Collocamento e recesso nell’intermediazione finanziaria
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 3.6.2013, n. 13905, hanno stabilito il principio in base al quale il diritto di recesso accordato all’investitore dal sesto comma dell’art. 30 del TUF e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela.
Il tema affrontato dalla S.C. assume dei connotati di particolare rilevanza ed importanza nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il risparmiatore e l’intermediario, poiché incide sul diritto di ripensamento che rappresenta una clausola a tutela del contraente debole.
La dottrina e la giurisprudenza non hanno mai assunto una posizione univoca, giungendo spesso ad interpretazioni diametralmente opposte tra di esse. Difatti, parte della giurisprudenza riteneva che la disciplina del recesso, dettata dall’art. 30, co. 6, TUF non era applicabile ai contratti di negoziazione di obbligazioni eseguiti in attuazione di un contratto quadro, sottoscritto tra la banca e il cliente, in quanto tali contratti non costituivano un servizio di collocamento, ma si caratterizzavano per l’esistenza di un accordo tra l’offerente e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di strumenti finanziari, emessi a condizioni di tempo e di prezzo predeterminati; ed inoltre, il legislatore, secondo tale orientamento, limitava la tutela dello jus poenitendi agli investitori che concludevano l’investimento per essere stati raggiunti all’esterno dei luoghi di pertinenza del proponente, e quindi erano stati esposti al rischio di assumere decisioni poco meditate1. La ratio dell’art. 30, co. 6, TUF deve essere ricercata nella necessità di prestare una adeguata tutela al cliente dell’intermediario, il quale è esposto, con le offerte fuori sede, potenzialmente ad un effetto sorpresa che, invece, non si configura quando l’offerta viene effettuata nei confronti di clienti professionali, confermando così l’intento di tutelare l’investitore dall’assumere decisioni non adeguatamente valutate.
La distinzione tra gli investitori che ricevono un’offerta fuori sede e quelli che la ricevono presso la sede dell’intermediario è individuabile nel fatto che colui che si reca presso l’offerente con l’obiettivo di impegnare dei risparmi ha maturato una propria convinzione circa l’utilità dell’iniziativa adottata; determinazione e convinzione che non sempre esistono qualora l’iniziativa sia intrapresa dall’intermediario, in quanto si “subisce” la condotta altrui. Da qui discendono gli obblighi collaterali, poiché nel momento in cui parliamo di diritto di ripensamento diviene essenziale comprendere mediante quali modalità il cliente viene a conoscenza di questo suo diritto. Tra i doveri di informazione che gravano sull’intermediario vi è anche quello di comunicare al cliente la possibilità di recedere dal contratto, così come il contratto deve contenere, pena la nullità relativa dello stesso, la medesima clausola.
Va subito chiarito che l’offerta fuori sede ricorre nel caso di promozione e collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi e attività di investimento, in luoghi diversi dalle sedi proprie degli operatori proponenti intervenuti. Per sede o dipendenza deve intendersi, ai sensi dell’art. 2, lett. g) del Reg. Intermediari, «una sede, diversa, dalla sede legale dell’intermediario autorizzato, costituita da una stabile organizzazione di mezzi e di persone, aperta al pubblico, dotata di autonomia tecnica e decisionale, che presta in via continuativa servizi o attività di investimento»2.
L’aspetto che presenta maggiore criticità è rappresentato dal mancato raccordo tra le definizioni contenute nel co. 1 e nel co. 6 dell’art. 30 TUF. L’attività di collocamento, così come delineata dall’art. 1, co. 5, lett. c) e c bis) del TUF, può avere ad oggetto solo strumenti finanziari; mentre l’offerta fuori sede disciplinata dall’art. 30, co. 1, TUF ha ad oggetto la promozione ed il collocamento di strumenti finanziari. La S.C. basa la propria decisione sull’ambiguità del termine collocamento, in quanto all’interno dell’art. 30 TUF l’espressione collocamento è stata adoperata dal legislatore con un significato ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi di investimento. Inoltre, secondo la S.C., vi è una profonda difficoltà nel giustificare una disparità di trattamento tra l’ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari che sia fondata sulla diversa tipologia di servizio di investimento reso dall’intermediario, quando del tutto analoga è la situazione di maggiore vulnerabilità in cui viene a trovarsi il cliente per il fatto stesso che l’offerta lo raggiunge fuori della sede dell’intermediario.
Nella disciplina del diritto dei mercati finanziari il diritto di ripensamento trova la sua prima regolamentazione nell’art. 18 ter, co. 2, l. 7.6.1974, n. 216. La norma ora richiamata prevedeva che l’efficacia dei contratti stipulati mediante la vendita a domicilio rimaneva sospesa per cinque giorni, i quali decorrevano dalla data di sottoscrizione del contratto. Durante questo lasso di tempo l’acquirente aveva la facoltà di comunicare al venditore o al suo agente, procuratore o commissario, a mezzo telegramma, il proprio recesso senza nessun corrispettivo. Inoltre, l’art. 18 ter, co. 2, doveva essere riprodotto nei contratti, pena la nullità dei medesimi.
Uno degli aspetti più dibattuti era quello della sospensione dell’efficacia del contratto. Infatti, il regime di sospensione e il conseguente esercizio del diritto di recesso, presupponevano che il contratto fosse stato concluso per iscritto, poiché l’efficacia dello stesso rimaneva sospesa per cinque giorni, termine che iniziava a decorrere dalla data di sottoscrizione. La presente disposizione, però risultava essere in contrasto con la previsione codicistica contenuta nell’art. 1326, di conseguenza si sostenne che la l. n. 216/1974, così come l’art. 5, co. 4, del Reg. Consob 10.7.1985, n. 1739, aveva dato vita ad un nuovo tipo contrattuale, ossia il contratto di investimento che seguiva, in ordine al momento della conclusione, delle regole difformi da quelle indicate dall’art. 1326 c.c.3 La presente posizione non è stata condivisa da altra parte della dottrina, la quale riteneva che non si potesse parlare di una tipizzazione del contratto di vendita a domicilio, bensì di un regime particolare di conclusione del contratto; nel senso che si era innanzi ad una tecnica di conclusione di qualsiasi tipo di contratto4. Successivamente, con l’approvazione della l. 2.1.1991, n. 1, si dava vita ad una regolamentazione organica delle società di intermediazione mobiliare e, al suo interno, vi era una disposizione che si occupava del diritto di ripensamento. L’art. 8, co. 1, lett. c) prevedeva il diritto di recesso per l'attività di gestione patrimoniale e non anche per gli altri contratti di intermediazione. Il legislatore aveva stabilito che il contratto non acquisiva la propria efficacia se non dopo il quinto giorno lavorativo successivo a quello della sua sottoscrizione; inoltre, entro lo stesso termine il cliente aveva la facoltà di recedere, senza spese né corrispettivo, facendo pervenire apposita comunicazione scritta alla società.
Appare opportuno rilevare come la norma in esame non si riferiva ai soli contratti di gestione patrimoniale conclusi fuori sede, ma anche a quelli conclusi in sede; per di più la l n. 1/1991 non abrogò il contenuto dell’art. 18 ter l. n. 216/1974.
La fattispecie in esame ha successivamente ricevuto una ulteriore regolamentazione con il d.lgs. 23.7.1996, n. 415. L’art. 20 del citato d.lgs. prevedeva lo jus poenitendi per il solo cliente e non anche per l’intermediario, rispetto ai contratti di gestione conclusi fuori sede o collocati a distanza. Per i predetti contratti era stata predisposta la sospensione dell’efficacia per la durata di sette giorni dalla data di sottoscrizione, stabilendo che il cliente poteva comunicare il recesso senza spese né corrispettivo per il promotore finanziario o l’intermediario. Anche in questo caso il decreto Eurosim non abrogò il diritto di recesso accordato per i contratti stipulati mediante la vendita a domicilio. La convivenza tra le due discipline appariva alquanto complessa, in quanto il d.lgs. n. 415/1996 non qualificava più la sollecitazione fuori sede come autonoma categoria di attività di intermediazione, ma la considerava una mera modalità di collocamento, e più precisamente veniva individuata come la promozione e il collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi di investimento.
Il dibattito si era aperto anche riguardo alle proposte contrattuali sottoscritte dall’investitore e non accettate dall’intermediario relativamente alle quali, mancando la conclusione del contratto, sarebbe stato difficile riconoscere il diritto di recesso che presuppone la presenza di un negozio efficace. Secondo alcuni autori le proposte contrattuali resterebbero inefficaci per sette giorni dalla loro sottoscrizione e fino a tale momento sarebbero revocabili da parte dell’investitore, dovendosi pertanto ritenere incompatibili con tale previsione le clausole dirette a rendere irrevocabili le proposte5. Sul punto era stato osservato che la prassi contrattuale in tema di collocamento a domicilio di valori mobiliari eccezionalmente prevedeva che il promotore finanziario formulasse una proposta contrattuale che veniva accettata dal cliente, con contestuale conclusione del contratto. Non essendo i promotori finanziari forniti di un potere di rappresentanza, ne derivava che il contratto doveva ritenersi concluso solo nel momento in cui l’intermediario o la banca avevano avuto conoscenza dell’accettazione dell’altra parte6. Il diritto di recesso, pertanto, poteva trovare applicazione solo quando il contratto era concluso con la sottoscrizione del cliente, dovendosi, negli altri casi, ravvisare una revoca della proposta ai sensi e per gli effetti dell’art. 1328 c.c.7
Sul tema vi erano diverse teorie, tant’è che alcuni autori sostenevano che il diritto di recesso, da parte del cliente, poteva essere esercitato a decorrere dalla conclusione del contratto, anche quando questa era successiva alla data di sottoscrizione8. Secondo un’altra tesi la proposta dell’intermediario realizzava una sollecitazione del pubblico risparmio, quindi rivestiva il carattere di un’offerta al pubblico; mentre l’accettazione del cliente produceva l’immediata conclusione del contratto anche se il promotore finanziario era sprovvisto del potere di rappresentanza, poiché si trovava a svolgere il ruolo di nuncius del proponente9.
La conclusione alla quale era giunta la dottrina era quella di individuare il decorso del termine per l’esercizio del diritto di ripensamento solo dall’atto della sottoscrizione del contratto; tant’è che lo stesso Reg. Consob n. 8850/1994, all’art. 28 prevedeva che il contratto avrebbe dovuto precisare il momento dal quale decorreva il termine per l’esercizio del diritto di recesso da parte dell’investitore, mettendo così in evidenza la non coincidenza tra il momento della conclusione con quello della sottoscrizione10.
Oggi il diritto di recesso trova la propria regolamentazione nell’art. 30 del TUF, che prevede la sospensione per sette giorni dell’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede. Il dies a quo viene ad essere individuato dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore.
La norma è collocata, sotto un profilo sistematico, nel capo IV, intitolato Offerte fuori sede che comprende anche la «promozione e collocamento a distanza». Le due fattispecie sono inserite nel medesimo capo, in quanto entrambe le forme di promozione e collocamento nei confronti del pubblico sono attuate con modalità potenzialmente insidiose che giustificano, pertanto, le previsioni di disposizioni normative speciali a tutela del risparmiatore inesperto. L’offerta fuori sede e l’offerta a distanza, se pur collocate nel medesimo capo, non si trovano tra di loro in un rapporto di genere a specie, ma si muovono su due piani paralleli essendo sottoposte a discipline distinte11.
L’art. 30, co. 7, infine, prevede la sanzione della nullità relativa, che quindi può essere fatta valere solo dall’investitore, qualora il contratto non contenga il diritto di recesso.
In giurisprudenza, così come in dottrina, si erano formati due orientamenti tra di essi contrastanti, che giungevano a soluzioni tra di esse contrapposte12. Il primo orientamento, che potremmo definire restrittivo, prevedeva che i termini “collocamento” e “collocamento di strumenti finanziari” dovevano essere letti in modo organico, ovvero occorreva dare una lettura unitaria dell’art. 1 e dell’art. 30, co.1 e co. 6, TUF, in quanto il diritto di ripensamento non era applicabile alle negoziazioni individuali effettuate fuori sede. Si sosteneva che il diritto di recesso era espressamente limitato dall’art. 30 TUF, trattandosi di un rapporto che individuava nei servizi di investimento offerti fuori sede il genus; mentre la species era rappresentata dal collocamento degli strumenti finanziari e dalla gestione di portafogli individuali.
La distinzione si basava sull’art. 1, co. 5, TUF, che contraddistingueva le negoziazioni dal collocamento, che induceva ad escludere la possibilità di dare al termine “collocamento di strumenti finanziari” un’accezione di tipo atecnico. Il servizio di collocamento si differenzia per un aspetto peculiare, ossia di essere un accordo tra l’emittente e l’intermediario collocatore, indirizzato all’offerta al pubblico da parte di quest’ultimo di strumenti finanziari emessi a condizioni di prezzo e di tempo predeterminato.
Ulteriore elemento posto a supporto della tesi era rappresentato dall’art. 30, co. 8, TUF che escludeva il diritto di ripensamento per le operazioni caratterizzate da condizioni economiche standardizzate ed entro margini di tempo determinati13.
L’orientamento estensivo, invece, riteneva che il diritto di ripensamento – ex art. 30, co. 6, TUF – relativo ai “contratti di collocamento di strumenti finanziari” dovesse essere interpretato all’interno del contesto complessivo della norma in modo che l’interpretazione letterale coincidesse con quella sistematica, rilevato che nel mercato finanziario non si rinviene un significato univoco del termine collocamento.
Attribuire al termine “collocamento” un significato atecnico, quale sinonimo di vendita o generica offerta di un prodotto finanziario, non contraddice l’esigenza di celerità del mercato finanziario, essendo la norma posta a tutela dell’investitore14. La ratio del co. 8 dell’art. 30 TUF deve essere ricercata nella più contenuta pericolosità dei titoli quotati, e nella necessità di impedire che l’esercizio del recesso possa mettere in pericolo, con la definitività del rapporto, il buon funzionamento del mercato e anche i rapporti di potere nell’ambito delle società quotate15.
Il servizio di collocamento viene definito come l’accordo tra l’emittente e l’intermediario collocatore destinato all’offerta al pubblico da parte di quest’ultimo di strumenti finanziari a condizioni di prezzo e di tempo predeterminate. La definizione ora riportata, formulata dalla Consob, presenta un forte limite, in quanto non si adatta al rapporto finale tra investitore non professionale e promotore, bensì al rapporto che lega l’emittente o l’offerente e il collocatore o l’intermediario. La predetta descrizione del servizio di collocamento risulta, sostanzialmente, poco idonea a definire l’ambito di applicazione dell’art. 30 TUF, dato che l’espressione contratto di collocamento la si rinviene solo nel sesto comma dell’art. 30 TUF; mentre per le operazioni che rientrano nella definizione sopra riportata viene utilizzata l’espressione servizio di collocamento.
Un effetto immediato e diretto che deriva da siffatta impostazione è l’applicabilità della locuzione “servizio di collocamento” ai soli investitori professionali. Il risparmiatore non può certamente essere parte di un servizio di collocamento potendo egli essere, tutt’al più, mero sottoscrittore o acquirente di strumenti finanziari in fase di collocamento.
Emerge, dunque, un sottile confine tra negoziazione e collocamento, in quanto il servizio di collocamento viene ad essere individuato come un’attività preliminare e strumentale alle singole operazioni d’investimento per le quali è sempre necessario un ordine del cliente sotto forma di negoziazione, o trasmissione, o ricezione di ordini. Il collocamento di strumenti finanziari deve essere inteso come un’attività diretta alla stipulazione dei contratti alla quale si indirizza l’attività di offerta. Ne consegue che lo jus poenitendi si applica solo ed esclusivamente ai contratti stipulati “fisicamente” fuori sede. Ulteriore osservazione è data dall’utilizzo dei promotori finanziari per le operazioni di investimento, il che fa sottintendere un ruolo attivo dell’offerente che, conseguentemente, anche in assenza di una offerta al pubblico, integra, comunque, gli estremi della contrattazione “sorprendente”.
A seguito dei contrasti giurisprudenziali la S.C., con l’ordinanza del 21.6.2012, n. 1036, ha rimesso alle SS. UU. la questione concernente l’ambito di applicazione del diritto di ripensamento in tema di contratti inerenti all’intermediazione finanziaria compiuti fuori sede ex art. 30 TUF.
Parte della giurisprudenza ritiene che se si riconosce l’esercizio del diritto di recesso anche nel caso di una semplice negoziazione fuori sede, l’investitore godrebbe di tale diritto ad nutum che, nell’ipotesi di preventivo mandato in favore dell’intermediario per la conclusione di negozi a condizioni più favorevoli, ben può essere sollecitato anche da ragioni di natura economica, quali quelle determinate dalla possibilità di concludere acquisti di maggiore convenienza, per effetto di mutate situazioni di mercato16.
La comunicazione Consob DAL/97006042 del 9.7.1997 precisa che il servizio di investimento si caratterizza per essere un accordo tra l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta al pubblico, da parte di quest’ultimo, degli strumenti finanziari emessi, a condizioni di prezzo e di tempo predeterminato; mentre la negoziazione consiste nell’esecuzione di ordini di acquisto ricevuti dalla clientela medesima, a condizioni, quindi, diverse a seconda dell’acquirente e del momento dell’operazione.
Provando a mutare la nostra visuale mediante un approccio diverso, ovvero attraverso la finanza comportamentale, ci accorgiamo che le scelte di investimento, anche dell’investitore più sofisticato, sono fortemente condizionate dal come, dal dove e dal quando viene presentato l’investimento; ecco perché il legislatore comunitario impone sempre di più agli intermediari di conformare il loro approccio al cliente al fine di “servire al meglio” gli interessi di quest’ultimo. Da qui ne deriva che il termine collocamento ai fini del recesso di cui all’art. 30 andrebbe inteso in senso ampio, riguardante ogni forma di vendita e quindi di negoziazione di titoli mobiliari, per l’attuazione di una più ampia tutela del risparmiatore al quale garantire la possibilità di ripensamento in ordine ad ogni forma di investimento.
La S.C., discostandosi dall’argomentazione testuale e dall’interpretazione sistematica della norma, giunge ad una soluzione che si allontana anche dalle indicazioni della Consob, in quanto è ricorsa ad un’interpretazione di tipo finalistico della norma, fondata sulla ratio della legge.
L’Autorità di Vigilanza, nella comunicazione n. DIN/12030993 del 19.4.2012, ha affermato la non applicabilità del diritto di ripensamento ai contratti di raccolta e di esecuzione di ordini nonché alle operazioni compiute in esecuzione degli stessi, in quanto tale limitazione discende oltre che dal tenore letterale del co. 6 dell’art. 30 del TUF, dalla stessa ratio della disposizione, volta ad assicurare all’investitore il tempo necessario per meditare decisioni contrattuali che, per le relative peculiarità, necessitano di un adeguato spatium deliberandi.
La S.C., superando i precedenti contrasti giurisprudenziali, ha sostenuto che il diritto di ripensamento è applicabile a tutti gli acquisti effettuati fuori sede, in quanto una scelta indotta espone l’investitore ad una non attenta valutazione dei rischi e dei benefici. Vi è, dunque, un rafforzamento dell’ambito applicativo della norma sotto un profilo costituzionale, dato che risulterebbe difficile giustificare una disparità di trattamento tra l’ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari, fondata sulla diversa tipologia dei servizi d’investimento resi dall’intermediario, quando del tutto analoga è la situazione di vulnerabilità in cui viene a trovarsi il risparmiatore per il fatto stesso che l’offerta lo raggiunga fuori dalla sede dell’intermediario.
Parte della dottrina e della giurisprudenza, come sopra illustrato, sostengono che non sia corretto utilizzare in modo promiscuo il termine “collocamento” attribuendogli così una valenza atecnica, omettendo così una valutazione della reale ratio dell’art. 30 TUF. Ne consegue che non è immaginabile un principio generale che possa far ritenere che l’esecuzione di un ordine di negoziazione di uno strumento finanziario, concordato fuori dai locali dell’intermediario, mediante l’ausilio di un promotore finanziario, rientri tra quei negozi per i quali è necessario che il cliente abbia la possibilità di valutare la convenienza dell’operazione medesima attraverso il riconoscimento del diritto di ripensamento, rilevato che si tratta di atti che incidono nell’immediatezza sul suo patrimonio. Una siffatta valutazione che, ovviamente supera il dato “tecnico”, non avrebbe nessun impatto sul contratto quadro, anche perché lo stesso non è produttivo, all’atto della sottoscrizione, di un immediato effetto economico, ma solo sui successivi ordini.
L’art. 30, co. 8, TUF sancisce la non applicabilità della sospensione dell’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede, alle offerte pubbliche di vendita o di sottoscrizione di azioni con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettono di acquisire o sottoscrivere tali azioni, purché le azioni o gli strumenti finanziari siano negoziati in mercati regolamentati italiani o di paesi dell’UE17.
Ulteriormente va osservato che la tesi, che si fonda prettamente sul significato tecnico del termine collocamento, limita la previsione contenuta nell’art. 30 TUF alle sole ipotesi di collocamento in senso proprio e di sottoscrizione dei contratti di gestione; di conseguenza contrasta con la finalità di tutela del consumatore, che giustifica il diritto di ripensamento con la posizione meno garantita dell’investitore che viene contattato fuori sede dal promotore finanziario e, presumibilmente, invogliato a sottoscrivere contratti nei quali riveste una posizione debole18.
In una valutazione dei costi e dei benefici dell’istituto del diritto di recesso, previsto dall’art. 30 TUF, emerge, secondo alcuni autori, una «sconfitta di detto istituto, poiché: da un lato la sospensione per sette giorni dell’efficacia del contratto può in molti casi essere fonte di danno per l’investitore che, dal ritardo nell’esecuzione dell’operazione, può spesso subire un pregiudizio conseguente ad una flessione del valore dell’investimento»19; dall’altro il diritto di recesso viene esercitato solo dagli investitori sofisticati, che sono in grado di valutare diligentemente l’opportunità di recedere nel termine di sette giorni. L’ambito di effettiva tutela per il piccolo risparmiatore rimane la nullità del contratto per le ipotesi in cui non venga indicato nei moduli o nei formulari la facoltà di ripensamento. Si tratta di una tutela di tipo riparatorio e di carattere esclusivamente formale, che non risponde alle effettive esigenze di tutela della parte debole in presenza di un’attività contrattuale sorprendente, che non ha consentito una completa valutazione dei rischi e delle caratteristiche dell’operazione.
Uno degli aspetti della decisione della S.C. che risulta essere poco condivisibile è quello relativo alla condotta opportunistica dell’investitore, in quanto si sostiene che il cliente può assumere comportamenti opportunistici derivanti dal fatto che, durante il periodo di sospensione degli effetti del contratto, le condizioni del mercato potrebbero mutare con la conseguenza che l’investitore potrebbe decidere di far valere la nullità relativa, prevista dal settimo comma dell’art. 30 TUF20.
Nella motivazione della sentenza si legge che esiste un rischio concreto di un utilizzo, da parte dell’investitore, non corretto del diritto di recesso, il quale può essere neutralizzato applicando il principio di buona fede.
La presente impostazione non può essere condivisa, perché la nullità relativa deve essere intesa come una sanzione civile indiretta volta a tutelare il contraente debole e al contempo a disincentivare determinate condotte dell’intermediario. Invece, dalla decisione della S.C. emerge un dato diametralmente opposto, ossia la buona fede deve essere intesa come un presidio a tutela dell’intermediario a fronte di mutamenti del mercato21.
Assume una connotazione diversa affermare che l’investitore è legittimato a far valere una causa di nullità, altro è dire che lo è, ma a condizione che l’esercizio sia conforme alla buona fede, e quindi viene a mancare l’elemento opportunistico. La condotta opportunistica, quindi, si tradurrebbe in un abuso del diritto, nel senso che l’investitore eserciterebbe il diritto di recesso per finalità diverse da quelle riconosciutegli dalla norma, ovvero diverrebbe una scelta obbligata per sottrarsi alle perdite.
Il diritto di ripensamento è stato concepito come una forma di tutela dell’investitore dall’effetto sorpresa, poiché gli si deve consentire di riflettere sull’operazione che ha sottoscritto a prescindere dal prezzo standard o fluttuante. In questo caso si realizzerebbe una parziale disapplicazione dell’art. 30, co. 6, TUF in assenza di una specifica previsione normativa. Alla banca è richiesta una responsabilità da status che mal si concilia, ad esempio, con un’offerta di strumenti finanziari che in un breve lasso di tempo, meno di sette giorni, risultano non convenienti essendosi ridotto notevolmente il valore.
Per quanto concerne, invece, il diritto di recesso, l’art. 30, co. 7, TUF espressamente prevede che l’omessa indicazione di detta facoltà nei moduli e nei formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente, quindi si tratta di una nullità di protezione. L’indicazione del diritto di recesso nei contratti non si riferisce al solo contratto-quadro inizialmente sottoscritto dall’investitore, ma anche ai contratti di investimento successivamente sottoscritti, altrimenti il risparmiatore si troverebbe privo di una effettiva tutela per i contratti successivamente stipulati. Inoltre, con la sottoscrizione del contratto-quadro il cliente dell’intermediario non effettua nessuna operazione di investimento, pertanto, ci si troverebbe innanzi ad una forma di tutela non applicabile in concreto.
La mancata indicazione del diritto di recesso impedisce di fatto, all’atto della sottoscrizione, di potersi avvalere del relativo diritto, in quanto viene meno la sostanza della tutela preventiva e non solo la prescrizione formale.
Si potrebbe ipotizzare de jure condendo una riformulazione del diritto di recesso contenuto nel TUF avvicinandolo alla disciplina sanzionatoria, prevista dal Codice del consumo per la commercializzazione a distanza dei servizi finanziari. L’art. 67, co. 4 septiesdecies, c. cons. commina la sanzione della nullità, rilevabile solo dal cliente, in tre distinti casi: a) qualora il fornitore del servizio ostacoli il diritto di recesso da parte del contraente; b) in caso di mancato rimborso delle somme eventualmente pagate dal consumatore; c) in caso di violazione degli obblighi di informativa precontrattuale. L’intento del legislatore è sicuramente quello di eliminare le asimmetrie informative tra il cliente e l’intermediario, al fine di riequilibrare il rapporto contrattuale. Delle tre ipotesi sopra indicate solo la prima si inserisce appieno nel solco già tracciato dall’art. 30 TUF ampliando l’ambito di applicazione della sanzione operante non solo più in caso di mancata indicazione della facoltà di recedere sui moduli o formulari utilizzati, ma in tutte le situazioni in cui «il fornitore ostacola il diritto di recesso». Il rimedio, quindi, è invocabile qualora il fornitore ponga in essere comportamenti tali da escludere lo jus poenitendi accordato al consumatore, sia nella fase precontrattuale, sia in quella successiva alla conclusione del contratto, o ancora qualora il fornitore del servizio induca il consumatore in errore, negando la facoltà di recedere. In questo caso si può certamente richiamare il principio di buona fede già invocato dalla S.C. L’ipotesi contraddistinta dalla lett. b) riprende, in linea di massima, il principio contenuto dal TUF che consente all’investitore di recedere senza il pagamento di nessuna commissione. Il contratto è nullo anche se il fornitore non rimborsa le somme. La nullità in questo caso pare tuttavia dettata dalla finalità di evitare che, in caso di mancata restituzione di quanto ricevuto da parte del fornitore, il consumatore possa essere tenuto al pagamento del corrispettivo per il servizio fornito. Il caso contraddistinto dalla lett. c), invece, prevede espressamente la nullità come sanzione in caso di violazione delle norme di comportamento, superando così lo "sbarramento" della nullità virtuale.
Il legislatore ha optato per una soluzione di tipo diverso, in quanto con il d.l. 21.6.2013, n. 69 (art. 56 quater), convertito con l. 9.8.2013, n. 98, ha previsto che all’art. 30, co. 6, TUF dopo il secondo periodo va aggiunto il seguente: «ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettere c), c bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dall’1.9.2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all’art. 1, co. 5, lettera a)»22. Dal dato normativo emerge che per i contratti sottoscritti in data antecedente al 1.9.2013, il diritto di ripensamento riconosciuto al cliente nell’ambito dell’offerta fuori sede risulta applicabile solo in relazione ai servizi di collocamento e gestione di portafogli; invece, per quelli conclusi successivamente a detta data, tale diritto viene ad essere esteso anche al servizio di negoziazione in conto proprio. Sarebbe stato opportuno far riferimento alle operazioni ed ai servizi conclusi, piuttosto che ai contratti sottoscritti. Forse era necessaria una rivisitazione del diritto di ripensamento, come sopra suggerito, anziché optare per una siffatta soluzione per di più assunta con decreto legge.
1 Cass., 14.2.2012, n. 2065, in Banca borsa, II, 2013, 137.
2 Comunicazione Consob n. DI/98068214 del 21.8.1998; Comunicazione n. DI/98017959 del 12.3.1998. Cfr. Patroni Griffi, A., L’offerta fuori sede, in Intermediari finanziari mercati e società quotate, a cura di A. Patroni Griffi, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 1999, 235 ss.; Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2010, 178.
3 Roppo, E., Investimenti in valori mobiliari (contratto di), in Contr. e impr., 1986, 115 ss.
4 Irti, N., Notazioni esegetiche sulla vendita a domicilio di valori mobiliari, in Sistema finanziario e controlli: dall’impresa al mercato, Milano, 1986, 108.
5 Carbonetti, F., Lo jus poenitendi nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, in Banca borsa, 2001, I, 780 ss.
6 Miola, M., Commento sub art. 20, in L’Eurosim, a cura di G. F. Campobasso, Milano, 1997, 163.
7 Inzitari, B., La formazione del contratto nella vendita porta a porta di valori mobiliari (neutralità del modello codicistico e rispetto della tutela del consumatore), in Contr. e impr., 1992, 75 ss.
8 Tonelli, E., La vendita a domicilio di valori mobiliari, in Quadrimestre, 1984, 542.
9 Carbonetti, F., I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, 93.
10 Salanitro, N., Società per azioni e mercati finanziari, Milano, 1996, 79.
11 Parrella, F., Commento sub art. 30, in Il testo unico della finanza, a cura di M. Fratini e G. Gasparri, Torino, 2012, 489.
12 Per una ricostruzione del dibattito Santosuosso, D.U., Jus poenitendi e servizi di investimento: la tutela dell’investitore dall’“effetto sorpresa”, in Banca borsa, 2008, II, 773.
13 Trib. Genova, 16.1.2007, in Banca borsa, 2008, II, 758; App. Milano, 24.3.2010, in www.ilcaso.it; Amorosino, S.-Rabitti Bedogni, C., Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, 147 ss.; Chieppa Maggi, A., Commento sub art. 30, in Testo unico della finanza, Commentario, diretto da G. F. Campobasso, Torino, 2003, 138-139.
14 Trib. Nocera Inferiore, 19.7.2013, inedita. Cfr. Liace, G., Diritto di recesso, contratti collegati e tutela del consumatore: la vicenda 4You, in Banche e Banchieri, n. 2/2012, 254; Salanitro, N., Società per azioni e mercati finanziari, Milano, 2000, 197. Per una posizione intermedia, che esclude il diritto di ripensamento nelle ipotesi di collocamento di servizi diversi dal contratto di gestione e di contratti promossi fuori sede ma comunque presso la sede o le dipendenze dell’offerente o dell’emittente, Schiavelli, R.F.-Carozzi, A.M., Il contratto di collocamento, in I contratti del mercato finanziario, a cura di E. Gabrielli e R. Lener, Torino, 2004, II, 1025 ss.
15 Costi, R., Il mercato mobiliare, Torino, 2010, 112.
16 Cass., 20.3.2012, n. 4564, in www.ilcaso.it.
17 Pagnoni, E., Commento sub art. 30, in Commentario al TUF, t. I, a cura di G. Alpa e F. Capriglione, Padova, 1998, 329.
18 Costi, R.-Enriques, L., Il mercato mobiliare, in Tratt. Cottino, Padova, 2004, 184; App. Brescia, 24.9.2007; Trib. Parma, 14.5.2007, entrambe in www.ilcaso.it.
19 Carbonetti, F., op.cit., 785.
20 Maggiolo, M., Servizi ed attività d’investimento, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2012, 314 contra Trib. Padova, 20.5.2009, inedita.
21 Maffeis, D., Investimenti fuori sede e difetto di indicazione della facoltà di recesso, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 15, 2013, 3; Dolmetta, A.A.-Minneci, U.-Malvagna, U., Il «ius poenitendi» tra sorpresa e buona fede: a proposito di Cass. SS. UU. n. 13905/2013, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 16, 2013, 4.
22 Di Brina, L., Contratti del risparmiatore negoziati fuori dai locali commerciali. Collocamento e offerta fuori sede, in I Contratti dei risparmiatori, a cura di F. Capriglione, Milano, 2013, 362.