CITTA DI MESSICO
CITTÀ DI MESSICO. – La città. Architettura. Bibliografia.
Ciudad de México, più spesso nota come México, D.F. (Distrito Federal), distretto indipendente dai 31 Stati che compongono la federazione messicana, o Mexico City, com’è chiamata dagli anglofoni, è attualmente una delle città più grandi del mondo. Capitale dal 18 novembre 1824, il suo territorio fu allora staccato dallo Stato di México. I confini del distretto subirono diversi aggiustamenti fino a raggiungere, nel 1902, la configurazione attuale che si estende per 1484 km2.
La città. – C. di M. è caratterizzata da un centro storico coloniale, sorto a partire dal 16° sec., al quale si contrappone la sconfinata conurbazione moderna, frutto di una crescita eccezionalmente rapida: basti pensare che nell’anno 1900 C. di M. ospitava non oltre 500.000 abitanti, mentre attualmente la città vera e propria, quella che sorge cioè all’interno del Distretto Federale, sfiora i 9 milioni. L’area metro politana circostante, la cosiddetta Greater Mexico City, non supera i 21, per un’estensione di quasi 5000 km2. Le dimensioni complessive sono impressionanti: un collage di quartieri diversi che si estendono senza soluzione di continuità, tuttavia, ancora oggi, abbastanza riconoscibili, in un’alternanza in cui il prevalente sviluppo orizzontale è punteggiato da nuclei direzionali a più spinto verticalismo. In un triangolo collocato fra il centro storico, Chapultepec e la Città universitaria sono concentrati musei, teatri, auditorium, biblioteche. Altrove, i consumi culturali sono delegati alla televisione e a Internet. Le linee telefoniche mobili superano di gran lunga il numero di quelle fisse: un dato prevedibile in un’area urbana dove il 60% dell’edificato è abusivo. Nonostante gli sforzi in corso per migliorare la mobilità, ancora oggi molto legata all’utilizzo dei mezzi su gomma, i tempi di percorrenza sono elevati. In assenza di una capillare rete ferroviaria metropolitana – l’unica linea fu realizzata in occasione dei Giochi olimpici del 1968 – il traffico provocato da più di 3 milioni di auto private, 15.000 minibus e oltre 120.000 taxi caratterizza la vita della città. Sono state realizzate una serie di corsie riservate ai mezzi pubblici e nuove piste ciclabili; ma è stata anche, contraddittoriamente, avviata la discussa realizzazione del Segundo piso, livello sopraelevato di un’autostrada urbana a servizio dei sobborghi più ricchi.
Nonostante tutto, le condizioni economiche, relativamente favorevoli negli ultimi anni, hanno determinato la costruzione di un gran numero di nuovi edifici di notevole interesse architettonico, frutto di una tradizione progettuale tra le più apprezzate d’America. Dopo la grande stagione segnata dalla presenza di un maestro quale Luis Barragán (1902-1988), fondatore della modernità messicana, alcuni protagonisti sono riusciti a imporsi a livello internazionale: fra questi, certamente Ricardo Legorreta (1931-2011), il cui studio continua a operare con il nome Legorreta+Legorreta, ed Enrique Norten, con lo studio Ten Arquitectos che ha sede anche a New York, eccellente interprete di una modernità trasparente e ipertecnologica. Ma si registra tuttavia una considerevole compagine di progettisti che per qualità progettuale, uso delle tecnologie, controllo formale e senso dell’innovazione sono allineati con la più elevata professionalità europea o nordamericana. Dal restauro alla nuova edificazione gli esempi eccellenti e competitivi sul piano internazionale sono molti, anche se non tutti all’insegna di una efficace sostenibilità dal punto di vista ambientale e dei consumi energetici. Emerge tuttavia fra i migliori architetti messicani una solida capacità conformativa delle superfici e degli spazi che ne derivano, sia all’esterno sia all’interno; un’eccezionale sicurezza nella gestione delle grandi dimensioni che solo un contesto urbanizzato così sconfinato riesce a garantire; una dichiarata confidenza nelle tecnologie contemporanee; una rassicurante familiarità con la storia, sia quella delle origini nativo-americane sia, soprattutto, quella coloniale spagnola. Un panorama dunque di straordinario interesse, anche per le relazioni e i collegamenti con l’Europa da una parte e l’America dall’altra. Il modello europeo, di derivazione ispanica, è stato sufficiente a garantire l’integrazione sociale fino a tempi abbastanza recenti. Tuttavia, da alcuni decenni il problema della sicurezza ha avuto un impatto così forte sulla vita urbana da determinare il proliferare delle gated communities, con la progressiva privatizzazione dello spazio pubblico e la creazione di non poche linee di separazione fra le diverse parti. Si è dunque innescato un significativo cambiamento nelle scelte abitative: la naturale aggregazione della popolazione in quartieri più o meno legati alle fasce di reddito non funziona più. Il fenomeno ha registrato in primo luogo una forte discontinuità e, subito dopo, un adeguamento alla ghettizzazione di stampo nordamericano. Il sistema si è anzi diffuso spesso oltre il suo corrispettivo statunitense: i quartieri poveri appaiono sempre più isolati dal contesto urbano generale. Quest’ultimo si è, dal canto suo, indebolito, riducendosi a semplice infrastrutturazione di collegamento. La città continua inoltre a funzionare come un magnete che attrae popolazione da tutto il Messico, ed è, al tempo stesso, il punto di partenza dell’emigrazione messicana verso gli Stati Uniti. Non costituisce dunque una eccezione all’interno del panorama latino-americano: il dualismo e le tensioni che si determinano fra le aree ‘globalizzate’ – centro storico, Reforma, Polanco e Santa Fe – o in via di globalizzazione da una parte e tutto il resto dall’altra sono lungi dall’apparire risolte.
Architettura. – Fra i migliori esempi di riqualificazione degli spazi verdi si ricorda il Memorial alle vittime della violenza (2013), un intervento di Gaeta-Springall arquitectos che ben s’inserisce all’interno del Bosque de Chapultepec, il più noto parco urbano della città. Fra gli esempi di ostentazione tecnologica si segnala la Biblioteca Vasconcelos, opera di Alberto Kalach (2004-07), e la Torre dell’Istituto di ingegneria della UNAM (Universidad Nacional Autónoma de México, 2000), disegnata da un gruppo di progettisti che fa capo a Luís Sánchez Renero (nel 2008 all’edificio è stato assegnato il Premio nacional de ahorro de energía eléctrica per la sua elevata sostenibilità). Ancora fra gli esempi maggiormente ispirati a una filosofia progettuale sostenibile si ricorda il Jardín natura del Parque del Bicentenario (2010) di Mario Schjetnan Garduño, frutto della riconversione di un’area industriale gravemente inquinata nella parte settentrionale di C. di M., dove sorgeva la raffineria Pemex, tristemente famosa a causa di un grave incidente che ne determinò la chiusura nel 1988, e l’Edificio 18 della Città universitaria (2005) di César Pérez Becerril, interessante esempio di architettura bioclimatica. Molto riusciti appaiono anche il nuovo Museo universitario del Chopo, nato dalla riconversione progettata con molta cura da Ten Arquitectos di Norten (2007-10).
Bibliografia: N. Canclini, Makeshift globalization, in The endless city. The urban age project by the London School of economics and Deutsche Bank’s Alfred Herrhausen Society, ed. R. Burdett, D. Sudjic, London 2007, pp. 186-91; L.E. López Cardiel, Breve storia e futuro dell’architettura e dell’urbanistica nella Città del Messico, in Muestra de arquitectura contemporánea mexicana, Mexico en Italia, ed. B. Gomez-Pimienta, catalogo della mostra, Roma, Casa dell’architettura, 2013, Ciudad de México 2013, pp. 18-23.