Città, Regno di Sicilia, nuove
Sopra le città di fondazione federiciana da sempre fa testo un breve brano: "Quasdam quoque civitates in regno fundavit et construxit videlicet Augustam et Eracleam in Sicilia, Montem Leonis et Aliteam in Calabria, Dordoniam et Luceram in Apulia, Flagella in Terra Laboris, contra Ceperanum", ovvero per intendere meglio "Flagella contrapposta a Ceprano in Terra di Lavoro".
Chiunque sia il cosiddetto Pseudo-Jamsilla, sicuramente appartiene all'alta burocrazia sveva, alla cerchia ristretta dei fautori e collaboratori più fidati di Manfredi. E la sua Historia ha tutte le caratteristiche della cronaca regia ufficiale. L'autore, tra il 1258 e il 1266, opera una rigida selezione sulle notizie a sua disposizione per la storia di Federico II; esclude quasi tutti i riferimenti ad avvenimenti esterni alla storia del Regno meridionale; sorvola su molti particolari importanti; ma non si cura di documentare la sua Historia tutta tesa a dimostrare la superiore legittimità del potere svevo. Accanto al ritratto a tutto tondo di Federico II e al racconto delle sue gesta, l'autore ritiene indispensabile la menzione delle città nuove, perché è un connotato costitutivo del potere sovrano.
Lo Pseudo-Jamsilla parla esplicitamente di sette civitates novae. Ma ci troviamo effettivamente di fronte a sette città fondate, volute da un potere sovrano, per colonizzare, valorizzare, controllare interi territori, proprio come procedevano negli stessi decenni del Duecento tante città dell'Italia comunale e signorile?
La semplice lettura dei nomi proposti dalla Historia suscita immediata diffidenza. Alcune di queste città sono notoriamente già esistenti in precedenza: si tratta quindi della ripresa o rivitalizzazione o addirittura del rilancio di precedenti insediamenti. È il fenomeno ben conosciuto ai geografi urbani della persistenza di un sito abitato; può anche non esserci una continuità nell'insediamento, ma quest'ultimo risorge, proprio per la funzionalità di una determinata posizione geografica. Si tratta, per dirla alla medievale, di un processo di continua renovatio.
Basta la conoscenza ‒ neppure approfondita ‒ delle vicende e strutture delle sette civitates novae soprannominate per rendersi conto dell'estrema diversità delle situazioni territoriali e degli interventi voluti da Federico II.
1) Augusta è posta su una penisola, il cui istmo sarà tagliato alla fine del Cinquecento e collegato alla terraferma con due ponti. La città domina un'ampia baia con due porti e più approdi naturali. La posizione privilegiata era stata già occupata da una colonia greca, da un municipio romano, da un insediamento con approdo di età normanna, difeso da una rocca. Un documento del 1239 attesta l'esistenza del "porto nuovo" di Augusta e nel 1240 Federico II ordina che il grano della Sicilia orientale possa essere esportato solo dai porti di Augusta e Milazzo. E a quella data doveva essere stato completato anche il castello svevo. Augusta è una "terra murata", l'area edificabile di circa 800 m per 300 è determinata dalla conformazione della penisola; le porte erano poste in corrispondenza degli assi principali; l'impianto ortogonale (conservato oppure rettificato nei secoli moderni?) delimitava isolati di circa 150 m per 50, che a loro volta erano divisi in lotti, sui quali le abitazioni erano attestate in coppia, lasciando spazi inedificati e con zone alberate.
Dato lo specifico ruolo militare-navale l'istmo è difeso dal castello, sopraelevato di circa 20 m. Da questa posizione il castello difende e domina la città, mentre controlla la terraferma, l'istmo e il sottostante approdo o sbarco. Per la sua collocazione sulla costa, tra Catania e Siracusa, Augusta non è una semplice postazione difensiva. Oltre a essere il centro del suo retroterra e la base della flotta imperiale sulla costa orientale, Augusta permette il controllo ‒ anche marittimo ‒ delle due città vicine, che precedentemente si erano ribellate; mentre svolge una notevole funzione emporiale sotto il controllo del fisco.
2) Con la "terra murata" di Eraclea Federico II rilancia un'altra posizione geotopografica privilegiata, dove era sorta l'antica colonia greca di Gela (distrutta nel 285 a.C. dai Mamertini) e successivamente un casale. Intorno al 1233 il sovrano svevo fa costruire le mura con torri, usando materiali ricavati dalle rovine della città greca. L'area edificabile della nuova Eraclea (è questo il nome usato costantemente negli atti ufficiali svevi, mentre nell'uso quotidiano prevale il nome di Terranova) è un rettangolo di circa 800 m per 300; l'impianto viario è impostato su due assi principali (uno in direzione nord-sud, l'altro in direzione est-ovest), con una piazza principale all'incrocio di essi; gli isolati di dimensioni regolari, sempre circa 150 m per 50, permettevano la suddivisione in lotti minori sempre con le vanelle d'accesso. È indubitabile l'impianto ortogonale, anche se è leggendario il racconto che lo stesso Federico avrebbe disegnato di sua mano l'impianto a scacchiera.
Il castello di Eraclea, oggi distrutto, era più piccolo di quello di Augusta e, da piante del XVII sec., risulta di forma quadrilatera (37 x 32 m) con varie torri. Nel 1239 gli abitanti di Eraclea si preoccupano per la sistemazione di un approdo o plagìa per facilitare il commercio delle granaglie, e Federico concede questa opportunità. In definitiva la costruzione del porto presso Capo Soprano attesta la vitalità demica ed economica del nuovo insediamento, che in breve tempo arriverà a contare fino a 8/10.000 abitanti (il doppio di Siracusa) e commercializzerà circa un sesto delle granaglie siciliane destinate all'estero.
Dopo la caduta della potenza sveva, nel 1277 Eraclea pagherà la seconda quota dell'imposta diretta in Sicilia, essendo preceduta solo da Messina.
3) Anche a Monteleone Federico II comprende l'importanza strategica di un antico luogo insediativo a circa 550 m di altezza sulla costa tirrenica calabrese. Era stato il sito d'Ipponio, colonia greca distrutta all'inizio del IV sec. a.C. e dopo poco ricostruita; nel 192 a.C. vi era stata dedotta una colonia latina e si era sviluppato il municipio romano di Vibo Valentia. Dopo la grave crisi urbana tardoantica, in età bizantina l'abitato si era trasformato in campo trincerato, ma era troppo appetibile per i saraceni, che l'avevano devastato nell'850 e praticamente distrutto nel 983.
Ruggero il Gran Conte nel 1056-1057 vi aveva fatto costruire un castrum con una rocca soprastante. Tra il 1233 e il 1237 Federico II incarica Matteo Marclafaba, secreto per la Calabria, della ricostruzione della rocca romana, ingrandendola e aggiungendovi torri; nello stesso tempo rilancia l'abitato sottostante. Oggi, dopo tante altre vicende, Monteleone è tornata a essere ufficialmente Vibo Valentia, ma la ricostruzione dopo il terremoto del 1783 rende difficile distinguere i resti dell'intervento svevo.
4) Allo stato attuale delle ricerche è ignota la collocazione dell'insediamento calabrese di età sveva citato nella Historia con il nome di Alitea. D'altra parte già nel Settecento esistevano difficoltà ad individuare il sito di Alitea e sembra poco probabile l'identificazione proposta con Ajello Calabro.
5) La Dordonia citata nell'Historia è identificabile con l'attuale Ordona. La collocazione di un centro urbano daunio (abitato fin dal IV sec. a.C.) era stata ripresa da un municipio romano col nome di Herdonia. Nel XIII sec. Federico II cerca di rivitalizzare un castrum normanno abbandonato, per controllare un ampio territorio agricolo. Il sovrano svevo interviene soprattutto per revocare al demanio regio gli homines o coltivatori che erano stati sottratti dai signori feudali. Ma questo suo proposito rientra sempre nell'ottica generale, più volte citata, di ricostruire una rete di controllo per valorizzare l'intero Regno, inteso come patrimonio regio.
Nel 1237 Federico II ordina di trasferire a Ordona parte degli abitanti di S. Lorenzo in Carminiano; no-nostante tutti gli sforzi questo piccolo insediamento agricolo non decollerà mai fino a diventare città. In pratica rimarrà un casale non fortificato, addossato a una domus fortificata. Si tratta comunque di un insediamento semplicemente rinnovato e non nuovo, che in seguito (1489) sarà definitivamente distrutto da Ferdinando d'Aragona.
6) Anche per Lucera vale il discorso più volte ripetuto per gli altri insediamenti. Il sito a 240 m s.l.m., sulle ultime propaggini degli Appennini beneventani, domina tutto il Tavoliere e questa posizione privilegiata era stata occupata da un centro daunio, poi romano, bizantino, longobardo, normanno. Per Federico II l'insediamento militare e agricolo di Lucera è un caposaldo nella linea di postazioni difensive che debbono controllare il territorio, da Benevento a Oria (v. Castelli, Regno di Sicilia, sistema dei).
Per rivitalizzare l'insediamento Federico II nel 1224-1225 vi concentra circa sedicimila saraceni deportati dal territorio di Girgenti con i loro capi religiosi, civili, militari; mentre vengono allontanati i cristiani ed è favorito il crollo della cattedrale.
Alla colonia saracena, deportata nel continente per sradicarla dal suo habitat siciliano, sono assegnati circa 20.000 ettari di terra coltivabile. I saraceni sono villani o servi fisci, che coltivano le terre demaniali e permettono la loro valorizzazione con la commercializzazione dei prodotti agricoli: non per nulla a Lucera, dal 24 giugno al 1o luglio, si teneva una delle sette grandi fiere del Regno (v. Fiere e mercati). Per di più i saraceni versano al fisco un canone in natura per le terre coltivate e personalmente la gisìa, sempre in natura. Nello stesso tempo la popolazione saracena permette la leva di un'agguerrita guardia a cavallo. Guardia particolarmente devota agli Svevi, perché Lucera è un isolotto islamico in mezzo al mare minaccioso degli insediamenti cristiani. Senza gli Svevi non c'è futuro e, infatti, Carlo II d'Angiò nel 1300 sterminerà i residui saraceni e ribattezzerà Lucera Città di S. Maria.
7) Flagella, di fronte a Ceprano, probabilmente nel nome riprendeva un'assonanza con l'antica Fregellae sulla Via Latina, distrutta dai romani nel 125 a.C. e anch'essa vicina a Ceprano. Ma Flagella non è mai diventata la civitas nova ad flagellum hostium ed è rimasta una semplice volontà federiciana.
In conclusione le supposte sette città nuove federiciane, ricordate dall'anonimo autore dell'Historia, nella maggioranza dei casi non sono mai vere e proprie città di fondazione e in più casi si tratta di centri preesistenti rivitalizzati o rifondati. D'altra parte questo fenomeno sembra logico, perché Federico II interviene quando non soltanto nel Regno ma in tutta l'Italia si è già concluso il periodo delle grandi trasformazioni territoriali. Il sovrano svevo è saldamente ancorato alla prassi di rivitalizzare le preesistenze e rivitalizza o rifonda insediamenti esistenti non soltanto in età normanna, bizantina e islamica, ma addirittura in età romana, italica, punica e greca.
C'è un distacco cronologico tra i programmi dell'imperatore e la loro realizzazione, affidata ai suoi collaboratori (secreti, ecc.) e ai tecnici. D'altra parte lo stesso Federico è cosciente delle difficoltà economiche e valuta la maggiore o minore vitalità economica dei vari tipi di insediamento in funzione del rapporto tra risorse e possibilità di spesa, tra necessità difensive e future entrate del fisco. È anche vero che la vitalità di qualsiasi insediamento è sempre legata alla sua posizione e alle funzioni che può svolgere nel suo territorio. In questo senso la posizione e il sito specifico, la collocazione geotopografica d'un insediamento (d'altura, costiero, presso un ponte o un incrocio stradale, ecc.) contribuiscono in gran parte alla fortuna dello stesso insediamento e possono quindi spiegarne la persistenza e la continuità.
Perciò Augusta ed Eraclea in Sicilia costituiscono le scelte più felici, i due episodi più fortunati tra le sette città ricordate dallo Pseudo-Jamsilla. Infatti, rivitalizzando due siti privilegiati, Federico II colma i vuoti esistenti nel popolamento e nel sistema difensivo della Sicilia sudorientale, le cui coste erano state abbandonate da tanto tempo.
Contemporaneamente controlla dal punto di vista militare campagne e acque territoriali abbandonate; recupera villani e servi fisci sfuggiti al demanio regio; insedia nuove popolazioni, ben difese da mura e castelli; riavvia lo sfruttamento economico dei retroterra e la commercializzazione dei prodotti agricoli; incrementa le entrate fiscali. E complessivamente queste operazioni di grande portata trasformano perfino i quadri ambientali della Sicilia sudorientale.
Nei suoi interventi sulle città vecchie e nuove Federico II è costretto a fare i conti con antichi problemi. Le varie regioni del Regno costituiscono un coacervo disomogeneo per situazioni naturali e stratificazioni storiche. Al limite la stessa Apulia è costituita da quattro province non omogenee tra loro e all'interno di ciascuna di loro (Capitanata, Terra di Bari, Terra d'Otranto, Basilicata) si alternano zone densamente antropizzate (come la fascia costiera tra Barletta e Bari o il Salento meridionale) e zone spopolate (come le Murge settentrionali o il Tavoliere).
Nel complesso è interessante notare che spesso gli insediamenti "nuovi" federiciani, di qualsiasi livello, sono adiacenti a grandi aree archeologiche. La scelta non è dovuta ad amore per l'antichità, ma al ricalco di posizioni privilegiate e al calcolo avveduto del riuso concreto dei materiali ricavati dai ruderi antichi, usati come cave di pietra.
Per tornare all'anonimo autore dell'Historia, si può dire che la sua apologetica esaltazione di Federico II, fondatore di città nuove, è priva di consistenza, a parte i due esempi siciliani di Augusta ed Eraclea. Due supposte fondazioni continentali (Alitea e Flagella) sono due semplici progetti, che non hanno lasciato traccia di sé. Ordona è rimasto un piccolo insediamento agricolo, che non è mai lievitato a livello di città. Lucera era già un centro importante e ha avuto una sua storia particolare, legata alle vicende della colonia saracena. Monteleone Calabro si svilupperà soprattutto in età contemporanea, scendendo al mare e ricalcando la romana Bivona o Vibona. Giustamente l'autore dell'Historia non cita tra le nuove fondazioni la città 'bellica' di Vittoria, che Federico aveva contrapposto a Parma. I cronisti dell'Italia comunale ricordano invece volentieri questa città effimera (provvista di palizzate, fossi, battifredi e bertesche, ma per la maggior parte costituita da costruzioni lignee e grandi tende al pari di un accampamento), perché la sua distruzione nel 1248 era diventata il simbolo della definitiva sconfitta imperiale.
L'autore dell'Historia non accenna neppure al progetto federiciano di costruire due o tre insediamenti ‒ più borghi franchi che vere città ‒ nel Salento settentrionale: anche se non sappiamo fino a che livello di completezza Borgo Cesareo e Villanova siano stati realizzati e quale fortuna abbiano avuto in età sveva.
La vera ironia della storia è costituita dal silenzio totale del cronista svevo sull'unico insediamento del tutto nuovo, favorito se non proprio fondato dal sovrano svevo. Altamura infatti sorge e si sviluppa sotto Federico; rapidamente questo nuovo insediamento assume forma e funzioni urbane, mentre lo stesso imperatore si affretta a stabilire i confini del suo territorio (1242-1243), sottratto alla giurisdizione di Gravina, Matera, Binetto e Bitetto. Così Altamura diventa il centro di popolamento, di controllo e di sfruttamento delle Murge alte.
La scelta di Altamura è privilegiata per il sito topografico e per la collocazione geografica; ma lo Pseudo-Jamsilla, tutto preso dai suoi schemi ideologici, non afferra l'importanza del nuovo insediamento, dell'unica vera città nuova dell'Apulia, che sopravviverà al tramonto della potenza sveva.
Studi e convegni degli ultimi due decenni hanno confermato e sistematizzato tanti spunti già avanzati da singoli studiosi. In fatto di eredità, persistenze e continuità è stata accettata da tutti i competenti l'esigenza di una nuova periodizzazione che "non divida" l'età federiciana da quella protoangioina (Carlo I e Carlo II). Allo stesso modo è stata confermata la communis opinio che le cosiddette "città nuove" di Federico II non possono essere studiate come realtà a sé stanti, bensì come parte di un unico grande disegno strategico che mira al controllo di tutti i territori nel Regno meridionale.
Città, castelli, nuovi insediamenti, semplici fortificazioni sono i punti nodali e strategici di un complesso di grandi strade, nell'ottica di una riorganizzazione territoriale, ma anche economica, giurisdizionale, politica. Soltanto nell'ambito di un grande disegno strategico, che investe tutte le regioni del Regno meridionale, è possibile comprendere l'intervento specifico delle "città nuove" o insediamenti di nuova fondazione.
Federico II è tornato a essere un imperatore, in tutto e per tutto, medievale. In vari comportamenti, in molte sue scelte è preminente l'eredità normanna, eredità particolarmente pregnante per quanto riguarda i rapporti con le città del Regno. Non comprende e non ama le dinamiche urbane (sociali, economiche, politiche); non ama le borghesie cittadine; ha un difficile rapporto con le città, tanto quelle comunali del Centro-Nord, quanto quelle del Regno, sia continentali che insulari. Come i suoi antenati Altavilla, lo svevo Federico ama i castelli non soltanto come residenze sicure, ma come strumenti di controllo del territorio. Non per nulla in Capitanata applica lo stesso modello normanno, usato intorno a Palermo, e rimaneggia il territorio, diffondendo i piccoli insediamenti: fortezze o rocche, castelli, casalia, domus solaciorum, masserie. Così come 'ricalca' la dislocazione dei castelli normanni e prima ancora bizantini. Dai suoi avi ha ereditato una salda struttura territoriale e un'amministrazione locale, che sono sopravvissute al trentennio di disordini e rapine precedente alla sua definitiva presa di possesso del Regno.
Federico elimina i poteri autonomi delle città e reprime duramente le sollevazioni urbane, intese come ribellioni contro il legittimo potere imperiale. Nella grande trasformazione del potere regio ‒ da lui operata ‒ modifica la tipologia e la geografia degli insediamenti e ancor più la topografia urbana. Da una parte il rafforzamento del potere regio in campo fiscale porta all'acquisizione di vari monopoli (sale, ferro, acciaio, seta, pesce, legname per costruzioni navali) e il controllo di alcune attività pubbliche (tintorie, mattatoi) porta alla costruzione di appositi magazzini ed edifici. Dall'altra parte il rafforzamento concreto dello stesso potere regio coincide con la nuova presenza di fortezze e castelli urbani, che dominano la città. Questo è ben chiaro non soltanto in Puglia, ma anche in Sicilia. In definitiva si potrebbe ipotizzare un'analogia. Per Federico la fortezza urbana ‒ inserita nelle mura urbane ‒ è il cardine del dominio sulle città, così come i castelli ‒ disseminati nel territorio ‒ sono i cardini del controllo territoriale.
Nei tre decenni di regno effettivo il sovrano svevo interviene in vario modo su più città, sia dal punto di vista edilizio sia dal punto di vista urbanistico. Pur essendo molto diffidente verso le cinte murarie, le costruisce o ricostruisce, perché sono indispensabili nella difesa strategica del Regno; nello stesso tempo ‒ come già detto ‒ le affianca con grandi fortezze o castelli urbani (sia costruendoli ex novo sia ricostruendoli e rafforzandoli) proprio per assicurarsi il dominio sulle città di ogni regione del Regno.
Federico facilita lo sviluppo di Altamura; rafforza Oria in quanto caposaldo territoriale tra Taranto e Brindisi; costruisce un grande palatium imperiale nel piccolo centro di Foggia; fortifica i porti su Adriatico, Ionio e Tirreno; imposta la nuova grande cinta muraria di Trani, inglobando l'intero bacino portuale; favorisce lo sviluppo di alcune città (Foggia, Brindisi, Barletta); distrugge casali e castra, deportandone gli abitanti e recuperando al demanio i coltivatori che erano stati sottratti; facilita l'immigrazione di "lombardi" per ripopolare centri siciliani ‒ ad esempio Corleone ‒ favorendo una vera mutazione antropologica; nello stesso tempo rivitalizza altri casali e castra per valorizzare il patrimonio regio. Interviene anche per incidere sulle città l'espressione simbolica del potere imperiale, come nella famosa Porta di Capua, con la sua statua. Talvolta interviene anche per razionalizzare l'impianto viario, come nel nuovo quartiere messinese (Terranova), che sarebbe stato d'impianto ortogonale e del quale si è mantenuto il ricordo, nonostante sia stato cancellato dalle ben note catastrofi naturali.
Proprio perché città, fortificazioni urbane, insediamenti minori fortificati, castelli sono complementari nella sua visione strategica globale, Federico II si preoccupa della difesa militare e della buona amministrazione di tutti gli aggregati demici, senza differenze tra i maggiori e i minori, fino ai piccoli castelli con borgo annesso e ai casali non fortificati.
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