COMIZIO
. Presso i romani, comitium è il luogo di riunione dell'assemblea pubblica; comitia indica invece l'insieme delle suddivisioni dell'intero popolo romano (curie, centurie, tribù, e si usa perciò correttamente solo al plurale; la riunione di una sola parte del popolo, per es. della sola plebe, è invece tecnicamente concilium, e, se il popolo non è diviso in sezioni, è conventio, contio), convocato tempestivamente e presieduto da un magistrato che ne abbia il diritto (che abbia cioè il ius agendi cum populo), in un giorno adatto (comitialis, cioè né fasto né nefasto in senso stretto, riservato alla giurisdizione), in località situata nell'ager romanus e ritualmente inaugurata (templum) e in forma solenne, dopo aver preso gli auspicia, per cooperare con il magistrato stesso ad atti pubblici che possono essere le elezioni dei magistrati, l'approvazione o il rigetto di una legge o di una proposta di condanna per la quale si richieda l'assenso dei comizî. Una speciale categoria erano i comitia calata, convocati dal pontefice per l'inauguratio del re o dei flamini, e per la detestatio sacrorum e per i testamenti; il popolo, diviso per curie o centurie, vi assisteva semplicemente. I comizî si distinguevano in curiata, centuriata e tributa, a seconda che il popolo vi partecipava diviso per curie, centurie o tribù; i centuriata erano il comitiatus maximus, gli altri comitia leviora, e avevano competenza diversa.
I più antichi erano comitia curiata, che si radunavano nel Comitium, o in certi casi sul Campidoglio, in giorni fissi (per i testamenti) o quando ce n'era bisogno. Essendo nel periodo più antico i soli comizî esistenti, la loro competenza si estendeva un tempo a tutti quegli atti per i quali era richiesta la cooperazione dei comizî con il re o con il magistrato; più tardi si riservarono ad essi solo alcuni atti, come l'approvazione della lex curiata de imperio, l'inauguratio di alcuni sacerdoti e le pratiche relative alla vita delle gentes; al tempo di Cicerone erano ridotti a un simulacro di comizî, e le trenta curie vi erano rappresentate da trenta littori. Nei comitia centuriata, sorti alla fine dell'epoca regia, il popolo si riuniva diviso in centurie di cavalieri e di pedoni, queste ultime distinte per classi del censo. Divennero subito i più solenni e più importanti comizî del popolo e le deliberazioni più gravi erano di loro esclusiva competenza (dichiarazione di guerra, giudizî capitali, elezione dei magistrati cum imperio e dei censori). Li poteva convocare solo un magistrato cum imperio, e fra convocazione e riunione doveva intercedere uno spazio di tempo, fissato poi in un trinundinum (3 settimane), durante il quale potevano avvenire discussioni in contione sulle leggi proposte; se si trattava di comizî giudiziarî, l'accusa doveva essere sostenuta e sentita la difesa per tre volte e quindi si fissava, pare dopo il trinundinum, il giorno della votazione. Poiché il popolo v'interveniva in ordine militare, i comitia centuriata si dovevano riunire fuori del pomerio, di solito al Campo Marzio. La votazione, come in tutti i comizî romani, avveniva per testa in ogni sezione (nel caso particolare nella centuria) e il voto della maggioranza costituiva il voto della centuria; i voti delle centurie determinavano il risultato finale. Nei comizî elettorali si votavano i nomi dei candidati; nei legislativi alla domanda del presidente velitis iubeatis Quirites rogo, si rispondeva uti rogas (approvazione) o antiquo (cioè antiqua probo e quindi disapprovazione). I voti erano raccolti dai rogatores e computati dai diribitores; il voto era anticamente orale e solo dalla metà del sec. II scritto e segreto. I recinti per le riunioni delle sezioni erano detti ovilia o saepta, e gli elettori votavano uscendo e passando per un pons; Cesare e Augusto edificarono nel Campo Marzio saepta marmorei. L'ordine della votazione era il seguente: prima le centurie equestri, e poi le varie classi successivamente finché si era ottenuta la maggioranza; dalla seconda metà del sec. III, prima una centuria tratta a sorte da quelle dalla prima classe (centuria praerogativa), che era considerata l'omen comitiorum, poi le 12 centurie equestri più recenti e la prima classe, poi le 6 centurie equestri patrizie, poi successivamente le altre classi. Quando la plebe cominciò a tenere delle riunioni regolari presiedute dai suoi tribuni, essa, per una legge del 471 (Publilio Volerone), votava per tribù, che erano i distretti amministrativi. Queste riunioni erano concilia e le deliberazioni scita, non leges o iussa, ma dopo che gli scita plebis furono, almeno dal 287 a. C., parificati alle leges, si usarono chiamare comitia anche i concilia plebis. Essi eleggevano i tribuni della plebe e gli edili plebei, giudicavano processi non capitali e approvavano leggi d'ogni genere (salvo la competenza delle centurie per certe deliberazioni); anzi l'attività legislativa dei comizî plebei superò di gran lunga quella degli altri comizî, data la semplicità della loro procedura e la presenza costante in Roma di dieci tribuni, ognuno dei quali poteva convocarli e presiederli. I concilia plebis dovevano essere tenuti non oltre un miglio fuori della città: di solito si radunavano nel Foro o sull'area capitolina ed erano regolati da norme in gran parte foggiate su quelle che regolavano i comitia centuriata. Si tirava a sorte la tribù che doveva votare per prima o il cui voto doveva essere proclamato per primo (principium) e quella in cui potevano votare i Latini presenti a Roma; in certi casi (elezioni?) pare che le tribù votassero contemporaneamente, in certi altri (approvazione di leggi?) successivamente; ma è questo un punto discusso e oscuro. L'intero popolo si radunava poi in comitia tributa, organizzati a imitazione dei concilia tributa della plebe e presieduti da un magistrato curule, per eleggere i magistrati minori, questori, edili curuli, tribuni militum a populo, per approvare certe leggi e giudicare certi processi per multa. Speciali comizî composti dalla minoranza delle tribù tratte a sorte, e quindi, quando le tribù erano 35, di 17 tribù, eleggevano dal sec. III il pontefice massimo e dal 104 i membri dei quattro maggiori collegi sacerdotali.
I comizî erano l'espressione caratteristica dello stato cittadino; e quando con l'estendersi del territorio romano divenne praticamente impossibile a gran parte dei cittadini di parteciparvi, essi divennero dominio della plebe urbana e la loro natura cambiò. Spesso negli ultimi tempi della repubblica erano poco frequentati. Silla ne limitò l'azione; Cesare e Augusto li mantennero, anzi Augusto tentò di sollevarli e fece da essi approvare alcune delle sue leggi più importanti; ma essi erano incompatibili con le nuove forme di governo. Sopravvissero fino al sec. III, ma la loro azione era limitata ad atti formali; l'elezione dei magistrati fu trasferita da Tiberio al Senato, le quaestiones (tribunali permanenti) avevano già assorbito le funzioni giudiziarie dei comizî; l'ultima legge comiziale a noi nota è l'agraria di Nerva del 98. Almeno sino alla metà del sec. II d. C. durarono i comizî nei municipî e nelle colonie: erano tributi o curiati secondo l'organizzazione della cittadinanza in tribù o curie, ed eleggevano i magistrati municipali. Il governo della città si andò però sempre più concentrando nel consiglio dei decurioni.
Seguendo l'esempio francese, la voce comizio indicò in tempi moderni l'adunata degli elettori per nominare i rappresentanti (v. elezione) e poi le riunioni popolari in cui si espongono e discutono i programmi politici (v. riunione). Comizî di Lione sono chiamate le adunanze della Consulta straordinaria di Lione (31 dicembre 1801-26 gennaio 1802), per concorrere con Napoleone ad assestare definitivamente la Repubblica Cisalpina.
Bibl.: Fondamentale, Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III, Lipsia 1887, p. 300 seg. (trad. francese, Le droit public romain, VI, parte 1ª, Parigi 1889, p. 341 seg.), e per i comizî municipali, Die Stadtrechte der lateinischen Gemeinden von Salpensa und Malaca, in Gesammelte Schriften, I, p. 265; G. Humbert, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, I, ii, Parigi 1887, p. 1374; W. Liebenam, art. Comitia, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 679; G. W. Botsford, The Roman Assemblies, New York 1909; G. Rotondi, Leges publicae populi romani, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1912, p. 20 (in queste quattro opere la bibliografia più antica); G. Niccolini, Sui comizi romani, in Atti della Società ligustica, Genova 1925.