COMACCHIO (A. T., 24-25-26)
Città della provincia di Ferrara, che sorge (i m. s. m.) in mezzo alla laguna omonima (le "valli", v. sotto) tra il Po di Volano e il Po di Comacchio, sopra un gruppo d'isolette separate da canali e congiunte da ponti, a somiglianza di Venezia e di Chioggia.
Gli abitanti del suo comune (vasto 284,72 kmq.) sono 12.181, dei quali 8697 vivono nel centro capoluogo, 551 nel centro di Porto Garibaldi e i rimanenti nelle case sparse. La loro attività è in gran parte rivolta alla pesca (v. Le valli di Comacchio). Il porto di Comacchio è Porto Garibaldi - la vecchia frazione di Magnavacca - e fra Comacchio e Porto Garibaldi corre il canale fatto scavare dal cardinale Palotta o Pallotta, e detto appunto Canale Palotta. Una ferrovia unisce Ostellato, che una tramvia di 32 km. congiunge con Ferrara, a Porto Garibaldi (29 km.), toccando Comacchio.
Monumenti. - Ha una cattedrale barocca (San Cassiano), la chiesa di Santa Maria in aula regia (sec. XVII) unita alla città con un lungo portico, la bizzarra costruzione di Treponti architettata da Luca Danesi, bei punti pittorici e un caratteristico aspetto generale. In val Trebba, presso Comacchio, fu nel 1922 rinvenuto il sepolcreto dell'antica Spina.
Storia. - Piccola città, ebbe storia varia ed agitata. Le sue origini sono incerte, e solo col sec. V essa comincia ad acquistare importanza storica. Appartenne agli Etruschi, passò poi ai Galli e da questi ai Romani. Augusto condusse per la laguna di Comacchio la fossa che metteva ad Altino, detta appunto Fossa Augusta. Coi Goti prima, coi Longobardi poi, raggiunse un certo splendore, e fu centro di un ducato. Nelle lotte dei Goti e dei Longobardi con gli esarchi di Ravenna, Comacchio passò dall'una all'altra parte. Fu tra le città che Astolfo rese alla Chiesa, e, insieme con Ferrara, venne da questa infeudata a Tedaldo, avo della contessa Matilde. Nell'854 i Veneziani, che appetivano quella terra a causa delle sue saline, l'assediarono e la devastarono. Nacque così, tra Venezia e Comacchio, un dissidio insanabile, che si risolse nella distruzione di Comacchio l'anno 946. La Chiesa di Roma ricuperò poi il dominio e lo trasferì all'arcivescovo di Ravenna. Ma l'imperatore Rodolfo ne investì Obizzo IV d'Este; e così fecero i successori. Benché fosse grandemente decaduta, seguitarono a contendersela Ravennati ed Estensi, i quali edificarono sul suo territorio una di quelle deliziose ville campestri per cui andarono famosi. Ebbe molto a soffrire nel 1378 per opera dei Genovesi, nel 1388 per opera dei Veneziani, in guerra con Ferrara. Con l'incameramento di Ferrara alla Santa Sede, nel 1598, seguì la stessa sorte. Durante la guerra per la successione spagnola, anche Comacchio fu invasa dagl'imperiali, né fu poi restituita, donde la lunga contesa storica, a base di documenti, combattuta da Mons. Giusto Fontanini e da A. Zaccagni, per la S. Sede; dal Muratori, per il duca d'Este. Vinse la S. Sede (25 novembre 1724).
Comacchio ha un'antichissima sede vescovile, che si vuole fondata da S. Apollinare, e che fu suffraganea della metropolitana di Ravenna fino dal sec. V.
Bibl.: G. F. Ferro, Istoria dell'antica città di Comacchio, Ferrara 1701; G. F. Bonaveri e P. P. Proli, Della città di Comacchio, Cesena 1761 e Comacchio 1905; G. A. Cavalieri, De Comaclensibus Episcopis, Comacchio 1779; Agatopisto Cromaziano Giuniore, Della letteratura comacchiese, Lezione parenetica in difesa della patria..., Comacchio 1786; Costituzione per il buon governo della città di Comacchio e sue attenenze dell'eminentissimo e reverendissimo signor cardinale Francesco Carafa, ecc., Comacchio 1780; P. Federici, Rerum Pomposianarum historia monumentis illustrata, Roma 1781; C. Fea, Il diritto sovrano della Santa Sede sopra le valli di Comacchio e sopra la Repubblica di S. Marino, Roma 1834; A. Frizzi e C. Laderchi, Memoria per la storia di Ferrara, Ferrara 1847; F. Ballotta, Sulla salubrità dell'aria di Comacchio, Ferrara 1849; L. M. Hartmann, Zur Wirtschaftsgeschichte Italiens im frühen Mittelalter, Gotha 1904; A. Beltramelli, Da Comacchio ad Argenta. Le lagune e le bocche del Po, Bergamo 1905; F. Lanzoni, Il primo vescovo di Comacchio, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3ª, XXVII (1908-1909), pp. 62-70; C. Fogli, Comacchio nel risorgimento italiano, Prato 1915; M. Samaritani, Comacchio garibaldina, Ferrara 1924; U. Dallari, L'originale sconosciuto d'un diploma dell'imperatore Ottone III, Modena 1921.
Le valli di Comacchio.
Le Valli di Comacchio corrispondono a quel tratto della costa alluvionale di NO. dell'Adriatico dove nell'antichità classica erano le foci del Po, e formano la parte meridionale della zona di lagune, valli salse e terreni prosciugati, che con poche varietà locali descrive un arco da Ravenna a Monfalcone. Sinché la pianura padana e le montagne circostanti erano vestite di fittissime selve e gli arginamenti mancavano o erano deboli e piccoli, le piene del Po, potendosi espandere, deponevano lungo il corso la maggior parte dei prodotti della denudazione. Le maree poi tenevano sgombre le foci che allora il fiume aveva alcuni chilometri più a sud delle presenti; sottili cordoni litorali facevano fronte a queste foci, separando dal mare una laguna, il cui nome è da identificarsi, col Lanciani, in quello di Padusa, parte più meridionale dei Septem maria. L' ampiezza di questa laguna dovette venir ristretta man mano che, col progredire dei diboscamenti e per effetto delle arginature, aumentò la quantità dei materiali trasportati in mare e mutò di conseguenza il carattere delle foci padane. Le varie bocche, che ebbero differente efficienza secondo che furono seguite o abbandonate dalla corrente principale, costrussero ciascuna il proprio apparato deltizio, appoggiandolo o a cordoni litorali separanti ancora un tratto di laguna o a terreni di precedente colmamento, corrispondenti a più vecchi delta. Benché non ne rimanga testimonianza alcuna negli autori più antichi, è non solo possibile ma anche probabile che sin da tempo remoto vi esistessero popolazioni viventi della pesca e che la cattura dei pesci si facesse con apparecchi fissi, formati da due pareti di cannucce piantate a diedro sul fondo dell'acqua. A questo modo di prendere le anguille all'uscita del Mincio dal Benaco, fa cenno Plinio, e giustamente il Bellini vi vede l'idea fondamentale del "lavoriero".
Di Comacchio però non si hanno - come si è detto - notizie prima del sec. VI dell'era volgare. Invece nell'antichità, nelle vicinanze, era stata fondata la greca Spina, dove fu poi la Valle Trebba, a NO. di Comacchio. Della città disparve ogni visibile vestigio, quando il luogo dove sorgeva venne invaso da acque salse. Il Po di Volano, dal secolo XII, con la rotta di Ficarolo, incominciò a cedere il primato al nuovo ramo formatosi, che fu detto Po Grande, Po di Francolino o Po di Venezia. L'area occupata dalle Valli di Comacchio corrisponde in parte a un delta dell'epoca romana, probabilmente quello del ramo spinetico, in parte a quello medievale di Volano, in parte ancora a terreni depressi (come la Valle del Mezzano) per i quali si ha prova che prima di far parte delle valli salse furono "valli" d'acqua dolce, in parte forse anche a qualche residuo dell'antica laguna padana. Avvenuta infatti la diversione del fiume in un corso più settentrionale, continuando i materiali alluvionali a schiacciarsi sotto il loro stesso peso, senza che nuove deposizioni compensassero l'abbassamento, le acque marine, anche in causa del secolare spostamento positivo del loro livello, poterono coprire buona parte dei vecchi delta e in parte anche demolirli, e poterono anche invadere aree di minor colmamento esistenti tra un ramo fluviale e l'altro. Rimasero tuttavia emergenti le parti più alte dei tomboli sabbiosi, sotto forma di cordoni che ne riproducono la disposizione nel rispettivo delta, e l'assai più ampia isola di Magnavacca, che si frappone tra il mare e i terreni sommersi. All'opera delle forze naturali si associò quella dell'uomo, che con tagli ed escavi facilitò e mantenne l'ingresso delle acque marine nelle aree sommerse, le quali divennero le Valli salse di Comacchio.
Le Valli salse, se si prescinda da altre non grandi variazioni subite nel tempo, per nuovi specchi d'acqua aggiunta o per bonificazioni, esistettero come tali fino a pochi anni fa quando s'iniziò il prosciugamento della parte (10.000 ettari) a settentrione della strada-argine da Ostellato a Porto Garibaldi. Quale ne era l'aspetto e quale il genere di vita che esse determinavano? La Valle del Mezzano, tuttora rimasta tale, causa le difficoltà tecniche che presenterebbe il prosciugamento, può dare ancora una chiara idea di ciò che fu, sino a pochi anni or sono, la vita dei pescatori del più vasto specchio vallivo, che misurava complessivamente un'area di 49.000 ettari. Senza dubbio, l'aspetto delle Valli salse, la loro estensione, la morfologia del fondo, le loro comunicazioni col mare sono il risultato dell'azione della natura e dell'uomo, e non furono sempre gli stessi. Corrispondentemente ai non pochi mutamenti avvenuti in quel litorale durante l'epoca storica, l'uomo dovette introdurne altri perché le Valli servissero all'allevamento dei pesci, abbandonando quelle medesime che fossero colmate, immettendo l'acqua salsa in aree depresse, regolandone altre di nuova formazione. Certamente però questo non fece al di là dei suoi bisogni né dei suoi mezzi. Onde, come pare, non prima del sec. XIV-XV, sotto gli Estensi, fu fatta una regolazione generale dell'ampio e poco profondo specchio d'acqua per gli scopi della pesca. L'uomo dovette sostenere una lotta coi fiumi e col mare per regolare l'azione degli uni e dell'altro, a un tempo difendendo e conservando lo specchio d'acqua in condizioni favorevoli alle periodiche immigrazioni del novellame dal mare, allo sviluppo del medesimo e alla cattura dei pesci maturi: poiché tutta la vita dei pescatori e le disposizioni ch'essi introdussero nello specchio d'acqua si fondano sul fatto biologico che le forme giovanili di certe specie di pesci (anguille, cefali e altre), nate in mare profondo, immigrano nelle basse acque litoranee a compiere il loro sviluppo, per discendere nuovamente in mare quando essi pesci sieno giunti alla maturità sessuale. Lo specchio d'acqua venne esteriormente cinto d'argini a difesa contro i fiumi e diviso, per mezzo di bassi arginelli interni, in scompartimenti detti "campi" o "valli", poco profondi, comunicanti però col mare mediante canali, in modo che dalle bocche aperte nel lido e regolate da chiuse ciascun campo ricevesse adeguatamente il flusso marino e ogni primavera il novellame. Ma gli argini verso i fiumi e quelli separanti i singoli "campi" in breve sarebbero deperiti, se non fossero stati periodicamente riparati, e il fondo dei campi e le bocche d'alimento si sarebbero riempiti di melma, se non fossero stati ogni anno escavati e ripuliti: l'ingresso della marea è necessario all'allevamento dei pesci e alle operazioni di pesca. Dal 1909, anno in cui si ostruì la Bocca del Bianco a NE. di Comacchio, che non fu più riattivata, unica apertura destinata ad alimentare anche le valli che resteranno tali a bonifica compiuta rimane il Porto di Magnavacca, che in memoria del salvataggio di Garibaldi compiuto dal comacchiese Bonnet il 3 agosto 1849, fu detto Porto-Canale Garibaldi. In questo hanno principio i canali destinati a condurre l'acqua del mare nei singoli campi di pesca.
A ognuno di questi corrisponde un casolare o, come si dice sul posto, un casone, costruzione a base rettangolare in mattoni, che sino al sec. XVII era di canne, cui è attigua la tabarra dove si custodiscono gli attrezzi e gli utensili. Questa è la stazione di pesca, situata su un terrapieno o su una striscia di terra emergente, dove hanno alloggio i vallanti, cioè gli uomini che vi sono addetti. Intorno al focolare, che ha un'amplissima cappa, si riuniscono i pescatori, sedendo su ampî seggioloni contesti di giunchi. Della cucina è anche caratteristica l'enorme graticola su cui si arrostiscono le anguille. Necessariamente dalla vita dei pesci dipendono le occupazioni dei pescatori, che non sono le medesime in tutto l'anno: alla stagione di pesca, che va da ottobre a febbraio, succede quella in cui invece è necessario fare le riparazioni agli argini e ricostruire del tutto i lavorieri, cioè le ingegnose trappole di canne entro alle quali i pesci andranno a imprigionarsi nella ventura stagione. Questo è lavoro diurno che si fa dall'aurora al tramonto. Durante il periodo della pescagione, invece, è necessario vegliare di notte, perché i pesci durante la notte entrano nei lavorieri e i "vallanti" devono andare a raccoglierli. Queste trappole, che presentano la forma di un diedro acuto, impiantato in uno scavo fatto nel fondo della "valle", vi sono disposte in modo che il vertice guardi verso il mare e riceva bene il flusso. Questo vi fa accorrere dalla "valle" i pesci maturi che l'istinto guida per il ritorno al mare, allo scopo della riproduzione: essi invece trovano sbarrata la via e restano imprigionati nel lavoriero. Apparecchio le cui origini furono semplici e antichissime, come provano gli evidenti riscontri degli etnografi, il complicato lavoriero attuale risultò da perfezionamenti successivi dell'idea primitiva, introdotti dall'esperienza locale di molte generazioni: è senza dubbio originale il modo come tale apparecchio è stato adattato alle condizioni idrografiche locali e alle già accennate abitudini dei pesci.
Bibl.: Oltre agli scritti citati sopra, v. A. Bellini, Il lavoriero da pesca nella laguna di Comacchio, in Atti del Congr. Interregionale di pesca e acquicoltura, Venezia 1899; id., La laguna di Comacchio sotto il dominio della Corte di Vienna, in Neptunia, 1907; id., La laguna di Comacchio sotto il governo della S. Sede, in Rivista mensile di pesca e idrobiologia, X (1908); XI (1909); A. Beltramelli, Da Comacchio a Argenta, Bergamo 1905; G. Boccaccini, La bonifica delle valli settentr. di Comacchio, Rocca S. Casciano 1919; L. Fano, Congetture sulla formazione del suolo e suoi movimenti nella bassa Valle Padana, in Annali R. Scuola d'Ingegneria di Padova, 1925; O. Marinelli, Atlante dei tipi geografici, Firenze 1921, tavole 38 e 42; id., Le curiose vicende del delta del Po, in Vie d'Italia, 1924; A. Mattei, Le bonifiche delle Valli di Comacchio, in Annali dei Lavori Pubblici, 1924; D. Pantanelli, I terreni quaternari e recenti dell'Emilia, in Memorie R. Accademia delle Scienze di Modena, s. 2ª, IX; G. Samaritani, Problema comacchiese, Ferrara 1910.