Abstract
Vengono esaminate struttura, funzione, modalità operative e responsabilità del collegio sindacale nelle s.p.a. quotate e non quotate, con cenni alle s.p.a. appartenenti a settori speciali e ad altri tipi sociali.
Il collegio sindacale è l’organo che, nelle s.p.a., caratterizza il modello di amministrazione e controllo cd. tradizionale, tipico (quasi un unicum a livello comparatistico) del nostro ordinamento. L’autonomia dall’organo amministrativo – con il quale, peraltro, condivide la nomina assembleare – e la focalizzazione delle mansioni nella vigilanza sull’operato degli amministratori lo distinguono dagli organi con funzioni di controllo nei cd. sistemi alternativi: dal comitato per il controllo nella gestione del sistema monistico, giacché questo è composto da membri dell’organo amministrativo; dal consiglio di sorveglianza del sistema dualistico, perché questo svolge anche funzioni di supervisione strategica.
Nella più che secolare storia del collegio sindacale sono stati ben presto individuati i limiti dell’istituto: a) l’omogeneità dei sindaci (i controllori) con gli amministratori (i controllati) in quanto entrambi eletti dall’assemblea ordinaria; b) la loro scarsa incisività derivante dalla mancanza di adeguati strumenti di reazione in caso di accertamento di fatti o atti censurabili; c) l’eccessiva ampiezza delle funzioni attribuite.
La legislazione dell’ultimo ventennio ha cercato, in particolare – ma non solo – per le società quotate, di ovviare a questi inconvenienti e rinvigorire l’istituto: si pensi alla previsione del c.d. sindaco di minoranza nelle quotate, al conferimento ai sindaci della legittimazione a esercitare l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori nonché di presentare la denuncia del sospetto di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c., alla concentrazione delle funzioni nella vigilanza sulla corretta amministrazione conseguente all’assegnazione del controllo contabile a revisori legali dei conti esterni all’organizzazione societaria.
Non può dirsi, però, che queste innovazioni abbiano avuto successo: l’omogeneità con gli amministratori persiste inalterata nelle s.p.a. non quotate, i nuovi strumenti di reazione quasi mai sono stati utilizzati nella pratica, la netta maggioranza delle s.p.a. alle quali è stata concessa la libertà di scegliere (quelle chiuse non tenute a predisporre il bilancio consolidato) ha sfruttato l’opzione di mantenere l’assegnazione del controllo contabile al collegio sindacale, nuovi compiti ulteriori sono stati – e, a discrezione della società, possono essere – assegnati all’organo (in materia di antiriciclaggio, di modelli di organizzazione ex d. lgs. 8.6.2001, n. 231, di interfaccia con il revisore legale dei conti esterno).
A questi persistenti motivi di crisi si aggiunge la scarsa comprensione dell’istituto da parte dei regolatori sovranazionali e degli investitori esteri che non ne trovano corrispondenza nei loro ordinamenti domestici. Non è casuale, quindi, che alcune importanti s.p.a. bancarie quotate abbiano adottato il modello monistico ove la funzione di controllo è internalizzata nell’organo amministrativo tramite la costituzione di un apposito comitato per il controllo sulla gestione: modello più diffuso all’estero e più coerente con la visione moderna dei controlli (non come contrapposti alla gestione, ma) come parte integrante ed essenziale di quest’ultima.
Benché questa trattazione sia relativa solo alle s.p.a., vale la pena di spendere qualche parola sul (declino del) collegio sindacale nelle s.r.l.. Nel passato le s.r.l. potevano (o, ricorrendo determinati presupposti, dovevano) munirsi di un collegio sindacale come le s.p.a. Oggi, ai sensi dell’attuale art. 2477, il rinvio in termini generali è venuto meno e le s.r.l. possono (o – in una tipologia di situazioni nettamente inferiore rispetto al passato – devono) nominare un organo di controllo (che, se lo statuto non dispone diversamente, è monocratico) e/o un revisore legale dei conti e le norme delle s.p.a. sul collegio sindacale si applicano solo nel caso di scelta della prima opzione.
Il collegio sindacale si compone di tre o cinque membri effettivi e due supplenti (art. 2397, co. 1, c.c.). Almeno un membro effettivo e uno supplente vanno scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori legali dei conti (d.lgs. 27.1.2010, n. 39); i restanti membri, se non iscritti nel registro, devono esserlo negli albi professionali degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro o fra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche (art. 2397, co. 2, c.c. e d.m. 29.12.2004, n. 320). Qualora, tuttavia, il collegio sindacale svolga anche il controllo contabile tutti i sindaci devono essere iscritti nel registro dei revisori legali dei conti (art. 2409 bis, co. 2, c.c.).
Nelle società quotate la legge prescrive solo il numero minimo dei componenti del collegio: almeno tre membri effettivi e due supplenti (art. 148, co. 1, t.u.f.). I requisiti di onorabilità e professionalità sono stabiliti con regolamento del Ministro della giustizia (d.m. 30.3.2000, n. 162; art. 148, co. 4, t.u.f.). Negli “enti di interesse pubblico” (cfr. art. 16, d. lgs. n. 39/2010: società quotate, banche, assicurazioni), ove il collegio svolge anche la funzione di comitato per il controllo interno e la revisione contabile (v. infra), è inoltre previsto che i suoi componenti, nel loro complesso, siano competenti nel settore in cui opera la società (art. 19, co. 3, d. lgs. n. 39/2010).
Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall’ufficio (art. 2399 c.c.): a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 2382 c.c.; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.
Le ipotesi a) e b) sono esattamente riprodotte per le società quotate; quella sub c) ha, invece, una dizione parzialmente diversa nell’art. 148, co. 3, t.u.f., in quanto, per un verso, l’ineleggibilità è estesa anche all’esistenza di rapporti di contiguità con gli amministratori della società e con i soggetti di cui alla lett. b) e, per altro verso, la locuzione «rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita» è sostituita da «rapporti di lavoro autonomo o subordinato»; in sostanza, nelle quotate è ineleggibile anche chi abbia con la società un rapporto professionale non continuativo.
Con i requisiti sub b) e c) si vuole evitare che possa assumere la carica di sindaco un soggetto che, per motivi personali o lavorativi, non sia indipendente. La formula di legge, peraltro, è carica di ambiguità poiché è controverso rispetto a chi e cosa si deve valutare l’indipendenza (se solo rispetto agli amministratori o anche ai soci di controllo: letteralmente il dottore commercialista che assiste abitualmente il socio di controllo non può essere sindaco se il socio di controllo è una società, ma può se è una persona fisica), quali siano gli «altri rapporti di natura patrimoniale» (ci si può chiedere se vi rientri anche la partecipazione, ed eventualmente in quali termini, al capitale della società) e se l’inciso finale («che ne compromettano l’indipendenza») si riferisca solo agli altri rapporti di natura patrimoniale o all’intera lett. c) sopra citata.
Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi (art. 2399, co. 3, c.c.). In ogni caso, anche qualora lo statuto non abbia previsioni al riguardo, al momento della nomina dei sindaci e prima dell’accettazione dell’incarico, vanno resi noti all’assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società (art. 2400, co. 4, c.c.).
Per le società quotate (e per quelle emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 t.u.f.), invece, la Consob stabilisce limiti al cumulo degli incarichi di amministrazione e controllo che i sindaci possono assumere, avendo riguardo all’onerosità e alla complessità di ciascun tipo di incarico, anche in rapporto alla dimensione della società, al numero e alla dimensione delle imprese controllate incluse nel consolidamento dei conti, nonché all’estensione e all’articolazione della sua struttura organizzativa (art. 148 bis, co. 1, t.u.f.; l’art. 144 terdecies reg. emittenti determina gli specifici limiti). Inoltre, fermo restando quanto previsto dall’art. 2400, co. 4, c.c., i sindaci di tali società informano la Consob e il pubblico sugli incarichi di amministrazione e controllo da essi rivestiti presso altre società e la Consob dichiara la decadenza dagli incarichi assunti dopo il raggiungimento del numero massimo previsto (art. 144 quaterdecies reg. emittenti).
Ai sindaci di società operanti nei settori bancario, finanziario e assicurativo è, infine, vietato assumere cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo in società concorrenti. Il divieto intende evitare che il libero gioco della concorrenza venga eluso tramite incroci di cariche ed è sanzionato con la decadenza da entrambe per il soggetto che, entro novanta giorni dalla nomina, non opti per una delle due (d.l. 6.12.2011, n. 201, conv. in l. 22.12.2011, n. 214).
La nomina dei sindaci spetta all’assemblea (art. 2400, co. 1, c.c.) con sistema maggioritario o, se lo statuto lo prevede, con regole particolari (p.e. voto di lista); tramite lo strumento delle categorie di azioni è possibile riservare la nomina a una parte della compagine sociale (Massime del Consiglio Notarile di Milano, n. 142). Fanno eccezione a questo principio: a) la nomina dei primi sindaci nell’atto costitutivo; b) la possibilità che lo statuto preveda la nomina di un sindaco da parte dei portatori degli strumenti finanziari di cui agli artt. 2346, co. 6, e 2349, co. 2, c.c. (art. 2351, co. 5, c.c.); c) la possibilità che la legge o lo statuto permettano di nominare uno o più sindaci allo Stato o a enti pubblici, siano o no azionisti della società (art. 2449 c.c.). Regole speciali in tema di nomina valgono per le s.a.p.a. (l’art. 2459 c.c. esclude dal voto i soci accomandatari) e le imprese sociali in forma di s.p.a. (art. 6 e 11, d.lgs. 3.7.2017, n. 112).
Nelle società quotate almeno un membro effettivo va eletto dalla minoranza: l’art. 148, co. 2, t.u.f. impone il voto di lista e assegna alla Consob il potere di stabilire le modalità per l’elezione di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza che non siano collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti. A differenza di quanto avviene per gli amministratori, la legge non prevede né consente la fissazione di una soglia per la presentazione delle liste.
Anche per il collegio sindacale si applicano (nelle società quotate e in quelle a controllo pubblico) le cd. quote di genere: quello meno rappresentato, a partire dalle nomine effettuate nel luglio 2012, deve avere una quota pari almeno a un quinto dei posti in prima applicazione e a un terzo a regime. Tali quote, peraltro, trattandosi di un’affirmative action di durata provvisoria, si applicano solo per tre mandati (e, quindi, se la prima applicazione è, p.e., di aprile 2013, nessuna quota di genere si applicherà ex lege alle nomine di aprile 2022).
In tutte le s.p.a. il presidente del collegio è nominato dall’assemblea (art. 2398 c.c.), ma in quelle quotate deve essere scelto tra i sindaci eletti dalla minoranza (art. 148, co. 2-bis, t.u.f.): quindi, se vi è un solo sindaco di minoranza, la presidenza gli spetta automaticamente.
La nomina e la cessazione dei sindaci devono essere iscritte, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese nel termine di trenta giorni (art. 2400, co. 3, c.c.).
I sindaci restano in carica per il termine fisso di tre esercizi e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica; sono rieleggibili senza limiti. La cessazione dalla carica per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito (art. 2400, co. 1, c.c.).
Oltre alla scadenza del termine sono cause di cessazione: a) la morte; b) la revoca da parte dell’assemblea (art. 2400, co. 2, c.c.) - o da parte dello Stato o ente pubblico nel caso in cui la nomina sia a questo riservata (art. 2449 c.c.) – che, a differenza di quanto avviene per gli amministratori e a tutela dell’indipendenza dei sindaci, è possibile solo per giusta causa e va approvata con decreto dal tribunale, sentito l’interessato; c) la rinunzia del sindaco che, secondo la Corte di cassazione, ha effetto solo dal subentro del supplente, mentre secondo la giurisprudenza di merito ha effetto immediato dalla comunicazione alla società non potendo applicarsi al sindaco dimissionario la prorogatio; d) la decadenza qualora si verifichi in corso di carica una causa di ineleggibilità (cd. decadenza non sanzionatoria) oppure quando il sindaco non partecipi senza giustificato motivo alle assemblee ovvero, durante un esercizio sociale, a due adunanze consecutive del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo ovvero ancora a due riunioni del collegio sindacale in un esercizio (cd. decadenza sanzionatoria: artt. 2404, co. 2, e 2405, co. 2, c.c. nonché art. 149, co. 2, t.u.f.). A queste cause di cessazione previste dall’art. 2400 c.c. va aggiunta quella derivante da cambiamenti nella struttura organizzativa della s.p.a. che implichi il venir meno dell’organo (per es., il passaggio a uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo oppure l’incorporazione in altra società).
Solo per le s.p.a. bancarie e assicurative è prevista la sospensione dalle funzioni al verificarsi di determinati eventi (in linea di principio condanne non definitive per certi reati o patteggiamento o misure cautelari penali); a seguito della sospensione va inserita nell’ordine del giorno della prima assemblea successiva la proposta di revoca del sindaco: i soci decidono liberamente se revocarlo o reintegrarlo nelle sue funzioni (d.m. 18.3.1998, n. 161 e 11.11.2011, n.220).
In caso di morte, di rinunzia o di decadenza di un sindaco, subentrano i supplenti in ordine di età, nel rispetto dell’art. 2397, co. 2, c.c.. I nuovi sindaci restano in carica fino all’assemblea successiva, la quale provvede alla sostituzione definitiva. I nuovi nominati scadono insieme con quelli in carica. In caso di sostituzione del presidente, la presidenza è assunta fino alla prima assemblea successiva dal sindaco più anziano. Se con i sindaci supplenti non si completa il collegio sindacale, deve essere convocata l’assemblea perché provveda all’integrazione del collegio medesimo (art. 2401 c.c.).
L’incarico di sindaco ha natura onerosa e, per evitare che una determinazione ex post del compenso possa essere strumento di premio o castigo per il sindaco corrivo o troppo severo, la retribuzione annuale dei sindaci deve essere determinata dalla assemblea all’atto della nomina per l’intero periodo di durata del loro ufficio (art. 2402 c.c.).
3. Le funzioni
Funzione specifica del collegio sindacale è di vigilare: a) sull’osservanza della legge e dello statuto; b) sul rispetto dei principi di corretta amministrazione; c) e in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento (art. 2403, co. 1, c.c.). In talune ipotesi il controllo del collegio sindacale assume carattere sostitutivo degli amministratori in caso di loro omissione o ritardo ingiustificato (per es., quando questi non provvedono a convocazioni obbligatorie dell’assemblea oppure a depositi e iscrizioni prescritti dalla legge: art. 2406 c.c.).
A questi compiti di controllo si affiancano un’eccezionale ipotesi di amministrazione (nel caso di cessazione dalla carica di tutti gli amministratori: art. 2386, co. 5, c.c.) e alcuni casi di cd. consulenza agli amministratori (per es., i pareri sulla rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche, sulla capitalizzazione dei costi di impianto e ampliamento nonché dell’avviamento; l’approvazione della delibera consiliare di cooptazione di nuovi amministratori) e di supplemento di informazione ai soci (in materia di bilancio e sovraprezzo in caso di aumento di capitale a pagamento con esclusione o limitazione del diritto di opzione). Particolare è la riserva al collegio sindacale del potere di proporre all’assemblea la nomina e la revoca del soggetto incaricato della revisione legale dei conti (art. 13, co. 1, d. lgs. n. 39/2010).
Negli enti di interesse pubblico il collegio sindacale svolge anche le funzioni di comitato per il controllo interno e la revisione contabile e, in tale veste (prevalentemente regolata dal reg. Ue n. 537/2014), deve vigilare sul processo di informativa finanziaria; sull’efficacia dei sistemi di controllo interno, di revisione interna, se applicabile, e di gestione del rischio; sulla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati; sull’indipendenza del revisore dei conti, in particolare per quanto concerne la prestazione all’ente di servizi non di revisione (art. 19, co. 1, d.lgs. n. 39/2010). In sostanza si tratta dell’interfaccia, all’interno della società, del revisore legale dei conti che, infatti, gli deve annualmente presentare una relazione aggiuntiva a quella di revisione (e che il collegio, a sua volta, deve trasmettere all’organo amministrativo corredata di sue eventuali osservazioni: art. 11, reg. Ue n. 537/2014). Tale ruolo è ulteriormente valorizzato dalle regole procedurali per la selezione del revisore legale in cui – ove si tratti di società che supera certe soglie dimensionali – il comitato svolge un importante ruolo (art. 16, reg. Ue n. 537/2014). Il collegio, inoltre, deve approvare l’eventuale assegnazione al revisore di servizi non vietati diversi dalla revisione e vigilare sulla proporzione dei compensi (artt. 5, par. 4, e 4, par. 3, reg. Ue n. 537/2014), ricevere annualmente conferma scritta dell’indipendenza da parte del revisore e discutere con lui rischi e misure di mitigazione (art. 6, par. 2, reg. Ue n. 537/2014).
Eccezionalmente, nelle sole s.p.a. che non siano qualificate come enti di interesse pubblico o a regime intermedio o che rispetto a esse non siano da loro controllate, controllanti o sottoposte a comune controllo, lo statuto può prevedere che il collegio sindacale eserciti anche la revisione legale dei conti a condizione che la società non sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato (art. 2409 bis, co. 2, c.c. e art. 16, co. 2, e 19-bis, co. 2, d.lgs. n. 39/2010). In tal caso il collegio sindacale è sottoposto, per l’attività di controllo contabile, alle regole del d.lgs. n. 39/2010. Nelle imprese sociali in forma di s.p.a. si aggiunge un ulteriore caso in cui il controllo contabile non può essere assegnato al collegio sindacale: quando per due esercizi consecutivi siano superati due dei tre limiti indicati nell’art. 2435 bis, co. 1, c.c.
In sostanza, quella che la legge presenta come eccezione è, di fatto, l’ipotesi più diffusa poiché la netta maggioranza delle s.p.a. italiane rientrano nell’ambito delle società che possono effettuare l’opzione in favore dell’assegnazione del controllo contabile al collegio sindacale e proprio in tal senso l’hanno esercitata (al 31.12.2016 il 72,45% del totale delle s.p.a.). Anche in caso contrario, tuttavia, il collegio sindacale non è del tutto estraneo alla materia giacché esso, pur non dovendo vigilare sulla regolare tenuta della contabilità, deve sempre verificare l’assetto contabile della società e il suo concreto funzionamento.
Nelle società quotate ai compiti sopra indicati [quello indicato sub c) è maggiormente dettagliato, in quanto menziona anche la vigilanza sull’adeguatezza del sistema di controllo interno – cd. internal audit –, ma sostanzialmente analogo] si aggiunge, ai sensi dell’art. 149 t.u.f., la vigilanza: i) sull’adeguatezza delle disposizioni impartite alle società controllate perché forniscano alla controllante quotata tutte le notizie necessarie per adeguarsi agli obblighi di informazione al pubblico previsti dalla legge (art. 114 t.u.f.); ii) sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi.
In tutte le s.p.a., infine, al collegio sindacale possono essere assegnate le funzioni di organismo di vigilanza ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, presidio finalizzato a impedire la commissione dei cd. reati presupposti che potrebbero determinare la responsabilità amministrativa dell’ente.
In sintesi, quindi, benché gli siano assegnati una pluralità di compiti, il cuore delle funzioni del collegio sindacale è rappresentato dal controllo sull’osservanza della legge e dello statuto e dalla vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione. In entrambi i casi si tratta di un controllo sintetico sull’attività che, però, sulla base dello standard della professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico (art. 2407, co. 1, c.c.), può concretizzarsi anche nel dovere di procedere a un riscontro analitico a seconda del contesto di riferimento (p.e. modalità organizzative della società, sospetti sorti nel corso del controllo sintetico, denunzie da parte di soci, ecc.). Di notevole utilità come linee guida per indicare ai sindaci una best practice di comportamento tramite una catalogazione delle situazioni che possono richiedere un approfondimento sono le Norme di comportamento del collegio sindacale redatte, e periodicamente aggiornate, a cura del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
La vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto rappresenta un controllo di pura legittimità e riguarda ogni aspetto della vita sociale. Ne sono espressione, p.e., la legittimazione – quindi il potere/dovere – del collegio sindacale a impugnare le deliberazioni assembleari annullabili (art. 2377, co. 2) e i doveri imposti ai sindaci dalla legislazione antiriciclaggio (art. 46, d. lgs. 21.11.2007, n. 231). Nelle s.p.a. quotate e ad azionariato diffuso ne è ulteriore manifestazione il dovere di vigilanza sull’osservanza delle regole in materia di operazioni con parti correlate (art. 2391 bis, co. 3, c.c.).
Più articolato è il discorso sulla verifica del rispetto dei principi di corretta amministrazione. Certamente essa non si esaurisce in un mero riscontro della legittimità formale degli atti di amministrazione, ma neppure si estende al punto di divenire un controllo di merito sulla bontà, l’opportunità e la convenienza delle scelte gestorie degli amministratori. Per meglio comprenderne l’essenza è utile distinguere tra il «cosa» e il «come» deve essere valutato. Oggetto di valutazione da parte dei sindaci deve essere il merito dell’amministrazione con i relativi processi decisionali; criterio di valutazione i principi di corretta amministrazione, cioè se gli amministratori nello svolgimento della loro attività si attengono o no ai criteri di diligenza prescritti dalla legge: «ai sindaci non compete un controllo sulla gestione in senso proprio, la quale appartiene alla sfera di discrezionalità imprenditoriale degli amministratori (tanto che un giudizio sull’opportunità imprenditoriale di queste scelte è sottratto perfino al sindacato del giudice), ma un controllo sulla conformità di queste scelte e dei modi della loro realizzazione alle regole, comunemente accettate, d’avveduta e prudente amministrazione» (Cavalli, G., Osservazioni sui doveri del collegio sindacale di società per azioni non quotate, in Abbadessa, P. – Portale, G.B., diretto da, Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, III, Torino, 2006, 59).
In questo senso si comprende l’accento posto dall’art. 2403, co. 1, c.c. (e dall’analogo art. 149, co. 1, lett. c), t.u.f.) «sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento» che, per sua natura, sfugge all’alternativa tra controllo di merito e controllo di legittimità: l’attenzione dei sindaci deve focalizzarsi soprattutto sulle procedure interne alla società accertando che esse siano congegnate, mantenute ed effettivamente funzionanti in modo tale da consentire l’assunzione di scelte ponderate e consapevoli.
L’organo sindacale, salve le eccezioni infra segnalate, opera collegialmente. Le sue riunioni devono avvenire almeno ogni novanta giorni (art. 2404 c.c.) e possono svolgersi, se lo statuto lo consente indicandone le modalità, anche con mezzi di telecomunicazione. L’assenza ingiustificata a due riunioni nell’esercizio comporta la decadenza sanzionatoria. Le riunioni sono regolarmente costituite con la presenza della maggioranza dei sindaci e le delibere sono assunte a maggioranza assoluta dei presenti; benché la legge sia muta al riguardo, le deliberazioni del collegio sindacale non conformi alla legge o allo statuto sono impugnabili (per l’applicazione analogica dell’art. 2388, co. 4, c.c.: Trib. Milano, 23.4.2018, in www.giurisprudenzadelleimprese.it. Il sindaco dissenziente ha diritto di fare iscrivere a verbale i motivi del proprio dissenso. Delle riunioni, infatti, deve redigersi verbale che viene trascritto nel libro previsto dall’art. 2421, co. 1, n. 5, c.c. e sottoscritto dagli intervenuti (art. 2404, co. 3, c.c.); nello stesso libro devono risultare anche gli accertamenti compiuti dai sindaci (art. 2403 bis, co. 3, c.c.).
Al fine di svolgere la loro funzione di vigilanza i sindaci hanno una serie di poteri che, essendo loro attribuiti per la tutela di interessi altrui, talvolta si configurano anche – in relazione alla specifica situazione della società e alle disposizioni di legge – come doveri. Nella prospettiva degli strumenti di conoscenza e di indagine:
a) i sindaci devono partecipare alle assemblee nonché alle riunioni del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo (artt. 2405, co. 1, c.c. e 149, co. 2, t.u.f.). L’importanza dell’intervento a tali riunioni – mediante le quali si ha conoscenza in presa diretta degli atti sociali – è sottolineata dal fatto che la protratta assenza ingiustificata comporta la decadenza del sindaco. In tutte le s.p.a. gli organi delegati devono riferire al consiglio di amministrazione e, dunque, anche al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate (art. 2381, co. 5, c.c.); per le quotate la cadenza è almeno trimestrale e il contenuto dell’informativa più esteso (art. 150, co. 1, t.u.f,);
b) il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari (art. 2403 bis, co. 2, c.c.); nelle società quotate tale potere può essere esercitato anche dal singolo sindaco ed è possibile rivolgere le richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle controllate (art. 151, co. 1, t.u.f.); come gli altri poteri, anche questo può integrare un dovere in particolari circostanze: ad esempio quando vi siano elementi di sospetto da indagare oppure quando la struttura degli organi sociali renda poco efficiente il flusso informativo proveniente dalla partecipazione alle riunioni degli organi di gestione (come quando la s.p.a. ha un amministratore unico oppure un amministratore delegato in capo al quale sono concentrati tutti i poteri di gestione);
c) il collegio può scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo e all’andamento generale dell’attività sociale. Inoltre il collegio sindacale e il revisore legale dei conti si scambiano tempestivamente le informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti (artt. 2409 septies c.c. e 150, co. 3, t.u.f.). Nelle società quotate i preposti al controllo interno riferiscono anche al collegio sindacale di propria iniziativa o su richiesta anche di uno solo dei sindaci (art. 150, co. 4, t.u.f.);
d) in qualsiasi momento i sindaci possono procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (art. 2403 bis, co. 1, c.c.e art. 151, co. 1, t.u.f.).
Nell’espletamento di specifiche operazioni di ispezione e di controllo i sindaci di società non quotate, sotto la propria responsabilità e a proprie spese, possono avvalersi di loro dipendenti e ausiliari che non si trovino in una delle condizioni previste dall’art. 2399 c.c.; l’organo amministrativo, peraltro, può rifiutare a questi soggetti l’accesso a informazioni riservate (art. 2403 bis, co. 4-5, c.c.). Nelle società quotate, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, il collegio – o anche il singolo componente – può avvalersi di dipendenti della società per l’espletamento delle proprie funzioni (art. 151, co. 2, t.u.f.). La possibilità di avvalersi, anche individualmente, di propri dipendenti e ausiliari, sotto la propria responsabilità e a proprie spese, è invece finalizzata alla sola valutazione dell’adeguatezza e affidabilità del sistema amministrativo-contabile; in tal caso la società può rifiutare solo agli ausiliari, ma non ai dipendenti, l’accesso a informazioni riservate (art. 151, co. 3, t.u.f.);
e) il collegio sindacale deve indagare sulle denunzie presentate dai soci. In particolare: i) ogni socio può denunziare i fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale, il quale deve tenerne conto nella relazione all’assemblea (art. 2408, co. 1, c.c.); ii) se però la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale (un cinquantesimo nelle s.p.a. aperte) o la minor quota statutariamente prevista, il collegio sindacale deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea; deve altresì, qualora la denunzia risulti fondata e vi sia urgente necessità di provvedere, convocare l’assemblea (art. 2408, co. 2, c.c.).
Passando a esaminare gli strumenti di reazione a disposizione del collegio sindacale, vanno anzitutto ricordate le ipotesi di informativa ai soci che, tradizionalmente, esaurivano l’arsenale a disposizione del collegio sindacale:
f) il collegio sindacale può, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l’assemblea qualora nell’esecuzione del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (art. 2406, co. 2, c.c.). Nelle società quotate il potere di convocazione non è subordinato all’esistenza di fatti censurabili e all’urgenza e spetta pure in relazione al consiglio di amministrazione e al comitato esecutivo. È esercitabile anche non collegialmente: da due sindaci per quanto riguarda l’assemblea e dal singolo sindaco per gli altri organi sociali (art. 151, co. 2, t.u.f.);
g) il collegio sindacale deve predisporre annualmente una relazione che va depositata presso la sede sociale nei quindici giorni che precedono l’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio. Con questo rapporto il collegio, ai sensi dell’art. 2429, co. 2, c.c. (art. 153 t.u.f. per le quotate): i) riferisce ai soci sui risultati dell’esercizio sociale e sull’attività svolta nell’adempimento dei propri doveri; ii) formula le sue osservazioni e proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione; iii) nelle s.p.a. quotate e ad azionariato diffuso, inoltre, riferisce sull’osservanza delle regole in tema di operazioni con parti correlate (art. 2391 bis c.c.).
Riferire all’assemblea lasciando ai soci l’uso dei poteri reattivi contro gli amministratori era coerente con l’origine dell’istituto sindacale quale organo di controllo nell’interesse esclusivo dei soci; è divenuto del tutto insufficiente, tuttavia, nel momento in cui le funzioni sindacali sono state interpretate anche nell’interesse di altri stakeholders. La discrasia raggiungeva punte esacerbate nelle ipotesi, non infrequenti nelle s.p.a. di minori dimensioni, ove gli amministratori coincidono sostanzialmente con i soci e, dunque, può esservi consenso di questi ultimi a violazioni di legge dei primi. Per tali ragioni, negli ultimi anni, il legislatore ha ampliato l’ambito degli strumenti reattivi a disposizione dei sindaci.
Oggi, infatti, il collegio sindacale è legittimato:
h) a presentare al tribunale la denunzia ex art. 2409 c.c. (per le quotate v. art. 152, co. 1, t.u.f.) qualora nell’espletamento dei suoi compiti ravvisi il fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alla società o a una o più società controllate;
i) a promuovere, con la maggioranza di due terzi dei suoi componenti, l’azione di responsabilità sociale contro gli amministratori (art. 2393, co. 3, c.c.).
Infine, per le sole s.p.a. quotate in Italia, in relazione alla maggiore rilevanza che in esse assumono interessi ulteriori rispetto a quelli dei soci, il collegio sindacale è tenuto a comunicare senza indugio alla Consob le irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza e a trasmettere i relativi verbali delle riunioni e degli accertamenti svolti e ogni altra utile documentazione (art. 149, co. 3-4, t.u.f.); si tratta di norma, assistita da una pesante sanzione amministrativa, che ha esteso alle quotate una regola presente fin dagli anni ’30 del secolo scorso per i sindaci delle banche nei confronti della Banca d’Italia (art. 52 t.u.f,; per le assicurazioni v. art. 190, co. 3, c. assicurazioni) e che indica come in tali ambiti i sindaci siano longae manus dell’organo pubblico di vigilanza. Ulteriore manifestazione di tale rapporto funzionale è la legittimazione della Consob, se ha fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri di vigilanza del collegio sindacale, di denunziare i fatti al tribunale ai sensi dell’art. 2409 (art. 152, co. 2, t.u.f.).
I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico. A loro carico sono previste: a) la cd. responsabilità esclusiva, qualora non osservino l’obbligo di verità nelle loro attestazioni oppure non conservino il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio (art. 2407, co. 1, c.c.); b) la cd. responsabilità concorrente in base alla quale rispondono solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica (art. 2407, co. 2, c.c.).
La responsabilità concorrente presuppone quindi: i) un inadempimento ai loro doveri da parte degli amministratori; ii) che abbia provocato un danno (alla società, ai creditori o a singoli soci o terzi); iii) che non si sarebbe verificato (o sarebbe stato ridotto) se i sindaci avessero vigilato con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico. Si tratta di una catena alquanto lunga che, tuttavia, pone molto a rischio la posizione del sindaco: sia perché in base alle regole della responsabilità contrattuale all’attore basta allegare l’inadempimento (restando a carico del sindaco la prova dell’adempimento o dell’impossibilità per causa a lui non imputabile) sia perché nella prassi giudiziale si sono spesso affermati standard probatori alleggeriti soprattutto in tema di nesso di causalità tra inadempimento e danno.
La responsabilità dei sindaci è, dunque, nella pratica assai gravosa e in concreto la loro posizione è estremamente rischiosa sia per la quantità di compiti attribuiti e la mole di informazioni che a loro vengono dirette (anche nella veste di organismo di vigilanza) sia perché – per via della solidarietà – la graduazione della colpa rispetto a quella degli amministratori (che restano comunque i cd. primary wrongdoers) è rilevante solo nei rapporti interni, ma non nei confronti dei danneggiati (società, creditori, soci e terzi direttamente danneggiati).
All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per gli amministratori dagli artt. 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis e 2395 c.c. (art. 2407, co. 3, c.c.). Il filtro della compatibilità preclude, secondo la Corte di cassazione, di applicare ai sindaci l’art. 2393, co. 5, c.c. secondo cui la delibera dell’azione di responsabilità implica la revoca dall’ufficio qualora sia presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale; e l’art. 2393, co. 4, c.c. in base al quale la prescrizione quinquennale è sospesa fino a quando l’amministratore è in carica.
Fonti normative
Artt. 2397-2409 bis c.c.; 2391 bis, 2393, 2441, 2477 c.c.; artt. 148-154 t.u.f.; artt. 144 terdecies e 144 quaterdecies reg. emittenti; artt. 4-6, 11, 19 reg. Ue n. 537/2014; d. lgs. 8.6.2001, n. 231; d. lgs. 3.7.2017, n. 112; d. lgs. 21.11.2007, n. 231/2007; d.m. 18.3.1998, n. 161; d.m. 30.3.2000, n. 162; d.m. 29.12.2004, n. 320.
Bibliografia essenziale
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