CINEMATOGRAFO (dal gr. κίνημα "movimento" e γράϕω "scrivo")
La cinematografia è basata sulla scomposizione del movimento in elementi fissi successivamente ripresi e riprodotti od osservati con ritmo quasi sempre uguale a quello impiegato per la ripresa. Il Linke dimostrò che la fusione delle singole percezioni fisse successive in un'unica impressione di moto è una funzione del cervello, e che, contrariamente a quanto per lo più si crede, la permanenza delle immagini sulla retina non interviene nel fenomeno; condizione essenziale è, invece, che in due fasi di moto successive l'oggetto venga percepito in modo uguale. La persistenza dell'immagine sulla retina ha invece importanza sul cosiddetto scintillio, dovuto alla successione delle pause di oscuramento e delle immagini illuminate. In pratica fra la proiezione fissa di due immagini successive, si ha una breve pausa di oscuramento destinata a coprire il cambiamento da un'immagine all'altra. La serie delle eccitazioni successive della retina, dovute al passaggio dalla luce all'oscurità e viceversa, è causa del fenomeno dello scintillio. Per evitare questo occorre raggiungere una velocità o frequenza minima detta frequenza di fusione. Questa frequenza dipende da varî elementi (numero dei passaggi dalla luce all'oscurità al minuto secondo, chiarezza dell'immagine e dello schermo, rapporto fra durata della fase d'illuminazione e di oscurazione, colore della luce).
Principî fondamentali.
Cenno storico. - Alcuni fenomeni su cui si basa la tecnica cinematografica erano noti già da molto tempo. Così la permanenza delle immagini sulla retina, cui accennarono Lucrezio nel De rerum natura e più tardi Leonardo, Newton e altri fisici, così la fusione delle immagini, che empiricamente si rilevava attraverso la percezione d'un colore solo in una trottola dipinta a due colori che girava rapidamente.
Ma uno studio prettamente scientifico sulla visione degli oggetti in moto fu iniziato soltanto nella prima metà del secolo scorso, con le ricerche del fisico inglese Peter Mark Roget. Questi, nel 1824, presentava alla Royal Society of England una dotta memoria su The persistence of vision with regard to moving objects. Nel 1830 J. A. F. Plateau, fisico belga inventò il fenachistiscopio e nel 1832 S. Stampfer, austriaco, ideò lo stroboscopio, congegni per la visione di oggetti in movimento. Questi congegni erano assai simili e consistevano di un disco a settori su cui erano disegnate le successive fasi di un'azione; i disegni fatti girare rapidamente intorno all'asse del disco e osservati attraverso fessure longitudinali limitanti il campo visivo, davano la sensazione del movimento. Sulla base di questi congegni e come perfezionamento di essi fu costruito, verso il 1833, il zoetropio, dovuto a W. G. Horner.
Ma un'esperienza ancora più importante fu fatta nel 1853. In quell'anno, infatti, il barone F. von Uchatius, ufficiale austriaco, riuscì a proiettare su uno schermo alcuni disegni animati, usando i dischi di Plateau e Stampfer e una lanterna magica.
Successivamente, il progresso della tecnica fotografica consentiva nuove esperienze. Allo stroboscopio seguiva nel 1860 il cinematoscopio dell'americano Colemann Sellers, basato sugli stessi principî, ma nel quale ai disegni erano sostituite le fotografie, e nel 1870 il fasmatropio dell'americano H. B. Heyl, applicazione della fotografia al sistema di proiezione di Uchatius. Heyl sembra abbia proiettato le immagini con accompagnamento musicale dinanzi alla American Academy of Music.
Nel 1872, poi, l'ing. I. O. Isaacs, su incarico di L. Stanford, mecenate, della California, studiò il problema d'una possibile ripresa fotografica dei movimenti del cavallo. Egli costruì all'uopo e successivamente perfezionò una batteria di camere con controllo automatico degli otturatori e, per la ripresa delle fotografie, fece operare l'apparecchio da E. Muybridge. L'esperienza ebbe luogo nel 1877; il Muybridge riuscì a ottenere, in un campo di Palo Alto, una serie di fotografie d'un cavallo al trotto. Il cavallo correva su di un sentiero pavimentato di grandi lastre (24) a fianco di ciascuna delle quali era situato un apparecchio della batteria studiata da Isaacs. Con un sistema di leve, posto sotto le lastre, l'otturatore di ciascun apparecchio scattava al passaggio del cavallo. Si ottennero così ben 24 immagini che, per quanto discontinue e disformi, servirono bene allo scopo. In seguito servendosi di uno speciale apparecchio, il Muybridge poté proiettare le immagini, raccolte in un nastro, dinnanzi a pubblici d'Europa (1881-82) e d'America (1883-84).
Frattanto, nel 1877, il Reynaud, francese, costruiva il suo prassinoscopio (figg. 1 e 2) che può essere considerato come l'antenato degli attuali apparecchi a movimento continuo e a compensazione ottica, riuscendo a conseguire la proiezione continua, già tentata da Heyl. E più tardi, verso il 1889, E. Marey, un altro francese, costruiva il fucile fotografico per mezzo del quale era possibile prendere su di un disco sensibile 12 istantanee al secondo, migliorando il rudimentale sistema di ripresa dell'Isaacs e del Muybridge.
Mentre si susseguivano queste diverse esperienze nel campo della ripresa e della proiezione, l'americano Giorgio Eastman, attraverso una serie di invenzioni (1884-90), riusciva a preparare con la nitrocellulosa e a perfezionare una pellicola fotografica trasparente e sensibile (film), avvolgibile in rollo, per la ripresa rapidissima di istantanee.
La pellicola di Eastman, destinata a uso fotografico, fu prontamente utilizzata da T. A. Edison, che in quegli anni andava studiando i problemi della tecnica cinematografica. Nel 1889 il grande inventore americano costruì il cinetoscopio, apparecchio operato a mano o con motore elettrico che muoveva un film fotografico, alla velocità di 48 immagini al secondo; il film era illuminato da una lampada incandescente e poteva essere seguito dall'osservatore attraverso una fessura protetta da una lente. In quest'apparecchio fu per la prima volta usata una pellicola delle dimensioni che poi vennero standardizzate (35 mm.). Il cinetoscopio fu esposto al pubblico di New York nel 1894 e, a partire da quell'anno, si diffuse in locali e sale di spettacolo di tutte le grandi città americane ed europee. Esso però, nonostante alcuni tentativi dell'Edison, poi abbandonati, non consentiva la proiezione del film su uno schermo; onde i successivi esperimenti furono appunto diretti a risolvere questo problema.
Il 6 giugno 1894, il giornale americano Richmond Telegram pubblicava il resoconto d'un primo spettacolo di proiezioni animate, che aveva avuto luogo il giorno stesso per cura del noto cinetecnico americano C. F. Jenkins, tuttora vivente (1930). Questo costruttore aveva ideato e realizzato un proiettore del sistema a schiaffo e aveva ripreso per suo conto alcune pellicole che erano state poi proiettate. Nell'agosto 1895, il Jenkins poteva dare i suoi spettacoli in un edificio costruito ad hoc all'esposizione cotoniera di Atlanta (Georgia). Alla fine del 1894 l'inglese Robert W. Paul costruì il suo primo apparecchio di presa, adottando il film di 35 mm. di larghezza, già usato tre anni prima dall'Edison. Le prime rappresentazioni con gli apparecchi del Paul ebbero luogo all'inizio del 1895. Furono costruiti pure nel medesimo periodo altri proiettori della pellicola del cinetoscopio: l'eidoloscopio di W. Latham, americano, e il vitascopio di T. Armat, pure americano, quest'ultimo fondato su un principio divenuto fondamentale nella cinematografia, di un movimento della pellicola cioè che desse a ogni successiva immagine un periodo di oscurità e di luce in eccesso al periodo di movimento da immagine a immagine.
Ma la gloria di aver portato la cinematografia allo stato di pratico sfruttamento spetta però ai fratelli Lumière, francesi. Il massimo dei progressi che i tentativi descritti avevano apportato era costituito dall'utilizzazione d'una serie di fotografie successive riprese sopra un nastro di celluloide. Merito dei Lumière fu di creare un apparecchio capace di riprendere e proiettare le immagini fissate sul nastro sensibile, mediante un sistema ottico-meccanico a movimento intermittente. Questo apparecchio era regolabile e comprendeva un apparecchio di presa, una macchina per la stampa del film e un proiettore. La esposizione delle immagini, che nell'apparecchio di Edison era di 48 al secondo, fu ridotta da Lumière a 16, limite teorico adottato per i film silenziosi anche oggi.
Il 13 febbraio 1895 i fratelli Lumière presentarono la prima domanda di brevetto relativa al loro apparecchio al quale essi diedero il nome di cinematografo, nome che doveva poi imporsi ed estendersi a tutta l'attività inerente alla nuova invenzione. Questo brevetto fu seguito da altri numerosi, i primi dei quali in ordine di data, sono quelli del 30 marzo e del 6 maggio 1895. Bisogna tuttavia ricordare che i fratelli Lumière avevano già ottenuto i primi risultati favorevoli con i loro apparecchi sino dalla fine dell'autunno dell'anno precedente. Il 22 marzo 1895 Louis Lumière fece la presentazione di alcune pellicole da lui stesso riprese, con i suoi apparecchi, alla Società francese per il progresso dell'industria nazionale. Il 10 giugno 1895 Louis Lumière presentò il suo apparecchio e le sue pellicole al congresso delle società fotografiche che si era adunato in quei giorni a Lione. Il giorno successivo egli riprendeva le personalità più in vista del congresso, durante una gita, e il 12 giugno egli poteva proiettare dinnanzi ai congressisti entusiasmati questo primo "film d'attualità". L'11 luglio dello stesso anno il Lumière dava una rappresentazione cinematografica con pellicole da lui stesso riprese, dinnanzi a un consesso di scienziati d'ogni facoltà nei locali della Revue Générale des Sciences pures et appliquées, destando una profonda impressione. Quasi contemporaneamente ai fratelli Lumière, ma senza avere alcuna conoscenza dei lavori da questi compiuti, brevettava in Germania i suoi apparecchi cinematografici il tedesco Oscar Messter. Il Messter fu anche tra i primi a studiare e a risolvere il problema della sincronizzazione fra proiettore e dischi grammofonici.
Poco tempo dopo, il 1° novembre 1896, i fratelli Skladanowsky proiettavano al Wintergarten di Berlino una serie di pellicole da loro riprese, facendone un numero di spettacolo di varietà. Da quest'epoca le sale attrezzate per le proiezioni cinematografiche crebbero con ritmo rapidissimo, che divenne addirittura vertiginoso, quando, alcuni anni dopo, il film d'attualità venne soppiantato dal film-spettacolo.
Si ebbero dapprima brevi scene, per lo più di carattere comico, e questa brevità era, tra l'altro, imposta dall'alto costo della pellicola, dalla difficoltà di avere pellicole di lungo metraggio, dall'insufficienza e dalla poca sicurezza degli apparecchi e dei proiettori. La presa era ostacolata da numerose difficoltà, quali la poca luminosità degli obiettivi e la poca sensibilità della pellicola, che obbligavano a lavorare col sole o in condizioni di luce particolarmente favorevoli; le difficoltà di sviluppo e di stampa, la mancanza di teatri di posa comodamente e intelligentemente installati, ecc. Solo in seguito vennero i teatri di posa a grandi vetrate, per utilizzare al massimo la luce diurna, si perfezionarono tutti i mezzi tecnici per rendere più rapida la produzione, più perfetto il risultato, sino a giungere ai moderni impianti che sono veri modelli d'ingegneria, di tecnica ottica, elettrica, elettroacustica, fotografica, architettonica e scenografica, e alle moderne organizzazioni cinematografiche per la produzione di film muti e sonori che possono annoverarsi fra le più potenti industrie del mondo.
Apparecchi di presa. - Si possono suddividere in due grandi classi: apparecchi a movimento intermittente e apparecchi a movimento continuo (a compensazione ottica).
Gli apparecchi a movimento intermittente (fig. 3) constano di una cassetta nella quale la pellicola, svolta da un tamburo dentato e, esce da una scatola porta-film A (che può essere anche esterna), passa nel meccanismo di trasporto c, scorrendo nel corridoio sotto la pressione della guida g, e, passando dinnanzi alla finestra d, riceve l'impressione dell'immagine proveniente dall'obiettivo a. Fra obiettivo e finestra v'è un otturatore girevole b b il quale ha un settore d'apertura che passa dinnanzi alla finestra quando il film è fisso. Durante il movimento per il passaggio da un'immagine alla successiva, l'otturatore chiude il passaggio dei raggi provenienti dall'obiettivo. La pellicola, trascinata da un altro tamburo dentato f, viene riavvolta nella cassetta avvolgitrice B. Si hanno numerosi tipi di macchine di presa: a cassette esterne (Pathé, Bell & Howell [fig. 4], Gaumont, Prestwich, wilart, ecc.), a cassette interne e affiancate (Askania, Debrie [fig. 5], Prévost, Caméréclair, ecc.); talune portano una serie di obiettivi su una piastra anteriore girevole (Williamson, Caméréclair). Il meccanismo di trasporto del film può essere a griffes o a croce di Malta (raro negli apparecchi di presa). I moderni apparecchi sono muniti di mirino ottico intercambiabile, marcia avanti e indietro, dispositivo di messa a fuoco diretta sulla pellicola, contatore del film, indicatore di velocità, dispositivo per dissolvenze (v. p. 341), marcia a 8 (otto fotogrammi per un giro di manovella) e marcia a uno. Gli apparecchi di presa normale possono lavorare a una velocità massima di circa 40 fotogrammi al secondo. Oltre questo limite si hanno apparecchi speciali ad alta frequenza, come i tipi G. V. Debrie (fig. 6) e High-Speed Bell & Howell. Con dei sistemi meccanici (griffes) si possono raggiungere perfino i 240 fotogrammi al secondo.
Velocità superiori si hanno solo con apparecchi a moto continuo (a compensazione ottica). In questi apparecchi la pellicola si sposta con moto uniforme e il movimento della pellicola viene compensato otticamente con un analogo spostamento della immagine data dall'obiettivo, sì che l'immagine risulti fissa sul film per la durata dell'esposizione. La compensazione ottica può essere ottenuta con corone di obiettivi, con tamburi a specchi, con prismi e specchi girevoli o con mezzi meccanici. Il principio della ripresa o della proiezione con pellicola a moto continuo con compensazione ottica è rappresentato nella fig. 7. La luce proveniente dall'oggetto cade sopra uno specchio fisso, da questo viene riflessa sopra uno degli specchi girevoli e disposti sopra un tamburo e attraverso l'obiettivo cade sulla pellicola, che si sposta con moto uniforme secondo la freccia. Se la pellicola si sposta di α sull'asse ottico, e se lo specchio si sposta nel tempo stesso di
non si ha moto relativo fra immagine e film. L'apparecchio tipo di presa a compensazione ottica è la Zeitlupe di Ernemann (fig. 8) che dà 1500 immagini al secondo. Questi sistemi si applicano agli apparecchi di proiezione (v. p. 339), nei quali il procedimento è inverso.
Apparecchi a motore. - In molti casi può esser conveniente sostituire il movimento a mano con quello a motore (per rendere la presa indipendente dall'operatore, o dal treppiede, per comandi a distanza in circostanze speciali, ecc.). Si usano motori a molla (particolarmente adoperati negli apparecch (per dilettanti come il Kinamo della Zeiss-Ikon, il Filmo della Bell & Howell, la motocamera Pathé-Baby, e numerosi altri); motori elettrici (per apparecchi professionali), che possono essere ad attacco diretto o a batteria d'accumulatori; motori ad aria compressa, usati talvolta per prese da velivoli (Proszinski).
Apparecchi per dilettanti. - sono simili agli altri, ma più semplici e leggieri. Se ne hanno a mano e a motore (per lo più a molla, per pellicola standard e per pellicola ridotta; v. p. 338).
Obiettivi. - Sino al 1920 l'ottica fotografica era specialmente diretta alla costruzione d'obiettivi per fotografia fissa, e a quell'epoca gli obiettivi preferiti avevano un'apertura relativa di circa f/6,3. Si conoscevano però già gli f/3,5; ma essi erano quasi esclusivamente destinati alla ripresa cinematografica.
Le condizioni d'illuminazione dei teatri di posa sono oggi radicalmente diverse da quelle d'allora; l'illuminazione a incandescenza e il film pancromatico in sostituzione di quello ordinario hanno creato esigenze ben diverse. Le tendenze artistiche della fotografia cinematografica, il desiderio di poter lavorare anche in condizioni di luce meno favorevoli, come al crepuscolo, con tempo nebbioso o piovoso, ecc., hanno accresciuto ancora le esigenze dell'operatore. Si passò così alla costruzione di obiettivi a grandissima apertura, come l'obiettivo Cooke f/2, il Biotar dello Zeiss f/1,4, il Tachar f/1,8 e molti altri.
Ma anche la cinematografia a colori esige nuovi obiettivi di grandissima luminosità. Difatti, anche i moderni f/2, f/1,5, ecc., non sono troppo soddisfacenti: essi hanno una profondità focale troppo esigua e, come luminosità, sono appena sufficienti per la ripresa cinematografica attraverso i filtri.
La pellicola. - La pellicola cinematografica deve avere caratteristiche speciali, per i seguenti motivi: a) la presa è una serie di fotografie fatte con esposizione brevissima, per lo più assai inferiore a 1/30 di secondo; b) il ritocco è impossibile; c) la tendenza fotografica è sempre più orientata verso effetti artistici; d) il formato è assai piccolo e destinato a enormi ingrandimenti. Ne deriva che l'emulsione sensibile adatta alla presa cinematografica deve essere molto rapida; perfettamente pancromatica, a grana molto fine. Le moderne pellicole hanno una sensibilità che varia dai 16° ai 21° Sch. Si hanno oggi pellicole speciali per prese di notte, per prese da velivoli, per lavori all'esterno o in teatro di posa. In casi particolari si può procedere anche all'ipersensibilizzazione, che permette di lavorare in condizioni di luce assai deficienti o di ottenere risultati artistici speciali (per es., sensibilizzazione all'infrarosso per effetti di luna nelle prese diurne). Pellicole pancromatiche sono quelle la cui emulsione ha la qualità di riprodurre in gradazioni dal bianco al nero i valori cromatici quali li percepisce l'occhio umano; esse dànno una resa esatta della tonalità dei colori, nonché effetti di maggior plastica ed eliminano in buona parte la necessità della truccatura. La finezza della grana dipende dalle dimensioui delle agglomerazioni microscopiche di argento ridotto e in sospensione nella gelatina dell'emulsione; la grana è in generale tanto più grossa, quanto maggiore è la sensibilità della pellicola; la grana del positivo è più fino di quella del negativo. La grana dipende anche dal tipo dello sviluppatore usato e dalle condizioni di sviluppo. Le dimensioni della grana variano da 0,0007 a 0,0015 mm. Le dimensioni della pellicola, nonché la perforazione e le dimensioni dell'immagine, sono state standardizzate (fig. 9).
Le dimensioni della pellicola e dell'immagine standard sono: larghezza della pellicola mm. 35; passo della perforazione mm. 4,75; immagine mm. 18 × 24. I principali tipi di pellicole ridotte per dilettanti sono: la Kodak: larghezza mm. 16; passo della perforazione mm. 7,62; immagine mm. 7,62 × 10,5; la Pathé-Baby: larghezza mm. 9,5; passo della perforazione mm. 7,54; immagine mm. 6,5 × 8,5. Queste pellicole sono specialmente adatte per cinematografie familiari, e, contrariamente alle pellicole ordinarie, hanno supporti poco o punto infiammabili.
Si fanno anche pellicole sottilissime (Ozaphane) di cellophane che permettono di formare rotoli di diametro assai minore di quello formantesi con pellicola su supporto in celluloide, a parità di metraggio (diametro di 400 m. pellicola celluloide = diametro di 1500 metri ozaphane).
L'ozaphane non ha emulsione, ma l'immagine si forma nel corpo stesso della pellicola, si sviluppa ai vapori di ammoniaca e non si ha che il positivo.
La pellicola di grande formato. - In questi ultimi tempi si è iniziato in America un forte movimento in favore del film di dimensioni maggiori dello standard. A questo movimento hanno contribuito varî fattori: necessità di schermi più grandi per le sempre maggiori dimensioni delle sale; limite d'ingrandimento imposto specialmente dalla grana dell'immagine; desiderio di proiettare immagini più grandi, capaci di dare maggiori effetti artistici o maggior plastica; necessità di mettere a disposizione una maggior larghezza per la colonna sonora; più facili manipolazioni, specialmente per il film a colori, ecc.
Dei varî tipi in studio ha maggior probabilità d'imporsi (fig. 10) il Grandeur (largh. mm. 70) propugnato specialmente dalla Fox Film corp. Tipi preconizzati da altri gruppi sono il Magnafilm (larghezza mm. 56) e lo Spoor della Radio Corporation of America (larghezza mm. 63,5).
Il proiettore. - Il principio della proiezione cinematografica è analogo a quello della ripresa. Si proietta sullo schermo una serie di fotografie fisse la cui successione dà l'illusione del movimento. Si hanno due grandi classi di proiettori: a movimento intermittente e a movimento continuo (a compensazione ottica).
In quelli del primo tipo (fig. 11) la pellicola viene trascinata successivamente e spostata dell'altezza di un fotogramma (19 mm. standard). Non appena la pellicola si arresta si apre l'otturatore girevole e l'immagine prodotta da una sorgente luminosa L, attraverso un sistema condensatore C e obiettivo O, ovvero specchio sferico S e obiettivo O, viene proiettata sullo schermo. Il periodo del cambiamento fra un fotogramma e l'altro viene coperto da un settore d'oscurazione. Negli otturatori rotanti (fig. 12) si usa aggiungere uno o due settori supplementari di oscurazione, per diminuire lo scintillio. Il meccanismo di trasporto dei proiettori è generalmente la croce di Malta (fig. 13), che si sposta di 90° per l'effetto di trascinamento del nottolino n portato dal disco d, penetrante successivamente negli intagli della croce propriamente detta c. Si hanno anche apparecchi di proiezione con trasporto a griffes e a schiaffo, ma si tratta di piccole macchine per dilettanti.
I proiettori a movimento continuo si basano sul principio delle macchine di presa a compensazione ottica. Il più noto e il più perfetto fra i proiettori a compensazione ottica è quello del Mechau (fig. 14). Vantaggi essenziali sono: minor consumo del positivo, mancanza di scintillio, eliminazione dell'otturatore rotante e del periodo d'oscurazione e quindi possibilità di raggiungere la frequenza di fusione anche con il passaggio di soli 4 fotogrammi al secondo.
Schermo. - Anche lo schermo ha una speciale importanza ai fini di una buona proiezione. Esso deve possedere un forte potere riflettente, ma anche un grande potere diffusore. Gli schermi a superficie ricoperta di polveri metalliche hanno il difetto di attenuare i contrasti fra le ombre e le luci e di dare perciò immagini poco plastiche e grigiastre. Gli schermi a superficie lenticolare dànno buoni risultati; ma hanno insufficiente potere diffusore verso le zone della sala più distanti dall'asse ottico di proiezione. Si hanno schermi granulosi, a perle, a lenticole, a reticolato, ecc. Vi sono schermi opachi e schermi trasparenti. Sono stati anche fatti schermi per proiezione alla luce diurna, di cui il più noto è quello del Parolini; esso consta d'una superficie semitrasparente (vetro smerigliato, carta oliata, ecc.) dinnanzi alla quale è disposta una serie di sottili lamine orizzontali equidistanti che, mentre non impediscono la visione dello schermo per parte di spettatori posti dinnanzi a questo, proteggono lo schermo stesso dalla luce proveniente dal cielo e dall'ambiente. La proiezione ha luogo per trasparenza.
Macchine accessorie. - Le più importanti sono: le perforatrici, macchine di altissima precisione per effettuare la perforazione del film vergine, positivo o negativo; le stampatrici, a mano o automatiche, e le sviluppatrici. Le stampatrici sono oggi per lo più automatiche, vale a dire regolano automaticamente l'intensità della luce occorrente per la stampa, intensità che varia da pezzo a pezzo di negativo. La variazione della luce può esser fatta a mano in seguito a un segnale dato dall'apparecchio, o volta per volta preparando a mano la luce per il successivo tratto di negativo, mentre si stampa un tratto (sistemi semiautomatici), ovvero avviene indipendentemente da ogni intervento estraneo, sulla traccia d'un modello a perforazione (tipo macchine tessili) preparato in precedenza (sistemi automatici). Lo sviluppo è fatto per lo più per mezzo di telai attorno ai quali si avvolge la pellicola e che vengono immersi prima nel rivelatore, quindi nei lavaggi e nei bagni successivi. Le necessità industriali e tecniche (specialmente per il film sonoro) portano alla sempre maggiore diffusione delle sviluppatrici automatiche. Sono macchine nelle quali si pone la copia positiva impressionata e che procedono automaticamente allo sviluppo, al lavaggio, al fissaggio, all'imbibizione, al viraggio, alla essiccazione, sì che il film esce da queste macchine pronto per la proiezione. La fig. 15 rappresenta uno schema di sviluppatrice automatica (Debrie) capace di sviluppare 6000 metri al giorno per dieci ore di lavoro (il doppio con i tipi gemelli). Qualora lo sviluppo non sia fatto con macchine automatiche, esso è eseguito, come si disse, per mezzo di telai che vengono immersi in trogoli contenenti i diversi bagni e l'essiccazione vien fatta o sui telai stessi ovvero avvolgendo la pellicola umida su grandi tamburi che vengono azionati da motori elettrici in ambienti percorsi da correnti d'aria calda e secca, filtrata per evitare la polvere, e sempre rinnovata.
Il teatro di posa. - Buona parte dei film vengono oggi ripresi nei teatri di posa (studios, ateliers). Ciò è fatto tanto per rendere indipendente il lavoro industriale dalle condizioni atmosferiche, quanto, e più ancora, per permettere di utilizzare e di predisporre luci e costruzioni in modo da ottenere i massimi effetti artistici. I teatri di posa a vetri sono ormai completamente abbandonati e sostituiti da veri e proprî hangar completamente oscuri, di semplicità lineare all'interno e all'esterno. Il più delle volte si tratta di costruzioni affiancate, con un lato comune, circondate da strade cementate, per evitare la polvere e il fango. Questi hangar sono muniti di grandi porte scorrevoli, hanno copertura obliqua con aperture di ventilazione. Le porte permettono il transito di grosse trattrici; il pavimento è perfettamente liscio e pulito. Lo spazio interno è diviso in due parti: la parte alta destinata all'illuminazione, quella in basso agli scenarî e alla presa. Nella parte superiore è disposta una fitta rete di travi metalliche longitudinali e trasversali lungo le quali possono scorrere in ogni senso lampade o gruppi di lampade, per permettere l'illuminazione uniforme o concentrata di qualsiasi punto del suolo. Negli annessi si hanno officine per riparazioni, laboratorî per ricerche fotochimiche e ottiche, nonché laboratorî per attrezzisti, falegnami, modellisti, pittori, decoratori, sarti, scenografi, ecc. Oltre a questi fanno parte della complessa organizzazione gli uffici, i locali di riunione per gl'inscenatori, i camerini per gli artisti, le sale di riunione per i comprimarî, i generici, le comparse, i refettorî, i bagni, ecc. E, infine, gl'impianti del macchinario elettrico per l'alimentazione dei parchi d'illuminazione.
Gl'impianti d'illuminazione (parchi foto-elettrici) rappresentano uno degli elementi essenziali del teatro di posa, poiché dalla loro costituzione, ripartizione e impiego dipende la possibilità di riprodurre determinate scene e ottenere determinati effetti artistici. L'illuminazione d'un teatro di posa può essere suddivisa in tre parti: illuminazione generale (diffusa), illuminazione a effetto, illuminazione parziale o locale. La prima indica un'illuminazione generale uniforme che rischiara l'intero ambiente e che corrisponde press'a poco alla luce diurna diffusa. È ottenuta con numerosi elementi parziali, integrati da elementi o aggregati di elementi a grande superficie illuminante (plafoniere composte da numerose lampade a incandescenza, o lampade tubolari a vapori di mercurio). L'illuminazione a effetto produce forti ombre proprie e portate, destinate a produrre effetti di contrasto e a dare al soggetto il 1iecessario rilievo. E ottenuta con lampade o elementi di grande intensità luminosa e di limitata superficie. Per le pose all'esterno di notte si usano parchi auto-fotoelettrici con gruppi elettrogeni per l'alimentazione dei riflettori. Anche nelle prese esterne diurne è spesso conveniente modificare la luce con l'ausilio di lampade o riflettori, allo scopo di ottenere migliori effetti artistici. La illuminazione parziale o locale viene impiegata quando è necessario mettere in rilievo oggetti, persone o parti della scena con un maggiore effetto luminoso. Essa è ottenuta per mezzo di proiettori che illuminano con speciale violenza una piccola parte del soggetto: questi proiettori sono noti col nome di spot-lights. La posizione del soggetto rispetto alla sorgente luminosa ha particolare importanza e da essa, come pure dalla scelta e dall'impiego dei varî tipi di lampade, dipendono il rilievo, la plastica e l'effetto artistico della fotografia. Fra i numerosi tipi di lampade o di sorgenti di luce sono da ricordare: le lampade a luce diffusa (lampade ad arco a lunga fiamma, lampade a tubi a vapore di mercurio, lampade a incandescenza a grosso corpo incandescente); diffusori a specchi sfaccettati o a specchi ondulati; lampade a luce concentrata (ossia proiettori a specchio sferico o parabolico, con o senza lente condensatrice, spot-lights); aggregati di più lampade unitarie a incandescenza, ad arco, a fiamma lunga o corta; lampade a effetto locale per la rappresentazione di lampadarî o lampade da sala, da tavolo, di lampioni, ecc. (figg. 16, 17, 18, 19 e 20).
La qualità della luce prodotta dalle lampade ha enorme influenza sulla bontà dei risultati. Essa dev'essere, tra l'altro, adeguata alle qualità sensitometriche e fotochimiche del materiale sensibile impiegato o quanto meno le qualità fotochimiche della luce dovranno essere convenientemente modificate mediante l'impiego di filtri da anteporre all'obiettivo della macchina di presa. Così, p. es., impiegando film pancromatico converrà usare la luce di lampade a incandescenza, ovvero di lampade ad arco, corretta però da opportuni filtri.
Allestimento scenico. - La scenografia del cinematografo è sottoposta a talune leggi generali che la differenziano considerevolmente da quella puramente teatrale. Essa è infatti destinata a essere ripresa attraverso l'obiettivo, che ne altera la prospettiva, e sopra un'emulsione sensibile, che, per quanto pancromatica, tende sempre ad alterarne i valori cromatici. Questo secondo inconveniente s'incontra anche nelle riprese cinematografiche a colori che, per quanto perfezionate, non sono ancora giunte a rendere senza alterazioni la naturalezza delle tinte e delle loro gradazioni. Lo scenografo tien conto di questi fatti e regola le sue costruzioni e la scelta dei colori in modo da ottenere i risultati desiderati nella proiezione. Egli tiene presenti, nelle sue realizzazioni architettoniche, le varie lunghezze focali degli obiettivi che l'operatore ha a sua disposizione, sapendo che da questo elemento dipende il risultato prospettico; predispone ogni cosa in modo da permettere alla camera la massima libertà di movimento unitamente alla massima varietà dei campi visuali.
Per quanto riguarda il cromatismo, si tengono presenti i rendimenti dei varî colori in rapporto col tipo d'illuminazione impiegata e col tipo di emulsione sensibile a disposizione. Per es., un verde chiaro può essere reso in proiezione con un grigio chiaro d'intensità corrispondente all'originale, usando pellicole pancromatiche e lampade a incandescenza; detto colore verrà reso troppo scuro impiegando pellicole ad emulsione normale e lampade ad arco o a vapori di mercurio. In America e in Germania talvolta i diversi colori sono stati direttamente sostituiti con una serie di bianco-grigio-nero di corrispondente intensità. Tale sistema fu abbandonato per la sua mancanza di verità, che aveva ripercussioni sulla naturalezza del gioco degli attori.
La scenografia si associa spesso con l'arte dei trucchi (v. sotto).
Dal punto di vista puramente pratico occorre tener presente che lo scenario cinematografico deve essere facilmente trasportabile, rapidamente montabile e smontabile, e, soprattutto, solido. Lo scenografo cinematografico deve essere non solo un abile pittore, ma un rapido decoratore e un esperto architetto.
Le scene sono costituite da un'armatura di legno (talvolta integrata da parti in leggiera muratura) da un rivestimento e dalla decorazione. Le armature sono leggiere c di facile trasporto: per lo più in legname. Quando la scena debba raffigurare una camera o un ambiente di media grandezza, essa consta di varî telai di legno, di dimensioni variabili fra i 2 e i 4 m. di base e i 3,50-4 m. di altezza. Per le scene riproducenti ambienti ben definiti e originali se ne studiano volta per volta le dimensioni. Per lo più è sufficiente poter disporre di un certo numero di scene, che può essere accresciuto ricorrendo alla costruzione di telai con riquadro nei telai stessi, mutando le tinte delle decorazioni, delle cornici e dello zoccolo, disponendo tendaggi, mobili, ecc. Con un'intelaiatura di scena e cinque riquadrature si possono fare cinque ambienti diversi. I telai hanno una grande stabilità per evitare oscillazioni prodotte dal movimento degli attori, dal chiudersi delle porte, ecc. Le porte sono costruite a regola d'arte, evitando ogni apparenza meno che reale. La bussola simula lo spessore delle pareti e la sua incastellatura e assicura la stabilità sul pavimento del teatro, prescindendo dal collegamento con le pareti della scena, formate da materiale più leggiero. Anche per le porte si adottano i sistemi dei riquadri multipli, inserendo i riquadri negli specchi, fra le grossezze e l'uscio. Lo stesso si può dire delle finestre.
Ogni stabilimento o teatro di posa possiede una dotazione di praticabili, scalee, archi, colonne, statue, architravi, balaustre, capitelli, supporti, invetriate, ecc., decorate a seconda dei casi. I praticabili e le balaustre non presentano difficoltà di costruzione. Per le scalee, come per i praticabili, condizione essenziale è la robustezza. Le colonne sono costruite intere o a mezza sezione, tutte in legno, in legno e tela, o in graticcio e stucco. Sono pure costruiti a sezione intera o a mezza sezione i capitelli, i basamenti, i supporti e le statue. Gli architravi e gli archi sono di legno, o di legno e tela, secondo le dimensioni e le condizioni d'impiego.
L'enorme costo degli scenarî anche con gli espedienti sopra esposti, obbliga a ricorrere a trucchi, molti dei quali, se bene eseguiti, dànno l'illusione quasi perfetta di realtà. Parte dello scenario può essere fotografata da disegni in piccola scala, talvolta da disegni su vetro. Per es., si voglia mostrare una restaurazione della Roma imperiale: nel modo descritto sopra si ricostruiscono gli edifici più vicini per una profondità panoramica di cento metri; altri edifici più lontani sono dipinti su una scena accuratamente definita in modo che nella fotografia appaiano come la continuazione delle prime scene; per le parti più lontane del panorama, che servono di sfondo, si ricorre al trucco dell'esposizione multipla: si dispongono nella parte superiore di una lastra di vetro che si lascia trasparente nella parte interna. Gli edifici di legno e le scene dipinte si fotografano attraverso questo vetro; l'illusione è facile, perché quel che dà all'occhio la misura della grandezza è il confronto con altri oggetti di misure note. Così furono realizzate, per es., le flotte di Cabiria.
Il film-sonoro ha apportato, sia pure per via indiretta, talune importanti modificazioni ai concetti generali della scenotecnica del film muto. Le necessità acustiche hanno poi imposto limitazioni e condizioni di cui non occorreva tener conto in precedenza. D'altra parte, l'elemento fonico, che può, in determinati casi, assumere un carattere prevalente, ha permesso allo scenografo di realizzare scene che, in un film muto, non avrebbero avuto ragion d'essere o che, almeno, avrebbero avuto un valore assolutamente secondario. Dal punto di vista tecnico lo scenografo di un film sonoro deve preoccuparsi in modo speciale dell'acustica dell'ambiente e degli effetti che tale acustica produrrà nella riproduzione sonora; insieme ai tecnici dei servizî acustici, deve, quindi, provvedere a dare alla scena quel tanto di risonanza che è indispensabile per ottenere la necessaria verosimiglianza della riproduzione. Fa uso di materiali adatti, antifonici o smorzanti qualora vi sia eccesso di risonanza, riflettenti qualora ve ne sia deficienza. È infine necessario che si possano spostare convenientemente i microfoni, senza che la loro posizione disturbi la ripresa ottica, a seconda delle esigenze acustiche della registrazione.
I trucchi. - La cinematografia è l'arte dei trucchi. Essa consente possibilità quasi illimitate e permette di raggiungere effetti irraggiungibili con altri mezzi. Praticamente i trucchi sono infiniti e spesso sono l'opera d'un operatore intelligente e geniale. Ma vi sono trucchi ormai entrati nell'uso comune della presa; ne ricorderemo i principali.
Marcia indietro. - È il più vecchio fra i trucchi. Consta nel riprendere il soggetto girando la pellicola in senso inverso (quando l'apparecchio di presa lo consente) e proiettando in senso normale. Con questo trucco si può ottenere p. es. l'effetto grottesco del cavaliere che scavalcato, si solleva da terra e torna a cavallo. Nel superfilm I dieci comandamenti una scena mostrava il Mar Rosso che si apriva per lasciare il passo agli Ebrei e si richiudeva sugli Egiziani. La seconda parte era ottenuta fotografando le masse d'acqua che si scaricavano da due serbatoi, l'apertura del mare non era che la riproduzione all'inverso di questa scena. Se l'apparecchio di presa non consente la marcia indietro è possibile stampare un negativo normale in senso inverso, mediante un apparecchio speciale che capovolge il verso di ogni fotogramma.
Accelerazione (effetto Chaplin). - Consiste nel fare la ripresa con cadenza molto rallentata (2-6 fotogrammi al secondo invece di 16-20) e proiettare con cadenza normale. Si ottiene così il risultato di vedere il soggetto muoversi con velocità fantastica e con effetti spesso assai comici.
Rallentamento. - Operazione inversa della precedente. Si riprende il soggetto con una cadenza superiore alla normale e si proietta a velocità normale. Viene pure usato per addolcire taluni movimenti (ballo, salti, ecc.).
Arresto e cambiamento immediato del soggetto. - Consiste nell'arrestare la presa a un certo punto, riprendendola esattamente al punto stesso dopo aver cambiato, per es., uno degli elementi del soggetto. Si ha così l'effetto d'una sostituzione magica istantanea di un personaggio o di un oggetto con un altro.
Dissolvenza ("dissolve"). - Consiste nell'apparizione o nella sparizione graduale di tutto il soggetto. Si chiama dissolvenza incrociata quando, contemporaneamente alla sparizione del soggetto o quadro precedente, avviene l'apparizione graduale del soggetto o quadro successivo. Normalmente impiegata per passare da un quadro all'altro. Si ottiene chiudendo gradualmente il diaframma a iride dell'obiettivo o il settore di apertura dell'otturatore fino a chiusura completa sulla prima scena; girando poi con marcia indietro, sempre a chiusura completa, e riprendendo poi il nuovo quadro riaprendo gradualmente diaframma o settore sino all'apertura totale fissata per quella ripresa. Un effetto eguale alla dissolvenza si può ottenere operando sulla pellicola con mezzi chimici; in tal caso il trucco si chiama mix.
Esposizione multipla. - Consta nell'impressionare successivamente diverse parti del fotogramma per ottenere un'immagine complessiva combinata da soggetti parziali. Richiede grande cura nella preparazione per evitare il pessimo effetto prodotto dalle linee divisorie fra i varî soggetti. Questo lavoro è oggi di gran lunga facilitato per mezzo di speciali strumenti ottici, quali gli apparecchi a combinazione Schüfftan (fig. 21) che permettono di eseguire in una sola volta la presa combinata con mezzi semplicissimi. Sopra un treppiede si trovano l'apparecchio di presa e uno specchio, spostabili uno rispetto all'altro. Lo specchio è situato obliquamente rispetto all'asse ottico, in modo da coprire una scena che si trovi sull'asse stesso e da riflettere gli oggetti disposti lateralmente. Se si asporta una parte della patina riflettente dello specchio, la scena posta dietro questo rimarrà solo parzialmente coperta e l'altra, vista attraverso il vetro trasparente, verrà ripresa sul film contemporaneamente agli oggetti laterali riflessi dalla parte di specchio ancora riflettente. Questa macchina si presta a numerose combinazioni fra soggetti reali e modelli, permettendo di giocare sulle dimensioni relative variando le distanze dei diversi elementi (fig. 22). Essa permette pure di riprendere nello stesso tempo una scena reale combinandola con una scena cinematografica proiettata sopra uno schermo.
Visioni. - Consistono nell'apparizione graduale di personaggi od oggetti nel campo d'una scena reale. Constano di una doppia esposizione, la prima delle quali riprende per dissolvenza (v. sopra) il soggetto che deve apparire o sparire, posto sopra un fondo antiattinico (tenda di velluto, ecc.). Si reimpressiona quindi riprendendo il soggetto reale.
Spettri o visioni semoventi. - Sono simili a quelle precedentemente descritte, ma la visione si allontana, senza camminare, per uscire dal campo dell'obbiettivo. Si ottengono mediante dispositivi che permettono uno spostamento in alto o in basso dell'obiettivo, ciò che produce lo spostamento del soggetto irreale sul quadro del fotogramma. Si procede quindi all'impressione del soggetto reale, come sopra.
Mezzi ottici. - Sono assai numerosi e tendono a deformare o a spostare il soggetto o una sua parte: specchi multipli, specchi deformatori, specchi riduttori, specchi rotanti, superficie sferiche riflettenti, prismi d'inversione, ecc. A questi si aggiungano gli effetti di capovolgimento ottenuti con movimenti rotativi dell'apparecchio di presa. Altri trucchi dipendono dall'angolo sotto cui la fotografia è presa, p. es. l'effetto di un uomo che si arrampica su un muro verticale si ottiene mostrando e dipingendo la parete sul pavimento, facendola percorrere dall'attore carponi e fotografando con l'obiettivo orizzontale.
Titoli a trucco. - Si hanno titoli che appaiono successivamente lettera per lettera, titoli che si scrivono da sé, titoli che escono da una congerie di lettere sparse, ecc. Si tratta sempre di prese successive con marcia a uno (un fotogramma per giro di manovella) e nelle quali le lettere si dispongono a volta a volta per la ripresa di ciascun fotogramma.
Il film stereoscopico. - Innumerevoli sono gli studî e i tentativi fatti per dare alla proiezione cinematografica il senso di rilievo proprio della visione stereoscopica. Il problema è ancora insoluto. La tecnica dell'illuminazione, i miglioramenti delle qualità degli obiettivi, i perfezionamenti degli schermi e degli apparecchi di proiezione hanno portato a un grande miglioramento della plastica delle immagini; ma la vera proiezione stereoscopica, distaccata cioè nei suoi varî piani, non è ancora stata realizzata.
Fra i molti tentativi, due soli hanno portato a soluzioni esatte e attuabili, benché non adattabili alle esigenze dello spettacolo. Essi sono: il sistema parallattico e il sistema degli anaglifi. Essi però non raggiungono l'effetto ottenuto con la semplice proiezione d'un soggetto ripreso da un corpo in movimento (effetto stereoscopico delle riprese dalla ferrovia, da un battello, ecc., detto dai Tedeschi Eisenbahneffekt).
Il sistema parallattico consiste nel riprendere contemporaneamente, con due apparecchi aventi gli assi ottici a distanza stereoscopica (65 mm.), due pellicole separate, che vengono poi proiettate insieme sopra uno schermo composto d'una serie di sottili lamelle verticali situate a conveniente intervallo l'una dall'altra. La posizione dei proiettori, la distanza dello schermo dal proiettore e dallo spettatore, gl'intervalli e le dimensioni delle lamelle sono scelti in modo che ciascun occhio veda sulla faccia della lamella rivolta dalla sua parte soltanto una porzione d'immagine appartenente al film ripreso col corrispondente obiettivo (obiettivo destro se si considera l'occhio destro), mentre la parte d'immagine corrispondente all'altro obbiettivo resta coperta dalla lamella. Analogamente per l'altro occhio. Avviene così che l'occhio destro vedrà soltanto l'immagine destra e il sinistro quella sinistra e, per sommazione visuale, si avrà l'effetto stereoscopico. Questo effetto si ha realmente, ma è limitato a un brevissimo spazio della sala, al di fuori del quale le immagini parziali non restano più esattamente coperte.
Il sistema degli anaglifi può essere realizzato tanto mediante la proiezione successiva d'immagini destre e sinistre, quanto mediante la proiezione contemporanea delle immagini stesse. Nel primo caso, dinnanzi agli occhi dello spettatore è situato un otturatore girevole, sincrono con la proiezione e in fase con essa, sì da coprire successivamente l'immagine che l'occhio destro (o sinistro) non deve percepire, lasciando libera la visione dell'altra. Nel secondo caso le due immagini parziali sono virate in colori complementari (per es. verde e rosso) e proiettate contemporaneamente. Esse si sovrappongono in parte, ma, se vengono osservate attraverso occhiali aventi i due vetri anch'essi colorati con colori complementari (se l'immagine destra è rossa e quella sinistra è verde, bisognerà che la lente sinistra sia rossa e verde quella destra), lo spettatore potrà vedere in nero, con l'occhio destro (verde) l'immagine destra (rossa) e con l'occhio sinistro l'immagine sinistra, mentre non vedrà le immagini opposte, assorbite dalle lenti colorate. Come si vede, però, si tratta più di eleganti tentativi che di pratiche soluzioni del problema.
Cinematografia a colori. - Numerosi sono i procedimenti adottati per risolvere integralmente questo difficile problema tecnico. Essi partono dagli stessi principî su cui si basa la fotografia a colori, ma si complicano per la necessità di riprendere le singole immagini con tempi di posa assai brevi e di sottoporre i positivi all'enorme ingrandimento della proiezione. I due gruppi principali in cui si suddividono i sistemi di cinematografia a colori sono il sistema a sintesi cromatica additiva e quello a sintesi cromatica sottrattiva.
Benché per i sistemi a sintesi additiva si conoscano varî procedimenti che hanno dato buoni risultati, come quello Busch, e quello simile americano detto Vitacolour, i procedimenti veramente caratteristici a sintesi additiva sono quelli a reticolato autocromo. I materiali per questi sistemi sono caratterizzati dal fatto che essi posseggono, a immediato contatto con l'emulsione sensibile, un reticolato finissimo costituito da un numero enorme di minutissimi granellini di amido o di resina colorati nei tre colori fondamentali, rosso, azzurro e verde. L'emulsione sensibile deve essere particolarmente fine per questo tipo di lastre o di pellicole.
Nella presa avviene che ciascun granellino colorato lascia passare soltanto i raggi del colore corrispondente: un raggio rosso passerà solo attraverso un granellino rosso e dietro questo l'emulsione verrà impressionata. Dopo lo sviluppo questo punto sarà nero; trasformando la lastra negativa in positiva, il punto nero sarà disciolto e, guardando per trasparenza, si vedrà il granellino rosso che aveva lasciato passare il raggio del suo colore. Siccome i granellini sono microscopici, essi si confondono per l'occhio dando la sensazione della riproduzione dei colori naturali, per effetto della sintesi additiva dei colori elementari. Questo principio di sintesi dei colori, trovato dal francese Louis Ducos de Hauron, corrisponde alla nota tecnica pittorica del "pointillisme".
Appartiene allo stesso gruppo dei reticolati autocromi il sistema Kodacolor. Questo sistema è basato sulle scoperte fatte dal francese Berthon e dall'alsaziano Keller-Dorian. In questo sistema il reticolato è raggiunto otticamente, per mezzo di una serie lenticolare composta di minutissimi cilindri formati per impressione sul supporto di celluloide, mentre dinnanzi all'obiettivo viene posto un filtro diviso in tre parti e colorato con i tre colori fondamentali. Ciascuno di questi elementi lenticolari fa sl che dietro a esso si forma un'immagine dell'obiettivo col filtro tricromo, in modo che, osservando l'immagine stessa al microscopio, si possono vedere le immagini delle tre parti del filtro sotto forma di tre diversi annerimenti.
Questo procedimento, che per il momento richiede ancora l'inversione delle immagini, non ha potuto acquistare grande importanza per la cinematografia professionale; mentre si è sviluppato molto per la cinematografia per dilettanti, tanto più che dà risultati sorprendenti. Sono stati fatti altri tentativi per introdurre nella pratica professionale sistemi a colori a reticolato (p. es. il sistema Lignose); ma senza grande successo.
Si può però dire che a rigore non è possibile fare una divisione netta fra sistemi a sintesi additiva e sistemi sottrattivi, perché i diversi metodi, sotto parecchi punti di vista, molto spesso si somigliano o si sovrappongono. I sistemi sottrattivi possono classificarsi nel modo seguente:
1. sistemi nei quali l'immagine è composta d'argento ridotto, che viene poi colorato chimicamente;
2. sistemi nei quali l'immagine è anche composta d' argento ridotto, il quale viene chimicamente trasformato in mordente, che, a sua volta, viene poi colorato chimicamente;
3. sistemi nei quali il procedimento si approssima a quelli della stampa fotografica per pigmentazione (bromotipia, bromolio, processi al carbone e simili).
Per rendersi conto esatto dei sistemi sottrattivi, bisogna tener presente quanto ha detto il Wall: "In tali sistemi non si stampa ciò che venne fotografato, ma quello che non lo fu". In altri termini le parti non illuminate dal negativo dànno le immagini positive, e cioè le copie. E siccome anche nei sistemi sottrattivi si riprendono immagini parziali per mezzo di filtri, si avrà che i colori con i quali si dovrà colorare il positivo di ciascuna delle immagini parziali sarà quello trattenuto dal filtro corrispondente. Un vantaggio dei metodi sottrattivi è che possono essere proiettati nei proiettori normali, purché il loro sistema lampada-obiettivo sia sufficientemente potente per dare una luce vigorosa sullo schermo.
Il sistema Technicolor, che è sottrattivo, si è andato sviluppando e perfezionando, orientandosi sempre più verso i processi di pigmentazione. Vale a dire in esso l'immagine originale viene usata come matrice per la stampa: detta matrice, convenientemente colorata, viene copiata a pressione sopra un film coperto di uno strato di gelatina.
Il sistema elaborato dalla East. Kodak Co. e noto col nome di Kodachrome si è andato rapidamente imponendo. Bisogna intanto ricordare che anche i processi a due soli colori anziché a tre, possono dare risultati soddisfacenti, purché i filtri vengano convenientemente scelti. Tuttavia nei sistemi bicromici manca un colore o viene riprodotto in modo imperfetto, cosicché in questi sistemi s'è reso necessario variare la scelta dei filtri a seconda dei colori dell'oggetto da riprendere e delle condizioni in cui ha luogo la presa. Nel sistema Kodachrome le due immagini vengono riprese contemporaneamente, ciò che obbliga all'avanzamento di due immagini per ogni scatto dell'apparecchio di presa. La fig. 23 rappresenta schematicamente questo apparecchio di presa. Tuttavia il sistema Kodachrome può anche essere impiegato in tutti gli apparecchi di presa adatti per i sistemi bicromici, anche in quelli che usano filtri colorati rotanti. Con quest'ultimo tipo di macchine le immagini vengono riprese successivamente, ciò che produce il noto inconveniente della parallasse temporale (mancanza di perfetta coincidenza delle varie immagini colorate), cosicché si preferiscono oggi le macchine con sistemi ottici a doppia riflessione, che dànno immagini contemporanee, pur presentando una forte diminuzione d'intensità luminosa, per assorbimento e divisione del fascio procedente dall'obiettivo.
La caratteristica essenziale del sistema Kodachrome consiste nel fatto che in esso il negativo stesso viene usato per la coloritura dell'immagine di materia colorante. Il procedimento si basa sulla qualità che ha la gelatina dell'emulsione sensibile (quando il film viene sviluppato in un bagno che non abbia un'azione d'indurimento) di indurirsi maggiormente nei punti nei quali si ha il massimo d'argento liberato, cioè nei punti più chiari del soggetto. Quando si colora la gelatina, dopo aver proceduto allo sbianchimento dei neri mediante apposito bagno, avverrà che le parti chiare del negativo (ombre del soggetto), meno indurite, assorbiranno un maggiore quantitativo di materia colorante che non le altre, più indurite e che resteranno perciò più chiare. È logico che un tale procedimento, così come lo abbiamo descritto, non può essere utilizzato in cinematografia. Si procede allora nel modo seguente. Si stampa dal negativo tipo un controtipo positivo per mezzo di una macchina speciale rappresentata in modo schematico nella figura 24. Da questo positivo si trae un negativo duplicato, il quale, però, viene prodotto sopra una pellicola avente uno strato di gelatina sensibile da ambe le parti del supporto, e in modo che le immagini corrispondenti (contemporanee) del primo negativo si sovrappongano perfettamente sulle due facce dello stesso fotogramma del negativo. Dopo aver proceduto allo sbianchimento del negativo così ottenuto, la pellicola viene ancora passata in un bagno di iposolfito e bisolfito di sodio, il quale bagno, però, non deve agire da induritore della gelatina. Le matrici ottenute in questo modo vengono allora trattate con un procedimento analogo a quello usato per la pinatipia, facendo attenzione in maniera particolare alla scelta delle materie coloranti onde ottenere la massima fedeltà possibile nella riproduzione dei colori.
Il film sonoro. - I sistemi di fonofilm esistenti, più o meno diffusi e più o meno adottati in pratica, sono assai numerosi e basati su principî diversi. Essi si possono suddividere in cinque gruppi: sistemi a incisione, sistemi elettromagnetici, sistemi ad assorbimento e a luminescenza, sistemi fotoacustici, sistemi a raggi catodici.
Sistemi a incisione. - Possono suddividersi in sistemi con incisione su dischigrammofonici e con incisione sulla celluloide della pellicola. Questo sistema, seguito dal Faucon e dal Johnson in Francia e da Ferdinando Madaler in America, è tuttora allo stato di studio, così come lo sono ancora i sistemi ad assorbimento (Gaumont), quelli a luminescenza (Schinzler) e a raggi catodici (Landau). I sistemi grammofonici possono essere non sincronici e sincronici. I primi, che in verità poco hanno a vedere col film sonoro propriamente detto, non rappresentano che la sostituzione d'un accompagnamento grammofonico a quello orchestrale. I sistemi grammofonici sincronici sono assai numerosi, ma sono tutti basati sullo stesso principio rappresentato in schema nella fig. 25. Un microfono, per effetto delle pressioni acustiche prodotte dal suono, emette delle correnti microfoniche fonofrequenti, che, amplificate, eccitano l'ago registratore d'un diaframma elettromagnetico, il quale incide un disco di cera posto sopra un piatto porta-dischi, sincronicamente collegato con l'apparecchio normale di presa cinematografica. Per la riproduzione, il cammino è inverso. Il disco, posto sopra un piatto porta-dischi situato in prossimità del proiettore e con questo sincronicamente collegato, riproduce per mezzo d'un diaframma elettro-magnetico (pick-up) le correnti fonofrequenti, le quali, amplificate, eccitano gli altoparlanti posti nei pressi dello schermo. Il più noto fra i sistemi grammofonici è il Vitaphone (fig. 27). La velocità di presa (e questo per tutti i sistemi di fonofilm) è stata standardizzata in 24 fotogrammi al secondo. La velocità di rotazione dei dischi (che è di 78 giri al minuto per i dischi grammofonici normali) è stata abbassata a 33 giri e 1/3 per i dischi cinematografici (per accrescerne la durata). Il diametro dei dischi cinematografici è stato fissato in 16 pollici (39 cm.). Si hanno apparecchi di riproduzione con uno o con due piatti portadischi; per questi ultimi il passaggio da un disco all'altro avviene per lo più automaticamente. Il sistema Vitaphone fu il primo a essere lanciato dalla Warner Bros il 7 agosto 1926 con il film Il cantante di jazz.
Sistemi elettromagnetici. - Sono una derivazione diretta delle cosiddette macchine a dettare, particolarmente studiate e brevettate dal danese Poulsen fino dal 1899. Sono basati sul principio di tradurre in variazioni magnetiche permanenti di un filo o nastro d'acciaio le variazioni delle correnti microfoniche, alla presa, e di riprodurre queste variazioni fonofrequenti in funzione delle suddette variazioni magnetiche, alla proiezione. Basterà a tal uopo (fig. 29) far scorrere un filo d'acciaio D dinnanzi al polo di un'elettrocalamita Sp, il cui campo varia in funzione delle correnti fonofrequenti che lo eccitano: i varî punti del filo resteranno più o meno magnetizzati in funzione delle variabili intensità di campo magnetico. Facendo scorrere poi il filo dinnanzi al polo d'una elettrocalamita inserita in un circuito elettroacustico si riprodurranno in questo, per induzione, correnti simili a quelle microfoniche fonofrequenti, che, debitamente amplificate, potranno eccitare gli altoparlanti e riprodurre il suono iniziale. Questi sistemi furono specialmente studiati dallo Stille e più recentemente perfezionati dal Müller, dal Kiliani e dal Liguori (Kinophon). Essi presentano grandi vantaggi pratici e tecnici (infrangibilità, eliminazione di operazioni sussidiarie, disponibilità immediata della registrazione, facilità d'annullamento della registrazione, mancanza di rumori parassitarî, ecc.). Si può ritenere che essi troveranno in breve tempo grande diffusione.
Sistemi ad assorbimento. - Il sistema di fonofilm Gaumont (fimi rationnel) è basato sulla proprietà dell'esculina di assorbire i raggi ultravioletti e sulla qualità di certe materie coloranti di essere trasparenti ai raggi stessi. Si riprende il fotogramma (acustico) sopra una pellicola sottilissima, ricoperta con uno strato di gelatina al bicromato di K. Su questo strato si fa la registrazione acustica (v. Sistemi fotoacustici) e, dopo sviluppo in acqua calda, si imbibisce il fotofonogramma con una soluzione di esculina. L'assorbimento sarà proporzionale, nei varî punti, all'intensità della registrazione. Dietro il positivo ottico, stampato su pellicola più sottile della normale, si applica il fotofonogramma di cui sopra. L'immagine ottica, però, è costituita da materie colanti speciali, trasparenti ai raggi ultravioletti. La cella fotoelettrica è particolarmente sensibile a questi raggi: essa sarà esclusivamente eccitata dalle variazioni di intensità del fotofonogramma all'esculina. L'immagine ottica, passando nel proiettore, verrà invece proiettata sullo schermo.
Sistemi a luminescenza. - Lo Schinzel propone di ricoprire la parte posteriore della pellicola con uno strato di gelatina al bicromato di K. Dopo l'esposizione fotoacustica e lo sviluppo si asporta con un solvente speciale la vernice luminescente nei punti rimasti allo scoperto per lo scioglimento della gelatina bicromata. La proiezione del suono può essere fatta per mezzo di luce fluorescente, filtrando la luce della lampada (ad arco o a vapori di Hg) per mezzo di un filtro nero del Sendling e concentrandola sul film per mezzo d'una lente cilindrica di quarzo.
Sistemi fotoacustici. Sono di gran lunga i più importanti. In essi la registrazione del suono viene fotografata sulla pellicola, sia su quella in cui si registra al tempo stesso l'avvenimento ottico, sia su pellicole separate.
Essi furono già descritti in modo esauriente fin dal 1901 dal fisico tedesco E. Ruhmer. Ma alcuni particolari, come la registrazione della voce per mezzo di raggi luminosi modificati nella loro intensità o spostati per mezzo di dispositivi elettromagnetici, risalgono al 1880. Anche il film sonoro sincronizzato col grammofono, di cui l'inventore può essere ritenuto l'Edison, risale al 1899. La sincronizzazione era però allora fatta a mano. La prima sincronizzazione pratica a grammofono e film fu fatta dal Gaumont nel 1901. Ma la vera soluzione del film sonoro non fu trovata che più tardi, con l'applicazione dei relais telefonici (brevetto Vorbeck del 1913) e con l'impiego degli amplificatori a valvole termoioniche (brevetti Lieben).
I sistemi fotoacustici si dividono in due tipi: sistemi a registrazione trasversale o ad area variabile e sistemi a intensità o a intensità variabile.
a) Sistemi ad area variabile. - In origine questo sistema venne adottato dagl'ingegneri danesi Petersen e Poulsen. Le onde sonore, ricevute dal microfono, e da questo trasformate in correnti fonofrequenti, vengono dapprima amplificate (fig. 30) e quindi trasmesse a un oscillografo. Questo dispositivo venne dapprima impiegato dal Cellino per la telefotografia (1902), ma trovò solo più tardi la sua applicazione pratica, e cioè nel 1905, quando il Korn, utilizzando l'invenzione del francese Blondel, unì lo specchietto oscillante a due sottilissimi fili attraverso i quali fece passare le correnti fonofrequenti. Il sistema specchietto-fili è sospeso in forte campo elettromagnetico, sì che lo specchietto si sposta sincronicamente alle variazioni della corrente fonofrequente. Il Korn modificò in seguito questo galvanometro, che fu adottato dapprima in tale fotografia, poi usato dal Mihaly, dal Berglund e da Petersen e Poulsen. Se un raggio luminoso d'intensità costante colpisce lo specchietto, questo spostandosi farà oscillare il raggio riflesso, che colpendo una superficie sensibile, produrrà una frangia composta di una serie di minutissime linee più o meno lunghe (fig. 31). Il più noto di questi sistemi è il Photophone della Radio Corp. of America, attualmente adottato in grandi stabilimenti di presa anche in Italia.
b) Sistemi a intensità. - In questi sistemi la registrazione delle intensità delle correnti fonofrequenti viene tradotta sulla striscia sensibile, anziché in linee nere più o meno lunghe (frange), in variazioni d'intensità tutte però d'uguale larghezza (area costante: fig. 34). Lafig. 35 rappresenta schematicamente il procedimento di registrazione. Le correnti microfoniche amplificate sono condotte a una cellula Kerr, interposta fra una lampada e un condensatore che concentra la luce sul film. La cellula Kerr è basata sul principio che il trinitrobenzolo presenta fenomeni di doppia rifrazione quando in esso sono immersi i due elettrodi d'un campo elettrostatico e che l'intensità di tale fenomeno varia col variare della tensione del campo. Le cose vengono predisposte in modo che, quando la tensione nella cellula è nulla, gli assorbimenti del sistema sono tali che l'intensità luminosa incidente sul film è 1/4 di quella iniziale. Con il variare del campo, varia la quantità di luce assorbita e quindi l'intensità della registrazione sul film. Oltre alla cellula del Kerr si hanno anche casi in cui s'impiega una lampada di registrazione la cui intensità varia in funzione delle intensità delle correnti fonofrequenti ottenendo analoghi risultati. I più noti fra i sistemi a intensità sono il Movietone, il Lee de Forest e il sistema Tobis-Klangfilm, che praticamente si equivalgono.
Per la riproduzione fotoacustica occorre che tanto la parte ottica quanto la parte acustica siano riunite sulla stessa pellicola (nel caso in cui entrambe le registrazioni non siano già state fatte sullo stesso film). In tal caso si usano stampatrici come quella indicata alla fig. 36.
Il negativo ottico, avvolto sulla bobina 1, passa nella finestra 7 e si riavvolge sulla bobina 2. Il negativo acustico, dalla bobina 3, passa nella finestra 8 e si riavvolge su 4. Il positivo della bobina 5 passa prima in 7, dove riceve l'impressione ottica, quindi in 8, dove riceve quella acustica, e si riavvolge poi su 6. Attualmente il film sonoro si presenta come nella fig. 33 a (registrazione trasversale) e 33 b (registrazione a intensità). La colonna acustica, della larghezza di 2 mm., è situata fra la perforazione e l'immagine, sì che questa resta ridotta nel senso della larghezza. In taluni sistemi è stata anche ridotta l'altezza per tornare all'antico rapporto fra i due lati dell'immagine (3:4). La proiezione del film sonoro avviene nel modo indicato nella parte inferiore dello schema (fig. 37). La pellicola passa dapprima attraverso al proiettore ottico che dà l'immagine sullo schermo S′, quindi passa dinnanzi a una cella fotoelettrica e dietro alla quale trovasi una sorgente luminosa L′, la cui luce viene concentrata sulla colonna sonora. Le variazioni di intensità di questa inducono correnti variabili nella cella e; queste correnti, amplificate in V′, eccitano l'altoparlante A che riproduce il suono registrato sulla pellicola.
Sistemi a raggi catodici. - Sono simili a quelli fotoacustici, solo la registrazione, anziché essere fatta per mezzo di luce normale, viene fatta per mezzo di raggi catodici, il cui fascio, concentrato sul film sensibile, è fatto oscillare mediante variazioni d'un campo magnetico eccitato dalle correnti microfoniche fonofrequenti.
Disegni animati. - Costituiscono uno dei trucchi più recenti e più interessanti, poiché presentano possibilità illimitate e unicamente soggette al capriccio del realizzatore. I disegni animati rappresentano un lavoro non disprezzabile, dato che occorrono 52 disegni per metro di pellicola. Uno sketch di 300 metri rappresenta già oltre 15.000 disegni. Si procede nella maniera seguente: ad ogni disegnatore è assegnata una serie di scene e i disegni sono fatti su fogli di carta trasparente, cosicché l'artista può vedere i tratti del disegno precedente che ripete completamente, meno quelle parti che egli vuole far muovere e che deve perció successivamente spostare secondo determinate regole per evitare movimenti staccati alla proiezione. Quando tutti i disegni fatti dai realizzatori sono pronti, essi vengono riprodotti da una schiera di "tracciatori" sopra dei fogli di celluloide per mezzo di linee, o, se del caso, di sfumature in inchiostro di china. Infine tutti i disegni passano al fotografo che dispone anzitutto lo sfondo dinnanzi all'obbiettivo e vi fissa sopra il primo dei fogli di celluloide. Quindi, agendo sul pedale della speciale macchina di ripresa, si prende un fotogramma, il quale, evidentemente, mostra la visione della parte animata sullo sfondo fisso, perché questo trasparisce attraverso alla celluloide del disegno della parte animata. Si cambia poi la celluloide e si fa un nuovo fotogramma, e così di seguito. La sincronizzazione avviene poi separatamente adeguando il tempo della musica d'accompagnamento con la velocità del movimento dei disegni alla proiezione.
Applicazioni scientifiche della cinematografia. - La cinematografia rappresenta un elemento d'indagine di prim'ordine e pertanto, anche prescindendo dalle sue caratteristiche qualità divulgatrici e didattiche, ha avuto numerose applicazioni nel campo della scienza pura. La possibilità da essa consentita, di accelerare o rallentare i tempi nei quali i fenomeni si svolgono, è stata largamente sfruttata e talune di queste applicazioni, come quelle che riguardano lo studio di movimenti rapidi o lenti (sport, salti di cavalli, volo degli uccelli, nel campo del rallentamento, germinazione delle piante, sbocciare dei fiori, ecc., nel campo dell'acceleramento), sono note alle masse. Ma le applicazioni puramente scientifiche sono assai più vaste e interessanti. La cinematografia è stata di notevole ausilio nello studio dei movimenti nel lavoro, sia umano che animale, per la ricerca delle traiettorie più brevi e più adatte per eseguire determinati compiti; nello studio dei movimenti degli strumenti di registrazione (galvanometri, amperometri, orologi, ecc.); nella ricerca dei movimenti degli esseri infinitamente piccoli (microcinematografia, fagocitosi, ecc.). Di grande aiuto alla medicina è la cinematografia chirurgica, in bianco e nero o a colori (sistema Busch-Szcepanik), come pure la Röntgen-cinematografia e la cinematografia delle cavità del corpo umano (cinematografia della vescica e di altri organi). Nelle scienze fisiche il cinematografo è un potente mezzo d'analisi (studio del comportamento dei materiali alla trazione e alla torsione; fenomeni di rottura; studio dell'accensione dei gas, delle esplosioni, delle detonazioni; studî sull'aerodinamica, sulla dinamica dei liquidi, sulle scariche elettriche, ecc.). Esso ha permesso inoltre di studiare in modo metodico e analitico il comportamento dei diversi materiali nella lavorazione meccanica (formazione dei trucioli metallici al trapano, al tornio, alla fresa, comportamento degli utensili, ecc.).
Naturalmente, per raggiungere questi scopi, occorrono apparecchi e dispositivi speciali, adatti al genere dei fenomeni da studiare. Si hanno così gli apparecchi ad alta frequenza, cui abbiamo accennato, che permettono di ottenere sino a 240 fotogrammi al secondo, se a movimento meccanico, sino a 1500 fotogrammi al secondo, se a compensazione ottica (Zeitlupe). Oltre queste frequenze abbiamo varî sistemi ad altissima frequenza, come quelli del Thun, che raggiungono i 10.000 fotogrammi al secondo e quelli a scintilla elettrica, che possono dare sino a 100.000 fotogrammi al secondo. Non tutti però questi risultati sono tali da permettere la proiezione: oltre certi limiti l'altezza del fotogramma si è dovuta necessariamente ridurre, non solo, ma l'enorme rapidità degli avvenimenti è tale da non consentire che la ripresa d'un numero sempre assai limitato di fotogrammi (come per es. per i fenomeni balistici). Per la cinematografia chirurgica si hanno gli impianti speciali delle Askania-Werke (sistema Rothe), unitamente agli apparecchi Busch per la ripresa a colori; per la microcinematografia si hanno quelli delle Leitz-Werke e altri ancora.
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Tecnica ed estetica.
Per tecnica del cinematografo s'intende comunemente non soltanto il suo lato scientifico e meccanico, ma anche il complesso di quelle abilità, in parte conseguibili attraverso l'esperienza, ma in parte del tutto innate, per cui una scena può venire "realizzata", e in modo diverso, a parità di tutte le altre condizioni, secondo la capacità dell'inscenatore. L'estetica intesa come insieme di considerazioni generali sui film già svolti agisce continuamente sulla tecnica, questa su quella, cosicché nel cinematografo non si può parlare né di una tecnica né di una estetica distintamente considerate, e solo si può separare, come è stato fatto, la trattazione della tecnica in senso stretto e strumentale dai problemi della tecnica più generale.
Quello che ha impedito per molto tempo che potesse sorgere un'estetica cinematografica è stato l'appellativo di teatro muto dato al cinematografo, appellativo da cui non è riuscito ancora a liberarsi. Quando verso il 1905 ebbero inizio i primi spettacoli cinematografici, il film era realmente, più che una pantomima fotografata, un'azione drammatica cui mancava la parola; più che di una forma d'arte embrionale, esso aveva l'apparenza d'una manifestazione non artistica. Ciò spiega l'avversione iniziale di molte persone a quella specie di lanterna magica che sembrava il cinematografo, di cui solo pochissimi intravedevano le future possibilità. Ma a poco a poco, specie per merito d'anonimi direttori di scena si è venuto a realizzare il film propriamente detto, lo spettacolo che non è più un teatro muto, ma che utilizza tutte le risorse tecniche del nuovo mezzo d'espressione. Così si è cominciato a capire che nell'azione cinematografica non v'è deficienza, ma assenza della parola, come spessissimo accade nella vita, in cui si agisce più che non si parli, e che il cinematografo ha un grande valore artistico pari a quello del teatro.
Ma se l'emozione estetica che può dare uno spettacolo cinematografico è pari a quella che ci può dare una rappresentazione teatrale, i mezzi che si adoperano sono completamente diversi. Mentre il teatro è prevalentemente verbale, il cinema è prevalentemente visivo. L'uno, il teatro, va per dir così dal di dentro al di fuori: tende cioè, sorgendo, come è noto, da una forma primitiva di lirica, alla rappresentazione. L'altro va dal di fuori al di dentro, vale a dire con la successione rapida di numerosi quadri scenici tende a darci un'emozione lirica.
La confusione fra teatro e cinematografo si è perpetuata in verità per via degli elementi comuni alle due arti: gli attori e le scene. Sennonché questo punto di contatto è puramente illusorio essendo l'impiego di questi elementi comuni assolutamente differente. Il viso umano è il mezzo d'espressione del cinematografo, come il principale mezzo del teatro è la voce, potendo benissimo, come è accaduto nel teatro antico, l'attore portare sul viso una maschera immobile. Ma non basta notare questa differenza essenziale. Bisogna aggiungere che nella stessa maniera che all'attore drammatico si deve richiedere una voce che sia non solo di timbro gradevole, ma omogenea e di ugual potenza espressiva in tutti i suoi registri, all'altro si deve richiedere una maschera non solo espressiva in sé, ma capace di riflettere senza transizioni brusche, e come per via di modulazioni visive, i sentimenti più opposti. E in ciò consiste appunto il valore fotogenico, di cui si parla in cinematografia. Accade infatti che molte persone abbiano un bel sorriso ma una sgradevole espressione dolorosa; o che in esse sia duro e urtante il passaggio da uno stato all'altro; esse possono riuscire benissimo in una fotografia che non fermi che un istante fuggevole di una data loro espressione, mentre riescono male sullo schermo, in cui si riproduce il divenire di ciascuna espressione. Tutte le qualità dell'attore cinematografico, indipendentemente dalla sua bellezza o bruttezza, sono contenute in questa che possiamo dire musicalità di espressione.
L'altro elemento comune, come abbiamo detto, è la scena. Ma anche qui l'impiego è assolutamente diverso. Non perché il cinematografo consista in una rapida successione di scene, il cui numero è limitatissimo nello spettacolo teatrale. La rapida successione di scene esisteva virtualmente nel teatro medievale in cui sullo stesso palcoscenico erano raffigurate le varie mansioni, i luoghi cioè in cui si svolgeva l'azione e innanzi ai quali si portavano gli attori spostandosi solo di qualche metro sul palcoscenico unico. Tale successione rapida di scene sopravvive ancora nel teatro shakespeariano. Il cinema la realizza in maniera inimitabile, e può pervenire a inserire nella rappresentazione d'una vicenda, episodi di altra vicenda, uso poi evolutosi in quello del taglio e del montaggio. Ma la caratteristica nel cinema non è tanto nella rapida successione di scene, che, per via della memoria visiva che è in noi, dànno luogo a una specie di divisionismo scenico, bensì nella successione di particolari dello stesso quadro scenico o dello stesso personaggio, ingranditi come se li osservassimo col binocolo. I quali prendono nome di primo piano.
Con questo mezzo l'autore del film o direttore di scena, isolando e mettendo materialmente in luce, come l'illuminasse cioè con una lanterna cieca, una parte del quadro scenico, fa convergere l'attenzione dello spettatore su ciò che egli vuole si veda e si osservi. Di modo che la stessa scena interpretata da due direttori differenti può avere un valore diversissimo a seconda di quello che ciascuno fa o vuol far vedere. Si capisce, perciò, come il cinematografo sia nato come arte - e arte vuol dire trasfigurazione attraverso una personalità - il giorno che si è inventato il primo piano, o meglio che si è razionalmente impiegato questo procedimento.
Fu il direttore americano David Griffith, se non a inventare, a servirsi per il primo e a sfruttare psicologicamente il primo piano. Per es., in Intolerance, la moglie assiste al processo del marito, che sa innocente, e ascolta la lettura della sentenza; un primo piano mostra il suo viso sul quale le lacrime si uniscono a un timido, fuggevole sorriso; improvvisamente un altro primo piano fa vedere le sue mani angosciosamente strette: i sentimenti della donna che teme, spera e soffre sono espressi, con grande efficacia drammatica, dalle stesse reazioni naturali che si osservano nella vita.
Il Griffith seppe pure mirabilmente utilizzare visioni di elementi naturali per creare la cosiddetta atmosfera e accrescere nello spettatore le emozioni determinate dalle vicende stesse del film. Il Griffith e altri direttori americani, impiegando come attori individui che non avevano compiuto un tirocinio teatrale, portarono inoltre sullo schermo una naturalezza, una spontaneità che non si erano mai vedute sulle scene del teatro.
Alcuni critici vedono nel Griffith quello che per primo comprese che il cinematografo non doveva solamente servire a riprodurre uno spettacolo seguendo più o meno la tecnica teatrale, ma dare un mezzo nuovo di espressione artistica, capace di agire sull'animo dello spettatore con procedimenti del tutto diversi da quelli particolari al teatro, al discorso e al libro. Per quanto grande sia il posto che l'americano occupa nella storia della cinematografia, non si può tacere tuttavia che le sue realizzazioni sono soltanto gli sviluppi e i perfezionamenti di quanto si era fatto in Europa, e in particolare non va dimenticato il grandissimo contributo che l'Italia negli anni precedenti la guerra diede al progresso artistico del film.
Oltre al primo piano, che è la principale caratteristica della tecnica cinematografica, altri procedimenti furono ben presto adoperati per accrescere l'effetto artistico del film. Così la chiusura o apertura a iride con la quale si ottiene che una scena appaia gradatamente, allargandosi il campo dal centro alla periferia, o scompaia, restringendosi il campo in modo contrario, ciò che serve a chiudere come in una parentesi un gruppo di scene o anche a concentrare l'attenzione dello spettatore sulla parte centrale del quadro. Il cosiddetto fondu o dissolvenza, vale a dire l'annebbiamento graduale della visione, usato per chiudere una scena o per legare una scena a quelle seguenti senza alcuna transizione. Il flou, vale a dire la sfocatura delle immagini, adoperata per rendere sensazioni vaghe o angosciose o anche per paesaggi notturni, procedimento di cui si è valso, con un grande effetto drammatico, il Griffith nel Giglio infranto. La deformazione, ottenuta per mezzo di specchi concavi o convessi, utilizzata dal direttore di scena Marcel l'Herbier nel film Eldorado. La sovrimpressione, l'impressione cioè di una immagine su di un quadro già impressionato, ottenuta fotografando la seconda immagine su di un fondo nero, in modo che essa sola diventi visibile e come fosforescente nel campo della prima scena impressionata.
Grande importanza ha acquistato poi, per opera dei Tedeschi, l'angolo di presa. È noto che, in fotografia, la prospettiva risulta alterata quando l'asse dell'obbiettivo non è orizzontale. Nei primi tempi del cinematografo la ripresa era sempre fatta da una certa distanza dal soggetto, in modo da proiettare sullo schermo una visione analoga a quella che lo spettatore ha del palcoscenico di un teatro. Questa tradizione fu rotta prima con l'introduzione dell'uso del primo piano, poi con la scelta di particolari angoli di presa. Si comprese infatti in Germania che qualunque oggetto dava una impressione più drammatica se fotografato con l'apparecchio in posizione diversa dal livello normale dell'occhio umano, a condizione però d'illuminarlo in modo adatto. Se la prospettiva d'una scena è anormale, l'impressione è accentuata. L'apparecchio fotografico spesso si muove: può semplicemente girare sul treppiede oppure muoversi verticalmente rimanendo nello stesso posto. In questi casi non fa che includere nuovi oggetti nel quadro ed escluderne degli altri: può dare così anche una visione panoramica. Può muoversi allontanandosi e avvicinandosi al soggetto. In Metropolis i protagonisti fuggono verso l'alto per salvarsi dalle acque che invadono il sotterraneo. Mentre essi salgono, l'acqua sale coloro e continuamente li raggiunge; l'impressione è resa più angosciosa dal fatto che l'apparecchio di presa sale insieme con gli attori. Ai Tedeschi, nel dopoguerra, si devono altre importantissime innovazioni nella tecnica e nell'estetica del cinematografo. Fu dei primordi dell'attività cinematografica, la constatazione che si potesse lavorare all'aperto usando sfondi naturali, a differenza del teatro che non poteva mostrare che scene dipinte. E l'industria, da principio, si fissò in paesi dove la luce era migliore, verso l'Italia centrale e meridionale, la Costa azzurra, la California. Il fatto che l'azione cinematografica, a differenza di quella teatrale, si svolge spesso in ambienti naturali, che cioè il mare, le nuvole e le foreste che vediamo proiettati nello schermo sono come reali e non finzioni scenografiche, ha portato e mantiene tuttora nella messa in scena del cinematografo un realismo che a teatro sembrerebbe esagerato anche nei drammi della scuola più verista. L'illusione è possibile in teatro - si è detto - in cui gli spettatori sono a distanza fissa d'una cinquantina di metri, è impossibile innanzi allo schermo: lo spettatore del cinematografo si trova spesso a una distanza che è solo di qualche metro dalla scena cui assiste; egli è in grado di osservare i particolari di essa anche a occhio nudo. Da ciò la preoccupazione della verità a ogni costo. Questo criterio che sembra esatto, considerato più attentamente ha dato luogo a revisioni critiche. È stato osservato che se si vuole che il cinematografo sia arte, tutti gli ambienti in cui si svolge l'azione debbono essere artefatti, persino quelli naturali, e ciò perché il realismo o meglio la rigorosa o fotografica riproduzione della realtà è agli antipodi dell'arte, che è fatta, più che di finzione, di suggestione. Bisogna che in ogni particolare del cinematografo d'arte sia visibile l'intenzione dell'artista, bisogna che tutti gli elementi naturali, dagli attori agli oggetti, siano trasfigurati secondo la precisa intenzione dell'artista. Il quale ha d'altra parte un mezzo potentissimo e principalissimo per operare questa trasfigurazione: la luce artificiale. In questo campo, come si è detto, furono i Tedeschi a creare mirabili realizzazioni, specialmente col Dottor Caligari e con l'Ultimo uomo sulla terra. Nel Dottor Caligari il Wiene volle presentare il mondo non come è, ma come appariva ad un pazzo. Secondo le tendenze del teatro tedesco di quegli anni, le scene furono ispirate al cubismo e all'espressionismo e disegnate e disposte in modo da rafforzare il contenuto drammatico dell'azione: Cesare fugge in un paesaggio che non ha niente di reale, con alberi dai rami piegati ad angolo; Caligari si presenta a un ufficio pubblico, ma stenta a farsi ascoltare dall'impiegato: per simboleggiare l'attitudine del burocrate, questi appare seduto su una sedia alta due metri. L'Ultimo uomo della terra, anch'esso importante dal lato artistico, riusciva interessante per la mancanza quasi assoluta di didascalie.
Fin qui si è accennato a elementi costitutivi della tecnica cinematografica, progressivamente messi in luce, ma non a un fondamentale elemento ordinatore il quale è il ritmo, un ritmo tuttavia sui generis che si svolge nel tempo e nello spazio e che per questo potremmo chiamare visivo. La rapidità della rappresentazione è costituita non dai movimenti più o meno rapidi degli attori, ma dalla durata maggiore o minore delle inquadrature sullo schermo. Più le inquadrature si alternano frequentemente, più rapida sembra che proceda l'azione; più i particolari si succedono frequenti, più concitata diventa la scena; infine, più un'inquadratura torna sullo schermo, più essa diventa importante come diventa importante un motivo musicale ripreso più frequentemente in una composizione orchestrale. L'analogia con la musica è evidente e si concreta anche in qualche cosa di più preciso. Uno scenario cinematografico deve avere una durata possibilmente uguale nelle varie parti, non diversamente da quello che si nota nei tempi d'una sinfonia. L'ultimo atto di un dramma teatrale potrà essere brevissimo rispetto agli altri: la proporzione è mantenuta dagli elementi ideali che la sorreggono. Non così può accadere per il film, senza che si generi un senso di squilibrio nello spettatore.
Sulla base di questi principî, dal 1924 al 1930, l'avanguardia del progresso tecnico del film muto è costituita dai direttori sovietici Ejzenštejn (Eisenstein), Kulešov e Pudovkin, i quali elaborano teorie che si trovano riflesse anche nei lavori degli altri russi. La caratteristica più notevole e evidente dei film sovietici è l'uso sapiente del primo piano e specialmente la presentazione ripetuta di particolari che esprimono l'idea del film. Così in Ottobre di Eizenštejn sono presentati la statua gigantesca che sta come a guardia delle strade, l'architettura e i candelabri del Palazzo d'inverno; i manifesti che galleggiano sul fiume, le bandiere della folla, i fucili dei soldati di guardia.
Ma il più importante contributo dei Russi all'elaborazione estetica del principio del ritmo cinematografico si ha con l'adozione del sistema del taglio e del montaggio del film. Il punto di partenza sta negli esperimenti che Kulešov fece con pezzi di film altrui nel periodo preparatorio, quando mancavano i mezzi per iniziare la produzione. Montando pezzi di film in ordine differente e modificando la lunghezza dei singoli pezzi, egli ottenne differenti effetti e ne concluse che la pellicola, impressionata e sviluppata, non è che la materia prima, dalla quale, tagliandola e montandola, si può comporre un lavoro artistico.
Il taglio e il montaggio della pellicola consistono nell'attaccare un pezzo di pellicola, che porta certe immagini, a un altro pezzo che riproduce gli stessi oggetti visti da un angolo diverso, oppure oggetti diversi. Variando la lunghezza dei singoli pezzi (cioè il numero delle immagini che ciascun pezzo porta) si ottengono effetti psicologici diversi. Il taglio corto - cioè la proiezione sullo schermo di un film fatto di pezzi che contengono da 2 a 10 immagini ciascuno - determina negli spettatori uno stato di eccitazione. Il taglio lungo deprime o calma, e questi effetti possono essere intensificati tenendo le immagini più a lungo sullo schermo. Normalmente però, secondo i teorici russi, ciascuna immagine non deve rimanere sullo schermo più di quanto è necessario perché lo spettatore ne afferri il significato, tenuto conto dello stato di emozione cui è stato portato dalla visione precedente. Le immagini che si impiegano a questo scopo sono generalmente dei primi piani. I Russi aggiungono che non si deve mai mostrare più d'una volta l'oggetto preso dallo stesso angolo, a meno che non si voglia intensificare un particolare stato d'animo.
La misura dell'effetto del movimento può essere data dal contrasto con un oggetto fermo. Questo contrasto spesso è ottenuto con la ripetizione del taglio "incrociato", ossia del passaggio da immagini d'oggetti in movimento a immagini di oggetti fermi. Per es., per dare più viva l'impressione d'una carica di cavalleria si mostrano alternativamente e in rapida successione, primi piani degli zoccoli dei cavalli che percorrono il terreno e primi piani degli zoccoli di bronzo, immobili, di una statua equestre. Il passaggio ripetuto dal movimento rapido alla rigidità della statua è di intensa efficacia drammatica, molto maggiore della semplice riproduzione cinematografica del reggimento di cavalleria lanciato alla carica. Al principio del film Berlino, Ruttmann, per dare la semazione del ritmo d'un treno rapido, intercalò brevi riprese delle ruote, delle rotaie e dei fili telegrafici con riprese più lunghe dei ganci di due carrozze: così ottenne un effetto di ["tre brevi e una lunga" e il pubblicò provò quell'emozione che ricordava bene di avere provato in realtà.
Grazie ai metodi avanzati di composizione e di taglio, i film sovietici sono i più emozionanti del mondo. Pudovkin afferma che ogni oggetto, anche se in movimeuto e comunque riprodotto, sullo schermo è un oggetto morto, che acquista vita solo quando è messo fra gli altri oggetti simili, presentato come parte di una sintesi d'immagini separate. E conclude che la redazione - il taglio e il montaggio - è la forza che crea la realtà cinematografica: la natura non fornisce che la materia prima.
Il film sonoro, e più specialmente il film dialogato, hanno modificato l'evoluzione artistica del cinematografo introducendo nuovi elementi e nuove possibilità. Queste possibilità nuove sono quelle stesse del vecchio teatro, ed è naturale che la tradizione teatrale, che nel vecchio mondo cinematografico era indebolita ma non morta, abbia ripreso il sopravvento; è naturale altresì che si siano chiamati a Hollywood attori e autori di teatro. Alcuni esteti del cinematografo vedono nel sonoro una contaminazione e un'offesa mortale alla nuova arte. Alcuni credono possibile e sperano destinato a maggior successo un altro genere: il film sonoro in cui la musica integri l'azione dello schermo, che potrebbe darci la sinfonia con commento visivo. Ciascuno di questi generi, profondamente diversi, col tempo avrà la sua tecnica particolare, la sua tradizione artistica e il suo pubblico.
Altri, con maggior fondamento, pensano che il cinema son0ro non potrà essere seriamente giudicato se non quando avrà cominciato a evolversi con tecnica sua propria. Già si osservano almeno due generi che ordinariamente si trovano mescolati in uno stesso film: il film dialogato, senza accompagnamento musicale, corrispondente al teatro di prosa; il film con canto e musica, che potrà dividersi in un genere analogo all'opera e in un altro analogo alla rivista da music-hall.
Il film di un prossimo futuro sarà probabilmente quello che avrà saputo realizzare la difficile fusione degli elementi visivi con gli elementi sonori riuscendo a comporre in un solo ritmo i ritmi varî del suono e dell'immagine.
Il primo spettacolo cinematografico in Europa ebbe luogo a Parigi il 25 dicembre 1895, nei sotterranei del Grand Café al Boulevard des Capucins. Il programma comprendeva una serie di piccoli films di 16 o 17 m., i quali riproducevano le seguenti sene: La sortie des usines à Lyon, Querelle de bebé, Bassin des Tuilleries, Le train, Le régiment, Partie d'écarté, Mauvaises herbes, Le Mur, La mer. Erano tutti film documentarî, fatti dalla casa Lumière, in cui l'unica preoccupazione era quella di cogliere delle scene movimentate.
Poco dopo Georges Méliès fece riprodurre per il cinematografo alcune sue scene magiche al teatro Robert Floudin di Parigi. In queste pellicole appaiono alcuni trucchi fotografici che, molti anni dopo, dovevano essere così largamente usati. Méliès si fece costruire nel 1896 uno studio proprio e vi realizzò altre pellicole, fra le quali una versione cinematografica del Viaggio alla luna di Giulio Verne. Il primo film in cui appare l'intenzione di ottenere un effetto drammatico fu L'arroseur arrosé proiettato a Parigi nel 1900, il quale era lungo 18 metri e riproduceva una scenetta comica. Il 17 novembre 1903 fu rappresentato poi a Parigi un film in cui le intenzioni artistiche erano manifeste: L'assassinat du duc de Guise, realizzato su scenario di E. Lavedan dall'attore Le Bargy.
Con i Francesi si possono considerar pionieri della cinematografia anche gli Americani. Già nel 1897 E. Rector riproduceva la famosa partita di boxe Corbett-Fitzsimmons a Carson City nello stato di Nevada. Nello stesso anno, sul tetto del Grand Central Palace a New York, R. Hollaman girava una riproduzione della Passione di Oberammergau, lunga 900 m. Nel 1903 apparve ed ebbe enorme successo. The Great Train Robbery, dramma a forti tinte, diretto da Edwin S. Portei, protagonista Mae Murray, cui seguirono The Great Robbery e Trapping by Bloodhounds, or a Lynching at Cripple Creek.
Intanto la produzione cinematografica si diffonde largamente. Accanto alle prime case francesi: Pathé, Gaumont, Éclair, Lumière, sorgono case tedesche: Deutsche Dioskop, danesi: Nordisk; italiane: Ambrosio, Cines. Negli Stati Uniti sorgono la Biograph e la Vitagraph, con teatri di prosa e compagnia di attori, delle quali già facevano parte Mary Pickford, Norma Talmadge e altre future "stelle". La produzione comprende dapprima film di qualche centinaio di metri, con dinamismo scenico esteriore, consistente principalmente in inseguimenti angosciosi (film polizieschi) o esilaranti (film comici). Dopo però si volge alle grandi ricostruzioni storiche per assumere infine orientamenti artistici diversi.
Cinematografia italiana. - Nel campo dei film storici è l'Italia che si afferma in particolar modo. Nella prima produzione della Cines e dell'Ambrosio la Battaglia di Lepanto, Beatrice Cenci, Lucrezia Borgia, il Sacco di Roma, Messalina, sono i temi presi a svolgere più frequentemente. Nel 1913 fu messo in scena da Enrico Guazzoni il Quo vadis? un film che aveva circa 2000 metri di lunghezza e costò in quei tempi la somma non indifferente di 42.000 lire. Esso ebbe un successo straordinario in Italia e all'estero e stabilì il primato italiano nella produzione cinematografica europea. Al Quo vadis? seguirono altri film storici messi in scena dallo stesso Guazzoni: come Marcantonio e Cleopatra, Giulio Cesare e Gerusalemme Liberata, che ebbero pure notevole successo.
Ma il film che superò tutti e segnò l'apogeo della cinematografia italiana fu Cabiria di Gabriele d'Annunzio, messo in scena da Piero Fosco (Giovanni Pastrone) all'Itala di Torino, e proiettato nei teatri di Torino e di Roma e di Milano nella primavera del 1914; di questo film si è presentata nell'aprile 1931 una ripresa sonorizzata.
La visione, divisa in cinque episodî, era lunga oltre 3000 metri e intendeva rappresentare il cozzo delle due grandi civiltà cartaginese e romana nel sec. III a. C. Fu questo non solo il primo lavoro scritto per il cinematografo da un grande artista, ma quello in cui, sfruttando le caratteristiche del nuovo mezzo di espressione: la ricostruzione storica e l'ampiezza del quadro scenico, veniva evocata sullo schermo tutta un'epoca e un conflitto epico fra due razze in contesa per l'impero del mondo. Non mancava neppure il sussidio della musica, considerata come elemento integrante della visione, poiché Ildebrando Pizzetti scrisse la Sinfonia del fuoco, ad animare con soli e cori la terribile scena del rito di Molok.
Cabiria ebbe innumerevoli imitazioni, ma nei film storici venuti dopo (dal Christus, 1914, alla Mirabile visione, 1921), la drammaticità e l'interesse della favola scenica sono stati sacrificati alla meticolosa e fedele ricostruzione del quadro storico. Particolare menzione merita tuttavia Fabiola, film tratto dal noto romanzo del cardinale Wiseman, in cui la vita delle catacombe fu ricostruita in modo mirabile da Rodolfo Kanzler, e, per la bellezza dei quadri e il vigore di alcune scene, un film tratto dalla Nave di Gabriele D'Annunzio, interpretato da Ida Rubinstein e messo in scena da Gabriellino D'Annunzio nel 1919. Fra gli ultimi, Messalina di E. Guazzoni.
Accanto ai film storici sorgono poi molti film tratti da commedie borghesi o da romanzi, di più o meno libera invenzione, nei quali si rivelano attrici che acquistano in breve grande rinomanza: Francesca Bertini, Maria Iacobini, Leda Gys, Pina Menichelli, Hesperia, per non parlare che delle più note. Si è molto scritto contro questa produzione la quale avrebbe avuto il torto di creare il "divismo", vale a dire il principio di far convergere l'interesse non sulla messa in scena, né sulla condotta del film, ma sulla prestanza fisica della protagonista. Ma il divismo non era che l'esagerazione d'una caratteristica del cinematografo: l'importanza dell'attore, non solo come interprete, ma come materia prima dell'opera d'arte: esso anticipava quanto si doveva fare più tardi in America con mezzi maggiori e con metodo. Come nei film storici si sono distinti direttori come Pastrone, Guazzoni, Caserini, Antamoro, così in quelli moderni si sono distinti direttori come Augusto Genina, Carmine Gallone, Gennaro Righelli, Lucio d'Ambra, il quale ultimo è anche autore di scenarî: Il re, le torri e gli alfieri e La signorina ciclone, in cui sono anticipati procedimenti realizzati più tardi nella cinematografia europea. Né bisogna tacere attori come Gustavo Serena, Amleto Novelli, Emilio Ghione, Maciste.
La produzione italiana però decadde a qualche anno di distanza dalla fine della guerra e molti direttori continuarono il loro lavoro all'estero. Essa è risorta nel 1930, orientandosi verso il film sonoro.
Cinematografia francese. - Inferiore a quella italiana fu la produzione francese d'anteguerra, se si eccettuino i film comici di Max Linder, che nel 1919 si stabilì in America, dove produsse i suoi più importanti lavori: Sette anni di guai e la parodia dei Tre Moschettieri.
Ma sotto l'influenza americana e tedesca, un rinnovamento si opera nei primi anni dopo la guerra nella cinematografia francese. In essa si distinguono i direttori di scena Léon Porier (Le Penseur), Feider (Atlantide e Crainquebille), L. Mercanton (Miarka), H. Roussel (Violettes impériales) e Abel Gance, i cui film (La roue, La decima sinfonia, J'iaccuse, Napoléon) hanno avuto grande successo, nonostante l'enfasi e gli elementi letterarî che abbondano in essi. Più interessanti sono piuttosto i film di Jean Epstein (La glace, 3 faces), di Marcel l'Herbier (Eldorado) e di C. T. Dreyer (La Passion de Jeanne d'Arc, 1928), per l'arditezza della messa in scena e lo studio sapiente delle luci.
Cinematografia svedese. - Grande importanza ha nella storia della cinematografia la produzione svedese, per quanto esigua. In essa si distingue particolarmente, come attore e direttore, Vittorio Sjöström. Un film impersonato da questo attore, e intitolato I proscritti, proiettato nel 1917, segna una data memorabile, per l'intensità del giuoco scenico e per la vigorosa semplicità della messa in scena. Pure importanti, pur avendo avuto minor successo, sono i film: Il Mulino in fiamme, Quando l'amore comanda e La carretta fantasma, tratto da un romanzo di Selma Lagerlöf, in cui il procedimento della sovrimpressione, che dà la sensazione di un'immagine fantomatica, è utilizzato su vasta scala con efficacia impressionante.
Cinematografia americana. - Il centro attuale della produzione americana è Hollywood in California, ma le prime case cinematografiche ebbero sede in New York. Solo nel 1908 fu fondata la prima compagnia cinematografica che girò Il Conte di Montecristo. Nel 1909 sorse la prima Compagnia Bison, di cui facevano parte il celebre direttore di scena D. W. Griffith e Mary Pickford, e che produceva film che si svolgevano nelle praterie del West.
La produzione americana anteriore al 1914 era caratteristica per i film di avventura a base di acrobazie e d'inseguimenti drammatici, nei quali già si rivelava il senso realistico e cinematografico degli Americani, liberi dai pregiudizî teatrali che inquinano la prima produzione europea. Il West, dall'aspetto ancora in molte parti di paese vergine, aveva già una tradizione romanzesca, cara alle folle e largamente sfruttata nella letteratura, fatta di ricordi ancora freschi della prima colonizzazione; con i cow-boys e con le mandrie che essi custodivano era facile ricostruire sui luoghi stessi la vita rude e primitiva dei pionieri e colorirla da romanzo o da epopea. I direttori americani seppero valersi di questi elementi e crearono un genere originalissimo di film, ma essi rimanevano indietro all'Europa per i film di argomento borghese, sicché per molti anni gli Stati Uniti importarono largamente pellicole inglesi, italiane, francesi. Nel 1912 importarono dalla Francia La Regina Elisabetta, protagonista Sarah Bernhardt e dopo dall'Italia tutti i grandi film ricordati. Quello che destò maggiormente lo spirito di emulazione degli Americani fu però il Quo vadis?, al quale già nel 1914 il Griffith rispondeva con un altro superfilm, The Birth of a Nation, che aveva per tema la liberazione dei negri americani dalla schiavitù, la guerra di secessione, la reazione del Ku Klux-Klan. Fino alla vigilia della guerra la produzione americana, vasta e importante com'era, restò ignota all'Europa. Poco dopo lo scoppio della guerra, gli Europei furono però profondamente colpiti da Forfeiture (The Cheat), un film diretto da Cecil B. De Mille, che, apparso nel 1914, non aveva avuto molto successo negli Stati Uniti, soprattutto perché rappresentava una donna bianca che faceva mercato di sé con un uomo di colore. Questo film rivelò tutta una nuova tecnica e una nuova arte, non fatta di virtuosismi, ma di forza e semplicità.
Frattanto la guerra paralizzava le case cinematografiche europee e le americane, ormai padrone della tecnica, liberate dalla concorrenza sul loro ricchissimo mercato interno, acquistarono una supremazia commerciale che permise loro di realizzare anche le pellicole più spettacolose, con grande ricchezza di mezzi. Nel 1916 il film Intolerance del Griffith stupiva l'Europa per la magnificenza delle ricostruzioni, ma anche per la bravura degli attori. In questo lavoro farraginoso si svolgevano, alternati, quattro episodî differenti: la caduta di Babilonia, la lotta dei Farisei contro Cristo, il massacro della notte di S. Bartolomeo e una vicenda moderna: tutte manifestazioni - secondo l'autore dello scenario - della medesima intolleranza. La trama offriva pretesto a scene sfarzose, e a ricostruzioni guerresche con l'impiego d'un enorme numero di comparse, come l'attacco alle mura di Babilonia.
Con questo film la conquista dei mercati europei da parte degli Stati Uniti poté dirsi compiuta. I film americani cominciarono a essere preferiti dal pubblico per la bellezza della fotografia (quasi tutta a luce artificiale), per la cura del particolare, per l'equilibrio nel valore degli attori: le parti secondarie non essendo affidate a quei pessimi attori dei quali amavano circondarsi i divi della cinematografia europea. E, quando la guerra e i rivolgimenti economici fecero desiderare uno spettacolo divertente e, insieme, riposante, questo desiderio fu appagato dai film americani, invariabilmente a lieto fine. Sulla base di questi elementi caratteristici la produzione americana, fino al 1920, progredì sia dal punto di vista tecnico sia dall'artistico; ma poi le idee nuove cominciarono a scarseggiare e si fece evidente l'abuso del metodo.
Contemporaneamente si delineò un fenomeno caratteristico, che è stato già segnalato parlando della cinematografia italiana: il predominio delle "stelle", vale a dire della prima attrice o del primo attore. Sebbene i film americani, oltre Griffith, abbiano direttori come Rex Ingram, Thomas Ince, e Mac Sennet, non è di essi che si parla. L'interesse del film è accentrato intorno a un attore o a un'attrice, i quali incarnano dei tipi caratteristici, sempre uguali a sé stessi, qualunque sia l'ambiente in cui si svolge l'azione. Cosi abbiamo i film di William Hart e di Tom Mix che si svolgono di solito nel West e creano il tipo cavalleresco del cow-boy, quelli di Mary Pickford che incarna il tipo della ragazzetta sbarazzina, quelli di Douglas Fairbanks che incarna il tipo del d'Artagnan, acrobata e spadaccino, quelli infine di Rodolfo Valentino che incarna il tipo dell'amante fatale. Vi è inoltre, la serie degli attori comici, dal tipo dello stordito, grasso e bonaccione, di Fatty, all'uomo che non ride mai, impassibile e lontano, di Buster Keaton. E vi è la serie di Harold Lloyd. Non è in questo, come può sembrare a prima vista, una deficienza artistica. V'è piuttosto nel cristallizzarsi del tipo qualche cosa di analogo a quello che è avvenuto nella commedia dell'arte italiana: la quale è qualche cosa di più serio e profondo di quello che non sembri, poiché è l'eterna commedia della vita in cui si ritrovano attraverso le circostanze più diverse gli stessi tipi umani. La differenza è che questa commedia non appare più sulle tavole anguste del palcoscenico ma nel campo senza limiti dello schermo cinematografico, e si conclude ugualmente, dopo inverosimili avventure, col trionfo del coraggio, della bontà e della bellezza.
Un posto a parte merita Charlie Chaplin (v.) poiché la sua produzione ha un contenuto profondamente umano più che semplicemente comico. Gli ultimi grandi film del Chaplin, Il monello, La febbre dell'oro, Il circo, e Le luci della città (1930), mostrano le varie possibilità della sua interpretazione, una delle poche che in tutta la produzione cinematografica sia arrivata a creare un personaggio (Charlot) che resterà nell'arte accanto a quelli creati dal teatro o dal romanzo.
Dopo il periodo che si può dire puramente americano, il film in America assume un carattere internazionale, non solo per la scelta dei soggetti, ma per l'impiego di direttori e di attori europei, che si mescolano a quelli indigeni. Notevole più che mai è l'influsso tedesco. Si conserva tuttavia la caratteristica della produzione americana di standardizzare i tipi. E così il tedesco Emil Jannings, attore di eccezionale temperamento drammatico, continua a specializzarsi in film potentemente drammatici in cui è protagonista una vigorosa e passionale personalità (Crepuscolo di gloria, Nel gorgo del peccato, Tradimento); la svedese Greta Garbo crea un tipo di donna fatale, fino allora ignoto agli Americani (La carne e il diavolo, Anna Karenine), mentre Lon Chaney si specializza in film in cui è protagonista un essere per lo più deforme o un reietto della società, e Adolphe Menjou, americano nonostante il suo nome francese, impersona il tipo dei viveur di vecchia razza. Comunque dopo questa ultima fioritura la produzione americana sembra entrare in una fase di decadenza. Nei film il quacquerismo prende il posto dell'ingenuità primitiva, e il colossale sostituisce la grandiosità dei primi film. Così, se fra gli ultimi film resta notevole La Grande Parata, che pure avendo esageratamente magnificato l'intervento americano nel conflitto europeo, ha evocato mirabilmente delle scene di guerra, gli ultimi film storici: I Dieci Comandamenti e l'Arca di Noè non si possono considerare all'altezza dei primi. Bisogna ricordare piuttosto due film significativi: Settimo cielo di Borzage e Aurora di Murnau, film a due personaggi, di grande efficacia drammatica. Interessanti sono stati i film sonori: Il cantante di Jazz, interpretato da Al Jolson (1929), e Hallelujah, messo in scena da King Vidor (1930).
Cinematografia tedesca. - I Tedeschi, che attualmente in Europa detengono il primato dell'industria cinematografica, fin dai primi film d'anteguerra avevano rivelato le qualità fondamentali del loro stile: soggetti fantastici o rudemente veristici, con un gioco scenico intenso e una messa in scena sapientemente suggestiva. I film di una grande attrice tuttora in primo piano, Asta Nielsen, ne furono gli esempî migliori. Un film d'anteguerra, intitolato Bug l'uomo d'argilla, in cui è protagonista un automa che aspira, attraverso l'amore, all'umanità, resta inoltre uno dei più caratteristici dell'arte e della mentalità tedesca. Ma soprattutto dopo la guerra il film tedesco si diffonde in Europa, rivelando attrici come Hennie Porten e Mya May, e attori come Werner Krauss, Harry Liedtke. Il film tedesco che segna un primo grande successo è un film ispirato alla storia di Francia: Madame Dubarry, impersonato da Pola Negri e da Emil Jannings. La veemenza delle scene drammatiche e la crudezza dei particolari hanno reso famoso questo film, nel quale si nota altresì l'impiego sapiente della luce artificiale che crea effetti di chiaroscuri insospettati nella messa in scena cinematografica. L'impiego della luce artificiale che altera la realtà e la messa in scena volutamente deformata toccano il culmine nel 1919 col film il Dottor Caligari, diretto da R. Wiene, messo in scena da tre artisti, W. Rohrig, H. Warm e W. Reimann. In questo appaiono esasperate tutte le caratteristiche della tecnica tedesca, le quali si possono compendiare nella parola espressionismo, e consistono nel macabro fantastico del soggetto e nella stilizzazione esagerata della messa in scena. Nei film successivi queste caratteristiche appaiono temperate, ma restano pur sempre quelle fondamentali della cinematografia tedesca, da Il fu Mattia Pascal (1924), tratto dal noto romanzo di L. Pirandello, al Golem (un film in cui è stata ripresa la stessa favola di Bug l'uomo d'Argilla), alla Mandragora (Alraune), ispirata al noto romanzo di Ewers, al Dottor Mabuse di Fritz Lang, che si può considerare come un'ultima incarnazione del dottor Faust, poiché il protagonista si trasforma, truccandosi in differenti individui, per poter vivere altrettante vite. Fritz Lang è direttore altresì di una serie di film ispirata ai Nibelunghi, che sono forse quanto di meglio ha prodotto tecnicamente la cinematografia tedesca, di Metropolis e di Una donna nella Luna.
Singolare menzione meritano i film storici, ispirati all'epoca di Federico il Grande o alla storia francese o a quella inglese (Pietro il Grande, Danton, Enrico VIII), nei quali si afferma Emil Jannings, già ricordato, la cui arte culmina in Variété (messo in scena da Dupont) e in L'angelo azzurro (1930), interpretato insieme con l'attrice tedesca Marlene Dietrich, affermatasi anche in America come protagonista di Marocco (1931).
Cinematografia russa. - Della produzione russa di prima della guerra non si può ricordare che un film tratto dal Padre Sergio di Leone Tolstoj, impersonato da Ivan Možukin (Mosjukin), che per la semplicità e rudezza sembra ricordare le migliori creazioni del teatro russo.
Ma una vera fioritura di arte cinematografica originale si ha soltanto dopo la rivoluzione sovietica del 1917. "Di tutte le arti, disse Lenin, la più importante per la Russia è, secondo me, l'arte cinematografica". Il governo sovietico iniziò quindi la produzione di film secondo un vasto piano; da allora il cinematografo è diventato una delle espressioni più rappresentative del regime.
Il cinema sovietico si propone principalmente di dipingere la vita degli operai e dei contadini, senza limitarsi agli episodî sentimentali e psicologici, e avendo sempre di mira i principî politici e sociali per i quali lo stato sovietico lotta senza tregua. La concezione dell'arte per l'arte esula dal film sovietico; ogni film deve presentare un'idea, un problema, o commentare dei fatti. Nei film puramente artistici, la personalità dominante non è quella dell'attore, ma quella del direttore. E fra i direttori russi si distinguono su tutti gli altri Eizenštejn e Pudovkin.
Eizenštejn è autore dei films: Lo sciopero, Ottobre e L'incrociatore Potemkin. Quest'ultimo film fu proiettato a Parigi nel 1926, suscitando enorme impressione. Il vecchio ed il nuovo (La linea generale), pure di Eizenštejn, illustra i vantaggi della meccanizzazione dell'agricoltura. Eizenštejn ha subito l'influenza del Griffith ma si differenzia dall'americano che parte dall'aspetto psicologico e individuale; Eizenštejn, con lo stesso procedimento artistico, innalza fino all'epopea il fatto diverso considerandolo sotto il suo aspetto collettivo e sociale. Come Griffith egli utilizza l'eterno e semplice contrasto della lotta tra il bello e il brutto, fra il passato e il presente, e come Griffith cura il particolare fino alla minuzia. Ma in Eizenštejn la forza del ritmo e il senso dell'unità travolgono tutto.
Pudovkin è l'autore de La fine di Pietroburgo e di Madre, un film ispirato dal noto romanzo di Gorkij, la cui figura centrale è tuttavia completamente alterata. Per mostrare le tragiche conseguenze dell'ignoranza, vi si mostra una madre che, credendo di salvare il figliuolo, rivela alla polizia il nascondiglio di armi ed è causa quindi della sua rovina. Il film è di una semplicità, di una crudezza e di una drammaticità senza pari, che possono ricordare il Dostoevskij. Non un particolare che non acquisti un valore psicologico, non una scena inutile. La potenza di Eizenštejn, dice il Moussinac, è fatta dall'impiego giudizioso degli elementi esteriori del dramma, dalla decomposizione per la loro ricomposizione sullo schermo delle immagini più caratteristiche, dal dinamismo più violento, mentre la potenza del Pudovkin risulta da una scelta precisa degli elementi interiori del dramma.
Altri film notevoli sono L'uragano sull'Asia, Ivan il Terribile, Il 41° e Turksib, film interessantissimo, in parte a carattere documentario, che illustra la costruzione della nuova ferrovia dal Turkestan alla Siberia. Questi film hanno uno spiccato carattere sociale.
Bibl.: H. Diamant-Berger, Le cinéma, Parigi 1920; L. Delluc, Charlot, Parigi 1920; R. Flourey, Filmland, Parigi 1923; L. Moussinac, Naissance du cinéma, Parigi 1925; A. Dupont e F. Podehl, che ein Film geschrieben wird und wie man ihn verwertet, Berlino 1926; L. Moussinac, Le cinéma soviétique, Parigi 1928; S. A. Luciani, L'antiteatro. Il cinema come arte, Roma 1928; W. Pudowkin e S. Timoschenco, Filmregie und Filmmanuskript, Berlino 1928; B. Balazs, Der sichtbare Mensch. Eine Film-dramaturgie, Halle 1929; P. Rotha, The Film till now, Londra 1930; E. Giovannetti, Il cinema, arte meccanica, Palermo 1930; Ministero dell'Interno, Direzione gen. della P.S., Indice alfabetico delle pellicole cinematografiche approvate dal Min. dell'Interno fino al 31 dic. 1915, Roma 1916; Indice alf. ecc., dal 1° genn. 1916 al 31 dic. 1921, Roma 1923; Indice ecc., dal 1° genn. 1922 al 3 dic. 1925, Roma 1927; Russische Filmkunst (pref. di A. Kerr), Berlino 1929.
Industria.
Gli elementi particolari che caratterizzano la produzione cinematografica, primo fra tutti il suo contenuto essenzialmente artistico, si riflettono sull'organizzazione e sulle possibilità dell'industria, dandole una fisionomia del tutto speciale.
L'industria cinematografica non può intanto organizzarsi, come ogni altra, per la produzione in serie, o lo può solo entro limiti ristrettissimi. Essa deve piuttosto fornire una produzione sempre originale, per elementi inventivi e interpretativi, e costituirsi, all'uopo, un personale direttivo ed esecutivo che possa realizzare motivi e finalità di arte. Ciò naturalmente aggrava i suoi costi di produzione, e talvolta notevolmente, per la necessità di sottrarre alla concorrenza il personale migliore, e porta spesso l'industria a coltivare essa stessa, oltre il necessario, attraverso una sapiente pubblicità, la preferenza del pubblico per i migliori artisti e i più abili direttori. L'industria americana, che più d'ogni altra ha esagerato in questa tendenza a coltivare il divismo, e le industrie europee hanno cercato, però, in questi ultimi anni di rivedere i loro criterî organizzativi, spinte in ciò anche dalla constatazione che il pubblico si stanca di rivedere i medesimi artisti. Le più grandi imprese cinematografiche hanno così creato delle vere e proprie scuole artistiche per l'educazione d'un numeroso e scelto personale, cercando di dare maggiore equilibrio ai varî fattori artistici e tecnici della produzione, armonicamente fondendoli e coordinandoli, e, soprattutto, diminuendone il costo. D'altra parte, la diffusione del film sonoro, per la cui produzione occorre un personale con nuove attitudini artistiche e tecniche, ha rivoluzionato la vecchia carriera artistica, determinando uno spostamento di valori.
L'industria cinematografica incontra anche difficoltà, a differenza di altre, a costituirsi sicuri preventivi economico-finanziarî di produzione. Non solo il costo varia notevolmente da un film all'altro; ma, per uno stesso film, il costo preventivato spesso risulta inferiore al costo del film realizzato. E il finanziamento dell'industria da parte delle organizzazioni creditizie è spesso difficile a conseguirsi, appunto per questa incertezza negli elementi di valutazione preventiva.
Queste variazioni di costo dipendono da varî fattori: dalla necessità di far riscrivere diverse volte la trama per pervenire al risultato voluto, da un diverso sviluppo artistico che si dà al lavoro nel corso della realizzazione scenica, dalla necessità di perfezionare certi particolari e di rifare certe scene; in genere da tutte quelle esigenze artistiche, che sono difficilmente prevedibili a priori, e che non sorgono affatto nelle branche industriali comuni.
La trama di un soggetto deve essere anzitutto sceneggiata, vale a dire occorre prevedere e studiare la successione delle scene quale essa dovrà poi verificarsi sullo schermo. Oltre alla sceneggiatura bisogna provvedere alla completa inquadratura dello scenario, vale a dire alla successione dei diversi quadri, alla determinazione degli elementi tecnico-artistici di ciascuno di essi (campo visuale, eventuali movimenti dell'apparecchio di presa, grandezza dell'immagine - primo o primissimo piano, campo lungo, ecc. - lunghezza di ciascun quadro, caratteristiche fotografiche, eventuale colorazione, imbibizione o viraggio, ecc.). Nel film sonoro, oltre a questi elementi ottico-fotografici, occorre determinare e prevedere tutti gli elementi sonori che devono accompagnare l'azione scenica siano essi musicali, cantati, parlati o semplicemente acustici, come suoni varî, rumori, ecc.
Teoricamente il copione pronto per la realizzazione - il Drehbuch dei Tedeschi - dovrebbe stabilire in modo tassativo ogni operazione, ogni effetto prima d'iniziare la ripresa del primo metro di pellicola. E così avviene in taluni casi e con taluni inscenatori. Ma, nella grande maggioranza dei casi, il copione giunge al massimo alla sceneggiatura generica del soggetto, lasciando all'inscenatore la cura della realizzazione e delle modificazioni che a volta a volta gli parranno necessarie al momento della ripresa. Per quanto il primo sistema possa parere più perfetto, o meglio, più corretto, il secondo lascia all'inscenatore una libertà assai maggiore nell'esplicazione della sua fatica artistica. Ma per questo rende più difficile un'esatta previsione di costo.
Oggi, l'industria cerca di superare anche questa difficoltà e di darsi una struttura finanziaria più stabile. È recente il sistema dei preventivi che non possono, se non in casi eccezionali, essere superati, e il sistema di pagare percentuali ai direttori artistici che realizzano economie. È pure recente la formazione di preventivi annuali che contemplino la produzione d'un numero definito di film. In questi preventivi la produzione è distinta in film correnti o di serie (program film), film di carattere artistico più spiccato (special film) e film di eccezionale importanza artistica (super special; film-road shows), intendendosi con ciò confinare la possibilità di sensibili variazioni di costi ai film notevoli. In America, alcuni anni fa, il costo dei film correnti fu valutato intorno a 215 mila dollari, quello delle altre due categorie rispettivamente da 350 a 500 mila, e da 500 mila a 2 milioni o più. Ogni dollaro, in media, si stima venga così impiegato: retribuzione attori 0,25; retribuzione direttori, fotografi e assistenti 0,10; scenarî e trama 0,10; arredamento 0,19; spese di studio 0,20; costumi 0,03; fitti 0,08; pellicola 0,05.
Con l'avvento del film sonoro, l'attrezzatura tecnica dei teatri di posa si è dovuta completare, secondo le nuove esigenze; inoltre la produzione del film ha richiesto un processo di preparazione più lungo e delicato. Il costo è aumentato, e gl'Inglesi calcolano che, mentre per il film muto si spendono da 5000 a 12.000 sterline, per il sonoro se ne spendono da 12.000 a 20.000.
Il collocamento del film presenta pure problemi particolari, molto complessi. Ed è tipica dell'industria cinematografica la distinzione d'una fase di produzione propriamente detta, dalla fase di distribuzione e di esibizione, per significare i tre momenti attraverso cui l'industria realizza i suoi fini. Ciascuna di queste fasi può essere trattata da un'organizzazione economica indipendente. Di recente però si è molto diffusa la pratica delle organizzazioni unitarie e le grandi case produttrici comprendono ormai quasi tutte una vasta rete di organi di distribuzione e di sale cinematografiche di esibizione (theatre chains). La Paramount Famous Players-Lasky Corporation ha un'organizzazione distributiva attraverso cui nella sola America del Nord viene in contatto con 10.000 imprese di gestione di sale cinematografiche e un'organizzazione di esibizione che gestisce in proprio 700 sale; la Fox Film Corporation gestisce più di 500 sale. Naturalmente, le grandi case produttrici non si valgono delle organizzazioni complementari per la diffusione dei loro film soltanto, ma trattano anche la produzione concorrente, e specialmente quella estera, oppure senz'altro procedono ad accordi per la gestione comune delle organizzazioni di distribuzione e di vendita.
Elemento caratteristico dell'industria è che dalla produzione all'esibizione non si perviene attraverso la vendita, ma attraverso il noleggio per un determinato periodo di tempo. La casa produttrice attraverso i suoi organi di distribuzione, o l'impresa indipendente di distribuzione, dispongono per un primo noleggio del film in tante copie (positive) quanti sono i cinematografi che si prestano, per rendimento, alle prime visioni, e, dopo questa distribuzione, ne attuano altre successive, in sale di minore importanza, fino a pervenire all'ammortamento del costo e alla realizzazione del profitto. E questa distribuzione sistematica deve avvenire nel ristretto spazio di tempo in cui un film può considerarsi di attualità, poiché, a differenza del teatro o del libro, non è possibile che un film conservi per lungo tempo un valore di mercato, anche se esso abbia un notevole valore artistico. Si calcola, in proposito, che il costo debba essere ammortizzato del 50% in novanta giorni, dell'88% in un anno, del 100% in due anni. Dopo due anni, le maggiori case americane portano la negativa del film in bilancio per il valore di 1 dollaro.
Questo processo di distribuzione risulta molto complesso e aumenta quasi del 30% il costo del film. In America è stato ordinato in maniera tipica, attraverso il cosiddetto Key center plan; il territorio federale è stato diviso in 31 distretti (Key center), in ciascuno dei quali vi è una città (Key city), con cinematografi di prima classe, nei quali è vantaggioso attuare la prima esibizione del film (first-run). Il dipartimento distributivo della Paramount Famous Players-Lasky Corporation utilizza due negative, una per gli Stati Uniti e il Canada, l'altra per i paesi esteri, che spedisce a Londra; dalla prima negativa trae circa 200 positive che distribuisce a una cinquantina di agenzie locali, dalla seconda 142 positive che distribuisce a 73 paesi esteri.
La rata di noleggio varia, naturalmente, secondo il valore artistico del film. Si è usato per molto tempo il sistema di stabilire prima questa rata in un certo ammontare, lasciando all'esibitore i rischi connessi alla presentazione al pubblico del film. Ma ciò rendeva difficili le valutazioni della casa produttrice, che doveva stabilire per via congetturale le probabilità di successo e di rendimento economico del film; per cui recentemente si è molto diffuso il sistema di noleggiare film sulla base di una determinata percentuale degl'incassi, così da dividere con l'esibitore i rischi e i vantaggi dell'esibizione. In Germania, si sono usati anche sistemi misti. La rata d'ammortamento varia poi secondo l'importanza dei luoghi di esibizione. Gli Americani calcolano che il 75% del reddito provenga dai primi 1250 contratti di noleggio, e il 25% da altri 8750 contratti. Il costo di questi ultimi contratti è altissimo, ma va sostenuto perché l'industria possa ammortizzare il costo di produzione e trarre un profitto dalla produzione.
Un inconveniente di questi sistemi di contrattazione è che l'impresa di produzione non è mai sicura di potere convenientemente collocare il film, fino ad ammortizzarne il costo. Un insuccesso artistico nelle prime visioni può rompere la catena dei successivi contratti. L'industria ha cercato riparo a questo inconveniente, con i sistemi di contratti o prenotazioni in blocco (block booking), cioè col collocamento anticipato presso l'esibitore di tutta o parte della produzione annuale della casa, individuata genericamente secondo l'argomento (drammatico, storico, ecc.) o il protagonista principale (Chaplin, Douglas, ecc.). Ma questo metodo è stato vivamente combattuto dagli esibitori, come pratica che deprime la qualità della produzione, e proibito addirittura, insieme al blind booking o prenotazione alla cieca, da qualche legislazione (ad esempio l'inglese). Oggi l'esibitore noleggia preferibilmente un numero di film minore di quello annualmente prodotto dalla casa, riservandosi il diritto di sceglierlo dall'intero.
Un altro aspetto tipico dell'industria cinematografica è dato dal vasto mercato internazionale di cui essa dispone. La produzione, per il suo contenuto essenzialmente artistico, dà luogo a quegli intensi scambî da paese a paese che contraddistinguono la produzione libraria, teatrale, intellettuale in genere. Gli Americani sono anche in questo campo all'avanguardia, poiché essi ritraggono dal mercato estero almeno il 25% dei loro redditi industriali.
Recentemente, tuttavia, alcune tendenze protettive hanno reso più difficile questo scambio. E queste tendenze trovano giustificazione non soltanto nel desiderio dei paesi aperti a forte concorrenza internazionale di crearsi un'industria cinematografica propria, ma anche nel desiderio di limitare, per quanto possibile, l'influenza morale e sociale che il film estero, con il rispecchiare sentimenti e costumi del luogo di origine, esercita irresistibilmente nei paesi in cui è esibito. In Inghilterra e in altri stati europei, è stato ripetutamente lumeggiato il pericolo d'un'infiltrazione di sentimenti e costumi americani, nella grande massa del pubblico, in relazione alla frequente presentazione di film di quel paese; e il pericolo è stato ritenuto più grave per il fatto che il film, a differenza del libro e del teatro, perviene a conoscenza delle masse più vaste e quindi più influenzabili di una nazione. In relazione a questi presupposti, si è sviluppata in molti paesi, non soltanto la politica del contingentamento, iniziata dalla Germania nel 1925, politica che subordina l'esibizione di film esteri all'esibizione di un certo numero di film nazionali, ma anche una politica di censura del film, con la costituzione di speciali uffici governativi di controllo.
Un altro notevole ostacolo alla diffusione internazionale del film, è sorto con le applicazioni sonore. Infatti, mentre il film muto può praticamente diffondersi in tutti i paesi, essendo sufficiente allo scopo una semplice versione linguistica, la diffusione del film sonoro è limitata ai paesi che intendono la lingua adottata. Sono possibili, naturalmente, versioni sincronizzate o, addirittura, produzioni in diverse lingue dello stesso film, ma le difficoltà tecniche e il costo di produzione aumentano sensibilmente, senza che il risultato si possa sempre dire artisticamente perfetto.
Una piena ripresa dell'industria europea rispetto all'americana, si fa dipendere appunto da queste nuove condizioni del mercato internazionale. Senza dire che qualche legislazione (come l'italiana ad es.), proibendo del tutto l'esibizione di film dialogati in lingua estera, ha creato senz'altro le condizioni essenziali per lo sviluppo di un'industria nazionale che possa venire incontro alle richieste delle grandi sale cinematografiche, ormai quasi tutte attrezzate per la riproduzione sonora. I pericoli di questa situazione sono temuti dagli Americani che pure, per gli esperti linguistici e il personale artistico di ogni nazionalità di cui dispongono, e per la perfetta organizzazione industriale, sono in buone condizioni per superarli.
Un altro ostacolo alla diffusione del film è costituito dal fatto che mentre i grandi cinematografi richiedono ormai il film sonoro, avendo l'attrezzatura di riproduzione e non essendo più in grado di esibire film muti, i piccoli cinematografi richiedono invece film muti, non avendo i capitali necessarî per fornirsi di apparecchi di riproduzione sonora. Da questo punto di vista la distribuzione di film incontra oggi difficoltà sconosciute nel passato.
Dati statistici. - Fino all'immediato anteguerra, l'Europa diede indubbiamente la migliore produzione cinematografica. Alcune case, come la Pathé in Francia, l'Ambrosio e la Cines in Italia, producevano ottimi film dal punto di vista artistico e tecnico e dominavano largamente i mercati europei e americani. Gli Stati Uniti erano specializzati, allora, come si è detto, nella produzione di film comici o di avventure, lunghi al più da 150 a 200 piedi; che riuniti in un gruppo di circa 1000 piedi, erano esibiti sotto il nome di chase pictures, spesso, o a solo, o uniti a spettacoli di varietà (teatri Loew). Si ricorda come una delle prime grandi esibizioni cinematografiche negli Stati Uniti, la rappresentazione della Passione della casa Pathé in 3 atti, e più tardi, della Regina Elisabetta, interpretata da Sarah Bernhardt, e del Quo vadis?
Nel 1912 sorsero due potenti organizzazioni, la General Film Company e la Patents Company, che controllarono tutto il mercato cinematografico, dalla produzione degli apparecchi di presa a quella di proiezione, e noleggiando le macchine solo a chi si obbligasse a esibire film di propria produzione. Più tardi, il gruppo dové sciogliersi per intervento giudiziale. Frattanto però alcune altre compagnie che esistevano, la Famous Players, la Lasky Corporation, la Morosco Company, la Paramount Distributing Company, si univano dando luogo a una potente organizzazione, la Famous Players-Lasky Corporation. L'industria americana aiutata anche largamente all'inizio da noti finanzieri, fra cui principalmente il banchiere italo-americano Giannini, si andava così costituendo su vaste basi, e dopo la guerra acquistava il dominio assoluto del mercato, mentre l'industria europea cessava quasi totalmente da ogni attività. L'arresto delle attività europee nel periodo bellico, la più razionale organizzazione dell'industria americana, il suo progressivo accentramento, le disponibilità di forti capitali e di un numeroso complesso artistico, furono gli elementi costitutivi di questa supremazia.
Il predominio incontrastato dell'industria americana è durato per parecchi anni. Ma dal 1925 in poi, l'industria ha incontrato qualche difficoltà sia perché il pubblico europeo e anche americano cominciava a manifestare sintomi di stanchezza dovuti all'eccessiva uniformità della produzione, sia perché l'industria europea, e principalmente la tedesca tendeva a riprendere in pieno la sua attività, dopo un laborioso processo riorganizzativo. E questa ripresa europea veniva largamente favorita dalle leggi sul contingentamento, applicate prima in Germania, dove si stabilì che il noleggiatore acquistasse un film tedesco per ogni film estero importato, disposizione in seguito variata nel rapporto numerico, ma non nella sua sostanza; poi in Inghilterra, dove si stabilì un rapporto del 71/2%, aumentabile al 20% in 10 anni; in Francia, col rapporto di 1 a 7, e in altri paesi. Fra il 1929 e il 1930, l'industria americana, col lanciare il film sonoro, ha avuto una formidabile ripresa, specialmente sui mercati di lingua inglese. Ma le difficoltà tecniche di diffusione cui si è accennato, e il fatto che le industrie europee si sono andate rapidamente attrezzando per questa produzione, non inducono a dare a questa ripresa un carattere definitivo.
Le seguenti cifre, ricavate da censimenti ufficiali, dànno un quadro del successivo sviluppo dell'industria americana:
In 10 anni, dal 1919 al 1929, il valore della produzione si è all'incirca quintuplicato. Si calcola che attualmente siano investiti nell'industria due miliardi di dollari, di cui 1 miliardo e 250 milioni in beni materiali; che gl'introiti lordi delle sale cinematografiche siano di 800 milioni di dollari e il reddito di 200. Dai dati riportati si può rilevare il più alto costo dei film sonori, in confronto ai film muti.
Le maggiori case americane di produzione hanno proceduto, in questo ultimo decennio, a vaste concentrazioni d'interessi, ostacolate talvolta dalla giurisprudenza, che rigorosamente applica le leggi contro i trusts.
L'esportazione di film impressionati negativi e positivi è stata di 70,3 milioni di metri nel 1927, di 67,7 nel 1928, di 86 nel 1929, con una quota di negativi pressoché invariata nel triennio. L'esportazione del 1929 era diretta per 33,5 milioni di metri in Europa, per 24,3 milioni nell'America latina, per 19,1 in Australia e Asia e per 9 nel Canada e in paesi dell'Africa. Gli Stati Uniti hanno anche un diffuso mercato di apparecchi di presa, di proiettori, di pellicole non impressionate. Nel 1929 essi esportarono 633 apparecchi di presa, 4300 proiettori e 22 milioni di metri di pellicola non impressionata.
In confronto alla situazione cinematografica americana, l'europea, dal punto di vista produttivo, si può così riassumere:
Molte case produttrici europee hanno teatri per la produzione di film sonori, e precisamente, al 1929, le tedesche 2, le francesi 5, le inglesi 10 e le italiane 2. Esistono, in Europa, molte ditte per la fabbricazione di apparecchi di presa, proiettori, pellicole non impressionate.
Il commercio dei film nei principali paesi europei può rilevarsi indirettamente dai seguenti dati:
Il numero dei cinematografi nel mondo si è recentemente calcolato in 55 mila circa, di cui 18-20 mila negli Stati Uniti, 25-27 mila in Europa, 4 mila nell'America latina, 4 mila in Asia e Australia, 2 mila nel Canada e nell'Africa. Questi cinema si vanno rapidamente attrezzando per la produzione sonora: senza dire degli Stati Uniti in cui il 50% circa dei cinema è già idoneo a questa forma di rappresentazione, in Europa si contavano al 30 ottobre 1930, 4950 e in altri continenti 1800 cinema attrezzati.
È interessante notare che in Norvegia, salvo poche eccezioni, i cinema sono gestiti dalle autorità municipali, e i noleggi avvengono attraverso agenzie pubbliche, di cui le più importanti hanno sede ad Oslo.
L'industria italiana. - È stato già rilevato come la produzione italiana d'anteguerra avesse acquistato una grande importanza nel campo internazionale. L'industria nacque nel 1905 a Roma, con la costituzione della Cines. Ben presto si diffuse costituendosi nei centri, specialmente a Roma e a Torino. Si ricordano tra le case più importanti romane, oltre la Cines, la Tiber, la Celio, la Caesar, la Palatino, la Fert, la Guazzoni Film, e fra le torinesi, l'Ambrosio, l'Italia, la Pasquali, la Gloria, la Savoia. A Milano lavorava la Milano Film, a Napoli la Lombardo Film, a Firenze l'Icsa.
L'attività dell'industria italiana continuò, con ritmo più lento, nel periodo di guerra e nell'immediato dopoguerra, per arrestarsi completamente più tardi, a causa della formidabile concorrenza americana. La Cines, che dal 1909 al 1919 aveva prodotto la notevole cifra di 1525 film, di cui 895 a contenuto drammatico, 258 a contenuto scientifico o di attualità, 372 comiche, nel 1923, con gli ultimi quadri di Ben Hur, film americano girato nei suoi stabilimenti, cessava ogni attività.
L'inattività dell'industria italiana è durata a lungo e solo negli ultimi anni si è avuta una certa ripresa, con le produzioni dell'Anonima Pittalugn, della Supremafilm, della Direttori Italiani Associati e dell'Augustus Film. Ma un vero impulso all'industria è stato dato nel 1930 con la riattrezzatura, a cura dell'Anonima Pittaluga, dei vecchi stabilimenti della Cines per la produzione dei film sonori. Questi stabilimenti comprendono attualmente 3 teatri di posa, attrezzati con apparecchi della Radio Corporation of America. Nel primo anno di attività sono stati prodotti 10 film a lungo metraggio, 15 a corto metraggio e 5 riviste di attualità. Le disposizioni legislative italiane che vietano i film dialogati in lingua estera (salvo che non si tratti di attualità) e le condizioni generali del mercato fanno prevedere una buona ripresa.
Il mercato di distribuzione, in Italia, è ordinato all'incirca sulle linee generali già descritte. Le maggiori organizzazioni distinguono il mercato in zone (generalmente 10) con 10 sedi in cui normalmente ha luogo la prima visione (primo passaggio).
L'importazione di film è in Italia ancora notevoli. Nel 1929, furono censurati 451 film a lungo metraggio, di cui 244 americani e 207 fra italiani e di altre provenienze; e 355 film a corto metraggio, di cui 237 americani e 118 di altre provenienze. Fra i film americani, ve ne erano 160 di sonori, di cui 47 a lungo e 113 a corto metraggio.
Secondo il r. decr. 16 giugno 1927, l'importazione estera in Italia dovrebbe essere contingentata secondo il rapporto 1 a 10; ma la scarsezza della produzione nazionale non ha reso finora applicabile questa norma. L'importazione è colpita da un dazio di lire-oro 0,22 per metro.
Si stima che in Italia vi siano circa 3 mila sale cinematografiche, di cui alcune, nelle maggiori città, di grande importanza artistica e tecnica. Circa 120 di queste sale erano, all'ottobre del 1930, fornite d'installazioni sonore.
Bibl.: D. Boughey, The film industry, Londra 1921; E. Spillane, More mergers in the Movies, in Commerce and Finance, aprile 1924; The motion picture, numero speciale degli Annals of the American Academy of Political and Social Sciences, Novembre 1926; Harvard University, The story of the films, New York-Londra 1927; U. S. Department of Commerce, European Motion-Picture Industry, 1927, 1928, 1929, Washington.
Cinematografo educativo.
Le prime pellicole dei fratelli Lumière erano rivolte alle illustrazioni delle arti, ma subito dopo il cinematografo abbaridonò questi soggetti per quelli romanzeschi e per la proiezione di rappresentazioni teatrali appositamente messe in scena. Fu solo dopo 15 anni che il cinematografo ritornò verso finalità istruttive ed educative intese nel senso più limitato dell'espressiorie come il film dell'insegnamento, o nel senso più largo della sana ricreazione dei fanciulli e delle masse lavoratrici e dell'elevazione intellettuale del popolo.
I primi esempî di pellicole istruttive ed educative si ebbero nel 1911 in Francia e nel 1912 in Germania e in Svezia. Nel 1914 si ebbero le prime pellicole a carattere nettamente scientifico, come la serie dei film biologici del dottor Commandon in Francia. Dal 1918 sorge un vero movimento internazionale di produzione di pellicole educative: sia di vero e proprio ausilio all'insegnamento, sia di orientazione professionale, di propaganda igienica e sociale, d'insegnamento e propaganda agricola, d'illustrazione artistica e archeologica ed anche di natura nettamente scientifica. Parallelo allo sviluppo della produzione è il movimento di organizzazione di cineteche scolastiche e la produzione di piccoli apparati destinati all'insegnamento con lampade a incandescenza di basso voltaggio e amperaggio; tali, cioè, da essere agevolmente manovrati da professori, assistenti e allievi.
Sino al 1923 il movimento cinematografico educativo non aveva richiamato l'attenzione ufficiale dei diversi governi. Nel luglio 1924 la Commissione internazionale di cooperazione intellettuale della Società delle Nazioni ebbe a studiare il problema del cinematografo come vero e proprio elemento di vita sociale.
Nello stesso anno 1924 sorgeva in Italia, per volontà del capo del governo, l'Istituto Nazionale L.U.C.E. per la propaganda e la cultura a mezzo della cinematografia. Era il primo istituto a carattere nazionale incaricato di coordinare e dirigere il vasto movimento della cinematografia educativa. Già nei primi mesi del 1925 il Ministero dell'istruzione pubblica fondava 19 cineteche presso i regi provveditorati agli studî allo scopo di fornire sistematicamente le pellicole alle scuole medie; nello stesso anno i maggiori comuni d'Italia fra i quali Roma e Milano, costituivano d'intesa con il L.U.C.E., le prime cineteche scolastiche per le scuole elementari. In seguito il L.U.C.E., nel 1926, formava il primo gruppo di autocinema destinati alla propaganda educativa gratuita fra le masse popolari e all'insegnamento e propaganda agricola fra le masse rurali. Nel settembre 1926 si adunava a Parigi, promosso dalla S. d. N., il primo congresso internazionale della cinematografia, incaricato di studiare i mezzi per una cooperazione fra i diversi paesi nel campo del film didattico, educativo e scientifico. Nell'aprile 1928 si adunava all'Aia, su proposta del governo olandese, il congresso europeo di cinematografia scolastica nel quale venivano esaminati i diversi problemi della metodologia nell'applicazioni del cinematografo all'insegnamento, del controllo pedagogico sulla produzione delle pellicole istruttive e dello scambio internazionale dei film aventi un valore educativo riconosciuto.
Nel frattempo la Commissione internazionale di cooperazione intellettuale e il Comitato per la protezione dell'infanzia e della gioventù della S. d. N., studiavano a fondo il problema del cinematografo nella vita sociale, delle sue possibilità e dei suoi danni insieme alle misure da adottare a salvaguardia dell'infanzia.
Il 20 settembre 1927 il governo italiano proponeva all'assemblea della Società delle Nazioni la formazione in Roma di un Istituto internazionale per la cinematografia educativa, organo della S. d. N. L'Assemblea della S. d. N. del settembre 1928 deliberava la definitiva creazione dell'istituto stabilendo che esso fosse l'organo incaricato di studiare tutti i diversi aspetti e problemi della cinematografia applicata all'insegnamento e all'educazione in genere. Il 5 novembre 1928 alla presenza del re, con un discorso inaugurale del capo del governo Benito Mussolini, l'istituto iniziava la sua opera.
Primo compito dell'Istituto internazionale era quello di promuovere, d'intesa con i diversi governi, la formazione d'istituti nazionali sul tipo dell'italiano L.U.C.E. Nel settembre 1929 si costituiva l'Istituto nazionale polacco del film educativo, nell'ottobre 1929 l'università cinematografica bulgara, nel dicembre 1929 l'università cinegrafica belga, nel marzo 1930 l'Istituto nazionale chileno di cinematografia educativa, nell'aprile 1930 il Comitato spagnolo del cinematografo educativo, nell'aprile 1930 la Francia costituiva l'Ufficio nazionale degli uffici dipartimentali del film educativo. In pari tempo la Germania, sviluppando sempre più la sua organizzazione produttiva e distributiva affidava compiti sempre più complessi all'istituto centrale per la cultura e le ricerche, Zentralinstitut für Erziehung und Unterricht, noto anche sotto il nome d'Istituto Lampe. Il governo tedesco deliberava esoneri fiscali per la proiezione di pellicole il cui carattere educativo fosse stato riconosciuto dall'Istituto Lampe.
In pari tempi, con azione promossa dall'Istituto internazionale di Roma per il cinema educativo, si approntava uno schema di convenzione internazionale intesa ad abbattere le barriere doganali per i film il cui contenuto educativo sia stato riconosciuto dall'istituto di Roma.
All'istituto di Roma per la cinematografia educativa aderiscono tutti i governi facenti parte della Società delle Nazioni, e gli Stati Uniti d'America.
Architettura.
Differenza sostanziale fra il teatro e il cinematografo è che se nel primo la scena può essere osservata anche da posizioni molto laterali, nel secondo occorre che lo schermo sia visto quasi di fronte e non mai sotto angoli maggiori di 30°. Se detti angoli risultassero maggiori le immagini verrebbero ad essere fortemente deformate.
La forma a ferro di cavallo non si addice alle sale cinematografiche per le quali si adotta, in generale, la forma rettangolare con lo schermo posto su uno dei lati minori. La forma, però, che meglio si adatta a una razionale disposizione dei posti, a una migliore realizzazione estetica, a un'ottima visibilità, è la forma trapezoidale con la grande base leggermente incurvata la quale serve da direttrice alle file delle sedie che s'installano nella platea. Nel caso che ci siano delle gallerie, caso che si presenta molto di frequente, si fa ad esse seguire la stessa curva. In questo modo tutti gli sguardi (come avveniva del resto nei teatri wagneriani a settori circolari, di cui il prototipo è quello di Bayreuth) vengono naturalmente diretti verso il centro dello schermo.
Questa sarebbe la forma teorica perfetta verso la quale dovrebbero convergere gli sforzi dei progettisti; ma in verità in ben pochi casi si è raggiunto tale grado di perfezione, perché nella pratica il problema della costruzione e dell'impianto d'una sala cinematografica si presta assai di rado ad una soluzione del tutto razionale. Nella maggior parte dei casi, anzi, esso è irto di difficoltà, dovendosi tener conto della forma dell'area assegnata e di altre inderogabili condizioni che vincolano la libertà del progettista e gl'impediscono di adottare la soluzione teorica ideale.
Come in tutte le composizioni architettoniche la planimetria del terreno sarà quella che influirà maggiormente sulla soluzione definitiva da adottarsi. Stabilita la forma della sala è da por mente alla particolare distribuzione dei posti imposta dal tipo di pubblico. Nel caso di locali popolari la soluzione semplice parrebbe consistere nel ricavare il massimo dei posti nel minimo spazio, ma non è una soluzione oggi sempre accettabile. Nei locali di lusso invece va assicurato ad ogni posto maggior comodità assegnandogli maggiore spazio senza peraltro pregiudicare l'utile rendimento dell'esercizio. Inoltre debbono ricavarsi accanto alla sala delle proiezioni altre sale di attesa e di svago. Nel caso più frequente, che è quello di un'unica sala che accolga pubblico di diverso ceto, si dovrà avere cura di assicurare l'indipendenza degli accessi alle varie categorie di posti.
La grandezza dello schermo va determinata mettendola in relazione con la sala. Se la sala è di forma molto allungata è intuitivo che esso dovrà essere relativamente grande e proporzionato alla lunghezza di questa e non alla sua larghezza che non ha influenza alcuna. Se la sala è molto larga e poco profonda, le dimensioni dello schermo restano ridotte, in quanto più saranno grandi le sue dimensioni e più gravi saranno i difetti di prospettiva delle immagini. Vi è un angolo per cui la visibilità è perfetta e corrisponde a quella distanza dallo schermo per effetto della quale il campo visuale d'ogni spettatore riesce ad abbracciare detto schermo in tutta la sua larghezza.
Questa distanza visuale può essere determinata in funzione della larghezza dello schermo e dell'angolo visuale dell'occhio umano che si aggira intorno ai 30°.
Uno studio che dovrà essere condotto con rigore, perché sta a base del successo di una buona proiezione e della sicurezza del locale, risiede nella ricerca appropriata della posizione da assegnare alla cabina di proiezione.
Se il progettista vuole ottenere proiezione ottima e visibilità perfetta, dovrà anzitutto darsi pensiero della posizione della cabina in rapporto allo schermo. Ciò ha la massima importanza principalmente a causa dei varî angoli che i raggi di proiezione possono formare con lo schermo e delle diverse deformazioni che possono derivarne. Una proiezione tipo dovrà farsi normalmente allo schermo. Se per una qualsiasi ragione non si può proiettare normalmente allo schermo, bisogna ricorrere a speciali artifici. Il più semplice di questi consiste nell'inclinare lo schermo in guisa da ridurre l'angolo di proiezione. Si ricorre però talvolta anche all'artificio di lenti ripartitrici della luce con lo scopo di evitare deformazioni poco visibili nella presentazione del paesaggio oppure si mandano i raggi della proiezione su di uno specchio piano opportunamente disposto e tale che l'asse del fascio dei raggi riflessi arrivi sempre normalmente allo schermo. Una soluzione che veramente può dirsi ideale sarebbe poi quella di proiettare non dalla sala, ma invece di dietro allo schermo. Qualora si potesse attuare quest' ultimo tipo di proiezione si avrebbero certo dei vantaggi notevoli: i fasci luminosi non attraverserebbero l'atmosfera della sala che è per lo più sovraccarica di fumo, il quale, illuminato, diffonde la luce, a tutto danno della chiarezza della proiezione, la cabina verrebbe ad essere posta fuori della sala evitando così il pericolo d'incendî, si ridurrebbe la lunghezza della proiezione che riesce dannosa alla freschezza e alla bellezza delle immagini, si diminuirebbe il consumo di energia elettrica, necessaria a ottenere una maggiore chiarezza e pastosità nelle proiezioni, a causa delle eccessive distanze.
Per le proiezioni eseguite di dietro allo schermo (proiezioni per trasparenza) occorre impiegare speciali schermi traslucidi in tela oleata, o che sia stata resa traslucida mediante particolari procedimenti (lieve colorazione giallognola: sistema applicato in varî cinematografi, per esempio nel cinema Odescalchi a Roma e nel Gaumont Palace a Parigi).
Quanto alla cabina, essa può essere sistemata in varî luoghi: 1. fuori della sala e in vicinanza del soffitto: in questo caso occorre non sorpassare un angolo di proiezione eguale all'incirca a 32°; 2. alla sommità dell'anfiteatro, soluzione questa che è stata più largamente adottata; 3. al pianterreno sotto la prima galleria (Supercinema a Roma) ove si possa, però, soddisfare alle esigenze di aereazione, di ubicazione e di sicurezza; 4. in un luogo intermedio tra la prima e la seconda galleria, oppure tra l'unica galleria e il soffitto; 5. in un punto laterale, soluzione da adottarsi solamente in casi eccezionali, in quanto, tanto per citare un esempio, se la proiezione viene fatta anche dall'alto al basso le deformazioni delle immagini avvengono in due direzioni e cioè in senso verticale e in senso orizzontale; 6. nella zona compresa tra il pianterreno e la prima galleria; questa soluzione permette la "proiezione tipo", in quanto l'asse di proiezione risulta normale allo schermo.
La cabina, costruita con materiale non combustibile, dev'essere sufficientemente aereata, separata dalla sala e dagli altri locali e deve poter comunicare direttamente con l'esterno. La diffusione crescente del cinematografo sonoro ha dato poi un'importanza del tutto nuova alle qualità acustiche della sala. Per le caratteristiche acustiche, i cinematografi vanno costruiti secondo le norme suggerite per gli altri locali da audizione (v. acustica).
Tra i locali indispensabili, oltre alla sala per le proiezioni e gli ambienti varî di trattenimento, sono i passaggi per l'entrata e specialmente per l'uscita. Questa ha una grandissima importanza poiché deve essere in grado di provvedere a un immediato svuotamento del locale. Tali passaggi sono più o meno quelli necessarî anche nei teatri, ma nei cinematografi si deve cercare la massima separazione fra l'entrata e l'uscita, essendo il movimento generalmente ininterrotto.
Nel disegnare il progetto sarà opportuno ricavare spazî da riservarsi agli annunci del film principale e di quelli che man mano si andranno proiettando durante la settimana, e ricavare altri spazî per i cartelloni réclame di grandi dimensioni e per i quadri luminosi contenenti le fotografie degli artisti e delle scene principali del film. Questi spazî devono essere intonati col resto della composizione. Così un'insegna luminosa verrà posta ove non nuoce all'effetto della facciata e un foglio réclame ove meno può turbare le caratteristiche architettoniche dell'ambiente. L'architetto dovrà prevedere in tempo la posizione giusta da assegnare a codesti spazî, poiché, ove ciò non facesse, all'opera architettonica verrebbe certamente recato pregiudizio dall'impresa esercente il locale la quale, sollecita delle esigenze della réclame, collocherà manifesti e cartelloni anche nei punti meno adatti. Anzi, tenendo presenti queste esigenze della pubblicità, si cercherà di trarne partito fin dalla redazione del progetto.
V. tavv. LXXXVII-XCVI.