codice
Raccolta di norme per ogni settore del diritto
Oggi con la parola codice intendiamo sia un volume di fogli manoscritti, sia una collezione di leggi. In particolare, qualifichiamo come codice quella raccolta omogenea di norme sintetiche e chiare, ordinate in maniera sistematica, che regola in modo uniforme ed esclusivo uno specifico settore del diritto. Tali caratteristiche, tuttavia, sono state acquisite dai codici soltanto nell'Ottocento
Presso i Romani il termine codex, che indicava il tronco dell'albero, era usato anche per definire le tavolette di legno e di cera su cui si scriveva, nonché un insieme di tavolette scritte tra loro riunite. Quando le tavolette lignee non furono più utilizzate, il termine continuò a essere adoperato per designare il libro che riuniva i fogli di carta di papiro in modo compatto e perciò diverso dal volumen, che ravvolgeva gli stessi fogli a rotolo.
La parola codice, dunque, risulta sin dall'antichità legata strettamente alla scrittura ed è giunta fino a noi con il significato generale di insieme rilegato di fogli manoscritti. Accanto a questo significato, poi, se ne è aggiunto un altro più specifico, quello di raccolta di norme giuridiche, in particolare di leggi.
Questo secondo significato è stato accolto dai giuristi romani negli ultimi secoli dell'Impero: nel 3° e 4° secolo d.C. il termine indicò, infatti, due raccolte private di leggi imperiali, il Codex gregorianus ("Codice gregoriano") e il Codex hermogenianus ("Codice ermogeniano"), e successivamente fu usato per raccolte ufficiali, il Codex theodosianus ("Codice teodosiano"), emanato dall'imperatore Teodosio nel 458, e infine il Codex justinianus ("Codice giustiniano"), promulgato dall'imperatore Giustiniano nel 529. Anche questo secondo significato è entrato a far parte della tradizione culturale del mondo occidentale ed è giunto fino ai nostri giorni.
Oggi con la parola codice intendiamo in genere una raccolta omogenea e sistematica di norme giuridiche, ma tali caratteristiche sono il prodotto di una lunga evoluzione; infatti non si trovano nelle prime raccolte designate come codici e apparse in Occidente dopo il lungo silenzio del Medioevo. Così, per esempio, il regno di Francia conobbe tra il 16° e il 18° secolo raccolte di ordinanze regie relative a diverse materie che ebbero il titolo di codice, ma che risultano sotto molti aspetti disorganiche e incomplete.
Un contributo importante alla definizione dei codici moderni venne dal pensiero riformatore e illuminista (Illuminismo) del secolo 18°: di fronte alla confusione delle norme giuridiche che caratterizzava gli ordinamenti di allora, esso sollecitò i sovrani a intervenire con un preciso programma legislativo che mettesse ordine nei vari campi del diritto attraverso la definizione di un testo uniforme di norme chiare.
Nel campo del diritto civile ‒ il diritto che si occupa delle persone, dei rapporti personali e patrimoniali della famiglia, della proprietà e degli altri diritti sui beni, della successione ereditaria, delle obbligazioni e dei contratti ‒ un progetto di codice venne elaborato, per esempio, nel Granducato di Toscana da Pompeo Neri tra il 1745 e il 1747, ma si scontrò con la resistenza dei sostenitori dei diritti particolari e dei privilegi e finì con l'essere abbandonato.
Un codice di diritto civile fu invece promulgato in Prussia nel 1794, al termine di una lunga elaborazione avviata alla metà del secolo. Nemmeno questo codice, però, presenta tutti i caratteri di quelli odierni, soprattutto perché non si imponeva come esclusiva disciplina della materia, ma lasciava vivere tutti i diritti consuetudinari, personali, statutari della tradizione ed era applicato solo nei casi non disciplinati da questi ultimi.
Nel campo del diritto penale ‒ il diritto che definisce gli atti e i comportamenti delittuosi e stabilisce le pene relative ‒ ha una particolare importanza il codice promulgato in Toscana dal granduca Pietro Leopoldo nel 1786 e noto come Codice leopoldino. Accogliendo idee diffuse negli ambienti culturali più vivaci del periodo, idee che erano state espresse in gran parte da Cesare Beccaria nella sua celebre opera Dei delitti e delle pene (1764), il codice introduceva una profonda riforma del sistema penale proibendo la tortura giudiziaria e abolendo la pena di morte insieme con altre pene particolarmente infamanti, come la confisca dei beni e il marchio dei condannati.
Ma anche questo codice risulta diverso da quelli odierni sia per la lunghezza delle sue disposizioni, sia perché, accanto alla disciplina dei diversi reati, conteneva anche norme riguardanti lo svolgimento del processo: norme che oggi sono raccolte in un codice a sé, quello di procedura penale, distinto dal codice penale.
La codificazione odierna è stata inaugurata dai codici promulgati in Francia durante l'impero di Napoleone Bonaparte: nel 1804 fu emanato il codice civile e nel 1807 il codice di procedura civile (il codice, cioè, che contiene le norme che regolano lo svolgimento del processo riguardante la tutela dei diritti civili), mentre il codice di commercio entrò in vigore nel 1808 e il codice penale e quello di procedura penale, approvati nel 1810, entrarono in vigore nel 1811.
Tali codici abolivano tutte le norme precedenti e imponevano una disciplina chiara, omogenea e sistematica in ciascun settore del diritto. In Italia essi furono accolti non solo nelle regioni che erano state annesse all'Impero francese, ma anche, con l'eccezione del codice di procedura penale, in quelle che formavano sia il Regno d'Italia sia il Regno di Napoli. E poiché la disciplina da loro adottata non si allontanava eccessivamente dalla tradizione giuridica vissuta dal nostro paese dal Medioevo all'Età moderna, i codici francesi costituirono il modello cui si ispirarono quelli italiani dopo la fine dell'Impero napoleonico.
Ai codici francesi si rifece innanzi tutto il Codice per il Regno delle Due Sicilie del 1819, articolato in cinque parti dedicate rispettivamente al diritto civile, al penale, al processuale civile, al processuale penale e al commerciale. Codici civili furono promulgati nel ducato di Parma nel 1820, nel Regno di Sardegna nel 1837, nel ducato di Modena nel 1852, mentre in Lombardia fu esteso nel 1816 il Codice civile austriaco del 1811. Codici penali entrarono in vigore nel ducato di Parma nel 1821, nel ducato di Modena nel 1835 e nel 1856, nel regno di Sardegna nel 1839 e nel 1859, mentre la Lombardia accoglieva nel 1815 il Codice penale austriaco del 1803 e nel granducato di Toscana veniva promulgato nel 1853 un codice che si ispirava anche al modello del Codice leopoldino.
Dopo la proclamazione del Regno d'Italia nel 1861, si pose in modo urgente la necessità di uniformare i diritti degli Stati preunitari e nel 1865 furono promulgati i nuovi codici civile, commerciale, di procedura civile e di procedura penale. Nella materia penalistica, invece, rimasero in vigore il Codice del Regno di Piemonte del 1859, esteso alle altre regioni con alcune modifiche, e quello toscano del 1853 per i soli territori che avevano fatto parte del granducato: solo nel 1889 si arrivò ad approvare un codice penale unitario (noto come Codice Zanardelli, dal nome del ministro di Grazia e Giustizia che ne elaborò il progetto), entrato in vigore nel 1890.
L'opera di codificazione era nel frattempo proseguita con la promulgazione nel 1882 di un nuovo codice commerciale e continuò nei primi decenni del secolo 20° con il codice di procedura penale del 1913. Significative modifiche conobbero i codici italiani nel periodo successivo. Nel 1930 furono promulgati il Codice penale (noto come Codice Rocco, dal nome del ministro di Grazia e Giustizia) e quello di procedura penale, nel 1940 il Codice di procedura civile e nel 1942 il Codice civile, che comprendeva anche la materia commercialistica con la conseguente abolizione di un codice specifico per questo settore di diritto. Sempre nel 1942 a essi si aggiunse il Codice della navigazione.
Questi codici sono tuttora in vigore, con le indispensabili modifiche del Codice penale introdotte dopo la fine del regime fascista, a eccezione di quello di procedura penale sostituito da un nuovo codice promulgato nel 1988.
Oggi si discute sulla validità della codificazione soprattutto nel campo del diritto civile. Mentre, infatti, nel corso dell'Ottocento e per buona parte del Novecento i codici sono stati considerati il centro del sistema di ciascun settore del diritto, nel senso che alle loro norme si coordinavano le successive leggi speciali, oggi la legislazione risulta straordinariamente vasta, continuamente innovata e non sempre sensibile alle esigenze di coordinamento con il sistema ordinato del codice. Si tratta di un problema della massima importanza, la cui soluzione deve necessariamente tener conto dell'utilità dei codici sotto l'aspetto della chiarezza, semplicità e organicità dell'ordinamento.