COLOMBINI, Caterina, beata
Nacque a Siena intorno al quarto decennio del sec. XIV da Tomaso, ricco commerciante di panni di lana in Siena e in Perugia.
La famiglia della C. apparteneva al "monte" o ordine dei "Nove", aveva casa propria in via di Città, di fronte al vicolo di Aldobrandino (poi detto del Castoro), ebbe altare e sepoltura nella chiesa dei domenicani e possedeva i castelli di Montebenichi e di Tuopina. Alcuni rappresentanti della famiglia parteciparono alla vita pubblica del Comune di Siena: il nonno della C., Iacomo di Mino di Pietro detto Colombino, fu uno dei Trentasei del governo della Repubblica nel 1276. Da lui nacquero Pietro, padre del beato Giovanni Colombini, che tanta parte avrà nella vita della C., Tomuccio, ambasciatore senese presso il Comune di Firenze nel 1346, e Tomaso, padre della Colombini.
Probabilmente su suggerimento del cugino, Giovanni, che aveva fondato, intorno al 1355, i gesuati, ordine laicale detto dei chierici apostolici di S. Gerolamo, la C. abbandonò la casa e gli agi paterni per una vita di povertà, di servizio al prossimo e di penitenza. Pose dimora in una casa di sua proprietà, dove presto la raggiunsero altre nobili donne di Siena, fra le quali, prime, Giovanna Marescotti. Pietra di Pietro, Francesca di Ambrogio di Agnolino, Simona Gallerani e Andrea. Insicura è la data di quella decisione, da alcuni collocata nel 1367, da altri nel 1365, ma da anticipare certamente a prima del 1363 (anno dell'esilio da Siena di Giovanni) e molto probabilmente da porre nel 1361. In quell'anno, infatti, il padre della C. abrogò tutti i lasciti in favore della figlia, tranne quello relativo alla casa in cui viveva ed un legato annuo di 36 fiorini d'oro. Si ha notizia di dissapori creatisi tra la C. e i fratelli e i cugini Francesco e Matteo, in seguito alla decisione di Tomaso, che d'altronde non si vede motivata se non dalla risoluzione della stessa C. di abbandonare la vita fino ad allora condotta. In quell'occasione Giovanni, che non era intervenuto direttamente nella polemica, scrisse alla cugina per consolarla (Lettere, II, p. 43).
La vita condotta dalla C. e dalle sue compagne, che presero il nome di sorelle della visitazione di Maria e furono dette gesuate, ci è nota soprattutto attraverso un'anonima Vita della C., che ha però il tono agiografico di uno scritto di devozione per chi segue la sua regola e che per di più è molto tarda: anche se certamente sulla base di fonti precedenti, tale Vita è stata infatti composta nel XVI sec., o forse nel XVII. Secondo tale tradizione, le gesuate, che si inseriscono come movimento vivace all'interno di una spiritualità di tipo contemplativo, pauperistico e penitenziale, osservavano rigorosamente il silenzio, digiunavano frequentemente, si flagellavano due volte per notte, avevano paglia per giaciglio e spesso indossavano un cilicio. Vivevano del proprio lavoro manuale agricolo, senza però possedere grandi estensioni di terreno, e sopperivano a ciò che potesse loro mancare mendicando per la città; chi rientrava in monastero dopo la "limosina" non riferiva tuttavia nulla di ciò che aveva visto o udito per non turbare la vita contemplativa delle compagne. Accenni generici a "opere di carità" contenuti in tutte le fonti, non ci permettono di stabilire con precisione il tipo di apostolato svolto dalla C. e dalle altre donne che con lei vivevano; probabilmente, però, si dedicavano, ad imitazione di quanto facevano i gesuati, all'assistenza dei malati e degli infermi. A questo proposito si ricordi che Giovanni Colombini e la sua "brigata", esiliati nel 1363 da Siena a causa delle maldicenze che circolavano sul loro conto soprattutto per i frequenti rapporti intrattenuti con le monache benedettine di S. Bonda e di altri monasteri senesi, vennero richiamati in patria durante un'epidemia di peste, nella quale si distinsero per l'abnegazione nell'assistenza ai colpiti.
La C. e le sue compagne professavano la cosiddetta regola di S. Agostino, accolta quasi subito ma in data imprecisata; la loro direzione spirituale, affidata, nei primissimi tempi, a Giovanni, passò in seguito al priore dei gesuati di S. Girolamo, il quale poteva concedere, non osservando esse una perfetta clausura, di recarsi a mangiare presso le proprie famiglie e, talvolta, di dormirvi. La regola fu modificata e perfezionato dalle costituzioni dei frati gesuati, compilate nel 1426 da Giovanni da Tossignano, futuro vescovo di Ferrara.
Nell'anno 1363, insieme con Giovanni e la badessa di S. Bonda, la C. si recò a Città di Castello "per far frutto con donne buone e valenti"; è questa la sua prima attività di tipo missionario. Nel 1367, alla morte del cugino Giovanni, avvenuta ad Arcidosso poco dopo l'approvazione della sua congregazione laicale da parte del pontefice Urbano V, con le sue compagne si trasferi nel monastero di Vallepiatta, una contrada di Siena vicino alle carbonaie che, con lo stesso nome, salivano fino al Canto del Verghione. Per le proprie necessità, accanto alla nuova sede esse affittarono dai canonici del duomo un orto, per il quale pagavano 4 fiorini d'oro ogni anno. In un documento del 18 ott. 1373 (Liberati, p. 417), firmato dalla stessa C., si fa domanda alle autorità di Siena affinché le "povare" gesuate vengano esentate dal pagamento di una tassa di 16 soldi, richiesta dagli esecutori dei dazi. Dal medesimo documento risulta che le gesuate vivevano di elemosina e che il luogo in cui si trovavano era appartenuto a Iacopo di ser Guido Fazi ed era stato acquistato "per... più persone ed amici" dal beato Giovanni; il monastero di Vallepiatta non è dunque da confondere, come è stato fatto, con la casa ricevuta dal padre, nella quale la C. iniziò la vita religiosa con le prime seguaci. La richiesta di esenzione venne accolta dal Comune di Siena.
Altre date della vita della C. non ci sono note, se non quella della morte, avvenuta a Siena il 20 ott. 1387.
Altre notizie abbiamo, invece, del movimento iniziato dalla C., che si era esteso con nuove fondazioni a Firenze, per opera della sua compagna Andrea, e che si diffonderà in Toscana e in Umbria e, più tardi, in altre regioni dell'Italia centrosettentrionale. Il monastero di Vallepiatta restò loro centro e nel 1575, come risulta dai documenti della visita loro fatta da mons. Bussioil 3 agosto di quell'anno, vi si contavano trentasei professe, cinque converse e una secolare in attesa dei voti. Loro divisa era una tonaca bianca e uno scapolare bruno tanè; sul capo un velo di lino. Le gesuate non furono comprese nella bolla Romanus Pontifex del 6 dicembre del 1668, con la quale il papa Clemente IX sopprimeva i gesuati su richiesta della Repubblica di Venezia, ch'egli stava già favorendo nella guerra di Candia. Le sorelle della visitazione di Maria sopravvissero come congregazione, in Italia, fino al 1872. Il culto della C., d'altronde sempre limitato ai gesuati, è oggi scomparso.
Fonti e Bibl.: F. Belcari, Vita del beato Giovanni Colombini da Siena, Verona 1817, pp. 103-111, 176; Lettere del beato Giovanni Colombini, a c. di D. Fantozzi, Lanciano s.d. [ma 1911], I, pp. 67-76; II, pp. 34-46, 145-148; Vita ined. della beata C. C., a cura di S. Mottironi, in Bullettino dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo, LXXVI (1964), pp. 291-295; A. Poncelet, Catalogus codicum hagiograph. Bibliothecae publicae Rotomagensis, in Analecta Bollandiana, XXIII (1904), pp. 103 s.; P. Misciatelli, Mistici senesi, Siena 1913, pp. 95-130; G. Pardi, Il beato Giovanni Colombini, in Nuova Rivista stor., XI (1927), pp. 297 s., 313 s.; M. Heimbucher, Die Orden und Kongregationen der kath. Kirche, Paderborn 1933. 1, pp. 597 s.; A. Liberati, Le gesuate di Vallepiatta, in Bullettino senese, n.s., IV (1933), pp. 411-418; C. Gennaro, Giovanni Colombini e la sua "brigata", in Bullettino dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, LXXXI (1969), pp. 246 s.; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor. eccles., XXX, pp. 108-110; Encicl. catt., III, coll. 2006 s.; VI, col. 223; Bibliotheca Sanctorum, IV, col. 121; Diz. d. Istituti di perfezione, II, s.v.; V, s.v. Gesuate.