classificazione e sistematica
Ordinare la natura
Il mondo dei viventi può apparire come un insieme caotico dove le forme e i colori degli animali e delle piante sono stati decisi a caso da una fantasia bizzarra. In passato la sistematica era un sapere di tutti, nato dal bisogno di inventariare mentalmente le risorse e i pericoli della natura. I primi scienziati provarono a classificare gli oggetti naturali per orientarsi nella grande diversità biologica. In seguito, da quando l'uomo ha preso coscienza dell'evoluzione biologica che opera da oltre 3 miliardi di anni, la sistematica è diventata lo strumento per scoprire e mettere in evidenza le relazioni di parentela tra gli organismi, producendo un grande albero genealogico della natura
Batteri, elefanti, funghi, pulci, orchidee, coralli, canarini, felci, farfalle, fragole, serpenti, zucchine, aquile: sono innumerevoli le categorie di organismi viventi che popolano il nostro pianeta. Alcune hanno molte caratteristiche in comune, come nel caso dei canarini e delle aquile, mentre altre sembrerebbero assolutamente non paragonabili tra loro, come gli elefanti e le orchidee. In realtà tutte le categorie dei viventi si basano su alcune caratteristiche in comune che indicano il loro grado di parentela.
Tutti gli organismi viventi sono formati da cellule che contengono il DNA, la complessa molecola che regola ogni loro attività. Sempre grazie al DNA e all'informazione genetica che esso contiene, gli organismi viventi sono capaci di accrescersi e di riprodursi, dando origine ad altri esseri simili a loro. Attraverso i meccanismi evolutivi (evoluzione), a partire da organismi assai semplici come i batteri, innumerevoli forme di vita sono apparse e scomparse nel Pianeta, avvicendandosi durante le ere geologiche. L'attuale diversità biologica (biodiversità), ovvero l'insieme degli organismi viventi che popolano la Terra, è il risultato di un processo evolutivo che continua anche oggi e continuerà nei secoli futuri. Anche la specie umana, con tutta la sua complessità culturale, non è che una delle tante forme in cui la vita si è espressa.
Durante il processo evolutivo che ha portato alla sua formazione, l'uomo ha esercitato un ruolo ecologico di onnivoro, come molti altri Primati, sfruttando come cibo le specie animali e vegetali che riusciva a cacciare e a raccogliere. Per molte migliaia di anni, gli umani hanno dovuto imparare fin da piccoli quali specie fossero buone da mangiare e quali da evitare, sia in base agli insegnamenti di genitori e parenti sia in base a esperienze proprie. Così è nata la sistematica primordiale, come scienza del sopravvivere in un determinato ambiente, esercitando capacità innate ‒ ereditate dalle scimmie ‒ di riconoscere e valutare i potenziali cibi in base alla forma, al colore, al tatto, all'odore e al sapore. Essendo un animale sociale con grandi capacità di comunicazione, l'uomo imparò a utilizzare il linguaggio per informare i suoi simili sulle proprie esperienze con cibi nuovi o sui pericoli rappresentati da altri animali. Con ogni probabilità, il vocabolario primitivo di ogni popolazione comprendeva soprattutto parole che indicavano le diverse specie di animali e vegetali presenti nel territorio. È presumibile che questi nomi di animali e piante, buoni o cattivi, ricercati o temuti, riempissero ogni conversazione dei nostri primitivi antenati, essendo sia la base della loro economia di sussistenza sia i protagonisti delle loro tradizioni orali come le fiabe, le leggende e le canzoni. Per questo, si può dire che lo zoologo e il botanico sono state le più antiche professioni dell'uomo e della donna. Probabilmente, l'uomo si occupava di più dei grandi mammiferi e degli uccelli, che insidiava con tecniche di caccia sempre più sofisticate, mentre la donna era più esperta nell'identificazione delle piante, dei funghi e dei piccoli animali.
Osservando gli animali in natura, appare evidente il fatto che ciascun individuo si accompagna ad altri che gli somigliano molto e che hanno una dieta simile. Anche se le differenze individuali sono sempre rilevabili in natura, poiché non esistono due individui identici, si nota che gli animali comunicano, litigano o hanno rapporti intimi sempre con altri il cui aspetto ricalca il proprio, nella forma, nelle dimensioni, nel colore e nella voce. Si individua così una categoria fondamentale, a cui gli animali stessi, con il loro comportamento, dichiarano di appartenere e all'interno della quale scelgono i propri partner con cui accoppiarsi e riprodursi. Questa categoria è la specie, intesa come insieme di individui interfertili, capaci cioè di riprodursi generando individui a loro volta fecondi.
Pensiamo al cavallo e all'asino: si tratta di due specie ben distinte che tutti sono in grado di riconoscere in base alla forma del corpo e alla voce. Se facciamo accoppiare un asino e una cavalla (cosa non facile) otteniamo un ibrido tra due specie, il mulo, che è sterile, ossia incapace di riprodursi. Possiamo dire, allora, che le specie sono isolate geneticamente tra loro e quindi rappresentano una realtà oggettiva e ben definita.
Oltre a questa proprietà biologica di tipo riproduttivo, gli individui di una specie possiedono, come abbiamo visto, caratteristiche in comune di tipo fisico, ecologico e comportamentale. Queste caratteristiche sono utilizzate dagli animali per riconoscersi, avere rapporti o respingersi a seconda dei casi. Le stesse caratteristiche che gli animali possiedono ed espongono a questo scopo, noi umani possiamo utilizzarle per distinguere una specie dall'altra. Tuttavia, questo lavoro non sempre riesce facile. Infatti, noi umani abbiamo una mentalità prevalentemente visiva e acustica, e riconosciamo facilmente le specie che utilizzano messaggi di questo tipo per comunicare tra loro. Per esempio, riconosciamo subito la maggior parte di uccelli, farfalle e pesci tropicali che si distinguono per i loro modelli di colorazione, o le scimmie che emettono richiami facilmente identificabili. Al contrario, abbiamo grossi problemi a distinguere animali che comunicano con messaggi olfattivi, come i piccoli mammiferi (roditori e toporagni), il cui aspetto è spesso uniforme tra le varie specie.
Abbiamo visto che l'asino e il cavallo sono specie diverse ma possono produrre un ibrido vitale, anche se sterile. Casi di questo tipo sono noti tra moltissime coppie di specie. Per esempio, in cattività possiamo ottenere ibridi tra leone e tigre, lupo e sciacallo, babbuino e mandrillo, canarino e cardellino, fringuello e verdone, e altri. Ma non tutte le specie possono produrre ibridi: non riusciremo mai a ottenere un ibrido tra leone e puma, lupo e volpe, babbuino e scimpanzé, canarino e passero, fringuello e cinciallegra. Viene da chiedersi perché e la risposta è facile: la distanza genetica tra queste specie è troppo alta e il loro corredo genetico non riesce a combinarsi. In alcuni casi spermatozoi e ovuli di queste specie nemmeno si attraggono a livello chimico, in altri casi avviene la fecondazione ma l'embrione muore prima di svilupparsi, oppure si ha la nascita di un ibrido che muore molto presto. Nel caso del cavallo e dell'asino, e in tutti quei casi in cui si ottiene un ibrido vitale, la distanza genetica minima ci dice che le due specie sono strettamente imparentate tra loro e pertanto vengono inquadrate in una categoria superiore detta genere. In altre parole, due specie appartengono allo stesso genere quando la distanza genetica tra loro è bassa e permette la produzione di ibridi vitali.
Per denominare le specie e i generi, e poterli meglio gestire nella ricerca e nella comunicazione, i biologi hanno elaborato un sistema di nomi scientifici, ovvero una nomenclatura, regolato da due codici distinti, uno zoologico e uno botanico, con lievi differenze. Tale sistema prende origine dal lavoro di Linneo, naturalista svedese del 18° secolo, che scrisse l'opera Systema naturae, descrivendo tutte le specie a lui note.
L'originalità del sistema linneano consiste nel fatto che ogni specie è definita da un binomio formato da due parole latine poste in successione: la prima corrisponde al genere (in maiuscolo), la seconda alla specie (in minuscolo). Per esempio: Equus caballus e Equus asinus si riferiscono rispettivamente al cavallo e all'asino. Questi due nomi danno contemporaneamente due informazioni: la prima è che il cavallo e l'asino sono due specie distinte, la seconda è che appartengono allo stesso genere. Altro esempio: Homo sapiens e le due specie estinte Homo erectus e Homo habilis sono tre specie dello stesso genere (Homo), vissute in periodi geologici diversi. Soltanto la prima vive tuttora ed è quella a cui noi tutti apparteniamo. Ultimo esempio: Homo sapiens e Pan troglodytes sono rispettivamente l'uomo e lo scimpanzé. L'informazione che se ne ricava è che queste due specie non appartengono allo stesso genere poiché non possono produrre ibridi vitali. In molti casi, quando i generi sono costituiti da molte specie e queste possono essere riunite in gruppi ben differenziati, si usa una categoria chiamata sottogenere che si indica con un nome latino maiuscolo fra parentesi, posto tra il genere e la specie. Per esempio, l'ermellino e la puzzola si chiamano rispettivamente Mustela (Mustela) erminea e Mustela (Putorius) putorius. Ciò significa che appartengono allo stesso genere ma a due sottogeneri diversi.
Il sistema di nomenclatura fondato da Linneo oltre 200 anni fa viene conservato ancora oggi per la sua efficienza. Si continuano a chiamare le specie e i generi in latino e a descrivere con nomi latini le nuove entità che vengono scoperte, per non abbandonare un sistema pratico che ha facilitato la comunicazione scientifica fra studiosi di ogni paese. Anche se il latino non è diffuso come un tempo e l'inglese sta affermandosi sempre di più nel mondo scientifico, non c'è nessun motivo valido per smantellare un vecchio sistema e costruirne uno nuovo con il rischio che non venga accettato unanimemente dalla comunità internazionale.
Lo studio delle diverse popolazioni di una specie rivela spesso l'esistenza di leggere differenze che riguardano soprattutto la forma del corpo, la colorazione e le dimensioni. Per esempio, gli orsi bruni che vivono nel Nord dell'Europa e dell'America sono di taglia più grande e hanno orecchie più piccole rispetto a quelli del Sud. Analogamente, le zebre dell'Africa centrale hanno una colorazione bianco-nera più contrastata rispetto a quelle dell'Africa meridionale. Questo fenomeno generale si chiama variabilità geografica e si riscontra in quasi tutti gli organismi. Molto spesso la variabilità è continua, ossia si esprime in maniera graduale attraverso l'area geografica di distribuzione della specie. In altri casi, però, le specie non sono distribuite in maniera continua ma si presentano con tante popolazioni isolate e differenti fra loro per alcuni caratteri. Tali differenze sono la conseguenza dell'isolamento genetico di queste popolazioni, prodotto da lunghi tempi di isolamento geografico. In questi casi si parla di sottospecie o razze geografiche e queste vengono denominate con termini latini. Ecco perché talvolta si leggono nomi scientifici formati da un trinomio, ovvero da tre parole consecutive. Per esempio: Ursus arctos arctos e Ursus arctos marsicanus indicano rispettivamente l'orso bruno europeo e l'orso bruno marsicano, razza esclusiva dell'Appennino centrale. Anche nell'uomo, fino ad alcune migliaia di anni fa, esistevano razze abbastanza ben definite, per cui alcuni caratteri, per esempio la forma delle narici e degli occhi, la lunghezza del naso, il colore della pelle, erano diversi in Europa, nell'Africa tropicale e nell'Estremo Oriente. Successivamente, le popolazioni umane si sono largamente diffuse e mescolate dando origine a fenomeni di variabilità continua che rendono attualmente impossibile definire le razze.
Attraverso il criterio della distanza genetica possiamo individuare categorie superiori, ovvero più grandi del genere, a cui corrispondono valori di distanza genetica più alti. Così, generi diversi ma tra loro affini vengono inclusi a formare una famiglia, più famiglie imparentate formano un ordine, più ordini una classe, più classi un tipo (o phylum). In mezzo a queste categorie ce ne possono essere altre intermedie, per esempio: sottofamiglia, sottordine, sottoclasse, sottotipo (o subphylum). Facciamo un esempio: attraverso il calcolo della distanza genetica, si rileva che l'uomo e lo scimpanzé appartengono alla stessa famiglia, quella degli Ominidi. Quest'ultima, insieme ad altre famiglie come quelle dei Cercopitecidi e dei Lemuridi, viene inquadrata nell'ordine dei Primati. Questi, a loro volta, vengono uniti ad altri ordini, come quelli dei Carnivori, Cetacei, Insettivori e Roditori, per formare la classe dei Mammiferi. Un ulteriore passo avanti consiste nell'associare Mammiferi, Uccelli, Rettili, Anfibi, Pesci ossei, Pesci cartilaginei e Ciclostomi nel sottotipo dei Vertebrati. Infine, Vertebrati, Tunicati e Cefalocordati rientrano nel tipo dei Cordati, il phylum a cui noi e tutto questo esercito di parenti vicini e lontani apparteniamo nell'ambito del Regno animale.
La moderna sistematica è dunque orientata a mettere insieme un sistema classificatorio fondato sulle relazioni di parentela. Ricerche biochimiche e molecolari affiancano sofisticate analisi dei caratteri morfologici allo scopo di identificare gruppi naturali, ovvero categorie che rappresentano fedelmente le affinità evolutive tra animali e piante. Il risultato sperato è un grande albero genealogico con numerose ramificazioni che ricostruisca l'intero processo evolutivo. L'obiettivo è assai ambizioso poiché gli organismi sono spesso 'camuffati', ovvero nascondono le proprie affinità reali. Due gruppi animali possono divergere fortemente tra loro nei caratteri morfologici e anatomici perché si sono adattati a vivere in due modi assai differenti, sfruttando diverse risorse alimentari. Così, alcuni Celenterati conducono solo vita planctonica, cioè vivono nell'acqua marina lontani dal fondo, e hanno un corpo medusoide leggero e trasparente che si lascia trasportare dalle onde, mentre altri conducono solo vita bentonica, ovvero legata al fondo del mare, e hanno un corpo polipoide che forma colonie attaccate alle rocce. D'altra parte, si può verificare il fenomeno inverso: due gruppi animali, di diversa origine, possono convergere tra loro nella forma e nell'anatomia, a tal punto da sembrare parenti stretti, poiché conducono una vita simile sfruttando le stesse risorse alimentari. Per esempio, i delfini rappresentano un fenomeno di convergenza con i pesci perché, pur essendo mammiferi, hanno un corpo adattato a vivere permanentemente nel mare, con tanto di pinne, pelle priva di peli, dentatura uniforme, e così via.
Ordinare la natura secondo i rapporti di parentela può condurre a grosse sorprese e stravolgere le classificazioni tradizionali. Un esempio di questi problemi è offerto dai Coccodrilli e dagli Uccelli: nonostante le apparenze, i Coccodrilli sono più strettamente imparentati con gli Uccelli che con lucertole, serpenti e tartarughe! Quindi, dovrebbero essere inseriti con gli Uccelli in un gruppo a sé stante, i Cocco-Uccelli, anziché tra i Rettili. A meno che non vogliamo considerare anche gli Uccelli come facenti parte dei Rettili.