CIPRO
(gr. ΚύπϱοϚ; lat. Cyprus)
Isola del Mediterraneo orientale, situata a breve distanza dalle coste meridionali dell'Asia Minore e da quelle siriane, C. è costituita morfologicamente da una larga pianura centrale, la Messaria, delimitata da due catene montuose: i monti Kerynia, che formano un baluardo lungo tutta la costa settentrionale, e il massiccio del Troodos, che occupa la zona sudoccidentale.Situata sulle rotte che collegavano l'Egitto con i porti del Mediterraneo occidentale, C. raggiunse grande prosperità in epoca romana e i rovinosi terremoti che si abbatterono sull'isola intorno alla metà del sec. 4° non le impedirono di mantenere buone condizioni di vita anche in epoca tardoantica.
Le numerose testimonianze archeologiche offrono l'immagine di una società ancora profondamente radicata nella cultura ellenistica e, in particolare, influenzata da Antiochia, da cui C. del resto amministrativamente dipendeva come provincia appartenente alla Praefectura per Orientem. In età giustinianea C. venne sottoposta direttamente al governo dell'autorità imperiale; l'emancipazione amministrativa seguiva di poco quella religiosa: già nel 488, infatti, l'imperatore Zenone (474-491) aveva garantito l'autocefalia della Chiesa cipriota, in precedenza soggetta alla sede metropolitana di Antiochia, concedendo all'arcivescovo speciali privilegi.Nonostante la laconicità delle fonti contemporanee, le vestigia monumentali e i notevoli ritrovamenti archeologici di C. dimostrano che il nuovo e stretto legame con Costantinopoli si tradusse in interventi di un certo rilievo in favore delle città dell'isola, nuovamente colpite dai terremoti del 526 e 528, e determinò un innesto di aggiornati influssi artistici che andarono ad affiancarsi, e in qualche caso a sovrapporsi, alla prevalente matrice culturale antiochena.A Salamina un'iscrizione, databile tra il 542 e il 543, ricorda gli ἀγαθοὶ βασιλεῖϚ Giustiniano e Teodora, ai quali è possibile ascrivere la ricostruzione delle grandi terme, che inglobavano resti dell'antico ginnasio, e l'innalzamento di portici con sostegni marmorei; un'altra colonna, posta al centro della palestra, doveva presumibilmente sorreggere le effigi dei sovrani. Alla riattivazione degli impianti termali dovette concorrere il ripristino dell'acquedotto che serviva Salamina, unico intervento a favore di C. che nel De Aedificiis di Procopio (V, 9, 36) viene attribuito all'iniziativa di Giustiniano.A paragone di queste provvidenze nelle opere pubbliche e civili, appaiono forse di minore portata le iniziative in campo religioso.All'inizio del sec. 6° venne eretta la basilica Kampanopetra nel settore meridionale della città, ricostruita da Costanzo dopo il terremoto del 348. L'edificio, a tre navate con tribune, concluso da tre absidi sporgenti esternamente, riprendeva nella tipologia della pianta e nella funzionalità degli spazi soluzioni già ampiamente sperimentate nell'architettura paleocristiana locale (basiliche di Kurion, Aghios Epiphanios a Salamina), ma introduceva alcune inflessioni di derivazione costantinopolitana (come l'ambone al centro della navata) e si distingueva per l'impiego di un arredo scultoreo in marmo proconnesio d'importazione.In epoca propriamente giustinianea diminuì la costruzione ex novo di edifici religiosi, mentre vennero frequentemente ristrutturate e dotate di nuovi apparati decorativi le antiche basiliche paleocristiane come Aghios Epiphanios a Salamina e Aghia Kyriaki a Pafo (od. Nea Paphos).Complessi religiosi di nuova costruzione sono stati individuati nei pressi dell'od. villaggio di Peghia. Le tre basiliche, sorte in periodi differenti nel corso del sec. 6°, tradiscono, nella sfaccettatura esterna delle absidi, nell'estensione della zona presbiteriale verso le navate e nella collocazione centrale dell'ambone, innegabili influssi dell'architettura religiosa costantinopolitana. In queste chiese l'arredo scultoreo è in marmo proconnesio con capitelli ad acanto e ionici a imposta; il fatto che simili arredi s'incontrino in località di secondo piano, come appunto Peghia, dimostra che l'isola di C. era ormai pienamente inserita nella rete della grande distribuzione commerciale di manufatti marmorei e, come tale, rifletteva le voci anche più particolari e aggiornate della scultura di ambito metropolitano (Pralong, 1990).L'introduzione negli edifici religiosi dell'isola di questi arredi di importazione non limitò peraltro la produzione locale di alcuni specifici apparati decorativi che avevano caratterizzato l'aspetto delle basiliche cipriote già nel corso del sec. 5°: peculiari di C. sono, per es., le decorazioni pavimentali in opus sectile a piccoli elementi, con impiego di lastre marmoree talvolta alternate a calcari, che nelle numerose e pregevoli attestazioni a Salamina, Karpasia, Soloi, Kurion, Pafo, Amathus mostrano di partecipare a una koinè che accomuna le produzioni di ambito siropalestinese, dell'Asia Minore meridionale e della Grecia continentale e insulare (Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, 1983).Nei rivestimenti parietali continuò a essere usato lo stucco, secondo una tradizione che aveva trovato spazio anche nell'architettura civile privata (per es. nella c.d. Huilerie di Salamina, della fine del sec. 5°), utilizzato in composizioni architettoniche, ma anche figurate, come nella chiesa recentemente scavata a Kopetra (fine del sec. 6°), dove, tra i resti della decorazione parietale, è stato rinvenuto un frammento di un rilievo della Vergine con il Bambino (Rautmann, McClellan, 1989-1990).Notevoli sono i rivestimenti con lastre marmoree decorate a champlevé, tecnica giunta a C. intorno al sec. 5° tramite Antiochia, ma che qui trovò particolare applicazione in estesi programmi decorativi, comprendenti rivestimenti di portali, pilastri, capitelli, cornici e fregi figurati, nella basilica di Kurion e, in misura minore, anche a Salamina, Pafo, Soloi, Lambusa e Amathus; in gran parte di queste basiliche, insieme ai resti delle lastre che decoravano la parte inferiore delle pareti, sono state trovate molte tessere marmoree e in pasta vitrea pertinenti a decorazioni musive parietali.Le testimonianze artistiche più significative del periodo protobizantino sono costituite dai resti della pittura monumentale; la dispersione di queste sopravvivenze in angoli remoti dell'isola e i benefici derivati dall'accordo sancito tra Bizantini e Arabi nel 688 - in base al quale, per il rispetto dello stato di neutralità, gli editti degli imperatori iconoclasti non conobbero applicazione in territorio cipriota - hanno garantito la conservazione di complessi decorativi che, oltre al loro alto livello qualitativo, si rivelano di importanza fondamentale come preziose reliquie del patrimonio artistico bizantino precedente alle distruzioni dell'età iconoclasta.Oltre alla decorazione dipinta con soggetti nilotici e il busto di Cristo nello haghíasma di Aghios Nikodamos a Salamina, del sec. 6° (Sacopulo, 1962), sono soprattutto i mosaici della conca absidale della Panaghia Kanakaria a Lythrangomi e della Panaghia Angheloktistos a Kiti a meritare particolare attenzione. A Lythrangomi la chiesa ricevette, nella prima parte del sec. 6°, una decorazione absidale costituita da un'immagine della Theotókos entro una mandorla, seduta in trono, con il Bambino sulle ginocchia, in posizione frontale e fiancheggiata da arcangeli. Il tema dell'incarnazione e l'interpretazione di alcuni passi scritturistici giustificano l'inclusione della Vergine all'interno della mandorla, elemento di solito riservato unicamente a Cristo, e si accordano pienamente al contesto escatologico del mosaico, alla cui definizione partecipano anche i busti degli apostoli decoranti l'intradosso (Megaw, 1985a).Sul piano stilistico le limitazioni imposte da una tecnica semplice e di rapida esecuzione, basata sull'uso di tessere piuttosto grandi prevalentemente in pasta vitrea - tranne il rosso, per il quale vennero impiegate tessere di marmo bianco pigmentate -, comportano una riduzione della gamma espressiva e della resa dei panneggi, ma lasciano intatte la corposità dei tratti e la resa impressionistica delle figure.Questi aspetti sono ancora più evidenti nel mosaico absidale della Panaghia Angheloktistos a Kiti, datato verso la fine del sec. 6°, in cui si trova la Vergine con il Bambino nella posa della Odighítria, stante su un piedistallo riccamente elaborato, tra due arcangeli dalle straordinarie ali con penne di pavone. Rispetto al mosaico precedente, quello di Kiti denuncia una ancor più palese scarsità di risorse materiali, verificabile dal massiccio impiego di tessere marmoree colorate artificialmente, ma esibisce anche una ancor più alta qualità stilistica, ben evidente nella fattura dei volti e di altre parti anatomiche, realizzate con tessere piccolissime, come nell'eleganza del piumaggio degli angeli e nella morbidezza dei passaggi chiaroscurali, elementi tutti che rinviano a una scuola locale di antica tradizione, ancora fiorente sul volgere del sec. 7° (figure di santi e arcangelo a Kurion, orante della Panaghia tis Kyras a Livadia) e di cui è avvertibile l'influenza negli esiti della più tarda pittura metropolitana (de' Maffei, 1974).Tra la fine del sec. 6° e i primi decenni del successivo vanno datati i numerosi e splendidi manufatti d'oro e d'argento rinvenuti nel 1894 e nel 1902 nei pressi di Lambusa, l'antica Lapithos. Accanto a oggetti di uso liturgico - come l'incensiere argenteo esagonale (Londra, British Mus.) con i busti di Cristo e santi entro medaglioni annodati, datato all'impero di Foca (602-610), o il medaglione aureo con la Vergine in trono e con scene abbreviate della Natività nell'esergo (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), riferito ai primi anni dell'impero di Maurizio (582-602) - sono soprattutto notevoli i nove piatti argentei di varia grandezza con Storie di Davide (New York, Metropolitan Mus. of Art; Nicosia, Cyprus Mus.), in cui la lotta di Davide contro Golia è vista come immagine esemplare della vittoria di Eraclio sui Persiani, eccellenti esempi di ripresa di modelli dell'argenteria aulica tardoantica, databili tra il 627 e il 630 in base ai marchi di controllo impressi sul rovescio e al significato ideologico sotteso alle scene veterotestamentarie. Una concentrazione così alta di oggetti suntuari di elevato pregio artistico e di relativa omogeneità cronologica (tra il 580 e il 630 ca.) induce a ritenere che in quell'epoca C. toccasse vertici di particolare ricchezza e prosperità e l'ipotesi dell'esistenza di una manifattura locale, anche se difficilmente accettabile, non è completamente esclusa.C., che durante la guerra con i Persiani fu un prezioso caposaldo strategico della difesa bizantina, dovette arrendersi di fronte alle ondate degli Arabi: le misure difensive assunte da Eraclio, quali il restringimento della cinta urbana a Salamina o l'introduzione di soluzioni tattiche particolari in tracciati murari preesistenti, come per es. nella cinta del kástron ad Amathus (Megaw, 1985b), poco o nulla poterono nei confronti della poderosa flotta araba che, al comando di Mu῾āwiya, compì intorno al 649 la prima incursione contro l'isola. Negli anni seguenti gli assalti si moltiplicarono, finché nel 688 fu stipulato un accordo che garantiva la neutralità dell'isola e l'obbligo per i suoi abitanti di corrispondere imposte sia a Bisanzio sia a Damasco.Questi anni di grande calamità scossero profondamente il quadro economico e urbanistico delle città dell'isola. Gli scavi dimostrano con chiarezza che la maggior parte dei siti conobbe fasi di abbandono intorno alla metà del sec. 7°; solo in parte le chiese andate in rovina furono restaurate, secondo programmi limitati che prevedevano la sostituzione delle colonne con pilastri in muratura, come nella basilica di Lythrangomi, in cui fu mantenuto il tetto a capriate; altrove, le coperture furono sostituite con volte murarie, per es. in due basiliche ad Aphentrika, sito ove, in epoca leggermente posteriore, fu introdotta la prima copertura a cupola nella chiesa di Aghios Gheorghios. La basilica paleocristiana di Aghios Epiphanios a Salamina fu invece abbandonata e una chiesa di ridotte dimensioni con copertura lignea su pilastri (poi sostituita da tre cupole assiali) fu costruita tra il margine sudorientale della basilica e il battistero. Il calo demografico e la rapidità con cui si compiva il processo di abbandono erano tali che già nel sec. 7° la città era nota con il nome di Ammochostos ('nascosta nella sabbia'), nome che passò ai suoi abitanti anche quando si trasferirono nel sito medievale dell'od. Famagosta.A. Paribeni
L'accordo stipulato nel 688 tra Giustiniano II e il califfo ῾Abd al-Malik rimase in vigore per quasi tre secoli, con momenti di tensione solo occasionali; in questo periodo una certa prosperità è testimoniata da esportazioni in Siria; la popolazione araba insediata sembra aver coabitato abbastanza armoniosamente con i cristiani. Entro la metà del sec. 10° il califfato era comunque giunto a uno stato di decadenza tale da permettere all'imperatore Niceforo II Foca (963-969) di riannettere pienamente C. allo stato bizantino.La cruciale importanza strategica di C. come base navale bizantina comportò l'insediamento di una serie di governatori inviati da Costantinopoli. Uomini come Philokales e Katakalon costituirono non solo un elemento di contatto con gli interessi imperiali in Siria e in Palestina - e un occhio vigile sull'Egitto fatimide - ma rafforzarono anche i legami con la cultura della metropoli; sotto il patronato dei governatori e dei loro ufficiali l'isola visse un'età d'oro per la pittura nel tardo 11° e soprattutto nel 12° secolo.Dal punto di vista architettonico, le chiese decorate da cicli pittorici - la maggior parte delle quali appartenevano a piccole comunità monastiche insediatesi sul monte Troodos - non sono particolarmente imponenti; le loro modeste dimensioni e la semplicità dell'impianto - si tratta in genere di edifici a una sola navata, monoabsidati e dotati di cupola - appaiono in netto contrasto con il livello qualitativo metropolitano degli affreschi; dato che a Costantinopoli non si conserva alcun ciclo di affreschi di età comnena, questi esempi ciprioti (insieme a quelli dei Balcani settentrionali) offrono un'importante testimonianza dell'arte di quel periodo.Caratteristica architettonica di queste chiese è la copertura con grandi tetti lignei che racchiudono le cupole e la maggior parte dei muri, per es. ad Aghios Nikolaos tis Steghis (S. Nicola del Tetto), presso Kakopetria, o a Lagudera. Più interessanti da un punto di vista architettonico sono le chiese triabsidate e dotate di più cupole, risalenti al sec. 10°, di Peristerona e di Ieroskipu, che sembrano costituire le sole testimonianze di uno stile eminentemente locale: non si tratta infatti di chiese del consueto tipo a croce greca inscritta, quanto piuttosto di basiliche con grande cupola centrale e cupole minori che poggiano sulla navata, sul presbiterio e sul transetto. Particolarmente notevole appare il caso di Peristerona, dove la studiata proporzione che lega le cupole minori, disposte sui quattro bracci, alla cupola centrale rivela l'organicità dell'intero progetto.Per quanto riguarda la pittura monumentale, va rilevato che gli attacchi arabi della metà del sec. 7° provocarono la crisi e lo smembramento delle più antiche botteghe (come quelle attive a Kiti) e anche dopo la riconquista bizantina del 965 la ripresa fu lenta e non vi fu una rinascita dell'arte musiva.La chiesa di Aghios Nikolaos tis Steghis venne eretta all'inizio del sec. 11° sul modello a croce inscritta, introdotto a C. solo nel secolo precedente: le superfici piuttosto irregolari e l'asimmetria dell'intero edificio suggeriscono un mediocre livello di perizia da parte delle maestranze locali. La chiesa conserva una decorazione ad affresco databile a partire dal tardo sec. 11°, nella cui parte più antica figurano un ciclo delle Feste e alcuni busti di santi; se la qualità artistica non è eccelsa, l'opera appare notevole per il trattamento dei volti (posti in rilievo dall'impiego di una tecnica leggera e impressionistica) e per il sintetico stile narrativo (per es. l'Entrata in Gerusalemme e la Risurrezione di Lazzaro), con grandi figure nettamente delineate ed eliminazione di tutti i dettagli secondari. Lo stile può essere paragonato a quello della Panaghia ton Chalkeon a Salonicco (1028), della Santa Sofia di Ocrida (1050) e degli affreschi, quasi contemporanei, della cripta di Hosios Lukas nella Focide.Nel sec. 12° l'accresciuta importanza politica dell'isola e i legami più stretti con Costantinopoli portarono alla fondazione di nuovi monasteri e a un sensibile miglioramento della qualità artistica. Nella Panaghia Phorbiotissa di Asinou - una minuscola chiesa mononave coperta da una semplice volta a botte a sesto ribassato, fondata, come attesta un'iscrizione, nel 1105-1106 - gli affreschi più antichi si conservano nel bema e nella parte superiore dei muri del naós, dove compare un ciclo delle Feste in forma ridotta. Lo stile è essenzialmente lineare, piuttosto piatto ed espressivo, ma privo dei pronunciati manierismi dello stile comneno del tardo sec. 12°: l'aggraziato raggrupparsi ritmico delle figure (per es. nella Dormizione) ricorda i mosaici del S. Michele di Kiev, mentre il tentativo di esprimere sentimenti profondi attraverso le espressioni dei volti anticipa gli affreschi di Nerezi in Macedonia (1168). Notevole testimonianza dello stile metropolitano, quest'opera si rivela di grande importanza poiché nessun altro ciclo del primo sec. 12° può essere datato altrettanto precisamente.La Enkleistra di Aghios Neophitos, a N di Pafo, costituisce un eccezionale complesso rupestre comprendente una grotta eremo (la cella del santo) e l'adiacente cappella della Santa Croce. Nella cella si conserva una raffigurazione di Neofito supplice ai piedi di Cristo firmata da Theodoros Apseudes (1183), il primo pittore bizantino di cui si conosca il nome. Nella vicina raffigurazione dell'Anastasi, posta al di sopra di una nicchia a uso funerario e caratterizzata da un sorprendente uso del vermiglio e dai volti idealizzati, si può individuare la mano di un altro artista: le pieghe del panneggio, più manierate, rivelano uno stile più evoluto, ma entrambi i pittori erano probabilmente costantinopolitani. Al contrario, il convenzionale stile lineare del ciclo della Passione nella navata (databile intorno al 1196) e ancor più i rigidi santi monaci raffigurati nel nartece suggeriscono l'attività di artisti locali. Appare in ogni caso degno di rilievo il fatto che in un complesso così piccolo si trovi a operare una tale varietà di artisti, tutti della stessa generazione e impegnati a soddisfare le esigenze di un singolo committente.L'apogeo della pittura metropolitana in territorio cipriota coincise con la crisi politica segnata dall'usurpazione del despota Isacco Comneno nel 1185 e dalla conquista dell'isola da parte di Riccardo Cuor di Leone all'inizio della terza crociata (1191). Entro il 1192, anno in cui C. venne ceduta al francese Guido di Lusignano, vennero completati gli affreschi della Panaghia tu Araku (Nostra Signora del Campo) a Lagudera. Nell'insieme le pitture, che seguono il tradizionale programma decorativo nella cupola e nell'abside e annoverano inoltre un ciclo delle Feste e numerose immagini di santi di dimensioni monumentali, presentano una straordinaria omogeneità stilistica, caratterizzata da articolazioni del panneggio molto complesse. Si tratta di una maniera più dinamica, connessa con il gusto per l'eleganza cortese, in cui all'attenuazione dell'espressività delle figure corrispondono lo sviluppo delle architetture immaginarie, la raffinatezza dell'ornato e l'ampia gamma di colori splendidamente armonizzati. L'uniformità della concezione e del progetto suggerisce chiaramente l'esistenza di una committenza illuminata e di un pittore di primo piano che controllò l'esecuzione dell'intera opera. Tutto ciò appare in netto contrasto con la perifericità del sito e con la modestia dell'architettura: una piccola aula mononave, con una sola abside, dotata di cupola, sostenuta da contrafforti interni e da arcature cieche addossate ai muri della navata. I manierismi che si colgono nell'esecuzione (pieghe contorte a serpentina, 'code' del panneggio gonfiate, allungamento delle naturali proporzioni umane) sono caratteristici dell'arte tardocomnena, in questo caso temperati da un certo gusto cortese e privi degli estremismi presenti in opere di poco più tarde, quali gli affreschi di Kurbinovo in Macedonia (1199).Altri importanti cicli di affreschi si trovano nel monastero di Aghios Chrysostomos presso Kutsovendi, del tardo sec. 11° (Mango, Hawkins, 1964), nella chiesa della Panaghia Amasgu a Monagri (Winfield, 1971; Boyd, 1974), nella chiesa degli Apostoli di Perachorio, del tardo sec. 12°, e nella chiesa della Panaghia di Trikomo, del sec. 12° (Winfield, 1972).
La dinastia francese dei Lusignano introdusse nell'isola un sistema feudale sviluppato e una legislazione articolata, creando le condizioni per la grande prosperità mercantile di C. nel sec. 14°, di cui beneficiarono in primo luogo la classe governante francese e i grandi mercanti di Nicosia e Famagosta, ma anche, almeno in parte, la popolazione soggetta.Al pari dei governatori e dei nobili bizantini dei secc. 11° e 12°, i nuovi signori francesi si distinsero nel finanziare la costruzione di fortezze, chiese e monasteri. Anche se lo sviluppo edilizio fu inizialmente lento - il Tardo Romanico è rappresentato solo da alcune piccole chiese nel Carpaso, mentre le più antiche chiese gotiche denunciano uno stile provinciale -, gli edifici in stile gotico rayonnant del sec. 14°, per lo più di ispirazione francese, costituiscono gli ultimi e più importanti monumenti della presenza latina medievale in Oriente. In quest'epoca C. costituiva l'ultimo baluardo del cristianesimo cattolico nel Mediterraneo orientale e una parte notevole delle ricchezze prodotte dal commercio marittimo venne impiegata nel finanziare nuove imprese architettoniche; tra le testimonianze conservate di quest'epoca vanno ricordate numerose rovine di chiese gotiche disperse nelle campagne (Enlart, 1899), la torre quadrata di Kolossi, un tempo appartenuta ai Cavalieri di s. Giovanni, nonché le rovine di una residenza signorile fortificata nella vecchia Pafo, con un'impressionante cripta dotata di una grandiosa volta quadripartita con nervature.Anche chiese non cattoliche furono talvolta costruite in stile gotico: quella dei Ss. Pietro e Paolo (od. moschea di Sinan Paşa) a Famagosta - che presenta tre absidi semicircolari inserite in un corpo quadrangolare, navata e navatelle voltate, nonché una raffinata decorazione scultorea con figurazioni angeliche - fu probabilmente costruita per ricchi nestoriani rifugiati a C. dal Vicino Oriente; anche la piccola cattedrale ortodossa di Aghios Gheorghios, nella stessa città, appare in maturo stile rayonnant, pur con qualche elemento bizantino.La cattedrale di Santa Sofia a Nicosia (od. moschea Selimiye) fu completata durante il regno dell'arcivescovo Giovanni del Conte (1318-1332), che fece aggiungere il portico occidentale. La pianta e l'alzato sembrano essere stati concepiti come una versione ridotta della cattedrale di Reims: una navata con quattro campate, terminante in un coro poligonale con deambulatorio, ma privo di cappelle radiali. Il peso della semplice volta quadripartita si scarica attraverso steli a triplo fascio nei semplici capitelli delle colonne monolitiche. Le aperture delle finestre sono ridotte per diminuire la penetrazione della luce e del calore; ciò nonostante, e forse in parte per motivi estetici, archi rampanti sono posti a sostenere la parte superiore dei muri del coro. Il portico occidentale che unisce le due torri aggettanti della facciata è animato da una decorazione vegetale che ebbe ampia diffusione nell'architettura latina di Cipro. Nel 1948, rimuovendo alcuni strati di intonaco di epoca successiva, vennero riportate alla luce tre file di figure scolpite nei conci (re, regine, profeti, vescovi).Anche la particolare chiesa tripla posta vicino alla cattedrale e detta S. Nicola degli Inglesi possiede un bel portale con alcune sculture figurative; la funzione e le origini di questo edificio rimangono tuttavia ancora incerte.La cattedrale di Aghios Nikolaos (od. moschea Lala Mustafa) a Famagosta è il solo monumento urbano di C. paragonabile alla Santa Sofia di Nicosia: le sue torri non furono terminate, ma i gâbles del triplo portale sono intatti e focalizzano l'attenzione sul grande finestrone di facciata riempito (al pari degli stessi gâbles) da una delicata tracery geometrica, che tuttavia non raggiunge ancora le linee pienamente 'barocche' dello stile flamboyant.L'instaurarsi della dominazione latina a C. costituì indubbiamente una causa del declino dell'arte bizantina, finendo per tagliare fuori l'isola dal diretto contatto culturale con Costantinopoli e costringendo l'ortodossia in una posizione secondaria. Vescovi latini furono imposti alle città principali, mentre i prelati greci furono relegati nelle campagne e anche la committenza artistica legata all'aristocrazia finì per decadere; a testimoniare gli effetti di questa situazione basta paragonare i deboli affreschi provinciali a Mutullas (1280) con le opere di un secolo prima a Lagudera. Ciò nondimeno, in quanto prodotto di una provincia isolata di tradizioni artistiche ortodosse ininterrotte, la pittura cipriota dei secoli successivi non è priva di interesse: nel monastero di Aghios Ioannis Lampadistis a Kalopanaghiotis le opere del sec. 13°, in uno stile comneno attardato e lievemente rigido, mostrano una certa evoluzione iconografica, non ultimo nella peculiare scelta dei soggetti e nell'inclusione di alcuni motivi araldici di ispirazione latina e di alcuni ritratti di donatori. Il ciclo di pitture (Giudizio universale) che decora il nartece della chiesa di Asinou (1333), gli affreschi del sec. 14° a Pelendri e i cicli del sec. 15° a Stavros tu Aghiasmati, Luvaras (1464) e Pedulas (1474) costituiscono esempi di un vivace talento per il racconto aneddotico articolato in più registri, anche se talvolta si riducono a meri convenzionalismi provinciali.Fu però solamente nel periodo della dominazione veneziana che lo stile occidentale si impose in maniera significativa (per es. le opere italianizzanti ad Aghios Sozomenos, del 1513, e nella Panaghia Podythu a Galata). I delicati e sofisticati affreschi del katholikón del sec. 15° ad Aghios Neophitos (specialmente il ciclo dell'Acatisto) provano che l'isola non venne completamente tagliata fuori dalla c.d. rinascenza paleologa del sec. 14°, probabilmente mediata attraverso le icone importate e i manoscritti portati a C. da rifugiati bizantini, tra i quali potevano annoverarsi anche gli stessi pittori della chiesa di Aghios Neophitos.Per quanto riguarda i monasteri bizantini di C. - che riproducono l'usuale modello ortodosso con una cinta fortificata dotata di porta-torre, celle addossate alle mura e chiesa principale isolata all'interno della corte -, le vicissitudini successive (soprattutto nella fase della dominazione turca) ne hanno profondamente alterato l'aspetto architettonico: Kikkos, per es., che si ritiene fondato intorno al 1100, fu più volte distrutto dal fuoco fino al sec. 19°; gli incendi che colpirono Macheras nel 1530 e ancora nel 1892 hanno lasciato intatti pochi elementi medievali. Il più antico di tutti, Stavrovuni, presumibilmente fondato nel sec. 4° da s. Elena, fu in pratica del tutto ricostruito nel sec. 19° sulle fondazioni rimaste.Analogamente, pochi sono gli edifici civili degni di nota che si sono conservati dall'epoca bizantina; interessanti dal punto di vista archeologico sono le rovine del castello detto delle Quaranta colonne, costruito nel sec. 7° dagli abitanti di Pafo (Megaw, 1972). Anche le fasi più antiche del castello latino di S. Ilario sono bizantine, poiché il sito dell'eremitaggio del santo venne parzialmente fortificato prima della resa a Riccardo Cuor di Leone nel 1191. Il castello di Buffavento presenta alcuni tratti di muro in laterizio di epoca bizantina e anche Kantara era in origine una fondazione bizantina del tardo 9° secolo.Icone.
Le più antiche icone cipriote conservate risalgono al momento di grande fioritura della pittura murale dei secc. 11° e 12° (Papagheorghiu, 1969, pp. 14-15, 17, 19, 25, 28). L'Arcangelo a mezzo busto di Aghios Chrysostomos (probabilmente ridipinto nel 1200 ca.) ricorda nella sua monumentalità e nei riccioli dorati la famosa icona dell'Angelo di Kiev (San Pietroburgo, Ermitage). L'icona frammentaria con gli apostoli di Lephkonikon e la Vergine Eleúsa di Aghios Neophitos, del tardo sec. 12°, sono eseguite in una maniera più essenziale e lineare e con una tendenza verso l'astrazione delle fisionomie che si ritrova negli affreschi di Asinou; la Vergine di Nicosia (Aghia Phaneromeni, Coll.), del tardo sec. 12°, è eseguita in maniera più sciolta, anche se permangono il disegno marcato e un abbondante uso delle lumeggiature d'oro. L'espressivo volto del S. Giovanni Battista del palazzo episcopale di Kerynia - quasi certamente un frammento della parte destra di una icona della Déesis - colpisce per la forte tensione spirituale. Benché le testimonianze della pittura di icone di questo periodo siano limitate, in esse si può cogliere un riflesso provinciale dello stile comneno, in cui appare accentuata la tendenza alla ieraticità, alla frontalità e alla bidimensionalità, derivate dal Vicino Oriente cristiano, specialmente dalla Palestina. Di carattere nettamente più monumentale e classicizzante risulta l'imponente icona del Pantocratore circondato da piccole immagini di santi, della fine del sec. 12°, della Panaghia tu Araku a Lagudera (Papagheorghiu, 1969, p. 3).La tendenza verso un rinascimento classicizzante nell'arte bizantina della fine del sec. 13° si arrestò nella capitale a causa dell'occupazione latina (1204-1261) e, a C., della dominazione dei Lusignano. In alcune iconografie locali del periodo franco si coglie una tendenza alla semplificazione formale, anche se le icone importate da Costantinopoli e Salonicco contribuirono, specie nel sec. 14°, a mantenere sufficientemente elevata la qualità della produzione. Tra le icone del sec. 13° vanno ricordate la Vergine Eleúsa a Nicosia (Aghia Phaneromeni, Coll.; Papagheorghiu, 1969, p. 18), opera efficace ma priva della raffinatezza del Cristo di Lagudera, la cui aureola di stucco dorato indica contatti occidentali. L'icona a due facce della Crocifissione, conservata nella stessa collezione (ivi, p. 27), che presenta figure assottigliate e sinuose, con forti accenti emotivi, è opera di un pittore cipriota del sec. 13° che si propone come continuatore dei moduli bizantini del secolo precedente, ma che al tempo stesso denuncia gli influssi della cultura occidentale portata dai crociati.Per quanto riguarda il sec. 14°, vanno citate tre icone di eccezionale altezza e di notevole sottigliezza anch'esse conservate a Nicosia (Aghia Phaneromeni, Coll.): Cristo con arcangeli e donatori (1356), S. Eleuterio e S. Parasceve (ca. 1400; Papagheorghiu, 1969, p. 38), tutte probabilmente realizzate per essere appoggiate ai pilastri di una chiesa. L'inclusione della raffigurazione dei donatori rappresenta ancora una volta un elemento occidentale; il modellato delle figure di Cristo e di s. Eleuterio mostra una nuova morbidezza, caratteristica dell'età paleologa, mentre la figura di s. Parasceve appare rigida e severa, forse riflesso del gusto conservatore di un ambiente monastico. Le opposte tendenze stilistiche rintracciabili nelle icone cipriote del sec. 14° possono essere illustrate dal confronto tra il S. Nicola di Kakopetria, del 1300 ca., e la Vergine conservata nella chiesa di Aghios Kassianos a Nicosia, risalente alla stessa epoca (ivi, pp. 34-35), con un gruppo di icone della chiesa della Vergine Chrysalinitissa a Nicosia (ivi, pp. 31, 40, 43). Le prime due sono opere manifestamente ibride, sia nello stile sia nell'iconografia: la maniera dura, lineare e frontale, le aureole e le arcate trattate a sbalzo, nonché l'attenzione posta agli elementi narrativi nelle scene agiografiche di contorno richiamano le icone crociate conservate al monte Sinai, mentre la committenza francese è indicata dalla presenza di monaci tonsurati ai piedi della Vergine e dal cavaliere e dalla dama che supplicano s. Nicola. Per contro, le delicate e miniaturistiche scene delle Feste (ivi, p. 43) richiamano opere paleologhe come l'icona di Abramo (Atene, Benaki Mus.); il S. Pietro (Nicosia, Aghia Phaneromeni, Coll.; ivi, p. 40) ha un peso scultoreo e una presenza analoga alle migliori opere macedoni del sec. 14° (per es. le icone della Déesis di Dečani e del monastero di Chiliandari sul monte Athos); l'arcangelo Michele (Nicosia, Aghia Phaneromeni, Coll.; ivi, p. 31) e il S. Giovanni Battista rappresentano invece una combinazione di modellato neoclassico e di interiorità ortodossa, caratteristica della c.d. rinascenza paleologa. Le migliori icone di questo periodo, comprese non poche di quelle cipriote, presentano un'eleganza nelle figure, un idealizzato naturalismo nelle proporzioni, nelle pose e nei gesti e una spiritualità pervasa dalla luce dell'esicasmo che le rendono tra i più alti prodotti dell'umanesimo cristiano. Esempi di questa maniera metropolitana, che continuò a esercitare il suo influsso nella C. postbizantina del tardo sec. 14° e del 15°, sono il Cristo di Kerynia, del sec. 15° (ivi, p. 53), e l'Ascensione della chiesa di Aghios Kassianos a Nicosia (ivi, p. 55).N. Gendle
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Sebbene non esista un manoscritto miniato di epoca medievale conosciuto di cui possa essere stabilita con certezza l'appartenenza alla produzione cipriota, l'importanza dell'isola, i suoi numerosi e ricchi monasteri, il grande numero di codici posseduti nei secoli successivi (Schreiner, 1986, p. 80), nonché l'intensa attività documentata sia nella pittura monumentale sia in quella di icone, hanno fatto sì che gli studiosi abbiano associato in qualche modo a C. un numero sempre crescente di manoscritti. Si tratta in massima parte di libri greci legati alla cultura bizantina, i più significativi dei quali sono raggruppati nel c.d. stile decorativo, oltre cento esemplari prodotti nel periodo tra il 1150 e il 1250. Questi codici, che costituiscono il più ampio gruppo omogeneo finora noto di manoscritti bizantini, hanno in comune sia l'inchiostro nero intenso, sia la particolare scrittura - definita da Canart (1981, p. 69) "scrittura con legature a epsilon basse" -, sia infine caratteristiche codicologiche e artistiche (Weyl Carr, 1987-1988). Diversi elementi-chiave di questo gruppo appaiono strettamente collegati con Cipro. Il nesso più evidente è costituito dai nomi di scriba o di committente noti: Manuele Aghiostephanites, il cui cognome è attestato nel sec. 12° a C. e nel sec. 13° a Creta, fu lo scriba di un codice del 1153 (Roma, BAV, Barb. gr. 449; Weyl Carr, 1987, nr. 103) e di un evangeliario del 1156 (New York, Kraus Coll.; Weyl Carr, 1987, nr. 79) commissionato da Giovanni il Cretese, arcivescovo di C. dal 1152 fino al 1170 ca.; il monaco Barnaba, oikónomos dei possedimenti del Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme a C., per il quale - o forse dal quale - fu eseguito un piccolo salterio (Atene, Benaki Mus., vitr. 34.3), che contiene praticamente una miniatura per ogni salmo (Cutler, Weyl Carr, 1976; Weyl Carr, 1987, nr. 2).Il collegamento di questi tre codici con C. si rivela importante per il gran numero di manoscritti a essi strettamente legati per stile, iconografia e tipologia di scrittura. All'interno della più ampia sfera dello stile decorativo emerge infatti un gruppo di ca. venticinque manoscritti che devono essere stati prodotti nello stesso contesto, tra il 1150 e il 1170. Molti codici di questo gruppo non contengono alcuna indicazione sul loro luogo di origine; altri fanno riferimento sia a C. (Londra, BL, Add. Ms 11836; Parigi, BN, Suppl. gr. 1335; Weyl Carr, 1987, nrr. 64, 100; Nicosia, coll. privata, Codex Nicosiensis; Konstantinides, 1987-1988) sia alla Palestina (Gerusalemme, Greek Orthodox Patriarchate, Lib., Hághiu Saba 40; Hághiu Táfu 55; Anastaseos 9; Weyl Carr, 1987, nrr. 49, 56, 47; l'ultimo, prodotto a Tiberiade nel 1152, costituisce l'esempio paleograficamente più vicino ai libri di Manuele Aghiostephanites). Darrouzès (1957, p. 132) ha messo in rilievo il nesso molto stretto che intercorre tra la produzione libraria cipriota e quella palestinese, anche dal punto di vista decorativo, mentre Weyl Carr (1989) ha potuto distinguere quali codici siano stati prodotti in una regione o nell'altra.In secondo luogo, il collegamento con C. dei libri di Manuele, Giovanni il Cretese e Barnaba costituisce un elemento importante in relazione alla loro collocazione agli albori dello stile decorativo, come dimostrano le diverse fasi evolutive rintracciabili, all'interno del gruppo, a partire dal codice contenente il Libro di Giobbe (Roma, BAV, Vat. gr. 1231; Weyl Carr, 1987, nr. 105), prodotto per Leone Nikerites mentre era governatore di C. (tra il 1107 e il 1111 o dopo il 1118). In questo caso lo scriba, Giovanni Tarsites, sembra provenire da Tarsos, vicino ad Atene, ma l'indicazione del toponimico testimonia che egli non lavorava in patria, quindi il suo libro fu assai probabilmente scritto e miniato nella cerchia di Leone a Cipro. Le miniature di questo manoscritto presagiscono lo stile decorativo, ma non lo utilizzano realmente, dimostrando che esso era nella sua fase formativa e doveva quindi costituire una relativa novità negli anni intorno al 1150, quando compare nei codici di Manuele Aghiostephanites. Il fatto che esso appaia in un gruppo di manoscritti così strettamente legati con C. e con la Palestina indica che ebbe effettivamente origine in queste regioni. Anche le miniature di un lezionario del monte Athos (Kutlumusi, 61) preannunciano il genere dei manoscritti a stile decorativo; la loro affinità con l'importante gruppo di pitture murali degli inizi del sec. 12° facenti capo al ciclo della Panaghia Phorbiotissa di Asinou e con le contemporanee icone cipriote, come quella del Battista a Nicosia (Mus. of Byzantine Icons), ha portato Weitzmann (1975) ad attribuire alla produzione cipriota degli inizi del sec. 12° il codice, che, in realtà, venne eseguito nel settimo decennio del sec. 11° per il prelato antiocheno Leone Sarbandenu (Mercati, 1950). Se, come appare, le miniature costituivano parte integrante del manoscritto fin dalla sua origine, esse sarebbero dunque da considerare antiochene e suggerirebbero un'attenzione della miniatura cipriota del tardo sec. 11° verso l'arte proveniente da Antiochia.I legami tra lo stile decorativo e C. continuarono a caratterizzare il gruppo nei suoi sviluppi. Si tratta di nessi topografici, come nel caso di due codici di Parigi, l'uno dei quali (BN, gr. 97; Weyl Carr, 1987, nr. 96) presenta iscrizioni del sec. 14° relative a Pafo - il manoscritto gemello (Gerusalemme, Greek Orthodox Patriarchate Lib., Hághiu Táfu 47; Staru 88; Weyl Carr, 1987, nrr. 54, 55) venne venduto nel 1577 da un cipriota -, mentre l'altro (BN, gr. 88; Grosdidiers de Matons, Hoffmann, 1987-1988, pp. 230-236) fu rilegato nel sec. 15° nel monastero di Kikkos. In altri casi si possono riscontrare legami di natura stilistica: le superfici armoniosamente modellate del codice di Roma (BAV, Barb. gr. 449) e di quello a Parigi (BN, Suppl. gr. 1335) somigliano a quelle delle pitture murali di Asinou (Weyl Carr, 1982, tavv. 3, 42); i complessi motivi architettonici presenti nel manoscritto conservato a Malibu (J. Paul Getty Mus., Ludwig II 5; Weyl Carr, 1987, nr. 71) sono esattamente ripetuti nell'Annunciazione dipinta a Lagudera; i ritratti di profilo degli evangelisti del manoscritto del monastero di S. Caterina sul monte Sinai (Bibl., gr. 163; Weyl Carr, 1987, nr. 107) ripetono quelli di Monagri (Weyl Carr, 1987-1988, tavv. 9-10); i profeti con panneggi circolari intorno ai polsi appaiono sia negli affreschi del tamburo di Lagudera sia nelle miniature dei codici conservati a Oxford (New College, 44) e Istanbul (Topkapı Sarayı Müz., 13; Weyl Carr, 1987, nrr. 91, 45; 1987-1988, tavv. 7, 11). Si riscontrano infine legami di natura paleografica: la scrittura del manoscritto di Berlino (Staatsbibl., gr. 4°, 66; Buchthal, 1983; Weyl Carr, 1987, nr. 33) e dell'esemplare del monte Athos (Dionisio, 4; Weyl Carr, 1987, nr. 10) risulta uguale a quella dei codici di Edimburgo (Univ. Lib., 224) e di Parigi (BN, Suppl. gr. 1317), eseguiti per Neofito di C. nei primi anni del sec. 13° (Weyl Carr, 1987-1988, tavv. 13-14). Il formato delle pagine e il tipo di rigatura piuttosto inconsueto del codice atonita si ripresentano nel manoscritto ancora conservato nel monastero di Aghios Neophitos (bibl., 11) presso Pafo.I manoscritti legati alle personalità di Manuele, Giovanni il Cretese e Barnaba sono tutti prodotti di pregio, ma diversi, sia per carattere sia per qualità, dai volumi miniati di cui è accertata la provenienza costantinopolitana. Il livello qualitativo nell'ambito del gruppo dello stile decorativo andò comunque crescendo con il passare del tempo e il Dionisio 4 può essere considerato il più notevole manoscritto bizantino conservatosi del periodo intorno al Duecento.I successivi esemplari che fanno parte del gruppo dello stile decorativo costituiscono l'unico insieme di manoscritti bizantini di lusso noto nel periodo della dominazione latina. Se già per i decenni precedenti il 1204 i codici ascrivibili a questo gruppo erano numerosi, essi divengono di fatto l'elemento dominante nel periodo intorno al 1200, comprendendo tutta la produzione conosciuta di manoscritti bizantini di lusso. Ciò solleva diverse questioni interpretative: il gruppo dello stile decorativo appare costituito da molti codici tanto da poter rappresentare non uno stile locale ma quello di un intero periodo, caratteristico dell'impero nel suo insieme; ciò non di meno, i manoscritti che costituiscono il gruppo sono legati tra loro da tali affinità da suggerire invece una tradizione continua e concentrata in uno stesso luogo.Sebbene una definitiva interpretazione delle origini del gruppo debba ancora essere tentata, appare tuttavia chiaro che durante tutto il suo percorso evolutivo esso mantenne sempre un legame particolarmente stretto con la Palestina e soprattutto con C. e che alcuni, se non tutti i manoscritti che lo compongono, furono prodotti sull'isola.Un certo numero di altri codici miniati è stato collegato con Cipro. Il più antico tra essi è conservato ad Atene (Nat. Lib., 74; Marava-Chatzinikolau, Tufexi-Paschu, 1978, nr. 9, pp. 55-61): si tratta di un evangeliario dell'inizio del sec. 11°, le cui tavole dei canoni furono copiate dallo scriba di un manoscritto di Vienna (Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 188) e che è strettamente collegato con un codice atonita (Dionisio, 2). Tutti e tre questi libri sono tradizionalmente ascritti all'Italia meridionale, ma denotano l'origine cipriota per la particolare prefazione che identifica s. Giovanni Evangelista con Giovanni Marco, venerato a C. quale compagno di s. Barnaba. Considerazioni analoghe valgono per la prefazione di un manoscritto conservato a Parigi (BN, gr. 83), un evangeliario del 1168, il cui colofone, che cita Ruggero II, ha generalmente suggerito un'origine siciliana, ma la cui presenza nel monastero ton Iereon indica, secondo Darrouzès (1957, p. 152), una possibile origine cipriota. Weitzmann e Galavaris (1990, pp. 65-68, 166-170) hanno ipoteticamente assegnato le miniature di due manoscritti conservati nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai (Bibl., gr. 208; gr. 364) a pittori ciprioti, sulla base di manierismi rintracciabili nelle pitture murali di Asinou.Un lezionario del sec. 12° (Atene, Nat. Lib., 163) viene ascritto a C. da Marava-Chatzinikolau e Tufexi-Paschu (1978, nr. 46, pp. 189-196); a suggerirne il rapporto sono in questo caso le numerose figure di santi, vescovi e martiri ciprioti inclusi nel menologio del volume, molti dei quali sono sconosciuti in tutti gli altri lezionari. Lo stile, la scrittura e il formato del codice sono completamente differenti da quelli dei libri dello stile decorativo: questo elemento non deve però farne escludere l'attribuzione a C., poiché la produzione dei lezionari seguiva molto spesso usi propri, diversi da quelli degli altri manoscritti; d'altro canto, il codice di Atene potrebbe essere stato eseguito per C. in un altro centro specializzato nella produzione di libri liturgici.Per quanto riguarda il periodo successivo a quello dei manoscritti in stile decorativo, il Vangelo del 1305 dello scriba Neofito di C. (Londra, BL, Add. Ms 22506) deve probabilmente essere escluso dal gruppo dei codici miniati a C., giacché lo scriba lavorava all'estero, probabilmente a Costantinopoli. Quest'ambito infatti potrebbe costituire il luogo di origine dei ritratti degli evangelisti, i quali - così come quelli del contemporaneo gruppo costantinopolitano della Paleologina - si riallacciano all'iconografia attestata in un famoso manoscritto del monte Athos (Stavronikita, 43), del 10° secolo. D'altro canto, il c.d. Salterio Hamilton, attualmente conservato a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., Hamilton 78.A.9), è stato più volte connesso con l'ambiente cipriota sulla base del testo bilingue greco e latino, della notevole commistione di elementi iconografici greci, latini e siriaci, nel vasto ciclo di figurazioni marginali, nonché della sua possibile appartenenza alla regina Carlotta di Cipro. Più recentemente tale attribuzione è stata sostenuta con cautela anche da Havice (1984), che assegna il manoscritto al tardo 13° secolo.Il testo bilingue del Salterio Hamilton introduce la questione della produzione a C. di manoscritti in lingue diverse dal greco. Der Nersessian (in corso di stampa) ha identificato un gruppo di manoscritti armeni, illustrati con numerosi disegni marginali di buona qualità, prodotti a C. all'inizio del 14° secolo. Assai vicini a quelli realizzati contemporaneamente in Cilicia, essi comprendono: un manoscritto di Venezia (Bibl. Armena dei PP. Mechitaristi, 1006); tre manoscritti conservati a Gerusalemme (Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 1926; 1033; 1714), il primo dei quali fu completato da un certo Hohannes a Famagosta nel 1308, mentre gli altri due - rispettivamente del 1306 e 1308 - si devono allo scriba Levon; un manoscritto conservato a Erevan (Matenadaran, 7691), iniziato da Levon e completato nel 1307 dal noto scriba Step'annos Goyneritsants. Come ha sottolineato Schreiner (1986, p. 80), sarebbe importante individuare allo stesso modo il gruppo dei manoscritti latini prodotti a C.; l'isola infatti è stata identificata in diverse occasioni come probabile luogo di origine di alcuni o di tutti i grandi manoscritti crociati tardoduecenteschi studiati da Folda (1976).
Bibl.: J. Darrouzès, Manuscrits originaires de Chypre à la Bibliothèque Nationale de Paris, REB 8, 1950, pp. 162-196; G. Mercati, Origine antiochena di due codici greci del secolo XI, AnalBoll 68, 1950, pp. 210-222; J. Darrouzès, Autres manuscrits originaires de Chypre, REB 15, 1957, pp. 131-168; K. Weitzmann, A Group of Early Twelfth Century Sinai Icons Attributed to Cyprus, in Studies in Memory of David Talbot Rice, a cura di G. Robertson, G. Henderson, Edinburgh 1975, pp. 47-67; A. Cutler, A. Weyl Carr, The Psalter Benaki 34.3. An Unpublished Illuminated Manuscript from the Family 2400, REB 34, 1976, pp. 281-323; J. Folda, Crusader Manuscript Illumination at Saint-Jean d'Acre, 1275-1291, Princeton 1976; A. Marava-Chatzinikolau, C. Tufexi-Paschu, Catalogue of the Illuminated Byzantine Manuscripts of the National Library of Greece, I, Manuscripts of New Testament Texts 10th-12th Century, Athinai 1978; P. Canart, Les écritures livresques chypriotes du milieu du XIe siècle au milieu du XIIIe et le style palestino-chypriote 'epsilon', Scrittura e civiltà 5, 1981, pp. 17-76; A. Weyl Carr, A Group of Provincial Manuscripts from the Twelfth Century, DOP 36, 1982, pp. 29-81; H. Buchthal, Studies in Byzantine Illumination of the Thirteenth Century, JBerlM 25, 1983, pp. 27-102; C. Havice, The Marginal Miniatures in the Hamilton Psalter (Kupferstichkabinett 78. A. 9), ivi, 26, 1984, pp. 79-142; P. Schreiner, ΠαϱατηϱήσειϚ ὄτιϚ πολιτιστιϰὲϚ σχέσειϚ ῾Ελληνῶν ϰαὶ Λατίνων στὴ μεσαιωνιϰὴ Κύπϱο [Osservazioni sulle costituzioni cittadine dei Greci e dei Latini della C. medievale], "Πϱαϰτιϰὰ τοῦ δευτέϱου ΔιεθνῦϚ ϰυπϱολογιϰοῦ Συνεδϱίου, Nicosia 1982", Nicosia 1986, II, pp. 77-82; A. Weyl Carr, Byzantine Illumination, 1150-1250, Chicago-London 1987; id., Cyprus and the 'Decorative Style', ᾽ΕπετηϱὶϚ τοῦ Κέντϱου ᾽επιστημονιϰῶν ἐϱευνῶν 17, 1987-1988, pp. 123-167; C.N. Konstantinides, An Unknown Manuscript of the ''Family 2400'' from Cyprus, ivi, pp. 169-186; C.D. Grosdidier de Matons, P. Hoffmann, Reliures chypriotes à la Bibliothèque Nationale de Paris, ivi, pp. 209-259; A. Weyl Carr, Illuminated Musical Manuscripts in Byzantium: a Note on the Late Twelfth Century, Gesta 28, 1989, pp. 41-52; K. Weitzmann, G. Galavaris, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai. The Illuminated Greek Manuscripts, I, From Ninth to the Twelfth Century, Princeton 1990; S. Der Nersessian, Miniature Painting in the Armenian Kingdom of Cilicia, XIIth to XIVth Centuries (Dumbarton Oaks Studies, 30), 2 voll., Washington (in corso di stampa); C.N. Konstantinides, Corpus of Dated Manuscripts from Cyprus 900-1600, Washington (in corso di stampa).A. Weyl Carr