli. Il primo è autore di una delicata favola per adulti, I magi randagi (1996), in cui lo stile abituale del regista sorregge una visione trasognata di luoghi e personaggi della tradizione popolare; il secondo ha diretto Voci nel tempo (1996), che con i precedenti Il pianeta azzurro (1982) e Nostos, il ritorno (1989) compone una sorta di trilogia sull'uomo e la natura fra il lirico e il drammatico, in cui le cose, il paesaggio, gli uomini si dispongono sullo schermo come immagini del tempo, emblemi di una realtà che pare aver ritrovato il suo significato più profondo. Registi, opere, contenuti e stili differenti che testimoniano di una sostanziale ripresa del c. italiano dopo un lungo periodo di crisi, soprattutto di idee, che ha segnato gli anni Ottanta, dominati da una produzione a volte corriva, priva di agganci con la realtà, ripetitiva e spesso incapace di stabilire con il pubblico un rapporto attivo e partecipe.
In Francia la lezione e la tradizione della nouvelle vague hanno continuato a influire sul c. delle nuove generazioni. Da un lato i registi che si erano affermati negli anni Sessanta - da C. Chabrol a J.-L. Godard, da J. Rivette a E. Rohmer, da L. Malle ad A. Resnais ad A. Varda - sono rimasti quasi tutti molto attivi, aggiornando magari il loro stile, e ovviamente i contenuti delle loro opere, ma mantenendo sostanzialmente i modi e le forme del loro c., creando in tal modo una sorta di struttura portante dell'intera produzione cinematografica. Dall'altro gli esordienti degli anni Ottanta e Novanta, pur nella diversità dei loro approcci alla realtà e al linguaggio filmico e nella differenza dei risultati artistici, si sono spesso richiamati a quei caratteri della nouvelle vague che possono essere sintetizzati in una grande libertà formale, in un discorso il più delle volte autobiografico, in una controtendenza rispetto allo spettacolo tradizionale. Se la situazione economica e commerciale del c. francese - e più in generale di quello europeo e non solo - ha risentito della forte concorrenza del c. americano, riducendo di conseguenza il numero dei film prodotti, va sottolineato il fatto che, a differenza di altri paesi (pensiamo alla Germania, oltre che ai paesi ex socialisti), la Francia ha saputo reagire mantenendo un proprio modello di spettacolo cinematografico, anche popolare e di larga udienza, che si è rivelato spesso vincente.
Dei 'maestri' del c. francese contemporaneo, il più irrequieto e anticonformista, Godard, ha continuato nel suo lavoro indipendente di ricerca, realizzando nel 1993 Hélas pour moi, un film sull'amore che si apre alle più varie suggestioni poetiche e filosofiche, nel 1996 Mozart forever, e progettando una storia del cinema per immagini 'semoventi', Histoire(s) du cinéma, di cui sono usciti alcuni capitoli. Chabrol è rimasto per certi aspetti il più fedele alla poetica dei suoi inizi: quel suo mondo borghese e piccolo-borghese, attraversato da conflitti e passioni, odi e amori, che egli ha saputo cogliere e rappresentare con uno stile incisivo e venato d'una sottile crudeltà. Si vedano Une affaire de femmes (1988; Un affare di donne) e La cérémonie (1995; Il buio nella mente), una sorta di dittico sulla situazione della donna in una società misogina e percorsa da profonde divisioni sociali e culturali, in cui la violenza si manifesta attraverso esplosioni improvvise d'odio e di vendetta. Film certamente più riusciti e convincenti di Madame Bovary (1991), una rilettura un poco sfilacciata e priva di mordente del capolavoro di Flaubert.
Quanto a Rohmer, egli ha proseguito la sua strada di indagatore attento e curioso della vita quotidiana degli adolescenti e dei giovani in una serie di film che non si discostano dal modello di quel 'cinema della parola' di cui è stato l'iniziatore, col rischio di una certa ripetizione di storie, ambienti e personaggi. Si vedano in proposito Conte de printemps (1990; Racconto di primavera), Conte d'hiver (1992; Racconto d'inverno), Conte d'été (1996; Un ragazzo e tre ragazze...), Conte d'automne (1998; Racconto d'autunno), ai quali in parte si contrappone, per un diverso approccio politico e sociale alla realtà francese contemporanea, L'arbre, le maire et la médiathèque (1993; L'albero, il sindaco e la mediateca). Rivette, dal canto suo, ha affrontato il grande tema storico e biografico di Jeanne la Pucelle (1994; Giovanna d'Arco, parte i e ii) con risultati sorprendenti, nel tentativo riuscito di ricostruire un ambiente, un personaggio, una vicenda, mantenendosi fedele ai fatti e rendendoli attuali attraverso uno stile 'rosselliniano' che coglie del reale gli aspetti più genuini. Uno stile che è presente anche in Haut bas fragile (1995; Alto basso fragile), tre storie di ragazze d'oggi, trattate con tocco leggero e divertito e con grande acume psicologico. Malle ha affrontato, con Damage (1992; Il danno), un dramma erotico e passionale di forte tensione drammatica, confermandosi regista di grande stile, ma ha anche realizzato un affascinante documentario tra finzione e realtà, Vanya on 42nd street (1994; Vanja sulla 42a strada), in cui vita quotidiana e teatro, prove di attori e messinscena si mescolano in uno spettacolo suggestivo. Resnais è tornato al gioco intellettuale e stilistico di molti suoi film precedenti col dittico Smoking/No smoking (1994), basato su una commedia assurda e ripetitiva di A. Ayckbourn, in cui le parti sono capovolte in situazioni ambientali anch'esse continuamente modificate. Un diverso gioco stilistico, ispirato ai film musicali in voga negli anni Sessanta, i cosiddetti 'musicarelli', ha caratterizzato il successivo On connaît la chanson (1998; Parole, parole, parole). Infine la Varda, un anno dopo la morte del marito J. Demy, ha voluto dedicargli un film, Jacquot de Nantes (1991; Garage Demy), tenera e affettuosa ricostruzione della sua infanzia e adolescenza.
Tra altri registi francesi, già affermati, una segnalazione meritano almeno P. Vecchiali, B. Tavernier, A. Cavalier e, in un settore di ricerca particolare, J. Rouch: i loro film continuano infatti una tradizione di serietà e impegno, che ha costituito per decenni l'asse portante della produzione cinematografica di oltr'alpe. Di Vecchiali almeno un cenno meritano Rosa la Rose, fille publique (1986; Una donna per tutti) e Encore-Once more (1988; Once more-Ancora), un forte dramma di omosessualità. Di Tavernier L'appât (1995; L'esca), sul disagio giovanile. Di Cavalier il rigoroso ed essenziale Libera me (1993), che è un appello coraggioso contro la violenza e la sopraffazione. Di Rouch infine, che è stato il promotore e il più valido rappresentante del cinéma vérité, va segnalata la continua ricerca sul campo e il passaggio dagli interessi antropologici che caratterizzavano i suoi primi film a una più lieve e curiosa osservazione della realtà in situazioni particolari, come si è visto anche in Madame l'eau (1994). A parte va considerato R. Guédiguian che, da Dernier été (1980) a Marius et Jeannette (1997), è andato componendo, di film in film, un mosaico di vita popolare marsigliese attingendo in pari misura al c. francese degli anni Trenta e a taluni modelli della commedia di costume.
Quanto alle nuove generazioni di registi, un posto significativo occupano L. Besson (Léon, 1994; Le cinquième élément, 1997, Il quinto elemento), O. Assayas (L'eau froide, 1994; Irma Vep, 1996), A. Téchiné (Les roseaux sauvages, 1994; L'età acerba), J. Doillon (Les petit criminel, 1990), C. Collard, morto nel 1993 (Les nuits fauves, 1992; Notti selvagge), M. Kassovitz (La haine, 1995, L'odio; Assassin(s), 1997) e molti altri, fra cui spiccano C. Devers, C. Denis, L. Carax, J.-J. Beineix e il veterano R. Depardon (Le captive du désert, 1990), che prosegue la sua ricerca stilistica personalissima.
Nella Gran Bretagna e nell'Irlanda degli anni Novanta il c. è venuto assumendo un ruolo di notevole significato, non solo perché alcuni nuovi registi si sono affermati anche in campo internazionale, ma soprattutto perché i temi e i soggetti trattati sono il più delle volte legati alla situazione politica e sociale, di cui sono messi in luce contraddizioni e contrasti.
Per es. l'opera di S. Frears, attento osservatore della vita della gente comune (The snappers, 1993; The van, 1996, Due sulla strada) o quella di M. Winterbotton (Family, 1993; Butterfly Kiss, 1995; Jude, 1996; Welcome to Sarajevo, 1997, Benvenuti a Sarajevo), ancor più radicale nel descrivere le condizioni disagiate delle classi subalterne. O certi film di K. Loach (Raining stones, 1993, Piovono pietre; Ladybird, ladybird, 1994), realizzati prima che l'autore si interessasse ad argomenti storici e politici più espliciti (Land and freedom, 1995, Terra e libertà; Carla's song, 1996, La canzone di Carla), e che riflettono una visione critica e problematica della realtà, rappresentandola con un realismo appassionato. Realismo che ritroviamo in P. Cattaneo (Full monty, 1998; Full monty - Squattrinati organizzati), in N. Jordan, autore di un combattivo Michael Collins (1996) e, in diversi modi e forme, in M. Leigh, regista eclettico ma di notevole interesse (Naked, 1993; Secrets and lies, 1996, Segreti e bugie). Realismo che invece si carica di valenze provocatorie, con effetti discutibili, in Trainspotting (1996) di D. Boyle, che ha suscitato scandalo.
A fianco di questa produzione che affronta questioni sociali e politiche è presente anche un c. più tradizionale, spesso di derivazione teatrale, che vede in K. Branagh uno degli autori più in voga, sia per le sue trascrizioni da Shakespeare (Much ado about nothing, 1993, Molto rumore per nulla; Hamlet, 1997), sia per certe sue incursioni in altri settori spettacolari (Mary Shelley's Frankenstein, 1994, Frankenstein di Mary Shelley; In the bleak midwinter, 1995, Nel bel mezzo di un gelido inverno). Ma nell'ambito del c. shakespeariano una menzione merita Richard iii (1996; Riccardo iii) di R. Loncraine, uno dei risultati più rimarchevoli in questo campo. Di grande fascino sono infine le opere di D. Jarman (Wittgenstein, 1993; Blue, 1993), e di P. Greenaway (The baby of Mâcon, 1993; The pillow book, 1995, I racconti del cuscino).
A fronte della vivacità del c. francese, inglese, in parte anche italiano, il c. tedesco, dopo la grande stagione dello Junger Deutscher Film, è andato a poco a poco esaurendosi per una serie di ragioni tanto economiche quanto politiche. Neppure l'unificazione delle due Germanie (1990) ha consentito una ripresa della produzione cinematografica; anzi è stata, almeno in parte, una delle cause del suo declino.
Autori isolati come W. Schroeter (Malina, 1991) o H.J. Syberberg (Fräulein Else, 1987; Ein Traum, was sonst, 1994) hanno continuato a lavorare fra alterne fortune; altri, come M. von Trotta o V. Schlöndorf, hanno perduto la loro forza originale e hanno realizzato film di scarso valore; pochi altri, come E. Reitz, hanno ottenuto un largo successo di pubblico e di critica con film complessi e di largo respiro storico (Heimat - Eine Chronik in elf Teilen, 1984, Heimat; Die zweite Heimat - Chronik einer Jugend, 1992, Heimat 2. Cronaca di una giovinezza); altri infine, come W. Herzog, tacciono da tempo (dopo il parziale insuccesso di Schrei aus Stein, 1991, Grido di pietra). È rimasto W. Wenders, regista internazionale, autore di alcuni film di grande fascino visivo e di complessa struttura formale (In weiter Ferne, so nah!, 1993, Così lontano, così vicino; Lisbon story, 1995; The end of violence, 1997, Crimini invisibili), che tuttavia rischiano di cadere nel manierismo d'autore.
La situazione negli altri paesi europei appare sostanzialmente stazionaria. Nei paesi ex socialisti, come la Polonia - in cui è ancora attivo A. Wajda - e l'Ungheria - in cui M. Jancsó tace da anni -, la produzione cinematografica pare alquanto marginale sul piano sia quantitativo sia qualitativo. In Svezia - dopo la grande stagione del c. di I. Bergman - il regista che si è fatto notare in campo internazionale è B. August. In Belgio e in Olanda, a parte qualche tentativo di rinnovamento, non si vedono segnali di reale novità. Piuttosto sono da segnalare le opere significative e spesso originali di alcuni autori europei, che si sono affermati internazionalmente negli ultimi anni.
Come, per es., lo spagnolo P. Almodóvar, che anche nei suoi film più recenti (La flor de mi secreto, 1995, Il fiore del mio segreto; Carne trémula, 1997) conferma l'originalità del suo stile e la forza del suo spirito iconoclasta. O il portoghese M. de Oliveira, che prosegue un suo discorso sul passato e il presente, la memoria storica e il destino dell'uomo, con risultati artistici sorprendenti (O convento, 1995, I misteri del convento; Viagem ao principio do mundo, 1997, Viaggio all'inizio del mondo). O il bosniaco E. Kusturica, autore di film di forte impatto formale e di non minore carica polemica come Underground (1995). O il greco Th. Anghelopulos, il cui rigore stilistico si coniuga con un'attenta osservazione della cronaca e della storia (To vlemma tou Odyssea, 1995, Lo sguardo di Ulisse; Mia eoniotita ke mia mera, 1998, L'eternità e un giorno). Per tacere dell'opera sempre interessante di registi come il finlandese A. Kaurismäki (Scènes de la vie de Bohème, 1991, Vita di bohème; Kaus pilvet karkaavat, 1997, Nuvole in viaggio), il rumeno L. Pintilie (Un été inoubliable, 1994; Un'estate indimenticabile), il turco O. Kavur (Akrebin yolculugu, 1997; La torre dell'orologio), il polacco americanizzato R. Polanski (Death and the Maiden, 1994; La morte e la fanciulla). Ma forse le novità maggiori ci vengono da giovani registi come il lituano Sh. Bartas (Few of us, 1996, Lontano da Dio e dagli uomini; The house, 1997) o il danese L. von Trier (Breaking the waves, 1996; Le onde del destino), in cui ricerca formale e spirito d'osservazione si coniugano dando origine a film di straordinario impatto visivo.
Fuori d'Europa, il panorama cinematografico, che nel corso degli anni Settanta e Ottanta si era andato arricchendo con il contributo determinante dei paesi dell'Africa e dell'Estremo Oriente, è parso, alle soglie del Duemila, ripiegarsi un po' su se stesso, per una serie di ragioni - politiche, economiche, sociali ecc. - che non è possibile trattare in questa sede.
In Egitto la figura più significativa rimane ancora Y. Chahin, prolifico regista di buon mestiere (al-Maṣīr, 1997; Il destino), mentre in altri paesi arabi (come Tunisia, Algeria, Marocco) la situazione è indubbiamente critica, al pari di quella del c. dell'Africa nera (Senegal, Mali, Burkina Faso ecc.), dopo un periodo di grande vitalità: se registi di valore come I. Oeudraogo (Kini & Adams, 1997) o G. Kaboré (Buund-Yam, 1997) continuano a lavorare, altri tacciono da tempo e i più giovani trovano non poche difficoltà ad affermarsi.
Diverso è invece il caso dell'Iran, in cui, pur in un clima politico non facile, si è sviluppata una produzione cinematografica di tutto rilievo e si è imposto all'attenzione internazionale un grande autore come A. Kiarostami, i cui film - da H̠āne-ye dust koǧast? (1987; Dov'è la casa del mio amico?) a Nemā-ye nazdīk (1990; Close up-Primo piano), da Zendegī edāme dārad (1992; E la vita continua) a Zīr-e darah̠tān-e zaytūn (1994; Sotto gli ulivi) - sviluppano contemporaneamente un discorso sul c. e sulla realtà, con una linearità di stile e una profondità di pensiero di rara efficacia. Efficacia che si ritrova anche in un allievo di Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf (Rūzī rūzegārī sīnemā, 1992, C'era una volta il cinema; Salaam cinema, 1995; Gabbeh, 1995; Nūn o goldūn, 1996, Pane e fiore), meno rigoroso, più eclettico, ma vivacissimo nel descrivere taluni aspetti della società iraniana d'oggi.
In Canada e in Nuova Zelanda i registi internazionalmente noti sono ancora, rispettivamente, D. Cronenberg (Crash, 1996) e J. Campion (Portrait of a lady, 1996; Ritratto di signora); tuttavia ci sono segni di novità che fanno bene sperare in una ripresa e in uno sviluppo di quelle cinematografie: basterebbe citare l'opera originale del canadese A. Egoyan (Calendar, 1993; Exotica, 1994; The sweet hereafter, 1997, Il dolce domani). In Estremo Oriente il c. è tuttora dominato, qualitativamente, dalla produzione cinese e, in parte, da quella giapponese.
Soprattutto in Cina, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, si è formata una nuova generazione di registi, i cui principali esponenti sono Chen Kaige (Bian zou bian chang, 1991, La vita appesa a un filo; Bawang bieji, 1993, Addio mia concubina) e Zhang Yimou (Ju Dou, 1990; Dahong denglong gaogao gua, 1991, Lanterne rosse; Qiu Ju da guangsi, 1992, La storia di Qiu Ju; Huozhe, 1994, Vivere!; Keep cool, 1997): due autori di grande sensibilità, descrittori minuziosi di ambienti e luoghi della Cina di ieri e di oggi, a volte raffinati poeti, a volte narratori corposi. Al loro fianco, ma anche in contrasto con la loro poetica, si sono mossi i giovani registi, come il polemico Zhang Yuan (Dond gong xi gong, 1996; Palazzo orientale, palazzo occidentale), che tentano di affrontare temi e problemi di maggiore attualità, scontrandosi spesso con la censura.
Anche a Taiwan e a Hong Kong (prima del ritorno alla Cina nel 1997) si è sviluppata una produzione cinematografica cospicua, che alterna film spettacolari, di genere avventuroso o violento, a film più discreti, intimisti, come quelli del grande regista Hou Xiaoxian (Beiqing chengshi, 1989, Città dolente, Leone d'oro alla Mostra di Venezia; Hsimeng rensheng, 1993, Il maestro di marionette). Sempre da Taiwan provengono i film di Edward Yang (Duli shidai, 1994, Una confusione confuciana), di Tsai Ming-Liang (Aiqing wansui, 1994, Vive l'amour; The hole, 1998, The hole - il buco), di Ang Lee (Xiyan, 1993, Il banchetto di nozze; Yinshi nan nu, 1994, Mangiare bere uomo donna), trasferitosi poi negli Stati Uniti. Da Hong Kong invece provengono i film avventurosi e fantasmagorici di Tsui Hark (Dao ma dan, 1986, Peking Opera Blues; Once upon a time in China: i, 1991; ii, 1992; iii, 1993; iv, 1994; Tri-Star, 1996), del suo allievo J. Woo (A better tomorrow: i, 1986; ii, 1987; The killer, 1989; Hard boiled, 1992; Hard target, 1993, Senza tregua; Broken arrow, 1995, Nome in codice: Broken arrow; Face off, 1997), di Wong Kar-wai, sperimentatore accanito e attento osservatore della complessa realtà del suo paese (Days of being wild, 1991; Ashes of time, 1994; Chonquin senlin, 1995, Hong Kong Express; Duoluo tianshi, 1995, Angeli perduti; Happy together, 1997), ma anche le opere Allen Fong (Fang Yuping), di Ann Hui, di Clara Law.
Quanto al Giappone, a parte l'opera di Akira Kurosawa (Madadayo, 1993; Madadayo - Il compleanno), la produzione cinematografica, dopo la grande stagione degli anni Sessanta e Settanta, dominata da Nagisa Oshima, è andata scemando a poco a poco, con scarsi risultati artistici. Tra i vecchi maestri o i registi già affermati, una menzione meritano Shohei Imamura (Unagi, 1996; L'anguilla) e Kei Kumai (Sen no Rikyu, 1989; Morte di un maestro del the, premiato alla Mostra di Venezia); tra i nuovi registi, un posto di rilievo occupa Takeshi Kitano, che sa esplorare la realtà contemporanea, violenta e incomprensibile, con uno sguardo lucido e uno stile rigorosissimo (Ano natsu, ichiban shizukawa umi, 1991, Silenzio sul mare; Sonatine, 1993; Hana-bi, 1997). Ma interessanti sono anche i film di Sogo Ishii, Takashi Ishii, e altri giovani che, in parte al di fuori della tradizione del c. nipponico, tentano una propria strada nell'analisi e nella rappresentazione della violenza nella realtà contemporanea.
Bibliografia
G. Rondolino, Storia del cinema, 3 voll., Torino 1977 (4 voll., 1995³).
J. Orr, Cinema and modernity, Cambridge-Cambridge (Mass.) 1993.
American Movies 90, a cura di M. Benigni, F. Paracchini, Milano 1994.
Annuario del cinema. Stagione 1993-94, a cura di G. De Marinis, Bergamo 1994.
M. Sesti, Nuovo cinema italiano. Gli autori, i film, le idee, Roma-Napoli 1994.
Annuario del cinema. Stagione 1994-95, a cura di G. De Marinis, Bergamo 1995.
Annuario del cinema. Stagione 1995-96, a cura di G. De Marinis, Bergamo 1996.
I. Bakari, M. Cham, African experiences of cinema, London 1996.
J. Caughie, K. Rockett, The companion to British and Irish cinema, London 1996.
Dizionario dei film, a cura di P. Mereghetti, Milano 1996.
Fury: le cinéma d'action contemporain, Aix-en-Provence 1996.
K. Khayati, Cinémas arabes. Topographie d'une image éclatée, Paris 1996.
G. Nowell-Smith, J. Hay, G. Volpi, The companion to Italian cinema, London 1996.
G. Rondolino, Dizionario storico dei film, Torino 1996.
The Oxford history of world cinema, ed. G. Nowell-Smith, Oxford-New York 1996.
R. Umard, Film ohne Grenzen. Das neue Hong-Kong Kino, Lappersdorf 1996.
G. Vincendeau, The companion to French cinema, London 1996.
G.A. Nazzaro, A. Tagliacozzo, Il cinema di Hong Kong. Spade, kung fu, pistole, fantasmi, Genova 1997.
Innovazioni tecnologiche
di Mario Calzini
Ripresa ed edizione cinematografica
Nel campo della ripresa negli anni più recenti sono state perfezionate alcune innovazioni. Certi tipi di pellicola negativa a colori hanno raggiunto sensibilità elevatissime senza accusare un eccessivo aumento di granulosità, grazie all'introduzione della tecnologia dei cristalli laminari di alogenuro. Contemporaneamente i negativi di normale sensibilità hanno guadagnato in definizione permettendo di portare sullo schermo i dettagli più minuti dell'immagine. I colori hanno acquistato saturazione e soprattutto stabilità nel tempo in modo da assicurare lunga durata delle caratteristiche originali dell'immagine. Progressi sensibili sono stati realizzati nel campo degli obiettivi, sia fissi sia a fuoco variabile. Si è esteso l'uso del montaggio off line per via elettronica, grazie a macchine che simulano il lavoro alla moviola e rendono più rapido e creativo il lavoro del montatore.
Effetti speciali per via digitale. - I maggiori progressi si sono avuti nel campo della manipolazione dell'immagine cinematografica per via elettronico-digitale. Per far questo ci si è avvalsi della tecnica detta trascrizione trasparente. Essa permette, attraverso un cammino elettronico comprendente un computer, di riprodurre su un altro negativo tutti i dettagli e i colori di un negativo originale, creandone un secondo perfettamente eguale al primo. Se nel corso della trascrizione si introducono elementi nuovi o si modifica l'immagine attraverso il computer, si possono realizzare effetti speciali di nuovo tipo, tanto da introdurre un particolare nuovo genere cinematografico.
Il sistema è teoricamente semplice: uno scanner esplora ogni fotogramma seguendo tante righe orizzontali a loro volta suddivise in segmenti. Ogni segmento rappresenta la tessera di un mosaico (tessera che prende il nome di pixel (= picture element). Utilizzando una scala discreta di valori (digit), colore e densità di ogni pixel possono essere rappresentati in forma numerica, e vengono registrati sul disco di un elaboratore elettronico. È allora possibile, trattandosi di numeri, modificarli nell'elaboratore a piacimento in modo da influire, pixel per pixel, sulla densità, sul colore e sulla reciproca posizione. È possibile sostituirli con i numeri di un altro pixel, intervenire, in una parola, sull'immagine, ricostruendola a proprio piacimento, con i soli limiti della fantasia dell'operatore. Il risultato di questo lavoro, immagazzinato su uno o più dischi, può ora essere immesso in un nuovo fotogramma, registrando su film l'immagine generata al computer. Così, fotogramma dopo fotogramma, viene costruita la scena contenente l'effetto desiderato.
Naturalmente il quadro si presenta tanto più definito quanto maggiore è il numero di tessere. Poiché la definizione di un moderno negativo a colori è dell'ordine delle 120 righe per millimetro lineare, un semplice calcolo induce a prevedere che sia necessaria la scansione di almeno 3000 righe, per non perdere la definizione verticale e registrare circa 4000 elementi lungo ogni riga per mantenere la definizione orizzontale di un fotogramma cinematografico 35 millimetri. Bisogna lavorare su 3000×4000=12.000.000 di pixel per fotogramma. Anche riducendo in parte le tessere, per tener conto delle perdite che si possono avere nel processo cinematografico, passando da negativo a positivo finale, il numero di byte che devono essere registrati nell'unità di tempo dallo scanner e poi riportati sul film dal recorder è talmente alto che non è pensabile, con l'odierna tecnologia informatica, lavorare in tempo reale. Con le macchine attuali sia la scansione, sia la registrazione richiedono ognuna mediamente 5 secondi, tempo al quale occorre aggiungere quello necessario all'operatore per l'intervento sull'immagine. Ammettendo che ogni fotogramma richieda un lavoro medio di 20 secondi, una scena di un metro (25 fotogrammi) richiederà un tempo complessivo dell'ordine delle decine di minuti: un tempo indubbiamente lungo, ma utilizzato per brevi sequenze.
Sono oggi in uso almeno due macchine che permettono la creazione degli effetti speciali per via digitale: la Cineon della Kodak e la Domino della Quantel, macchine che richiedono l'uso di elaboratori elettronici potenti e veloci dotati di imponenti batterie di hard disk per immagazzinare le immagini digitali.
Per dare un'idea dei lavori che possono essere realizzati con queste macchine si ricorda che essi comprendono la sostituzione di fondi ad avampiani animati, come si faceva per via ottica con il blue back. Malgrado la lentezza apparente delle macchine digitali, l'effetto è ottenuto in tempi più rapidi e in maniera più sicura che per via ottica. Le macchine permettono di eliminare un elemento disturbante nel fotogramma originale o, al contrario, di introdurre in esso oggetti ricavati da altri fotogrammi.
A questi effetti la televisione ci ha abituati. Ci si può domandare perché in questo settore la televisione abbia preceduto il cinema; dipende solo dal numero di tessere richieste: lo scanning di un quadro televisivo si fa rapidamente. In questo caso si ha anche a che fare con meno di 400.000 pixel/quadro, e si può operare in tempo reale. Più difficile e molto più lenta la stessa operazione quando si ha a che fare con circa 12 milioni di pixel/quadro, come richiede l'immagine cinematografica.
La possibilità di creare effetti speciali prima irrealizzabili ha fatto nascere un nuovo genere di film dal contenuto prevalentemente fantascientifico, che ha riscontrato un vasto consenso di pubblico, specie nella fascia degli spettatori più giovani.
Le nuove sale cinematografiche
Negli anni Settanta la figura della sala cinematografica classica si è andata via via modificando. La sottrazione di spettatori operata dalla televisione aveva talmente ridotto il pubblico delle grandi sale che spesso i posti occupati non erano sufficienti a renderne redditizia la gestione. Non avendo più le grandi sale ragione di esistere, nel loro spazio potevano trovare posto sale di minori dimensioni che avrebbero dato all'esercente non pochi vantaggi: per prima cosa si potevano proiettare film diversi richiamando pubblico di gusti diversi. Il sistema multisala (questo fu il nome adottato) non avrebbe reso necessario l'impiego di un maggior numero di persone, avendo un unico atrio, un unico controllo all'ingresso; inoltre, l'utilizzo di sistemi di proiezione largamente automatizzati avrebbe reso inutile la costante presenza dell'operatore in ogni cabina.
La suddivisione architettonica classica della sala viene realizzata di norma mantenendo la platea come sala principale, separando con un setto orizzontale la galleria dalla platea e suddividendo la galleria in due salette minori, con una partizione al centro. Se il locale dispone anche di un palcoscenico (come spesso avviene per le grandi sale) è possibile trasformare anche questo spazio in una o due salette sovrapposte. Naturalmente l'intervento in un locale esistente richiede l'uso di particolari accortezze da parte dell'architetto, perché devono essere rispettate le norme per una buona visione e quelle di sicurezza, oltre ad assicurare un comodo accesso a ogni sala. I divisori tra sala e sala devono essere acusticamente isolanti in modo da impedire la diafonia tra i vari locali confinanti.
Il successo dei multisala ha indotto a un passo ulteriore: la costruzione dei multiplex. Con questo termine si intende un multisala dotato di numerosi schermi (anche trenta). Realizzato generalmente al di fuori del perimetro urbano (anche per utilizzare suolo a minor costo) e disegnato appositamente per una distribuzione razionale dei passaggi e delle cabine, il multiplex non è solo un complesso cinematografico: esso è inserito in una vasta zona che può contenere ristoranti, tavole calde, zone per il ballo o il gioco, oltre a un ampio e comodo parcheggio. Numerosi sono i multiplex funzionanti nei paesi dell'Europa settentrionale e negli Stati Uniti. Il loro successo ha invertito la tendenza a rimanere in casa per seguire la televisione, riportando la gente al luogo pubblico. Il primo multiplex italiano è nato a Melzo (Milano), mentre un altro importante (18 schermi) è nato a Roma per opera della Warner (Warner village) sulla strada che collega la città con l'aeroporto. Ha la classica cabina unica tipo americano, proiettori italiani con sistemi di caricamento semi-automatico, grandi schermi, platee ad anfiteatro.
Il suono stereofonico digitale per il cinema
Il successo del compact disc ha indotto i tecnici del c. ad applicare il sistema digitale anche alle colonne sonore. Avendo raggiunto, ancora con il sistema analogico, un alto grado di qualità nella stereofonia, occorreva che il nuovo suono digitale fosse anch'esso stereofonico.
Dopo alcuni esperimenti canadesi, una grande ditta, fabbricante materiale sensibile, studiò una pellicola per il negativo-suono ottico che permetteva di incidere e di leggere delle areole del diametro medio di 12 μm, areole che avrebbero rappresentato nel sistema digitale altrettanti bit. Poiché la colonna sonora classica è larga 2,54 mm (=2540 μm), considerando anche un certo spazio di separazione tra bit e bit, su ogni riga trasversale del sistema potevano trovare posto 2540/15=169 bit. Per lasciare una certa ridondanza, il numero dei bit/riga fu ridotto a 150. Considerando che in ogni mm di colonna sonora possono trovarsi 1000/15=66 righe, si ha un totale di 150×66=9900 bit/mm lineare di colonna. Scorrendo il film alla velocità standard (457,2 mm/s), in un secondo sarebbero passati 9900×457,2=4.526.280 bit. Riuniti in pacchetti (word) di 16 bit, la campionatura poteva essere pari a 4.526.280/16=283.892 word al secondo. Considerando ancora una suddivisione in 5 canali di suono, ciascun canale digitale risultava campionato a 283.892/5=56.578 campioni al secondo, molto più frequentemente che nel compact disc, dove la campionatura raggiunge la frequenza di 41.100 campioni/secondo. Questo sistema riusciva ad avere quindi 5 canali di suono, ognuno in grado di riprodurre 2¹⁶=65.536 livelli di suono. I 5 canali venivano destinati uno al centro dello schermo, due a ognuno dei due lati, il quarto e il quinto al surround (suono ambientale) stereofonico, mentre il canale del subwoofer (altoparlante speciale posto anch'esso dietro lo schermo e destinato alla riproduzione delle basse frequenze) era derivato dai due canali del surround tramite filtraggio a 150÷200 Hz.
Il primo esperimento confermò la possibilità del film di registrare un suono digitale di qualità superiore a quello del CD-ROM, ma il sistema presentava molti inconvenienti pratici: per prima cosa si doveva usare una pellicola speciale, di un unico produttore, ma ancora più grave era il fatto che, avendo la sola colonna digitale, il film poteva essere proiettato solo nelle sale dotate della relativa apparecchiatura. Infatti, malgrado i suoi indubbi meriti, il sistema ebbe uno scarso successo commerciale. L'unico film importante realizzato è stato Dick Tracy (1990).
Fu così che nacque un sistema compatibile, tale cioè da poter essere impiegato sia nei cinema attrezzati per il digitale, sia in quelli non ancora pronti. I segnali digitali lasciarono quindi la posizione classica della colonna sonora analogica, che rimase al suo posto, e trovarono spazio sotto forma di pacchetti tra una perforazione e l'altra (sistema SRD, Dolby Spectral Recording Digital) Per ridurre lo spazio destinato alle informazioni digitali senza dover ricorrere a una pellicola speciale, si riuscì a realizzare la compressione dei dati (nel rapporto di circa 18:1) mediante tecniche di elaborazione utilizzanti algoritmi che cancellassero frequenze ritenute superflue o ininfluenti sulla base di studi psicoacustici.
Poiché la concorrenza spinge a nuove soluzioni, ma non consente, almeno in un primo momento, la creazione di uno standard unificato, un gruppo di industriali si rivolse a un secondo sistema denominato DTS (Digital Theater System), anch'esso molto valido. Sembrò un passo indietro, un ritorno al vecchio vitaphone, ma non lo era. Il suono era registrato su dischetti separati, dei CD-ROM, che alcuni segnali, posti sul bordo della colonna ottica analogica (che rimaneva sempre al suo posto) sincronizzavano perfettamente con il film. Erano sufficienti solo due dischetti a contenere tutto il suono di un film, anche di notevole lunghezza.
Nel 1993 il film Last Action Hero utilizza il nuovo sistema sonoro SDDS (Sony Dynamic Digital Sound) a 8 canali sonori, anziché 5, per ulteriori due gruppi di altoparlanti, posti a metà schermo su entrambi i lati ed evidentemente destinato ai grandissimi schermi, con base di oltre 20 metri, che stanno sorgendo nelle grandi sale moderne. Nel SDDS la colonna sonora digitale è posta ai due bordi laterali della pellicola (d in fig. 2) su due piste digitali analoghe, ciascuna formata da 6 tracce: 4 tracce per lato costituiscono i canali audio (rispettivamente di destra e di sinistra) stereofonici, mentre le rimanenti 2 sono relative al backup mixato dei 4 canali presenti sul bordo opposto, insieme ai vari segnali di riferimento (firma, numeri di bordo, numeri di emulsione, key code ecc.), da utilizzare come riserva, decodificandoli, solo in caso di necessità.
La presenza contemporanea di tre differenti sistemi obbliga gli esercenti a cospicui investimenti, ma, pur di recuperare il pubblico che la televisione aveva eroso, molte vecchie sale, e tutte le nuove, si sono attrezzate con almeno due dei tre sistemi.
Il sistema multisala (e multiplex), con il grande schermo e la stereofonia digitale, ha fatto compiere al c. un notevole passo in avanti, tanto che il pubblico sta ritornando nei locali dove le presenze aumentano di giorno in giorno. Se questo sia un fenomeno momentaneo o stabile ce lo diranno i prossimi anni, quando anche la televisione si modificherà per riportare lo spettatore a quell'ipotizzato schermo di casa che sarà computer, visione interattiva, realtà virtuale e altissima definizione.
Il restauro delle opere cinematografiche
Il restauro chimico-fisico
L'opera cinematografica è purtroppo registrata su un materiale facilmente deperibile. Si calcola che di tutto quanto è stato filmato nell'intero periodo del c. muto sia oggi disponibile per la visione solo un 20%: tutto il resto è andato irrimediabilmente perduto. Ciò è dovuto al fatto che nei primi tempi gli stessi autori non consideravano le loro opere tanto importanti da dover essere trasmesse ai posteri, mentre i produttori, finito lo sfruttamento commerciale, distruggevano copia e negativi per recuperare l'argento e in qualche caso (Ch. Pathé) anche il supporto.
Né purtroppo si può dire che quanto rimane, come del resto quanto si produce attualmente, sia al sicuro dal deperimento: il restauro e la conservazione hanno il solo scopo di far arrivare le opere fino a quando non sarà possibile utilizzare un mezzo che offra una durata nel tempo indefinita, come, si suppone, la tecnologia digitale.
La difficoltà del restauro dei vecchi film deriva soprattutto dal fatto che non si opera su un unico documento, come nel caso di un quadro, un affresco, una statua, ma su un oggetto che è stato riprodotto in molteplici copie e su un supporto, come si è detto, labile. Inoltre, va sottolineato che le copie disponibili non sono tutte identiche, per gli interventi fatti in epoche successive dallo stesso autore, imposti dalla censura o da ragioni commerciali.
È quindi necessario che il primo passo di un vero restauro, specie se di opera antica, sia quello di raccogliere il massimo di elementi (il testo della sceneggiatura, anche se essa rappresenta solo il progetto e spesso non ha un riscontro preciso con il film poi girato, gli scritti e le critiche dell'epoca) e, soprattutto, la maggior quantità possibile di copie e anche di frammenti depositati o dispersi tra cineteche e privati.
Per stabilire l'anno di produzione risulta molto utile, se disponibile, il bollo di censura che riporta anche la lunghezza originale del film. Talvolta il numero progressivo della scena era riportato in inchiostro sul primo fotogramma negativo di ognuna di esse, confermando l'ordine e la completezza dell'opera. Con pazienza, confrontando le copie, i frammenti e i documenti trovati, si può ricostruire la sequenza delle scene che più si avvicina a quella dell'opera originale. Possono essere di grande utilità, quando si ritrovano, i 'quaderni di descrizione delle parti', che sono in sostanza un'opera di postproduzione, schemi necessari per incollare l'una dopo l'altra le varie scene positive dopo la stampa e l'eventuale colorazione, come veniva fatto all'epoca del muto.
Il film è essenzialmente costituito dal supporto e dall'emulsione. Quest'ultima è la sede dell'immagine, il supporto è il materiale sul quale l'emulsione viene applicata. Nel corso dei cento anni della storia del c., per l'evoluzione della tecnica, il supporto è cambiato almeno tre volte.
Il primo supporto è stato la celluloide, un nitrato di cellulosa con aggiunta di plastificanti e solventi, che viene purificato per essere reso trasparente, e infine laminato. La celluloide (inventata dai fratelli Hyatt nel 1869) apparve ai pionieri del c. un supporto ideale, resistente e nello stesso tempo flessibile, tanto che, malgrado i suoi inconvenienti, fu utilizzata fino agli anni Cinquanta. La celluloide, infatti, è un materiale facilmente infiammabile e instabile, in quanto si autodistrugge per decomposizione, attaccata dai vapori nitrosi che essa stessa sprigiona. La decomposizione abbassa progressivamente il grado di ignizione, tanto che quando si arriva allo stadio di polverizzazione, la temperatura di ignizione è scesa a soli 41 °C. La principale causa della scomparsa di moltissime opere è infatti l'autocombustione.
Alla celluloide, alla fine degli anni Cinquanta, fu sostituito il triacetato di cellulosa, autoestinguente e quindi non pericoloso. Tuttavia anche il triacetato si è dimostrato attaccabile, sia pure in tempi lunghi e in particolari condizioni, dall'acido acetico che si libera dal composto. Scomparsa la celluloide, i film utilizzano in gran parte il triacetato.
Un nuovo supporto sostituisce oggi il triacetato, specie per i materiali d'archivio: il poliestere (tereftalato di polietilene), assolutamente stabile, con caratteristiche di resistenza allo strappo superiori al triacetato, grande flessibilità e trasparenza, eccezionale stabilità dimensionale.
L'emulsione viene stesa sul supporto in più strati, i principali dei quali contengono l'immagine, sia essa a colori o in bianco e nero. Tale emulsione è costituita da gelatina animale raffinata nella quale sono disciolti o dispersi i prodotti sensibili, filtri colorati e prodotti antistatici. I progressi nel campo dei prodotti chimici immessi nei vari strati e il modo di applicare questi ultimi, impedendone la reciproca contaminazione, hanno permesso di migliorare notevolmente la qualità dell'immagine sia come definizione sia come gamma cromatica, di assicurare una maggiore durata nel tempo e di rendere più rapido e quindi più economico il processo di fabbricazione della pellicola.
A seconda della loro funzione, i documenti filmati sono distinti in diversi tipi:
Negativo originale. È il materiale che, passando nella macchina da presa, viene utilizzato per formare le varie scene del film, tagliate nella loro lunghezza utile e aggiuntate tra loro; il negativo originale può essere in bianco e nero o a colori (oggi del tipo monopack).
Master positivo. Detto anche lavander (o lavanda), è un film in bianco e nero a basso contrasto, ricavato per stampa dal negativo originale, dal quale possono essere tratti, sempre per stampa, i duplicati negativi.
Duplicato negativo. Detto anche controtipo o dupe, rappresenta una copia, la più perfetta possibile, del negativo originale. In genere le copie di distribuzione che passano nei cinema sono stampate dal controtipo, a protezione dei negativi originali.
Copie di distribuzione. Sono le copie che vengono stampate per essere distribuite nei cinema per le proiezioni commerciali. Buona parte di queste copie, essendo oggi usate in sistemi di proiezione automatizzati, sono su supporto in poliestere.
Interpositivo. Pellicola a colori monopack a basso contrasto che (come il lavander), ricavata dal negativo originale a colori, permette, a protezione di esso, di stampare dei duplicati negativi a colori.
Internegativo. Detto anche duplicato negativo (a colori) è, come per il bianco e nero, un secondo negativo dal quale trarre le copie di distribuzione; può essere inviato all'estero per la stampa delle copie straniere.
Selezioni tricrome. Possono essere tre negativi originali, girati con il sistema three strips o tre positivi ricavati dal negativo originale monopack, per protezione contro l'instabilità dei colori. Ognuna delle selezioni contiene rispettivamente le informazioni rosse, verdi e blu dell'immagine, secondo i canoni della tricromia.
Il restauro del negativo originale
Il recupero di un film, del quale non esista né un buon master positivo completo (o un interpositivo), né un buon controtipo, può essere fatto, dopo l'esame filologico, usando sulle copie disponibili mezzi chimici, fisici e fotografici. Oggi è possibile ottenere straordinari risultati con metodi informatici, che tuttavia sono ancora lenti e costosi.
Le operazioni di restauro manuale partono da un accurato controllo dello stato fisico, da un lavaggio, in acqua o in solventi volatili, a volte da una pulizia manuale fotogramma per fotogramma. È indispensabile un controllo e un eventuale rifacimento o rinforzo delle giunte, che rappresentano la parte più debole di un vecchio negativo. Le parti irrimediabilmente rovinate vengono sostituite da duplicati ripresi da altri documenti recuperati. Le perforazioni vengono riparate incollando delle strisce perforate ai lati del film ricavate da frammenti di pellicola della stessa epoca e tipo.
Una volta restaurato, il negativo originale, se con supporto infiammabile, deve essere duplicato su supporto di sicurezza e per questo occorre fare prima di tutto un master positivo (lavander) dal quale si può riprodurre un numero illimitato di duplicati negativi, salvando così il film. La stampa del lavander viene effettuata con macchine adattate al passo delle perforazioni, spesso ridotto a causa dell'eventuale restringimento del supporto.
Se il negativo presenta segni di usura o righe superficiali, è opportuno ricorrere, per realizzare il lavander, alla cosiddetta stampa sotto liquido. Questa consiste nel coprire il film con un liquido o nell'immergerlo in esso. Il liquido, avendo lo stesso indice di rifrazione dell'emulsione, maschera le imperfezioni superficiali del film durante la stampa.
Il colore mancante può essere rigenerato, sia pure sempre con modesti risultati, o per via chimica o per via fisica. Per via chimica si possono studiare trattamenti che rigenerano il colore che si sta trasformando nella sua leucobase. Per via fisica si può tentare di trarre dal negativo, nel quale si è sostanzialmente perso il contrasto di uno o più coloranti, delle selezioni a forte contrasto in modo da rigenerarne almeno una parte. Altre volte si tenta con stampe speciali, usando la velatura controllata (flachatura) in particolari colori, di recuperare quello che si è perduto. Purtroppo nessuno di questi metodi garantisce risultati ottimali, tuttavia essi consentono di migliorare una situazione altrimenti compromessa.
Il restauro delle vecchie copie. - Nei primi tempi del c. le successive fasi dello sviluppo avvenivano su telai di capienza limitata: le varie scene erano sviluppate una per una e poi incollate tra loro, nell'ordine indicato nei 'quaderni di descrizione delle parti', i quali contenevano il numero progressivo, la lunghezza, una breve descrizione e le indicazioni per l'eventuale colorazione. Infatti buona parte dei film muti conteneva scene virate, imbibite o sottoposte a mordente con colori convenzionali che si adattavano al tipo di scena.
Generare oggi copie con i colori di allora non è semplice né sempre possibile: usando la pellicola a colori, con appositi filtri o velature, si è tentato di ritrovare le colorazioni originali, ma ciò è risultato molto difficile, anche ricorrendo a vari metodi. Alcuni laboratori di restauro hanno rimesso in uso gli strumenti originali per rifare i viraggi e le imbibizioni, così da ricreare le condizioni dell'epoca. L'abilità e la pazienza di alcuni restauratori hanno permesso di ottenere copie di alcuni vecchi film sicuramente molto simili, come sequenza delle scene e come colorazione, agli originali dell'epoca. È il caso di Cabiria (1914), che il Museo nazionale del cinema di Torino ci ha restituito come lo aveva ideato G. Pastrone, ritrovando e reinserendo le parti che la censura di allora aveva fatto eliminare, virando scena per scena e imbibendo il film con i sistemi dell'epoca, ricostruendo le didascalie nello stile originale. Oggi si tende a utilizzare sempre più il restauro per via informatica (restauro elettronico o digitale).
Il restauro dell'immagine con il sistema digitale
Avendo in mano un mezzo potente d'intervento sull'immagine cinematografica, la trascrizione trasparente, si è applicato lo stesso mezzo alla ricostruzione di parti danneggiate dei film vecchi o nuovi. Con la tecnica digitale è relativamente facile eliminare alcuni difetti non correggibili con quella puramente ottica, conservando la definizione originale.
Il restauro avviene con lo stesso sistema usato per la creazione degli effetti speciali: l'originale o la copia disponibile, dopo un primo controllo e sistemazione fisica, vengono passati allo scanner. Sul computer l'immagine è riportata, fotogramma per fotogramma, su un nuovo film. Si possono così sostituire i fotogrammi mancanti, presi da altre copie o da altri frammenti, ristabilire il formato originale, cancellare quel pulviscolo detto in gergo spuntinatura. Alcune operazioni sono automatizzate con appositi programmi di software come quello, per eliminazione della spuntinatura, che evita di ritoccare a mano fotogramma per fotogramma. È possibile mascherare un taglio o uno strappo che prenda qualche fotogramma: i lembi della pellicola danneggiata vengono per così dire accostati elettronicamente e nel punto di giuntura si opera un ritocco che copre le piccole parti eventualmente mancanti. Data la lentezza e gli alti costi delle macchine digitali, questo tipo di restauro per ora viene esteso generalmente a brevi sequenze o anche solo ad alcuni fotogrammi.
Con il restauro elettronico è possibile anche ricreare fotogrammi o parti di fotogramma mancanti: questo si ottiene, se non si dispone di altra copia, facendo una media tra i valori dei pixel del fotogramma precedente e quelli del fotogramma seguente.
Per i film più recenti, e in particolare per quelli a colori in cui uno o più colori appaiono sbiaditi per la naturale degradazione del colorante, chimicamente instabile, o per la cattiva conservazione o trattamento, si può intervenire aumentando il contrasto del singolo colore degradato, operazione praticamente impossibile e comunque insoddisfacente con gli ordinari mezzi chimici o fisici del restauro classico.
Senza voler affermare che nel prossimo futuro il restauro elettronico potrà sostituire quello classico che usa la pulitura fisica e gli interventi fotografici e chimici, certamente, quando i costi e i tempi delle macchine si saranno ridotti, il restauro si avvarrà assai frequentemente del mezzo elettronico che ha inoltre il merito di non intervenire, modificandolo, sul documento originale.
Il restauro digitale della colonna sonora
Analogamente, per via digitale, possono essere restaurate colonne sonore delle quali siano arrivate a noi vecchie copie, con un forte rumore di fondo (per le successive trascrizioni) e con rumori che si sono aggiunti per la presenza di giunte in cattivo stato, di usura o graffi sul film.
La colonna originale viene trascritta in forma digitale su un nastro magnetico (come il DAT, Digital Audio Tape) e questo viene posto su una macchina (come il cine box), che permette di visualizzare il diagramma della colonna sonora corrispondente a un ristretto intervallo di tempo. Si può allora, con l'ausilio della macchina, prelevare una determinata lunghezza della colonna sonora e trasferirla o duplicarla in altra posizione, dove il suono è scomparso. Si possono cancellare materialmente rumori improvvisi dovuti a giunte, graffi, segni di usura. Si può anche eliminare o ridurre il rumore di fondo, se costante, prelevandone la modulazione da una zona di silenzio e poi sottraendone i valori digitali lungo tutto il rullo. Poiché i byte sono molto meno di quelli necessari per la costruzione dell'immagine, il lavoro è molto più semplice e veloce. Si ottiene alla fine un nastro magnetico digitale rigenerato che può essere trascritto a formare un nuovo negativo-suono.
Conservazione dell'opera restaurata
Il lavoro di restauro ha i suoi limiti: rigenera o completa quanto è rimasto del negativo originale, ma il nuovo negativo (o positivo), una volta fatto e approvato, non può essere usato, pena la comparsa di nuovi eventuali difetti. Esso dev'essere considerato intoccabile e conservato nelle migliori condizioni possibili. Il prodotto fruibile è dunque l'interpositivo (o l'internegativo) o il master positivo (lavander) o il dupe, da esso ricavati. Da questo si realizzeranno i duplicati negativi che produrranno le copie 'restaurate'. Avremo così sempre un prodotto almeno di seconda generazione e quindi di qualità non eguale a quello restaurato.
Solo quando la trascrizione trasparente sarà divenuta più rapida e meno costosa, potremo ricavare dal negativo originale restaurato un nuovo negativo perfettamente uguale al primo, tale quindi da fornirci copie come se fossero di prima generazione. Meglio ancora, si potrà in futuro tradurre il film su un nuovo supporto che ne assicuri una durata indefinita senza perdita di qualità. I progressi che sono stati realizzati nel campo dei CD-ROM e dei nastri magnetici di tipo TDF lasciano sperare che, entro pochi anni, il nuovo supporto a durata indefinita non sia più un sogno, ma una realtà.
Rispetto al CD-ROM (che può contenere in un disco solo poche sequenze di un'opera cinematografica), il DVD (Digital Versatile Disk) è in grado di ospitare in un solo disco anche un intero film. Questo disco è formato da due strati che permettono di raddoppiare la capienza: in un primo passaggio il raggio laser è focalizzato sul primo strato che, essendo trasparente, permette una seconda focalizzazione indipendente sullo strato più interno. Vedi tav. f.t.
Bibliografia
Stereostory. Un secolo di riproduzione sonora, Roma 1984.
Le botteghe dell'immaginario, Roma 1986.
S. Lambert, J. Sallis, Il videodisco interattivo e i CD I, Milano 1987.
F. Faraco, T.M. Lazzari, C.A. Marchi, Editoria elettronica e memorie ottiche, Pomezia 1988.
E. Pasculli, Il cinema dell'ingegno. Narrazione, immagine, tecnologia, s.l. 1990.
M. Calzini, Storia tecnica del film e del disco. Due invenzioni - una sola avventura, Bologna 1991.
N. Negroponte, Being digital, New York 1995 (trad. it. Milano 1995).
Legislazione
di Giuseppe Santaniello
La legislazione sul c. rispecchia la complessità del fenomeno cinematografico, che si presenta oggi in maniera articolata e con strutture poliedriche. Esso non rappresenta solo una forma particolare di manifestazione del pensiero, nei profili di rilievo culturale e nelle implicazioni di carattere sociale, ma acquista una specifica dimensione anche dal punto di vista industriale in riferimento sia alla produzione sia alla distribuzione e all'offerta al pubblico.
Bisogna considerare che la cinematografia presenta una linea di continua evoluzione specialmente nei periodi più recenti, sicché i temi della legislazione del settore sono diventati sempre più numerosi. E inoltre si sono ampliati gli ambiti territoriali entro i quali operano, a vari livelli, le diverse normative, alcune delle quali trovano la loro fonte nella legislazione nazionale e altre in quella regionale. Un ambito particolarmente rilevante è costituito dalle normative per lo sviluppo e il potenziamento delle attività cinematografiche, per l'istituzione di 'fondi' speciali e di strutture preposte alla gestione.
In un campo così vasto di regole miranti a disciplinare i molteplici momenti e le diverse fasi della cinematografia, meritano di essere indicati alcuni punti di particolare rilievo: a) un capitolo importante della disciplina pubblicistica della cinematografia è quello attinente ai rapporti del c. con la televisione. Tra i due mezzi esiste una interdipendenza dal punto di vista espressivo e imprenditoriale; è logico che gli assetti dell'industria cinematografica e quelli dell'emittenza televisiva convergano, sempre più intensamente, verso una confluenza di interessi e un intreccio di rapporti; b) nel settore della cinematografia, particolarmente rilevante è la produzione di leggi regionali. Già il d.p.r. 24 luglio 1977 nr. 616 aveva riconosciuto alle Regioni una possibilità di intervento in ordine alle attività di prosa, musicali e cinematografiche. E tale attività regionale ha assunto, dagli anni Ottanta in poi, un ritmo crescente, sicché - come è stato rilevato esattamente da R. Zaccaria (1989) - possono individuarsi tre tipi: 1) una forma di intervento caratterizzata da misure di contenuto finanziario; 2) una serie di misure di tipo organico con soluzioni di carattere strutturale e con provvedimenti di efficacia pluriennale; 3) la previsione di organizzazione diretta di spettacoli e manifestazioni. Tale tipo di intervento è affidato soprattutto agli enti locali, che si avvalgono di appositi contributi delle Regioni; c) un filone legislativo si rinviene anche nell'ambito penale: le disposizioni penali in materia di cinematografia e teatro sono contenute non solo nel codice penale (artt. 528-529, artt. 666-668), ma anche nella legislazione speciale (l. 21 apr. 1962 nr. 161, art. 15, modificato dalla l. 1° marzo 1994 nr. 153, e l. 4 nov. 1965 nr. 1213, art. 40).
Nel più ampio contesto delle norme per la protezione del diritto di autore si inserisce l'art. 171 ter della l. 22 apr. 1941 nr. 633, introdotto dal d. legisl. 16 nov. 1994 nr. 685 (che ha abrogato la l. 20 luglio 1985 nr. 400). In particolare tale disposizione punisce con la reclusione da 3 mesi a 3 anni e con la multa chiunque abusivamente duplica o riproduce a fini di lucro, con qualsiasi procedimento, opere destinate al circuito cinematografico o televisivo.
Una normativa di ampia portata è racchiusa nella l. 1° marzo 1994 nr. 153. I suoi punti qualificanti sono i seguenti:
- ai fini del riconoscimento della nazionalità italiana il film viene definito come lo spettacolo realizzato su supporti di qualsiasi natura con contenuto narrativo o documentaristico (purché opera dell'ingegno), destinato al pubblico, prioritariamente nella sala cinematografica, dal titolare dei diritti di utilizzazione. In relazione all'ammissione ai benefici previsti, le componenti artistiche e tecniche dell'opera filmica sono: regista italiano, autore del soggetto italiano, sceneggiatore italiano, interpreti principali in maggioranza italiani, uso di industrie tecniche e di teatri di posa italiani;
- i lungometraggi nazionali sono ammessi ai benefici, purché presentino, oltre che adeguati requisiti di idoneità tecnica, anche sufficienti qualità artistiche, o culturali o spettacolari. Senza pregiudizio della libertà di espressione, non possono essere ammessi ai benefici stessi i film che sfruttino volgarmente temi sessuali o di speculazione commerciale;
- l'art. 12, nel regolare i rapporti tra programmazione televisiva e opere filmiche, dispone che tali opere sono suscettibili di sfruttamento da parte delle emittenti televisive solo dopo che siano trascorsi 24 mesi dalla prima uscita dei film nelle sale cinematografiche in Italia;
- la norma di cui all'art. 13 introduce importanti regole inerenti alle operazioni di concentrazione, stabilendo che in materia di concorrenza si applicano, in quanto compatibili, le medesime disposizioni della normativa generale 'antitrust' fissata dalla l. 10 ott. 1990 nr. 287. In particolare, le operazioni di concentrazione debbono essere preventivamente comunicate all'autorità garante della concorrenza e del mercato, qualora attraverso la concentrazione si venga a detenere o controllare, anche in una sola delle dodici città capo-zona della distribuzione cinematografica, una quota di mercato superiore al 25% del fatturato della distribuzione cinematografica e contemporaneamente del numero delle sale cinematografiche ivi in attività;
- specifiche regole sono rivolte a dare una formula definitoria precisa alle associazioni nazionali e ai circoli di cultura cinematografica, indicandone i requisiti necessari nonché le possibilità di fruizione di contributi;
- viene delineata una normativa di carattere generale per la concessione dei mutui alle imprese cinematografiche;
- è istituito il pubblico registro per la cinematografia, tenuto dalla SIAE, nel quale sono iscritte tutte le opere filmiche prodotte o importate in Italia e destinate alla programmazione nelle sale cinematografiche.
I profili sopra delineati danno una dimostrazione della complessità e della vastità della nostra legislazione in materia di cinematografia. In particolare la disciplina del settore, nei suoi aspetti pubblicistici, ha originato un apparato normativo e organizzativo di notevole ampiezza. La particolare forma di manifestazione del pensiero, che inerisce all'opera filmica, la capacità dei messaggi filmici di penetrare nella società giustificano pienamente l'attenzione del legislatore, la cui opera richiede un costante adeguamento a una realtà in continuo sviluppo.
Sotto tale profilo deve segnalarsi che al fine di razionalizzare l'assetto organizzativo delle varie commissioni e comitati, istituiti per legge, operanti nel settore dello spettacolo, il d. legisl. 8 genn. 1998 nr. 3, dando attuazione alla delega prevista dalla l. 15 marzo 1997 nr. 59, ha dettato le norme per il riordino degli organi collegiali operanti presso la presidenza del Consiglio (dipartimento spettacolo). Inoltre con il d. legisl. 18 nov. 1997 nr. 426 il Centro sperimentale per la cinematografia, già ente pubblico istituito con l. 24 marzo 1942 nr. 419, è stato trasformato in fondazione, con la nuova denominazione di Scuola nazionale del cinema, sul presupposto che la personalità giuridica di diritto privato consente un migliore e più razionale svolgimento delle funzioni dell'ente.
Bibliografia
S. Santoro, Considerazioni preliminari intorno al telefilm, in Diritto delle radiodiffusioni e delle telecomunicazioni, 1969, p. 221.
E. Modica, Riforma del cinema e decentramento, in Comune democratico, 1971, 4, p. 67.
Intervento pubblico e libertà di espressione nel cinema, nel teatro e nelle attività musicali, a cura dell'ISLE (Istituto per la documentazione e gli studi legislativi), Milano 1974.
R. Ferrara, L'amministrazione dello spettacolo, appunti e riflessioni, in Foro amministrativo, 1980, 1, p. 545.
P.V. Pinto, Le attività collaterali della RAI: l'intervento nel settore cinematografico in Italia, in La legislazione italiana sulla cinematografia, Milano 1982.
R. Zaccaria, Cinematografia, disciplina amministrativa, in Digesto. Discipline pubblicistiche, Torino 1989, vol. 3°.
Premi Oscar
Le statuette degli Oscar vennero assegnate per la prima volta il 16 maggio 1929 al Roosevelt Hotel di Hollywood. Malgrado fosse già stato realizzato il primo film sonoro, The jazz singer di Alan Crosland (1927; Il cantante di jazz), tutti i film candidati e premiati durante questa prima edizione erano muti. Le categorie erano così suddivise: miglior film, miglior regia per film drammatico, miglior regia per film brillante, miglior attore, miglior attrice, miglior sceneggiatura originale, miglior sceneggiatura non originale, miglior fotografia, miglior scenografia, miglior disegno dei titoli di testa di film, migliori costruzioni drammatiche. Dall'edizione successiva, il premio per la regia non venne più suddiviso in film drammatico e brillante, ma unificato. Il premio per la migliore colonna sonora venne assegnato per la prima volta nel 1934. Quello per il miglior film straniero nel 1947. Nelle edizioni 1928-29 e 1929-30 è stata assegnata un'unica statuetta per la sceneggiatura. La divisione del premio tra sceneggiatura originale e non originale riapparve nell'edizione 1930-31. Dal 1939 venne suddiviso anche il premio nella categoria per la miglior fotografia: miglior fotografia in bianco e nero e miglior fotografia a colori. Questa suddivisione rimase inalterata fino all'edizione del 1967 (con l'unica eccezione del 1957, quando è stata assegnata un'unica statuetta a Jack Hildyard per The bridge on the river Kwai, 1957, Il ponte sul fiume Kwai). Dal 1967, poi, essendo diventata sempre più rara la realizzazione di film in blanco e nero, sono state premiate solo pellicole a colori. Solo nel 1994 Janusz Kaminski ottenne l'Oscar per Schindler's List, opera girata prevalentemente in bianco e nero. Anche il premio per la miglior scenografia venne suddiviso (bianco e nero e colore) dal 1940 e, come per la fotografia, tale separazione restò immutata fino al 1967 (con le eccezioni per le edizioni 1957 e 1958 in cui venne assegnata un'unica statuetta per la categoria). La categoria della colonna sonora ha avuto, nella storia degli Oscar, un'esistenza movimentata. La prima statuetta per le musiche cominciò a essere assegnata dal 1934. Già dal 1938 il premio per la colonna sonora venne separato da quello per la colonna sonora originale. Dal 1941 l'Oscar cominciò a essere assegnato alla miglior colonna sonora per film drammatico e alla miglior colonna sonora per film musicale. L'anno successivo la denominazione 'miglior colonna sonora per film drammatico' subì una nuova variazione: 'miglior colonna sonora per film drammatico o brillante'. Dal 1950 l'attributo brillante venne sostituito da commedia, ma dal 1953 questa sotto-categoria tornò a chiamarsi 'colonna sonora per film drammatico o brillante'. La divisione tra miglior colonna sonora per film drammatico o brillante e miglior colonna sonora per film musicale restò immutata fino al 1961, con l'eccezione del 1957, quando venne assegnato un unico premio. Dal 1962 al 1984 ritornò la separazione, all'interno della categoria, tra colonna sonora originale e colonna sonora non originale (con le eccezioni costituite dalle edizioni 1970, con il premio scisso tra colonna sonora originale e canzoni originali o adattate, e 1980 e 1981, quando fu assegnato un unico premio). Dal 1985 al 1994 venne nuovamente attribuita un'unica statuetta alla colonna sonora. Nel 1995 è avvenuta una nuova suddivisione: miglior colonna sonora per film drammatico e miglior colonna sonora per musical o commedia. L'anno seguente è avvenuto ancora un cambiamento (rimasto, al momento, invariato): miglior colonna sonora per film drammatico e miglior colonna sonora per commedia.
Nella storia degli Oscar, film che hanno vinto il maggior numero di statuette sono stati Ben-Hur (1959) di William Wyler e Titanic (1997) di James Cameron. Ci sono stati anche degli 'illustri dimenticati' dagli Oscar. I casi più clamorosi, tra i registi, sono quelli di Charlie Chaplin, King Vidor, Howard Hawks, Orson Welles, Stanley Kubrick e Martin Scorsese. Tra gli attori, Cary Grant, Edward G. Robinson (che ebbe soltanto un tardivo riconoscimento alla carriera), Kirk Douglas, Montgomery Clift, James Mason. Tra le attrici, Greta Garbo, Marlene Dietrich e Marilyn Monroe (che non ebbero neppure una nomination). *