Abstract
Viene illustrata, alla luce della sua complessa evoluzione, la vigente disciplina del collocamento per evidenziare il profondo mutamento, rispetto al sistema delineato dalla legge n. 264/1949, della sua funzione e delle relative strutture organizzative, delle quali si illustra sinteticamente la disciplina ed il funzionamento.
Il collocamento può essere definito come l’insieme di regole che presiedono all’incontro fra domanda e offerta di lavoro e rappresenta, in questa sua veste, uno degli strumenti principali attraverso il quale lo Stato, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha tentato di dare attuazione al precetto costituzionale contenuto nell’art. 4 Cost. (Coletta, U., Collocamento dei lavoratori (disciplina del), in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 433; Corazza, L., Il contratto di lavoro e la costituzione del rapporto, in Il lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, Tratt. Bessone, Torino, 2007, 202), che riconosce il diritto al lavoro come uno dei diritti fondamentali a contenuto sociale (C. cost., 28.1.2005, n. 50, in Riv. it. dir. lav., 2005, 502; Giubboni, S., Il primo dei diritti sociali. Riflessioni sul diritto al lavoro tra Costituzione italiana e ordinamento europeo, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 46/2006) e assegna alla Repubblica il compito di favorire le condizioni che lo rendano effettivo.
Per lungo tempo ed almeno fino agli anni ’80, l’interpretazione prevalente dell’art. 4 Cost. ha esaltato la dimensione del diritto al lavoro come “diritto sociale condizionato ad una prestazione dello Stato”, sul quale si riteneva incombesse sia il compito di realizzare politiche attive di piena occupazione sia il compito di adottare tutte le misure necessarie per realizzare un sistema di distribuzione imparziale ed efficiente delle occasioni di lavoro (Giubboni, S., op. cit., 7 ss.).
Ben si spiega, in quest’ottica, che i principi cardine sui quali si è retto per quasi mezzo secolo il collocamento italiano (l. 29.4.1949, n. 264), favoriti anche dal più ampio contesto internazionale, fossero:
a) il monopolio pubblico del collocamento (considerato regime ideale anche dalla Conv. Oil, 1.7.1949, n. 96) inteso come funzione burocratica di distribuzione imparziale di posti di lavoro (Liso, F., Servizi all’impiego, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006, 1) sulla base della precedenza attestata dall’iscrizione nella lista di collocamento;
b) l’avviamento al lavoro mediante chiamata numerica, cioè con mera indicazione all’ufficio competente del numero, della categoria e della qualifica professionale dei lavoratori da assumere: si trattava, in particolare, di un meccanismo di applicazione generalizzata (con poche e tassative eccezioni individuate dalla legge) che comportava una forte compressione della libertà negoziale nel momento della stipulazione del contratto (Liso, F., op. cit., 1);
c) l’esplicito divieto della mediazione privata (art. 11), espressione di una atavica diffidenza culturale per il ruolo dei privati (Ichino, P., Il contratto di lavoro, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2000, 81).
Al sistema di collocamento delineato dalla l. n. 264/1949 non era affatto estranea una funzione di servizio all’incontro fra domanda e offerta di lavoro (Coletta, U., op. cit., 432 ss.). Ma questa funzione risultò nei fatti del tutto schiacciata da logiche protezionistiche, assistenzialistiche e sindacalistiche, che consacrarono la totale inefficienza di quel sistema e la sua incapacità di porsi, sia sul piano burocratico che su quello del servizio, come uno scivolo verso l’occupazione (Ichino, P. op. cit., 81 ss.).
A seguito del fallimento dei tentativi di riforma, con i quali si era tentato di porre rimedio alla ormai cronica inefficienza di quel sistema (cfr. artt. 33 e 34 l. 20.5.1970, n. 300 e l. 28.2.1987, n. 56, per i quali v. Liso, F.-Mariucci, L., Collocamento, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988), si avvia un processo di graduale deregolamentazione che porta, alla fine degli anni ’90, alla riforma del collocamento.
Il processo di deregolamentazione colpisce uno dei cardini fondamentali del vecchio collocamento, il meccanismo dell’avviamento per chiamata numerica. Già messo in discussione dall’ammissione della chiamata nominativa per il contratto di formazione e lavoro (art. 6, l. 19.12.1984, n. 863), viene, dapprima, sostituito con il principio della chiamata nominativa (art. 25, l. 23.7.1991, n. 223) e, poi, completamente superato dal meccanismo dell’assunzione diretta con obbligo di comunicazione agli uffici competenti (art. 9 bis, d.l. 1.10.1996, n. 510, conv. con mod. in l. 28.11.1996, n. 608; sul punto v. infra § 4).
Il superamento dell’avviamento per chiamata numerica apre «la crepa più vistosa nel vecchio edificio» (Liso, F., Servizi, cit., 3) e spalanca le porte alla riforma della disciplina del collocamento che, varata con il d.lgs. 23.12.1997, n. 469, è costruita essenzialmente attorno a tre principi guida: a) il decentramento amministrativo del collocamento e delle politiche attive del lavoro; b) il superamento del monopolio pubblico del collocamento con l’ammissione della mediazione privata fra domanda e offerta di lavoro; c) il superamento della concezione del collocamento come funzione burocratica di distribuzione imparziale di posti di lavoro.
Il d.lgs. n. 469/1997, giova precisarlo, rappresenta solo la prima tappa della costruzione del nuovo sistema, la quale prosegue, negli anni successivi, con una serie di significative riforme tese a ridefinire, da una parte, il ruolo e le funzioni dei pubblici uffici (d.lgs. 21.4.2000, n. 181, modificato dal d.lgs. 19.12.2002, n. 297 e ora dalla l. 28.6.2012, n. 92), e, dall’altra, a sviluppare e perfezionare la disciplina della mediazione svolta dai privati e dagli altri operatori abilitati (artt. 3 e ss. d.lgs. 10.9.2003, n. 276).
La riforma della disciplina del collocamento si intreccia, inevitabilmente, con una serie di profondi mutamenti del contesto, internazionale ed europeo, che hanno favorito il processo di riforma e, soprattutto, contribuito a delineare i caratteri essenziali del nuovo sistema del collocamento in Italia.
È d’uopo, sotto questo profilo, richiamare la Conv. Oil, 19.6.1997, n. 181, che sostituisce la precedente n. 96/1949 e avvia, a livello internazionale, una nuova stagione del collocamento, promuovendo apertamente un regime di cooperazione e concorrenza fra operatori pubblici e privati (Ichino, P., op. cit., 84); nonché, a livello comunitario, la nota sentenza della Corte di giustizia che, seppure con una motivazione non esente da critiche, dichiara l’illegittimità del monopolio pubblico italiano per contrasto con le regole comunitarie della concorrenza (C. giust., 11.12.1997, C-55/96, Job Centre arl, in Argomenti dir. lav., 1998, 627; per le critiche si v. Foglia, R., La Corte di giustizia ed il collocamento pubblico: opportuno un nuovo intervento del giudice comunitario o del legislatore nazionale?, in Argomenti dir. lav., 1998, 539).
Va peraltro osservato che la pronuncia della Corte di giustizia giunge solo qualche giorno prima della promulgazione del decreto del ‘97 e si inserisce in uno scenario ormai pronto, sotto molteplici aspetti, al superamento del vecchio sistema (Liso, F., Servizi, cit., 6). Si consideri al riguardo, da una parte, che nel settembre del ’96, anche i sindacati, con il Patto per il lavoro, avevano espresso la loro adesione ad un progetto di liberalizzazione regolamentata del mercato del lavoro, e, dall’altra (e soprattutto), che già alla fine degli anni ’90 si era ormai imposta la necessità di una rilettura dell’art. 4 Cost. alla luce del mutato contesto comunitario (Giubboni, S., op. cit., 16); nel quale, le radicali trasformazioni delle concezioni del mercato del lavoro (Corazza, L., op. cit., 203), avevano indotto un ripensamento del ruolo economico dello Stato e dell’intero sistema del Welfare (Giubboni, S., op. cit., 14 ss.).
Si realizza lungo questa via il superamento del paradigma, fino ad allora dominante, del diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost. come diritto sociale condizionato ad una prestazione dello Stato e si apre, anche in Italia, una nuova prospettiva, tesa ad esaltare la dimensione del diritto al lavoro come diritto all’erogazione di servizi per l’impiego regolati ed organizzati in modo efficiente nell’ambito di un mercato del lavoro aperto ad operatori, pubblici e privati, chiamati a concorrere e cooperare fra loro (Giubboni, S., op. cit., 16 e 17).
La vigente disciplina del collocamento sembra riflettere proprio questa nuova concezione del diritto al lavoro. L’elemento, infatti, che la dottrina è solita indicare come caratterizzante la funzione attuale del collocamento sta proprio nel fatto che gli uffici competenti, ben lungi dall’assolvere una passiva funzione burocratica di imparziale distribuzione dei posti di lavoro, sono ora chiamati a svolgere un ruolo attivo di contrasto alla disoccupazione erogando i servizi per l’impiego (Liso, F., Servizi, cit., 6) a favore di soggetti che, svestiti i panni dei portatori di un interesse legittimo all’avviamento nel rispetto della graduatoria, indossano quelli di utenti chiamati a collaborare attivamente per la ricerca di un’occupazione (Lambertucci, P., La disciplina del collocamento ordinario, in Diritto del lavoro, Amoroso, G.-Di Cerbo, V.-Maresca, A., I, La Costituzione, il Codice civile e le leggi speciali, Milano, 2009, 1339).
La vigente disciplina del collocamento deve essere inquadrata alla luce della nuova ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni delineata dalla riforma del Titolo V della Cost. (attuata con la l. cost. 18.10.2001, n. 3), la quale, come noto, ha suggellato la scelta, compiuta con il d.lgs. n. 469/1997, del decentramento amministrativo dallo Stato alle regioni e agli enti locali delle funzioni e dei compiti in materia di collocamento e politiche attive del lavoro.
L’impianto complessivo della riforma del ‘97 – non alterato dalla dichiarazione di incostituzionalità delle lett. b), c) e d) dell’art. 4, co. 2, d.lgs. n. 469/1997 (cfr. C. cost., 23.3.2001, n. 74, in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 230) – è caratterizzato, da una parte, dalla attribuzione alle regioni del ruolo di definire, mediante un proprio atto legislativo, le linee portanti del nuovo sistema, e, dall’altra, dall’assegnazione delle funzioni e dei compiti relativi all’avviamento al lavoro alle province, tenute a gestire ed erogare i servizi per l'impiego attraverso apposite strutture denominate centri per l'impiego (nonché ad istituire una commissione tripartita permanente quale organo di consultazione e concertazione delle parti sociali: art. 6).
Il ruolo di “regia” delle regioni è stato confermato anche dalla nuova ripartizione della potestà legislativa fra Stato e regioni, che assegna proprio a quest’ultime la competenza concorrente sulla materia della tutela e sicurezza del lavoro e quindi sul collocamento e sulle politiche attive del lavoro (Carinci, F., Osservazioni sulla riforma del Titolo V della Costituzione, in Il diritto del lavoro dal libro Bianco al disegno di legge delega, Carinci, G.-Miscione, M., a cura di, Milano, 2004, 7 ss.).
Va tuttavia precisato che, nonostante i dubbi inizialmente espressi in dottrina (Magnani, M., Il lavoro nel Titolo V della Costituzione, in Argomenti dir. lav., 2002, 651), anche la nuova ripartizione delle competenze permette alla normativa statale di determinare, ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m) cost., i livelli essenziali dei servizi pubblici per l’impiego (C. cost. n. 50/2005, cit.; Rusciano, M., Il diritto del lavoro italiano nel federalismo, in Lav. dir., 2001, 495).
I centri per l’impiego, da istituirsi per bacini di utenza non inferiori a centomila abitanti (art. 4, lett. f, d.lgs. n. 469/1997), sono i soggetti pubblici deputati per antonomasia a svolgere l’attività di collocamento (Spattini, S.,-Tiraboschi, M., Mediazione tra domanda e offerta di lavoro, in Dig. comm., Agg., Torino, 2008, 574). Tale attività deve essere svolta sulla base degli obiettivi e degli indirizzi operativi determinati autonomamente dalle regioni, le quali, nel determinarli, devono garantire il rispetto dei livelli minimi delle prestazioni delineati dalla legge statale ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m) Cost. (come ricorda, oggi, anche la rubrica dell’art. 3 d.lgs. n. 181/2000 come modificata da l. n. 92/2012).
I centri per l’impiego, ai quali compete in via esclusiva rispetto a tutti gli altri operatori del mercato del lavoro l’accertamento dello stato di disoccupazione, svolgono due funzioni essenziali: una funzione di monitoraggio del mercato del lavoro (per la quale v. anche infra § 4) e una funzione di servizio rivolta sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.
Nei confronti dei primi i centri per l’impiego possono svolgere, su richiesta, servizi di consulenza e selezione del personale, nonché fare da intermediari anche nei casi in cui si voglia mantenere l’anonimato.
Nei confronti dei lavoratori, invece, i centri per l’impiego sono tenuti ad erogare servizi non inferiori a quelli minimi stabiliti dall’art. 3 d.lgs. n. 181/2000.
Per effetto delle recenti modifiche (v. art. 4, co. 33, lett. c) l. n. 92/2012) accanto ai servizi già previsti per i soggetti di cui all’art. 1, co. 2, (interviste periodiche e altre misure di politica attiva, colloquio di orientamento iniziale e proposta di adesione a iniziative di inserimento lavorativo o di formazione o di riqualificazione professionale, da effettuarsi entro pochi mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione) sono stati posti i servizi di formazione professionale, non inferiore a due settimane, destinati, sia ai beneficiari di trattamenti previdenziali (o altre prestazioni) che comportino la sospensione del rapporto per non più di sei mesi (co. 1-ter), sia ai beneficiari di ammortizzatori sociali per i quali lo stato di disoccupazione costituisca requisito (co. 1-bis lett. c). Per quest’ultimi, inoltre, sono stati previsti anche servizi di orientamento collettivo sulle modalità di ricerca di una nuova occupazione e proposte di adesione ad azioni di inserimento lavorativo (co. 1-bis lett. b, d).
Risulta confermato, da questa pur sintetica descrizione, che la funzione dei centri per l’impiego ha cessato di essere meramente passiva e burocratica ed ha acquistato il carattere attivo e dinamico del servizio; carattere che fa pendant con la definizione di stato di disoccupazione, che non descrive semplicemente lo stato di un soggetto privo di lavoro iscritto in una lista, bensì quello di un soggetto attivo che deve presentarsi presso l’ufficio competente e dichiarare l’immediata disponibilità sia allo svolgimento che alla ricerca di un’attività lavorativa (artt. 1, co. 2, lett. c, e 2, co. 1), nonché rispettare le misure concordate per la ricerca di una nuova occupazione (art. 2, co. 2, lett. b) per non rischiare di incorrere, pur nel silenzio della legge (cfr. art. 4), nella perdita dello stato di disoccupazione (Liso, F., Servizi, cit., 5).
Sotto tale profilo va ricordato che la perdita dello stato di disoccupazione si verifica per mancata presentazione alla convocazione del servizio competente (art. 4, co. 1. lett. b) o per rifiuto ingiustificato di una congrua offerta di lavoro, anche a termine o in somministrazione (art. 4, co. 1, lett. c, come modificato dall’art. 4, co. 33, lett. c. l. n. 92/2012).
Il disoccupato ha invece diritto alla conservazione dello stato di disoccupazione in caso di svolgimento di un’attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale inferiore a quello esente da imposizione fiscale (art. 4, co. 1, lett. a, reintrodotta per effetto dell’art. 7, co. 5 e 7, del d.l. 28.6.2013, n. 76, conv. con modif., dalla l. 9.8.2013, n. 99). Si determina infine la sospensione dello stato di disoccupazione in caso di instaurazione di un rapporto di lavoro di durata fino a sei mesi (art. 4. co. 1, lett. d, come modif. dall’art. 7. co. 7-bis, d.l. n. 76/2013).
L’ingresso dei privati nel mercato del lavoro non ha determinato, a ben vedere, una vera e propria liberalizzazione (Lassandari, A., L’intermediazione pubblica e privata nel mercato del lavoro, in Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, De Luca Tamajo, R.-Rusciano, M.-Zoppoli, L. Napoli, 2004, 395 ss.), atteso che il legislatore non ha rinunciato ad esercitare un controllo, organico e stringente (Tullini, P., Regime autorizzatorio e accreditamenti, in Il nuovo mercato del lavoro, Pedrazzoli, Bologna, 2004, 76 ss.), delle funzioni di collocamento. A tal scopo è stata predisposta una complessa disciplina dei soggetti che possono essere abilitati a svolgere le attività di mediazione (v. infra § 3.2 e 3.3), delle modalità con cui queste attività devono essere svolte (artt. 8 e ss.) e, infine, dell’apparato sanzionatorio, penale ed amministrativo, per il loro svolgimento illegale o non autorizzato (artt. 18 e 19, d.lgs. n. 276/2003).
Peraltro, l’art. 11 l. n. 264/1949 non è mai stato abrogato e sia nel ’97 che, poi, nel 2003 il legislatore ha preferito limitarsi a circoscrivere le attività di mediazione che possono essere svolte anche dai privati.
Queste attività sono state ridefinite (secondo alcuni con un eccesso di analiticità che rende difficile la distinzione di quelle di confine: Lambertucci, P., op. cit., 1324) dall’art. 2 del d.lgs. n. 276/2003, il quale, ponendosi in sostanziale continuità con l’art. 10 del d.lgs. n. 469/1997, come modificato dall’art. 117 della l. n. 388/2000 (Napoli, M., Relazione alle giornate di studio Aidlass su Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme, Padova, 21-22.5.2004, 6, in www.aidlass.it), le ha distinte in tre tipi: l’attività di intermediazione (co. 1, lett. b), che comprende la mediazione fra domanda e offerta di lavoro intesa in senso ampio (vi si ricomprende, ad es., anche l’orientamento professionale e la progettazione e erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo); l’attività di ricerca e selezione del personale (co. 1, lett. c), che consiste nella consulenza finalizzata a selezionare la candidatura più idonea ad una specifica esigenza organizzativa (e che può ricomprendere molteplici attività come, ad esempio, l’erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo); l’attività di supporto alla ricollocazione professionale (co. 1, lett. d), che comprende tutte le attività finalizzate alla ricollocazione professionale nel mercato del lavoro.
Con un significativo ampliamento rispetto al passato, queste attività possono ora essere svolte, oltre che dai centri per l’impiego (v. supra § 2.2), dalle agenzie private per il lavoro (v. infra § 3.2) dagli altri operatori, pubblici o privati, autorizzati ai sensi dell’art. 6 ovvero da quelli accreditati dalle regioni ai sensi dell’art. 7 (v. infra § 3.3).
Il significativo ampliamento dei soggetti ammessi ad operare nel mercato del lavoro (valutato in modo discorde dalla dottrina: v. crit. Garofalo, M.G., La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, in RGLPS, 2003, 364; v., positivamente, Tullini, P., op. cit., 76 ss.) è stato accompagnato da una rigorosa disciplina che li seleziona all’ingresso e che ne regolamenta, poi, il comportamento nel mercato.
Sotto questo secondo profilo meritano di essere richiamati, seppure sinteticamente:
a) il divieto di campagne informative anonime, che comporta il divieto dell’anonimato nelle comunicazioni e l’obbligo, nelle stesse, di fornire gli estremi del provvedimento di abilitazione all’esercizio della mediazione (v. art. 9 e per un approfondimento Lambertucci, P., op. cit., 1331 ss.);
b) il divieto, peraltro derogabile (art. 11, co. 2), di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dai lavoratori (v. art. 11 e per un approfondimento La Macchia, C., La gratuità del collocamento, in Il lavoro fra processo e mercificazione. Commento critico al d.lgs. n. 276/2003, Ghezzi, G., a cura di, Roma, 2004, 56 ss.);
c) il divieto di indagini sulle opinioni personali (art. 10) teso a garantire il rispetto della privacy e del principio di non discriminazione (v. per un approfondimento Lambertucci, P., op. cit., 1331 ss.).
Il d.lgs. n. 276/2003 ha rivisitato significativamente la disciplina dell’attività di mediazione svolta dai privati, inquadrandola nella figura generale dell’agenzia per il lavoro, ed ha contemporaneamente abrogato ampie parti della l. n. 264/1949.
Le agenzie per il lavoro, se autorizzate ed iscritte in apposito albo tenuto presso il Ministero del lavoro, sono abilitate, su tutto il territorio nazionale, a svolgere (oltre all’attività di somministrazione) le attività di intermediazione, di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale (v. supra § 3.1).
Ad ognuna di queste attività di mediazione corrisponde una specifica tipologia di agenzia (art. 4, co. 1, lett. c, d ed e) ed una apposita sezione dell’albo istituito presso il Ministero del lavoro nel quale le agenzie devono essere iscritte, in ragione del tipo di attività svolta, dopo il rilascio dell’autorizzazione. Va tuttavia precisato che le agenzie di intermediazione vengono automaticamente iscritte anche nelle sezioni delle agenzie di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale (art. 4, co. 6). È stato infatti superato il vincolo di esclusività dell’oggetto sociale – che aveva in precedenza frenato il «decollo degli operatori privati» (Napoli, M., op. cit., 6) – e queste agenzie sono pertanto soggetti “polifunzionali” autorizzati a svolgere anche le attività di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale (Lambertucci, P., op. cit., 1324).
Il regime per il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento delle attività di mediazione è unico (v. art. 4, nonché D.M. 23.12.2003) ed è articolato in due fasi: la prima è finalizzata all’ottenimento di un’autorizzazione provvisoria che viene rilasciata entro 60 giorni dalla richiesta ed abilita l’agenzia ad operare per un biennio; la seconda, invece, è finalizzata alla concessione dell’autorizzazione definitiva, che viene rilasciata, trascorso il biennio, entro 90 giorni dalla richiesta previa verifica della regolarità dell’attività svolta nel corso del biennio, nonché del rispetto degli obblighi di legge e del contratto collettivo (art. 4, co. 2).
L’autorizzazione all’esercizio delle attività di mediazione è subordinata alla sussistenza di una serie di rigorosi requisiti giuridici e finanziari (art. 5) che hanno la funzione di garantire l’affidabilità, la professionalità e la solidità dei soggetti che verranno ammessi ad operare nel mercato del lavoro (Liso, F., Servizi, cit., 7). Vengono in particolare previsti sia dei requisiti di affidabilità generale, comuni a tutte le agenzie (per i quali v. co. 1, lett. a-f), sia dei requisiti di carattere speciale differenti per ogni tipologia di operatore (v. art. 5, co. 4, 5 e 6).
Al rigore dei requisiti richiesti non corrisponde tuttavia un severo procedimento di verifica della loro sussistenza. Sia per il rilascio dell’autorizzazione provvisoria sia di quella definitiva, infatti, opera un meccanismo di silenzio-assenso (art. 4, co. 3), che espone inevitabilmente al rischio che soggetti privi dei requisiti in questione possano comunque liberamente operare sul mercato fino al successivo, ed eventuale, intervento dell’organo di controllo (Alaimo, A., Sub art. 4 (Agenzie per il lavoro), in Il nuovo mercato del lavoro. Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (“Riforma Biagi”), De Luca Tamajo, R.-Santoro Passarelli G., Padova, 2007, 116). In tal caso può essere avviato un procedimento sanzionatorio che comporta la sospensione dell’autorizzazione alla quale segue, in caso mancata eliminazione delle irregolarità accertate, la revoca definitiva della stessa e la cancellazione dall’albo (Tullini, P., op. cit., 97).
La concessione dell’autorizzazione comporta anche l’assunzione di obblighi di collaborazione e cooperazione con gli altri operatori e con gli uffici pubblici, che fanno delle agenzie una costola informativa del sistema pubblico dei servizi per l’impiego. Si pensi, ad esempio, all’obbligo di interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro (v. infra § 4) e all’obbligo di invio all’autorità concedente, pena la revoca dell’autorizzazione, di ogni informazione utile per il funzionamento efficace del mercato del lavoro (art. 5, co. 1, lett. f).
Meritano infine un breve cenno gli altri operatori, pubblici e privati, che possono svolgere, accanto alle agenzie per il lavoro e ai centri per l’impiego, solamente l’attività di intermediazione. Si tratta in particolare di istituti scolastici di secondo grado ed università, enti bilaterali, camere di commercio, associazioni datoriali e dei lavoratori, comuni e unioni di comuni, patronati, associazioni senza scopo di lucro, gestori di siti internet. Una menzione a parte va riservata, inoltre, all’ENPALS, ammessa ex art. 22 della l. 12.11.2011, n. 183, ed al consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che può richiedere l’iscrizione di una fondazione o altro soggetto con personalità giuridica purché soddisfi i requisiti ex lett. c-g dell’art. 5 d.lgs. n. 276/2003.
Per tali operatori lo svolgimento dell’attività di intermediazione non ha carattere principale, bensì complementare rispetto alla loro attività tipica (Spattini, S.-Tiraboschi, M., op. cit., 576) ed è sottoposto ad un regime particolare di autorizzazione regolato dall’art. 6. A seguito delle modifiche apportate dall’art. 29, co. 1, l. 15.7.2011, n. 111, l’art. 6 ha previsto un’autorizzazione ope legis subordinata all’iscrizione in un’apposita sezione dell’albo delle agenzie per il lavoro, nonché all’interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro ed al rilascio alle autorità competenti di ogni informazione utile per l’efficace funzionamento del mercato del lavoro (art. 6, co. 3).
L’art. 7 d.lgs. n. 276/2003, infine, prevede che le regioni possano, sentite le associazioni sindacali e dei datori comparativamente più rappresentative, accreditare (art. 2 lett. f), nel solo ambito della regione interessata, ulteriori operatori, iscrivendoli in appositi elenchi, nel rispetto di una serie di principi-quadro volti a garantire l’omogeneità rispetto agli altri attori del sistema della mediazione mista pubblico-privata.
Il superamento del cosiddetto avviamento per chiamata numerica, come già osservato, ha aperto definitivamente le porte alla riforma del collocamento, il quale, oggi, è caratterizzato dal meccanismo dell’assunzione diretta.
Già introdotto dall’art. 9 bis d.l. n. 510/1996 conv. con mod in l. n. 608/1996 e, poi, ribadito dall’art. 4 bis del d.lgs. n. 181/2000, questo meccanismo esprime il pieno riconoscimento della libertà negoziale delle parti nella stipulazione del contratto, che può avvenire senza l’intervento dei pubblici uffici.
Sul datore di lavoro non gravano più limiti nella scelta del lavoratore da assumere, salvo l’eventuale obbligo per gli enti pubblici di assunzione mediante concorso, nonché i limiti che possano derivare dal diritto di precedenza all’assunzione vantato, in forza di speciali disposizioni di legge, da un determinato lavoratore (v. ad esempio: per i lavoratori a termine l’art. 5, co. 4-quater e ss., d.lgs. 6.9.2001, n. 368; per i lavoratori licenziati per riduzione di personale l’art. 15 l. n. 264/1949; per i lavoratori a tempo parziale l’art. 5 d.lgs. 25.2.2000, n. 61).
Invero, ulteriori limiti della libertà negoziale del datore di lavoro possono derivare dall’esercizio da parte delle regioni del potere, loro riconosciuto dall’art. 4 bis, co. 3, d.lgs. n. 181/2000, di prevedere che una quota percentuale delle assunzioni sia riservata a particolari categorie di lavoratori a rischio di esclusione sociale. Questa norma consente alle regioni di fissare le percentuali di assunzioni riservate, nonché di determinare le categorie di soggetti da salvaguardare, ma non sembra consentire la reintroduzione di una sorta di vincolo alla chiamata numerica (Liso, F., Servizi, cit., 5).
Con l’introduzione dell’assunzione diretta il legislatore non ha rinunciato ad esercitare forme di controllo delle assunzioni ed ha a tal uopo previsto l’obbligo di comunicare ai centri per l’impiego l’instaurazione del rapporto, indicando i dati anagrafici del lavoratore, la data di cessazione del rapporto a tempo determinato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale ed il trattamento economico e normativo applicato.
Inizialmente successivo all’assunzione, l’obbligo di comunicazione deve essere ora assolto in modo completo almeno ventiquattro ore prima del giorno effettivo di inizio del rapporto, salvo casi eccezionali di urgenza legati ad esigenze produttive nei quali è comunque necessario trasmettere, con comunicazione avente data certa, le generalità delle parti e la data di inizio della prestazione (art. 9 bis d.l. n. 510/1996, conv. con mod. in l. n. 608/1996, come mod. dall’art. 1, co. 1180, l. 27.12.2006, n. 296).
Peraltro, oltre all’instaurazione del rapporto, il datore di lavoro è tenuto a comunicare ai centri per l’impiego una serie di vicende modificative dello stesso (v. art. 5 d.lgs. n. 181/2000), nonché la sua cessazione.
Tutte queste comunicazioni obbligatorie – che, invero, devono essere assolte anche per i rapporti di lavoro autonomo continuativo e coordinato anche a progetto; di associazione in partecipazione; di tirocinio, di formazione e di orientamento – consentono ai centri dell’impiego di assolvere ad un’importante funzione di monitoraggio del mercato del lavoro.
Va al riguardo ricordato che l’introduzione del meccanismo dell’assunzione diretta ha reso superflue le liste di collocamento, soppresse espressamente dal’art. 1 bis del d.lgs. n. 181/2000 (v. però sul punto infra § 5). In luogo delle liste di collocamento è stato istituito un elenco anagrafico (art. 4 d.P.R. 7.7.2000, n. 442), alimentato sia dalle informazioni messe a disposizione direttamente dai lavoratori (co. 1) che da quelle che i centri per l’impiego ricavano, appunto, dalle comunicazioni obbligatorie (co. 2). All’elenco anagrafico, gestito con tecnologie informatiche, si affianca la scheda professionale (che ha sostituito il vecchio libretto di lavoro) rilasciata dai centri per l’impiego e contenente, oltre alle informazioni presenti nell’elenco anagrafico, anche quelle relative ad esperienze professionali e formative ed alle disponibilità del lavoratore (art. 5 d.P.R. n. 442/2000).
L’insieme delle informazioni raccolte nelle scheda anagrafico-professionale costituisce la base del Sistema Informativo Lavoro (art. 11 d.lgs. n. 469/1997) al quale, con la riforma del 2003, si è affiancata la Borsa continua nazionale lavoro (artt. 15-17 d.lgs. n. 276/2003). Mentre il SIL è un software a disposizione dei soli operatori, la borsa del lavoro è una piattaforma informatica liberamente accessibile dagli utenti, nella quale vengono immesse informazioni utili da tutti i soggetti, pubblici e privati, operanti nel mercato del lavoro.
Nella competenza della regioni rientra anche la disciplina dei cosiddetti collocamenti speciali (cfr. art. 2, co. 1, d.lgs. n. 181/2000).
La precedente disciplina di queste forme non ordinarie di collocamento, introdotta in passato per particolari categorie di lavoratori, deve ritenersi superata per effetto della generalizzazione del principio dell’assunzione diretta e della soppressione delle vecchie liste di collocamento. Sono in particolare superati: a) il collocamento in agricoltura, la cui disciplina speciale (l. 11.3.1970, n. 83) è stata quasi integralmente abrogata dall’art. 8 del d.lgs. n. 297/2002; b) il collocamento dei lavoratori a domicilio; c) il collocamento dei lavoratori dello spettacolo, che è stato abrogato dal d.l. 25.6.2008, n. 112 conv. con modif. in l. 6.8.2008, n. 133, fatta eccezione per le relative liste di collocamento (cfr. art. 1 bis, co. 3, d.lgs. n. 181/2000).
Esistono, invero, anche dei particolari settori dell’ordinamento nei quali opera ancora uno speciale intervento pubblicistico.
Sotto questo profilo viene anzitutto in rilievo il reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni afferente a qualifiche e profili per i quali sia richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo: l’assunzione, in tal caso, si effettua ancora mediante avviamento al lavoro degli iscritti nelle liste di collocamento (art. 35, co. 1, lett. b d.lgs. 30.3.2001, n. 165). In secondo luogo, vengono in rilievo alcuni collocamenti speciali la cui disciplina è stata espressamente fatta salva dall’art. 4 bis, co. 1, d.lgs. n. 181/2000. Si tratta in particolare: a) del collocamento dei lavoratori italiani da impiegare in un paese extra-comunitario, regolato dal d.l. 31.7.1987 n. 317 conv. con mod. in l. 3.10.1987 n. 398, che prevede una particolare procedura di avviamento al lavoro fondata sulla chiamata nominativa di soggetti iscritti in speciali liste di collocamento che possono essere assunti solo previo rilascio dell’autorizzazione del Ministero del Lavoro nonché del nulla-osta della Direzione regionale del lavoro; b) del collocamento dei lavoratori extra-comunitari di cui al d.lgs. 25.7.1998, n. 286, che possono essere regolarmente assunti solo nel rispetto delle cosiddette quote-flussi e previa stipulazione del contratto di soggiorno, con il quale il datore si assume, tra gli altri, l’obbligo di garantire la disponibilità, da parte dello straniero, di un alloggio conforme ai parametri di legge, nonché quello di sostenere le spese per il ritorno del lavoratore nel paese di origine; c) del collocamento dei lavoratori disabili di cui alla l. 12.3.1999, n. 68.
Un cenno a parte, infine, merita la speciale disciplina del collocamento della gente del mare, ossia del personale marittimo di cui all’art. 115 cod. nav. Il d.P.R. 18.4.2006, n. 231, in attuazione dei principi stabiliti in materia dal d.lgs. n. 181/2000, ha previsto che l’arruolamento della gente del mare avvenga mediante assunzione diretta con contestuale obbligo di comunicazione (art. 11). I lavoratori interessati – iscritti, ad opera degli uffici di collocamento della gente del mare (art. 5), nell’anagrafe della gente del mare (art. 7) – devono rendere una dichiarazione di disponibilità all’impiego che deve essere rinnovata entro 30 giorni dalla cessazione di ogni rapporto (art. 9). Per realizzare un sistema aperto di incontro fra domanda e offerta di lavoro è stato inoltre previsto che le agenzie per il lavoro possano anche svolgere, dietro specifica autorizzazione del Ministero del lavoro (art. 5, co. 3), le attività di collocamento della gente del mare, nonché l’istituzione della Borsa continua nazionale del lavoro marittimo (art. 10).
L. 29.4.1949, n. 264; d.lgs. 23.12.1997, n. 469; d.lgs. 21.4.2000, n. 181; d.lgs. 10.9.2003, n. 276; d.l. 1.10.1996, n. 510, conv. con mod. in l. 28.11.1996, n. 608. Si rinvia inoltre alle altre fonti citate nel testo.
Alaimo, A., Sub art. 4 (Agenzie per il lavoro), in De Luca Tamajo, R.-Santoro Passarelli G., a cura di, Il nuovo mercato del lavoro. Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (“Riforma Biagi”), Cedam, Padova, 2007, 103 ss.; Alaimo, A., Servizi per l'impiego e disoccupazione nel «welfare attivo» e nei «mercati del lavoro transizionali». Note sulla riforma dei servizi all'occupazione e delle politiche attive nella legge 28 giugno 2012, n. 92, in RDSS, 2012, 555 ss.; Carinci, F., Osservazioni sulla riforma del Titolo V della Costituzione, in Carinci, F.-Miscione, M., a cura di, Il diritto del lavoro dal libro Bianco al disegno di legge delega, Milano, 2004, 7 ss.; Coletta, U., Collocamento dei lavoratori (disciplina del), in Enc. dir., VII, 1960, 432 e ss.; Corazza, L., Il contratto di lavoro e la costituzione del rapporto, in Il lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, Tratt. dir. priv. Bessone, II, Torino, 2007, 173 e ss.; Filì, V., Politiche attive e servizi per l’impiego, in Carinci, F.-Miscione, M., a cura di, Commentario alla Riforma Fornero, suppl. al n. 33 di Dir. prat. lav., 2012, 192 e ss.; Foglia, R., La Corte di giustizia ed il collocamento pubblico: opportuno un nuovo intervento del giudice comunitario o del legislatore nazionale?, in Argomenti dir. lav., 1998, 539 ss.; Garofalo, M.G., La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, in RGLPS, 2003, 359 ss.; Giubboni, S., Il primo dei diritti sociali. Riflessioni sul diritto al lavoro tra Costituzione italiana e ordinamento europeo, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 46/2006; Ichino, P., Il contratto di lavoro, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2000; La Macchia, C., La gratuità del collocamento, in Il lavoro fra processo e mercificazione. Commento critico al d.lgs. n. 276/2003, Ghezzi, G., a cura di, Roma, 2004 , 56 ss.; Lambertucci, P., La disciplina del collocamento ordinario, in Diritto del lavoro, Amoroso, G.-Di Cerbo, V.,-Maresca, A., I, La Costituzione, il Codice civile e le leggi speciali, Milano, 2009, 1318 ss.; Lassandari, A., L’intermediazione pubblica e privata nel mercato del lavoro, in Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, De Luca Tamajo, R.-Rusciano, M.-Zoppoli, L., Napoli, 2004, 395 ss.; Liso, F., Mariucci, L., Collocamento, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988; Liso, F., Servizi all’impiego, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006; Magnani, M., Il lavoro nel Titolo V della Costituzione, in Argomenti dir. lav., 2002, 651 ss.; Napoli, M., Relazione alle giornate di studio Aidlass su Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme, Padova, 21-22.5.2004, in www.aidlass.it; Rusciano, M., Il diritto del lavoro italiano nel federalismo, in Lav. dir., 2001, 491 ss.; Spattini, S., Tiraboschi, M., Mediazione tra domanda e offerta di lavoro, in Dig. comm., Agg., Torino, 2008, 571 ss.; Tullini, P., Regime autorizzatorio e accreditamenti, in Il nuovo mercato del lavoro, Pedrazzoli, Bologna, 2004, 76 ss.