cittadinanza
. Il sostantivo in D. ha sempre il valore di " città considerata nei suoi abitanti ", " insieme di cittadini ", " popolazione cittadina ". Esso compare in due canti successivi del Paradiso, ed è sempre posto in bocca a Cacciaguida.
Le chiose antiche ai due luoghi non sono di molto aiuto per interpretare il vocabolo, che è spiegato, dai commentatori che scrivono in latino, con civitas, e si ritrova tale e quale nei commenti italiani. In Pd XV 132, tuttavia, il termine è chiarito assai dal contesto, in cui il bello / viver di cittadini sono propriamente i " costumi del popolo ", il dolce ostello è la città nel senso di " patria ", " dimora ", e la fida cittadinanza è la popolazione stessa di Firenze, " quae non fallebat fidem, sicut nunc " (Benvenuto). Più pregnante il valore del sostantivo in Pd XVI 49 la cittadinanza, ch'è or mista / di Campi, di Certaldo e di Fegghine, / pura vediesi ne l'ultimo artista: " usque ad ultimos artifices, idest fabriles, tunc pura erat dicta civitas in propriis civibus " (Pietro). Unico dubbio può suscitare l'uso di c. con la preposizione ‛ in ': " la cittadinanza si vedeva pura fin nel più umile operaio ". Questo dubbio si dissipa se si dà a c. il senso di " caratteristiche di una popolazione ", più che di semplice " popolazione ", il che ben s'accorda col tono dell'accorato rimpianto che Cacciaguida ha dei bei tempi in cui la città di Firenze era abitata solamente da cittadini puri.