clausola rescissoria
clàusola rescissòria locuz. sost. f. – Locuzione impropria, diffusasi nel linguaggio giornalistico e degli operatori del settore dello sport professionistico, viene comunemente utilizzata per designare uno specifico patto inserito nei contratti conclusi tra società sportive e tesserati (atleti, allenatori ecc.). La c. r. consente al tesserato di sciogliersi anticipatamente dal contratto che lo lega a una società sportiva mediante pagamento di una somma di danaro predeterminata. La c. r. assolve a una duplice funzione: rendere oneroso lo scioglimento anticipato del contratto tra la società sportiva e l’atleta professionista, favorendo la prosecuzione del rapporto fino alla naturale scadenza contrattuale; garantire alla società sportiva di ristorare l’eventuale perdita anticipata delle prestazioni che il tesserato si era impegnato a effettuare con il conseguimento di una somma di danaro certa e prestabilita. L’improprietà terminologica discende dal fatto che l’istituto della rescissione, che il nome d’uso della clausola sembra richiamare, si fonda in realtà su presupposti completamente diversi (lo stato di pericolo o di bisogno, la sproporzione tra le rispettive prestazioni delle parti). Nella prospettiva strettamente giuridica la c. r. si dovrebbe ricondurre, più che a una penale (con cui le parti convengono, per il caso di inadempimento, il pagamento di una somma predeterminata a titolo risarcitorio), a una multa penitenziale (cfr. art. 1373, 3 comma, cod. civ.), ossia la somma di danaro pattuita configura il corrispettivo del recesso che una parte deve versare all’altra qualora intenda sciogliersi dal rapporto. Che poi, in concreto, tale prezzo del recesso venga versato – come avviene di solito – non dal tesserato ma da un terzo (per es. la nuova società che intende ingaggiare l’atleta), costituisce dato contingente che non incide né sull’essenza né sulla struttura del patto.